Tre dissidi societari per due titani televisivi

29 Settembre 2021

L'art. 2379 c.c. tutela il diritto di tutti i soci alla partecipazione in assemblea a prescindere dalla rilevanza del voto esprimibile, sicché è inammissibile il ricorso alla c.d. prova di resistenza per verificare la legittimazione e l'interesse del socio di minoranza a impugnare la deliberazione assembleare che lo ha escluso. In una società emittente strumenti finanziari regolati in borsa soltanto il consiglio di amministrazione è legittimato a sollevare eccezioni ai sensi dell'art. 83 septies TUF nei confronti del socio in favore del quale è avvenuta la registrazione. Le eccezioni personali di cui all'art. 83 septies TUF non sono tassative...
Massime

L'art. 2379 c.c. tutela il diritto di tutti i soci alla partecipazione in assemblea a prescindere dalla rilevanza del voto esprimibile, sicché è inammissibile il ricorso alla c.d. prova di resistenza per verificare la legittimazione e l'interesse del socio di minoranza a impugnare la deliberazione assembleare che lo ha escluso.

In una società emittente strumenti finanziari regolati in borsa soltanto il consiglio di amministrazione è legittimato a sollevare eccezioni ai sensi dell'art. 83 septies TUF nei confronti del socio in favore del quale è avvenuta la registrazione.

Le eccezioni personali di cui all'art. 83 septies TUF non sono tassative e ricomprendono, alla stregua dell'art. 1193 c.c., anche quelle fondate su rapporti che traggono origine dal contratto causale sottostante lo strumento finanziario e sui rapporti extrastatutari tra emittente e azionista.

La società è legittimata a sollevare nei confronti del socio rappresentato in assemblea da una fiduciaria tutte le eccezioni inerenti al rapporto con il fiduciante titolare sostanziale dell'azione.

(Trib. Milano - 22 aprile 2021)

Gli acquisti di titoli azionari compiuti in violazione dell'art. 43 TUSMAR devono ritenersi validi a seguito della sentenza della Corte di Giustizia europea del 3 settembre 2020 n. 719/18 che impone al giudice nazionale la disapplicazione di detta norma, ritenuta incompatibile con l'ordinamento UE, con effetto retroattivo.

Il tentativo di acquisizione, da parte di una holding di partecipazioni, del controllo di una società quotata sul mercato dei capitali non configura ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. essendo quest'ultima norma fondata sulla contesa della clientela nel mercato dei beni e servizi.

La condotta del socio che persegue la realizzazione di un proprio progetto industriale in contrasto con l'interesse della società non configura ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c.; trova invece applicazione, ove ricorrano i presupposti, la disciplina del conflitto di interessi tra la società e il socio.

(Trib. Milano - 19 aprile 2021, n. 3228)

La causa, quale elemento costitutivo del contratto, va esaminata in relazione all'assetto impresso dalle parti agli interessi coinvolti nel regolamento negoziale al momento della stipulazione; non rilevano, ai fini della sua esistenza, la diversa misura dell'alea rispetto a quella originariamente percepita da uno dei contraenti, né la divergenza del valore dell'oggetto della prestazione.

Quando in un contratto condizionato il mancato avveramento della condizione risulta imputabile alla violazione degli obblighi prodromici derivanti dal dovere di comportarsi secondo buona fede si configura una ipotesi di risoluzione per inadempimento.

In caso di mancata realizzazione di una operazione di scambio azionario programmata fra due società, i costi per l'acquisto di strumenti finanziari derivati in vista della protezione dell'oscillazione del valore di borsa delle azioni non rappresentano voce di danno risarcibile se non è fornita la prova della conseguente perdita patrimoniale.

(Trib. Milano - 19 aprile 2021, n. 3227)

I casi

La convivenza fra soci, come risaputo, non è mai facile. Specie se questi, come nelle tre vicende in esame, sono società operanti nel settore radiotelevisivo aventi forza economica tale da non lesinare l'impiego di ingenti capitali per promuovere liti giudiziarie dai costi processuali milionari.

Per il loro pregevole impianto motivazionale non dovrebbero passare inosservate le tre sentenze del Tribunale di Milano che hanno definito le vicende in esame di seguito sintetizzate.

Il primo caso in rassegna, risolto con la decisione del 22 aprile 2021, concerne l'impugnativa della deliberazione della società M del 7 giugno 2018 avanzata dal socio di minoranza — identificato nella fiduciaria della società V — che si è visto negare l'accesso alla riunione assemblare. Nella specie, il consiglio di amministrazione di M si è riunito prima dell'inizio dell'assemblea dei soci per assumere una decisione con la quale ha opposto alla fiduciaria eccezioni personali relative ai rapporti tra M e la fiduciante V ritenuta inadempiente all'impegno di non interferire con gli assetti proprietari e la governance di M. In chiave difensiva è stato sostenuto da M che il voto della ridetta fiduciaria, qualora espresso in assemblea, sarebbe stato comunque irrilevante ai fini del risultato; ciò anche nell'ipotesi in cui la fiduciaria avesse convinto tutti i soci intervenuti, diversi dal socio titolare della maggioranza assoluta, a manifestare voto contrario alla deliberazione. Il Tribunale viene quindi chiamato ad esprimersi sulla legittimazione e sull'interesse agire del socio di minoranza, nonché sull'utilità del ricorso alla c.d. prova di resistenza. L'indagine si sposta poi sull'individuazione dell'organo legittimato — in una società emittente strumenti finanziari regolati in borsa — a sollevare eccezioni verso il socio registrato. Infine, viene analizzata dai giudici la natura delle eccezioni disciplinate dall'art. 83 septies TUF.

Nel secondo caso in esame il Tribunale di Milano è invece chiamato ad esprimersi sulla richiesta risarcitoria avanzata da M nei confronti della società V per aver questa compiuto atti di concorrenza sleale. In particolare, parte attrice imputa alla convenuta di aver promosso una scalata ostile volta ad ottenere il controllo di M attraverso il progressivo acquisto sul mercato di azioni quotate a prezzo di sconto. Ciò sarebbe avvenuto in violazione di espresso accordo intercorso fra le ridette società avente ad oggetto uno scambio azionario, sospensivamente condizionato. Secondo parte attrice sarebbero state violate le regole pubblicistiche a presidio dell'integrità e trasparenza del mercato azionario contenute nel TUF, nonché quelle di efficienza del mercato delle telecomunicazioni dettate dall'art. 43 TUSMAR. La convenuta sostiene, a sua difesa, di aver rifiutato l'esecuzione dell'accordo a causa della dolosa reticenza della controparte svelata dalla due diligence su dati ritenuti fondamentali per la valutazione dell'azienda. Precisa, inoltre, di non aver in alcun modo impedito l'attuazione di alleanze strategiche da parte di M con altri operatori del settore o insidiato il controllo che è rimasto nelle mani del socio di maggioranza. Riferisce, infine, di aver impugnato innanzi al TAR la deliberazione AGCOM avente ad oggetto l'accertata violazione dell'art. 43 TUSMAR per l'acquisto delle azioni di M.

Con la terza sentenza in esame il Tribunale affronta, con ampia motivazione, le domande di M e di altro ente afferenti all'inadempimento di V al contratto di scambio di partecipazioni azionarie che avrebbe dovuto dar vita ad un sodalizio strategico a livello internazionale nel settore dei contenuti audiovisivi. Parte attrice lamenta, nello specifico, la mancata osservanza delle prodromiche obbligazioni in pendenza di condizione. Ad avviso della convenuta, l'accordo avrebbe dovuto ritenersi inefficace a seguito del mancato avveramento della condizione sospensiva o comunque annullabile per dolo in considerazione del fatto che le società attrici avrebbero occultato dati rilevanti per la valutazione della convenienza dell'operazione. Con autonomo giudizio, poi oggetto di riunione, F nella sua qualità di socio di maggioranza di M formulava domanda risarcitoria nei confronti di V in conseguenza della mancata attuazione del programma negoziale. La decisione si sofferma sul contenuto delle pattuizioni intercorse fra i contraenti e, per quanto di interesse, sul comportamento loro assunto in pendenza di condizione e sui contratti finanziari derivati analizzati quali possibile voce di danno.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

Relativamente all'impugnativa della deliberazione assembleare oggetto della prima decisione in esame, il Tribunale di Milano non condivide l'impostazione assunta dalla società attrice M e ritiene, per un verso, sussistenti la legittimazione e l'interesse ad agire della fiduciaria quale socio di minoranza; per altro, inammissibile la prova di resistenza con riferimento all'esclusione del socio. Viene osservato, al riguardo, che una interpretazione di segno contrario a quella adottata legittimerebbe la sistematica esclusione, senza sanzione, della minoranza da ogni assemblea sul presupposto che il voto da questa espresso non supererebbe per definizione la prova di resistenza. In argomento viene richiamato in sentenza il precedente analogo del Tribunale di Roman. 19326 del 17 ottobre 2016. In materia, sul voto espresso da soggetti non legittimati, cfr. Trib. Udine, 8 ottobre 2001, in Società, 2002, 364, secondo cui: “è valida la delibera dell'assemblea di una s.r.l., anche nel caso in cui partecipino al voto soggetti non legittimati quando, attraverso la prova di resistenza, il voto di questi ultimi non è risultato determinante per l'adozione della delibera”. Per la giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. 12 luglio 2007, n. 15613; Cass. 17 febbraio 1987, n. 1687.Vengono poi sottoposte al vaglio giudiziario le eccezioni mosse dal consiglio di amministrazione nei confronti del socio in favore del quale è avvenuta la registrazione al fine di paralizzare l'esercizio dei suoi diritti inerenti agli strumenti finanziari dematerializzati. Anzitutto, il Tribunale di Milano reputa che l'organo legittimato ad esprimere la posizione dell'ente verso il socio sia soltanto il consiglio di amministrazione; ciò in quanto trattasi di atto di organizzazione. Viene allora ritenuto corretto il comportamento assunto, nella specie, dal presidente dell'assemblea di M che ha dato lettura, in apertura dei lavori, della decisione assunta dall'organo gestorio facendola propria. Sul punto in senso analogo, v. Trib. Milano, 26 novembre 2018, in Società, 2019, 1114, secondo cui: “il potere di esclusione del socio di società quotata a partecipare all'assemblea in regime di titoli dematerializzati spetta al consiglio di amministrazione e la sua esecuzione da parte del presidente è una mera attuazione della decisione del consiglio di amministrazione. Ciò appurato, il Tribunale osserva che le eccezioni opponibili di cui dall'art. 83 septies TUF non sono tassative ricomprendendo anche quelle che trovano fondamento sia nel contratto causale sottostante lo strumento finanziario, sia in rapporti non statutari fra emittente e azionista. Pur imponendosi agli emittenti estrema cautela nell'esercizio della facoltà riconosciuta dalla norma richiamata, il collegio giudicante chiarisce che una interpretazione restrittiva della disposizione farebbe venir meno la sua rilevanza. La nozione di eccezione personale di cui all'art. 83 septies TUF è cioè la medesima di quella di diritto comune di cui all'art. 1993 c.c. considerata, a detta del Tribunale, l'identità di funzione delle due discipline nel favorire una circolazione celere e sicura dei titoli. Su tema non si registrano precedenti giurisprudenziali. Con riferimento, infine, allo schermo fiduciario, i giudici precisano che alla società fiduciaria possono essere sollevate, al fine di paralizzare l'esercizio dei diritti amministrativi, tutte quelle questioni inerenti i rapporti con il fiduciante che si sarebbero potuti sollevare al titolare effettivo dell'azione se non vi fosse stato il mandato fiduciario. Relativamente alla fiduciaria quale detentrice di partecipazioni di proprietà di terzi ai quali unicamente sono imputabili gli effetti giuridici discendenti dall'esercizio dei diritti sociali, cfr. Trib. Roma, 30 luglio 2014, in Ilcaso.it. In conclusione, nella specie la deliberazione viene ritenuta viziata per l'illegittima esclusione del socio di minoranza.

Passando al secondo caso sopra riassunto, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 3228/21, ha respinto tutte le domande risarcitorie mosse da M e da altro ente contro la società V. Vengono esaminati gli accordi sottoposti alla condizione sospensiva del rilascio dell'autorizzazione antitrust necessaria per l'attuazione dello scambio azionario fra i contraenti. Nella specie, il mancato avveramento della condizione del rilascio della ridetta autorizzazione non avrebbe potuto essere surrogata dalla finzione di avveramento di cui all'art. 1359 c.c. Sono state richiamate le seguenti decisioni di legittimità: Cass. 22 marzo 2001, n. 4110 ove statuito che: “la disciplina dell'art. 1359 c.c., secondo la quale la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento, non è applicabile all'ipotesi di contratto sospensivamente condizionato al rinnovo di una concessione amministrativa, non potendosi sostituire con una semplice finzione legale l'effettiva emanazione dell'atto amministrativo richiesto come requisito di efficacia del negozio”; Cass. 2 giugno 1992 n. 6676; Cass. 5 agosto 1982 n. 675. Pertanto, a detta del Tribunale nessun diritto potestativo di risoluzione del contratto o pretesa di risarcimento del danno per inadempimento potrebbe effettivamente configurarsi. Non hanno trovato miglior sorte le domande di parte attrice di nullità degli acquisti di azioni di M operati da V in asserita violazione dell'art. 43 TUSMAR. Viene richiamata dal Tribunale di Milano la sentenza della Corte di Giustizia del 3 settembre 2020 n. 719/18 (secondo cui: “l'art. 49 del trattato Fue deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa di uno Stato membro che ha l'effetto di impedire ad una società registrata in un altro Stato membro, i cui ricavi realizzati nel settore delle comunicazioni elettroniche, come definito ai fini di tale normativa, siano superiori al 40 per cento dei ricavi complessivi di tale settore, di conseguire nel sistema integrato delle comunicazioni ricavi superiori al 10 per cento di quelli del sistema medesimo) che, nel fornire le linee interpretative del principio di libertà di stabilimento e nel descrivere i limiti del potere di deroga delle legislazioni nazionali a tutela di interessi di pari rango, ha indicato come incompatibili con l'ordinamento UE i criteri derogatori desumibili dall'art. 43 TUSMAR così da non lasciare spazio ad un diverso approccio esegetico da parte del giudice nazionale. La sentenza della Corte di Giustizia dichiarativa del contrasto di una norma nazionale con l'ordinamento dell'Unione Europea ha efficacia vincolante per l'autorità giudiziaria dello Stato membro e ha il pregio di chiarire come avrebbe dovuto essere applicata la norma sin dalla sua entrata in vigore. In argomento vengono richiamati i precedenti Cass. 8 febbraio 2016 n. 2468 e Cass. S.U. 16 giugno 2014 n. 13676. In dottrina, cfr. G. Guizzi, Gli incerti confini del «collegamento societario»: l'Agcom e il caso Vivendi/Mediaset, in Corriere giur., 2017, 1033. In chiusura, il Tribunale esamina il tema dell'asserita concorrenza sleale della società V nei confronti di M e di altro ente. Ad avviso del collegio giudicante la disposizione di cui all'art. 2598, comma 1 n. 3 c.c. non può essere invocata con riferimento alle relazioni di concorrenza, in senso lato, riferite alla competizione fra gruppi imprenditoriali per la realizzazione di un medesimo progetto industriale o per l'acquisizione sul mercato di uno stesso bene. In breve, la disciplina della concorrenza slealeche si fonda sulla contesa della clientela nel mercato dei beni e servizi - non è applicabile ad una contesa del pacchetto di controllo di una società quotata sul mercato dei capitali. La disposizione appena richiamata, a detta del Tribunale, non ha cioè la finalità di sanzionare, con l'eliminazione dalla compagine sociale, l'imprenditore concorrente che vi abbia fatto ingresso, né di reprimere la condotta del socio concorrente che persegua la realizzazione di un proprio progetto industriale in contrasto con l'interesse della società, in tal caso trovando applicazione, ove ne ricorrano i presupposti, la disciplina del conflitto di interessi tra la società e il socio. Sul tema, cfr. Trib. Milano, 28 febbraio 2014, in Nuova giur. civ., 2014, 11, 96, che ha così statuito: “in materia di concorrenza sleale, come in materia antitrust, sussiste legittimazione passiva in capo alla società consorella che, pur non detenendo quote nel capitale sociale della società che ha commesso l'illecito, eserciti un'influenza determinante su di essa, ossia quando le società costituiscono un'unica realtà economica”.

Venendo infine alle soluzioni offerte dalla (terza) decisione n. 3227/2021, il Tribunale di Milano reputa infondata la domanda di nullità (per difetto di causa) dell'accordo risalente all'8 aprile 2016. La mancanza di causa è difatti vizio attinente alla fase genetica del contratto che, a detta del collegio, deve emergere dal contenuto dell'accordo attraverso l'esame del regolamento degli interessi che vi è cristallizzato, rimanendo insensibile alla sopravvenuta inattuazione del programma negoziale che attiene, invece, alla fase successiva dell'esecuzione del contratto, al pari dell'erronea valutazione della convenienza economica dell'affare in relazione al difetto di qualità supposte dell'oggetto della prestazione che attiene alla possibile esistenza di vizi del consenso o di vizi redibitori. Aggiunge il Tribunale che non incide sull'esistenza della causa del contratto neppure la diversa misura dell'alea rispetto a quella originariamente percepita da uno dei contraenti o la divergenza del valore dell'oggetto della prestazione in mancanza di qualità promesse o supposte dell'oggetto del contratto: elementi questi che possono rilevare sul diverso piano della genuinità del consenso ovvero dell'esatta esecuzione dell'impegno negoziale. In dottrina, cfr., autorevolmente, F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1954, 184 ove efficacemente osservato che: “la causa manca affatto nel negozio concreto quando questo, per la situazione su cui dovrebbe operare, non può esplicare la sua funzione, come nell'alienazione di un diritto già appartenente all'acquirente, nel vitalizio su una persona defunta, nell'assicurazione senza rischio”; V. Roppo, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non reticente, né compiacente) con la giurisprudenza di legittimità e di merito, in Riv. dir. civ., 2013, 988. Viene inoltre respinta anche la domanda di annullamento del contratto per dolo che presuppone l'adozione, da parte di uno dei contraenti, di raggiri tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe concluso il contratto. Nella specie viene osservato che la società convenuta non ha allegato che, ove avesse conosciuto i dati occultati dalle società attrici e scoperti solo all'esito della due diligence successiva, avrebbe desistito dalla stipulazione dell'accordo; anzi questa ha affermato in atti difensivi che in assenza delle omissioni dolose della controparte contrattuale avrebbe calibrato diversamente le clausole. L'accordo in questione, seppur inefficace perché soggetto a condizione sospensiva non avveratasi nel termine pattuito, può comunque rappresentare, a detta dei giudici, fonte di responsabilità in considerazione del comportamento assunto dai contraenti. Puntualizza il Tribunale di Milano che il contratto condizionato sospensivamente è inefficace con riferimento agli effetti tipici programmati nel regolamento negoziale adottato ma è pur sempre produttivo dell'effetto vincolante delle parti all'osservanza delle pattuizioni e degli effetti prodromici e preparatori dell'adempimento nel periodo di pendenza della condizione che potrebbero aver già determinato mutamenti della situazione giuridica che richiedano l'eliminazione del vincolo ai fini del ripristino di quella originaria. Trova quindi ingresso il rimedio risolutorio avverso il contratto sospensivamente condizionato nell'ipotesi in cui il mancato avveramento della condizione sia imputabile alla violazione, ad opera dell'altra parte, degli obblighi prodromici specificatamente derivanti dal dovere di comportarsi seconda buona fede in pendenza della condizione previsto dall'art. 1358 c.c. Viene menzionata nella decisione in esame la seguente corrente giurisprudenziale di legittimità: Cass. 19 giugno 2014 n. 14006; Cass. 12 febbraio 2014, n. 3207; Cass. 24 ottobre 2011, n. 21951; Cass. 3 giugno 2010, n. 13469; Cass. 18 marzo 2002, n. 3942; Cass. 22 marzo 2001, n. 4110. In argomento, recentemente, cfr. Cass. 4 giugno 2021, n. 15707, secondo cui: “l'obbligo di buona fede oggettiva si specifica nel significato di lealtà e si concreta nel non suscitare falsi affidamenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nella controparte; Cass. 28 dicembre 2020, n. 29641. Sull'operatività trasversale della regola della buona fede, cfr., in motivazione, Cass. S.U., 4 novembre 2019, n. 28314. Per la giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Firenze, 15 febbraio 2021, in www.leggiditalia.it, secondo cui “nella fase di pendenza della condizione, le parti sono titolari di un'aspettativa giuridicamente tutelata, a garanzia della quale sono preordinati gli artt. 1358 e 1359 c.c.: il primo impone ai contraenti, durante il periodo di pendenza della condizione, di comportarsi secondo buona fede, attuando un contegno che non danneggi l'altra parte e ne preservi le ragioni. Più in particolare, in relazione a tale obbligo, in pendenza della condizione sospensiva, il contratto a prestazioni corrispettive vincola i contraenti al preciso adempimento delle obbligazioni assunte, ivi incluse quelle strumentali al verificarsi della condizione”. Da qui l'accoglimento della domanda di condanna della convenuta al risarcimento del danno ritenuto corrispondente ai costi inutilmente sostenuti per le consulenze occorrenti per la negoziazione, redazione e sottoscrizione del contratto rimasto improduttivo di effetti. Non viene invece accolta la voce di danno corrispondente ai costi sostenuti da M per la sottoscrizione di strumenti finanziari mirati alla copertura del rischio di variazione del valore di borsa dei titoli di V. Costi questi affrontati da parte attrice in funzione dell'operazione programmata di scambio azionario. Il Tribunale avverte, anzitutto, che la valutazione dell'opportunità dell'acquisto di strumenti finanziari di protezione è frutto di una scelta imprenditoriale discrezionale del contraente, non imposta dal programma contrattuale. Inoltre, i costi sostenuti per la conclusione dei contratti a prestazioni corrispettive comportano la fruizione di benefici e ricavi che non necessariamente vengono meno a causa della risoluzione del vincolo negoziale che vi aveva dato occasione. In questa prospettiva, conclude il collegio giudicante, l'acquisto di strumenti finanziari in vista della protezione dall'oscillazione del valore di borsa di determinate azioni non diviene completamente inutile con il fallimento dell'operazione programmata di scambio azionario ma si traduce in un acquisto speculativo foriero di pregiudizio patrimoniale solo se l'oscillazione del valore del titolo sottostante, al ribasso o al rialzo, si sia verificata in direzione tale da determinare la chiusura del contratto di perdita. Perdita economica che, nella specie, non è stata però dimostrata dalla società M. Sulle caratteristiche del contratto derivato, cfr. di recente Cass. S.U. 15 maggio 2020, n. 8770. Sull'andamento dei tassi, cfr. E. Girino, I contratti derivati, Milano, 2010, 474, secondo cui: “l'andamento dei tassi è un dato che sfugge al controllo delle parti le quali possono formulare ragionevoli e ragionate previsioni al riguardo, grazie ad appositi strumenti di misurazione probabilistica, ma non possono garantirsi un matematico controllo del suddetto andamento”; C. Angelici, Alla ricerca del derivato, Milano, 2016, 118 che ha così osservato: “il derivato in quanto tale è strumento giuridico per perseguire un guadagno parametrato sul differenziale che può risultare dall'andamento di un mercato (esponendosi, nel contempo, al rischio di subire una perdita), in questo senso di per sé strumento di “speculazione”; mentre su un piano logicamente successivo si pone la questione delle sue ragioni, l'ipotesi in particolare che tale guadagno sia destinato a “coprire” eventuali perdite che quello stesso andamento del mercato può determinare sul patrimonio individuale del soggetto. Si potrebbe dire, per esprimerci in modo impressionistico, che anche in questo caso l'operazione è di tipo “speculativo”, pur spiegandosi la “speculazione” per fini concreti di “copertura; U. Morera–R. Bencini, I contratti derivati. Dall'accordo alla lite, Bologna, 2013, passim.

Conclusioni

La sentenza, per definizione, ha la funzione di definire il processo distribuendo fra i litiganti il torto e la ragione (cfr., autorevolmente, Gorla, Lo stile delle sentenze. Ricerca storico-comparativa e Testi commentati, Roma, 1968). Le tre sentenze del Tribunale di Milano in commento, oltre ad essere contraddistinte da passaggi motivazionali d'indubbio interesse per gli studiosi del diritto commerciale, hanno avuto una funzione ulteriore: quella di stimolare le parti al raggiungimento di un accordo conciliativo (cfr. P. Calamadrei; cfr. Elogio dei giudici scritto da un avvocato, Firenze, 1959, 141, il quale ricorda che l'opera più preziosa degli avvocati civilisti è quella di “stroncare con saggi consigli di transazione i litigi”). Come si apprende da recenti articoli della stampa specializzata (cfr. A. Biondi, Mediaset, cade il blocco francese - Ora l'Olanda, poi la Germania” ne Il Sole 24 Ore del 23 luglio 2021, 23), dall'esito di questo lungo contenzioso è scaturita una trattativa serrata condotta dai consulenti delle parti che si è conclusa con il perfezionamento di un accordo conciliativo. Superati i tanti dissidi societari, non resta dunque che auspicare nella tenuta del patto di non belligeranza suggellato fra i due titani televisivi.

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