Edifici di edilizia convenzionata e vincolo nel prezzo di vendita: la parola alle Sezioni Unite

Edoardo Valentino
21 Settembre 2021

Nel caso di edifici realizzati ai sensi degli articoli 7-8, l. 28 gennaio 1977 n. 10 (c.d. Legge Bucalossi), ossia con contributi inferiori per la realizzazione di immobili di edilizia convenzionata, è chiaro che il prezzo di vendita dal costruttore al primo compratore debba essere “calmierato” e indicato nella convenzione di cui alla citata legge. Il prezzo così vincolato, però, deve essere considerato valido solo nel negozio giuridico tra il costruttore ed il primo compratore o anche per le successive compravendite?

A parere della Terza Sezione Civile della Cassazione, la risposta è incerta e occorre rinviare la questione, definita di massima importanza, al Primo presidente affinché valuti l'opportunità di un rinvio della questione al giudizio delle Sezioni Unite.

Il caso. Una investitrice conveniva in giudizio un altro soggetto, suo mandatario, lamentando di aver subito un danno a causa dell'infedeltà dello stesso nella esecuzione del suo mandato.

Secondo la prospettazione dell'attrice, infatti, il mandatario avrebbe avuto il compito di acquistare un immobile in nome proprio ma per suo conto, con obbligo di successivo trasferimento di proprietà.

A tal fine, ella aveva consegnato una consistente somma di denaro al professionista.

L'affare si era concluso e il mandatario aveva acquistato l'immobile a nome proprio, pagando una cifra superiore a quella prevista e corrispondendola in parte con la somma conferita dalla mandante ed in parte con la stipulazione di un contratto di mutuo – nuovamente a suo nome – che aveva coperto il costo eccedente.

In sede di contratto di trasferimento dell'immobile dal mandante alla mandataria, tuttavia, la seconda si era avveduta di come il costo del primo trasferimento fosse stato di gran lunga inferiore a quello comunicato dal mandante, trattandosi l'immobile di un edificio soggetto a disciplina edilizia agevolata e recando quindi un prezzo di vendita vincolato.

La mandante, quindi, aveva richiesto al mandatario la restituzione della somma di denaro eccedente a quella che si era infine rivelata necessaria per ottenere la vendita dell'immobile.

Si era costituito in giudizio, quindi, il mandatario, affermando come il prezzo di vendita era stato considerato congruo dalla mandante e che questa avesse comunque avallato il trasferimento e l'accollo del mutuo.

Secondo il convenuto, poi, la condanna alla restituzione della differenza del prezzo avrebbe necessitato un previo accertamento della violazione della norma sull'edilizia agevolata e una conseguente declaratoria di nullità parziale della compravendita.

In assenza di tale decisione, quindi, il mandatario riteneva le osservazioni della controparte del tutto infondate.

All'esito del primo giudizio, il Tribunale accoglieva le ragioni dell'attrice e condannava il convenuto alla restituzione della somma eccedente il costo della vendita.

La vicenda approdava in seguito in grado d'appello, ma il giudice – in riforma della prima sentenza – rigettava la domanda attorea e, in accoglimento delle osservazioni del mandatario, riteneva come l'immobile potesse essere venduto a prezzo libero e secondo le pattuizioni delle parti, senza alcun vincolo o nullità parziale nei contratti.

Il ricorso solleva una questione che dovrà essere risolta dalle Sezioni Unite della Cassazione.

La parte soccombente, quindi, decideva di agire in sede di Cassazione sulla base di un ricorso articolato su svariati motivi di diritto.

La Terza Sezione della Cassazione, tuttavia, con l'ordinanza numero 24703 pronunciata il 21 gennaio 2021 e depositata in data 14 settembre 2021, analizzava solo la prima doglianza, rinvenendo un contrasto tra differenti interpretazioni da parte della Corte di Cassazione stessa e invocando un necessario intervento nomofilattico delle Sezioni Unite.

Occorre, al fine di comprendere l'ordinanza in commento, analizzare il primo motivo del ricorso della mandante, avendo cura di descrivere anche il quadro normativo citato.

Secondo la ricorrente, infatti, avrebbe errato la Corte d'Appello nella relativa sentenza nel ritenere che il vincolo di contenimento del prezzo delle compravendite immobiliari per edifici realizzati secondo le convenzioni di cui all'art. 7, l. 10/1977 gravasse solo sulla prima compravendita del bene e non riguardasse anche le successive.

Nella decisione d'appello, infatti, si legge che il mandatario sarebbe stato svincolato da qualsiasi obbligo ed avrebbe potuto (come poi aveva effettivamente fatto) acquistare il bene ad un prezzo libero, senza incorrere in una nullità parziale del negozio giuridico per contrarietà alla citata legge.

Secondo la ricorrente, tale interpretazione si sarebbe scontrata con diversi precedenti giurisprudenziali ed elementi normativi.

In primo luogo l'art. 18, comma 4, d.P.R. n. 308/2001 (che aveva invero abrogato gli articoli 7 e 8 della legge Bucalossi) e che affermava che «il titolare del permesso può chiedere che il costo delle aree, ai fini della convenzione, sia determinato in misura pari al valore definito in occasione di trasferimenti di proprietà avvenuti nel quinquennio anteriore alla data della convenzione» (la declinazione al plurale avrebbe confortato la tesi della ricorrente dell'applicabilità del vincolo anche su successivi trasferimenti).

In seconda battuta la l. n. 448/1998, che all'art. 31, comma 46, avrebbe fatto riferimento alla convenzione edilizia in grado di sostituire o modificare la c.d. “convenzione P.e.e.p.”.

La l. n. 106/2011, poi, che inserendo al citato art. 31, l. n. 448/1998 i commi 49-bis e ter aveva stabilito che i vincoli della determinazione del prezzo massimo di cessione potessero essere rimossi trascorsi almeno cinque anni dal primo trasferimento e con convenzione in forma pubblica stipulata a richiesta del proprietario (disciplina estesa anche agli edifici di cui alla Legge Bucalossi).

Da ultimo alcune sentenze tra le quali Cass. SS. UU. 16 settembre 2015 n. 18135 e Cass Sez. II 4 dicembre 2017 n. 28949 avrebbero confermato i principi sopra citati, confortando l'interpretazione fornita dalla ricorrente, ossia che il vincolo di vendita per edifici realizzati in regime di edilizia agevolata non venisse a cadere automaticamente a seguito del primo acquisto, ma restasse vigente in perpetuo, fino a quando il proprietario avesse stipulato una diversa e contraria convenzione in forma pubblica ed essendo trascorsi almeno cinque anni dalla prima vendita.

Secondo la ricorrente, poi, la Corte d'Appello aveva errato nella propria sentenza nel non riconoscere tali principi affidandosi invece ad una giurisprudenza di Cassazione risalente e precedente alle succitate introduzioni normative (a titolo di esempio venivano citate Cass. Sez. II, 2 ottobre 2000, n. 13006 e Cass. Sez. II, 4 aprile 2011 n. 7630).

Alla luce di tale ragionamento la Terza Sezione della Cassazione, rilevato il contrasto nella giurisprudenza della Cassazione, pronunciava il seguente ragionamento.

Il primo motivo del ricorso pone la questione relativa all'ambito di applicazione dei vincoli relativi al prezzo di cessione di immobili di edilizia convenzionata.

Ai sensi dell'art. 8, l. n. 10/1977, poi trasposto nel d.P.R. n. 380/2001, non vi è una chiara indicazione della durata del vincolo.

L'art. 31, commi 49-bis e ter, l. n. 448/1998, inseriti dal d.l. n. 70/2011, invece, chiariscono che il vincolo sussiste anche a seguito della prima compravendita e comunque fino alla esistenza di una convenzione contraria.

Essendo stata realizzata la prima compravendita dell'immobile in esame in data 13 giugno 2007, tuttavia, tali norme appaiono inapplicabili al caso in oggetto, posto che «l'effetto retroattivo di una norma interpretativa non può che operare da momento in cui la norma interpretata è posta nell'ordinamento».

Tale richiesta retroattività, poi, avrebbe altresì l'effetto di inserire in un negozio vincoli postumi che limiterebbero la libertà contrattuale delle parti, violando l'art. 6 del Protocollo CEDU.

Ad aggiungere indeterminatezza in merito alla fattispecie da applicare, poi, sottolineava la Cassazione come non sembrerebbe potersi applicare la normativa sopravvenuta alla compravendita oggetto di causa in ragione della circostanza della pendenza del relativo rapporto, dato che la controversia giudiziale stessa non riguardava direttamente la vendita, ma anzi era stata instaurata per decidere in merito alla responsabilità del mandatario rispetto alla stessa compravendita stipulata con il mandante.

Alla luce di tali valutazioni, quindi, il Collegio decidente riteneva sussistenti le condizioni per la rimessione agli atti al Primo presidente per la valutazione in merito all'opportunità di assegnazione della trattazione della questione alle Sezioni Unite della Cassazione.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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