La rilevanza della caducazione del titolo esecutivo nel giudizio di opposizione all’esecuzione: il dictum delle SS.UU.

Redazione scientifica
24 Settembre 2021

Con la sentenza in esame le Sezioni Unite si sono pronunciate in ordine a due questioni processuali poste dalla terza sezione con ordinanza interlocutoria n. 6422/2020, attinenti agli effetti che il venir meno di un titolo esecutivo giudiziale ha sulle vicende processuali collegate all'instaurazione della procedura esecutiva.

Con la sentenza in esame le Sezioni Unite si sono pronunciate in ordine a due questioni processuali poste dalla terza sezione con ordinanza interlocutoria n. 6422/2020, attinenti agli effetti che il venir meno di un titolo esecutivo giudiziale provvisorio (nella specie, ordinanza di convalida di sfratto successivamente annullata in appello) ha sulle vicende processuali collegate all'instaurazione della procedura esecutiva.

La prima questione, sottoposta all'esame della Corte a seguito di ravvisato contrasto giurisprudenziale, ha ad oggetto «la rilevanza della caducazione del titolo esecutivo giudiziale in corso del giudizio di opposizione all'esecuzione, ai fini della decisione da adottare e delle conseguenti ricadute in ordine alla liquidazione delle spese di lite». In merito, le SS.UU. hanno enunciato il seguente principio di diritto: «in caso di esecuzione forzata intrapresa sulla base di un titolo giudiziale non definitivo, la sopravvenuta caducazione del titolo per effetto di una pronuncia del giudice della cognizione (nella specie: ordinanza di convalida di sfratto successivamente annullata in grado di appello) determina che il giudizio di opposizione all'esecuzione si debba concludere non con l'accoglimento dell'opposizione, bensì con una pronuncia di cessazione della materia del contendere; per cui il giudice di tale opposizione è tenuto a regolare le spese seguendo il criterio della soccombenza virtuale, da valutare in relazione ai soli motivi originari di opposizione».

La seconda questione sulla quale è stato sollecitato l'intervento chiarificatore della Corte, ritenuta di massima particolare importanza, concerne «l'individuazione del giudice competente a decidere sulla domanda di risarcimento dei danni provocati da un'esecuzione intrapresa «in difetto della normale prudenza» e, quindi, quale sia la sede naturale per proporre tale domanda». In ordine a tale seconda questione, i giudici di legittimità hanno statuito che «l'istanza con la quale si chieda il risarcimento dei danni, ai sensi dell'art. 96, comma 2, c.p.c., per aver intrapreso o compiuto l'esecuzione forzata senza la normale prudenza, in forza di un titolo esecutivo di formazione giudiziale non definitivo, successivamente caducato, deve essere proposta, di regola, in sede di cognizione, ossia nel giudizio in cui si è formato o deve divenire definitivo il titolo esecutivo, ove quel giudizio sia ancora pendente e non vi siano preclusioni di natura processuale. Ricorrendo, invece, quest'ultima ipotesi, la domanda andrà posta al giudice dell'esecuzione; e, solamente quando sussista un'ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto alla proposizione della domanda anche in sede di opposizione all'esecuzione, potrà esserne consentita la proposizione in un giudizio autonomo».

La sentenza sarà oggetto prossimamente di un commento autorale sul processocivile.it

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