Configurabilità della nullità del lodo arbitrale per violazione del principio del contradditorio

Mattia Caputo
28 Settembre 2021

L'ordinanza che qui si annota ha affrontato una problematica inedita nella giurisprudenza di legittimità, concernente il vizio di nullità che si determina in caso di violazione del principio del contraddittorio e, in particolare, se questo possa ritenersi integrato allorquando non sia stata effettuata la comunicazione degli atti del processo alla parte non costituita, cioè contumace.
Massima

Le parti possono definire preventivamente le forme del procedimento arbitrale e, nel fissare le regole processuali, possono altresì regolare il rilievo di queste nell'ambito del processo arbitrale, rafforzandone l'effettività attraverso la sanzione della nullità dell'atto compiuto in difformità, che è idonea a costituire motivo di impugnazione del lodo. La nullità del lodo per violazione di norme processuali, ai sensi dell'art. 829, n. 7, c.p.c., è dunque configurabile soltanto alla duplice condizione che non siano state rispettate le forme di cui sia stata prevista l'osservanza, e che le stesse forme siano prescritte a pena di nullità.

Ebbene, deve credersi che ove, nel giudizio arbitrale, la parte ometta di rassegnare le proprie difese, assumendo, quindi, il ruolo di parte non attiva (ruolo che è in buona sostanza sovrapponibile a quello che assume nel processo ordinario di cognizione il contumace), il rispetto del principio del contraddittorio non implichi l'adozione di cautele più estese rispetto a quelle descritte dal cit. art. 292 c.p.c. Non pare difatti ragionevole supporre che nel giudizio arbitrale il principio del contraddittorio postuli, nei confronti della parte che abbia deciso di non partecipare attivamente al giudizio, la comunicazione di atti processuali diversi e ulteriori rispetto a quelli contemplati per chi resti contumace nel processo ordinario di cognizione: quasi che la pronuncia del lodo esiga maggiori garanzie, sul fronte del contraddittorio, di quelle che presidiano la spendita dell'attività giurisdizionale del giudice.

Il caso

La società Alfa proponeva impugnazione del lodo arbitrale reso anche nei suoi confronti innanzi alla Corte d'Appello di Milano, la quale la rigettava.

Avverso la sentenza resa dalla Corte d'Appello meneghina la società Alfa proponeva ricorso per cassazione, articolato su due motivi: con il primo lamentava la nullità del lodo ai sensi dell'art. 829, comma 1, n. 4), c.p.c. e la violazione e falsa applicazione della stessa, per non avere essa mai ricevuto, nel corso del procedimento arbitrale, le memorie depositare dalle controparti, nonostante ciò fosse stato espressamente previsto nel verbale di costituzione del collegio arbitrale. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduceva che i giudici dell'appello sarebbero incorsi in violazione del principio del contraddittorio ai sensi dell'art. 829, n. 9), c.p.c. nonché violazione e falsa applicazione della stessa, perché la mancata comunicazione degli atti del processo alla parte non costituita in arbitrato determinerebbe un'ipotesi di nullità del lodo.

La questione

L'ordinanza qui in commento si occupa di due distinte problematiche, sia pure tra loro connesse, relative all'impugnazione del lodo arbitrale per le cause di nullità previste, rispettivamente, ai numeri 7) e 9) dell'art. 829 del codice di rito.

La prima riguarda la questione, già affrontata in precedenza dalla giurisprudenza di legittimità, afferente alle conseguenze derivanti sul lodo arbitrale in caso di inosservanza delle forme del procedimento, appunto arbitrale, predeterminate dalle parti.

La seconda, che presenta invece carattere innovativo, concerne il vizio di nullità che si determina in caso di violazione del principio del contraddittorio e, in particolare, se questo possa ritenersi integrato allorquando non sia stata effettuata la comunicazione degli atti del processo alla parte non costituita, cioè contumace.

Le soluzioni giuridiche

In ordine alla prima questione oggetto del ricorso per cassazione, ovvero quella della configurabilità della nullità del lodo arbitrale in caso di violazione delle forme del procedimento stabilite a monte dalle parti, ai sensi dell'art. 829, comma 1 ,n. 7), c.p.c., segnatamente per non avere la società Alfa ricevuto, nel corso del procedimento arbitrale, le memorie depositate dalle controparti, nonostante la previsione in tal senso nel verbale costitutivo dell'organo collegiale decidente, la Suprema Corte ha stabilito quanto segue.

Innanzitutto la Corte di cassazione ha ribadito che le parti, nell'ambito del procedimento arbitrale, sono libere di definire «a priori» ed «ex ante», le regole processuali che gli arbitri sono tenuti poi a rispettare, potendo quindi conformare il principio del contraddittorio in modo c.d. «dinamico», con il solo limite invalicabile del rispetto del principio del contraddittorio (cfr. Cass. civ., 26 maggio 2015, n. 10809). Sul punto la Prima Sezione, richiamando quanto sancito dal chiaro tenore letterale dell'art. 829, comma 1, n. 7), c.p.c. e dalla consolidata giurisprudenza di legittimità («ex multis» Cass civ., 13 agosto 1999, n. n 8637), ha ribadito che la nullità del lodo per violazione di norme processuali può avere luogo solo subordinatamente alla sussistenza della duplice condizione che non siano state rispettate le forme di cui sia stata prevista l'osservanza e che per l'inosservanza delle suddette forme le parti abbiano previsto quale conseguenza la nullità del lodo. In buona sostanza, dunque, nel procedimento arbitrale le parti hanno il potere non solo di conformare le modalità di svolgimento del processo, sia pure con l'argine insormontabile del rispetto del contraddittorio, ma anche di graduarne l'intensità, prevedendo «a monte» che la violazione di alcune di esse determini la nullità del lodo «a valle» mentre l'inosservanza di altre non comporta conseguenze pratiche, rimanendo così confinata sul piano della mera irregolarità.

La logica conseguenza dell'applicazione di questo principio consolidato al caso vagliato dalla Suprema Corte è che, poiché le parti hanno sì previsto il reciproco scambio e trasmissione delle memorie, ma non hanno anche stabilito che la violazione di tale regola comportasse la nullità del lodo, l'inosservanza della forma procedimentale prevista a monte non può incidere in alcun modo sulla validità del lodo arbitrale.

Relativamente alla seconda questione, invece, la Corte di cassazione è chiamata a pronunciarsi sul se la mancata trasmissione degli atti del procedimento arbitrale, nella fattispecie concreta le memorie, integri oppure no una violazione del principio del contraddittorio, tale da comportare a sua volta la nullità del lodo arbitrale ai sensi dell'art. 829, comma 1, n. 9),del codice di procedura civile.

Per rispondere a tale problematica i giudici della Suprema Corte partono dalla considerazione che il principio del contraddittorio, munito di fondamento costituzionale (art. 111 Cost.) e sovranazionale (art. 6 CEDU), deve essere inteso quale attuazione della regola espressa dal brocardo «audiatur et altera pars», e cioè che il convenuto sia messo in condizione di interloquire all'interno del processo in una condizione di parità con l'attore. Di talché, laddove sia rispettato questo presupposto, primario ed indefettibile, la regola del contraddittorio può poi modularsi con intensità diverse a seconda del ruolo che la parte assuma nel processo; in questa prospettiva, dunque, assume rilievo centrale per la tematica «de qua» il disposto dell'art. 292 c.p.c. Questa norma prevede un elenco tassativo di atti, come si evince dal disposto del terzo comma – a mente del quale «tutti gli altri atti non sono soggetti a notificazione o comunicazione» -, che devono essere notificate personalmente al contumace, affinché questi ne possa avere conoscenza legale: si tratta, sostanzialmente, degli atti che ampliano l'oggetto del processo (con la proposizione di domande nuove e/o riconvenzionali) o che comportano conseguenze rilevanti in capo al contumace rimasto inerte (quali il deferimento di interrogatorio formale e/o del giuramento; la produzione nei suoi confronti di una scrittura privata suscettibile di essere disconosciuta).

Ciò posto, la Prima Sezione della Cassazione Civile ritiene che laddove nel giudizio arbitrale la parte ometta di rassegnare le sue difese, assumendo così il ruolo di parte «non attiva», equiparabile al contumace del processo di cognizione, affinché sia rispettato il principio del contraddittorio non è necessario che siano rispettate più cautele di quelle previste dall'art. 292 c.p.c. Infatti, secondo il ragionamento della Suprema Corte, non appare ragionevole ritenere che il rispetto del principio del contraddittorio implichi, nei confronti della parte che abbia deciso di non partecipare attivamente al giudizio arbitrale, la comunicazione di atti processuali ulteriori e diversi rispetto a quelli di cui il codice di rito impone la comunicazione al contumace nel caso di procedimento giurisdizionale, come se la pronuncia del lodo imponga un livello di garanzie, sul piano del contraddittorio, maggiore rispetto a quelle che presidiano l'attività giurisdizionale statuale.

Da questa ricostruzione consegue il rigetto del ricorso, atteso che la società ricorrente non ha dedotto che le memorie di cui non ha ricevuto comunicazione contenessero domande nuove e/o riconvenzionali proposte nei suoi confronti, ragion per cui esse non andavano comunicate, a pena di violazione del principio del contraddittorio, ad essa.

Osservazioni

L'ordinanza che qui si annota si segnala per avere affrontato una problematica inedita nella giurisprudenza di legittimità, ovvero quella del se la mancata comunicazione degli atti del procedimento arbitrale alla parte che abbia deciso di non partecipare attivamente al giudizio, inquadrabile alla stregua del contumace nel processo a carattere giurisdizionale, possa comportare una violazione del principio generale del contraddittorio e, quindi, determinare la nullità del lodo arbitrale ai sensi dell'art. 829, comma 1, n. 9), c.p.c.

A tale quesito la Corte di cassazione fornisce una risposta che appare assolutamente convincente sia sul piano logico che giuridico, ovvero che se nel processo che si svolge innanzi all'autorità giudiziaria statale, con tutte le garanzie del caso rigidamente predeterminate dalla legge, il legislatore ha previsto che solo alcuni atti endoprocessuali, cioè quelli di cui al «numerus clausus» dell'art. 292 c.p.c. debbano essere indefettibilmente comunicati al contumace, non si comprende per quale ragione nell'ambito del procedimento arbitrale, che è il frutto della scelta delle parti di devolvere la cognizione e la decisione della controversia ad arbitri, cioè a privati, debba essere previsto un innalzamento del livello di garanzie partecipative della parte «non attiva» o «contumace» che dir si voglia, con conseguente ampliamento del novero degli atti endopocedimentali che a questa devono essere comunicati.

In ordine all'ordinanza in oggetto, appare opportuno a chi scrive sottolineare, ad ogni modo come, se è vero che la mancata comunicazione degli atti del procedimento arbitrale alla parte «contumace» non può costituire di per sé una causa di nullità del lodo arbitrale ai sensi dell'art. 829, comma 1, n. 9), c.p.c., è comunque possibile che le parti, nel loro potere di conformare il contraddittorio «a geometria variabile», stabiliscano che la mancata comunicazione degli atti del processo alla parte rimasta contumace costituisca causa di nullità, in tal modo integrandosi, in caso di inosservanza della regola convenzionale, la diversa causa di nullità del lodo di cui all'art. 829, comma 1, n. 7), c.p.c.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.