La rimessione in termini a seguito dei nuovi principi in tema di assegno divorzile

Caterina Costabile
29 Settembre 2021

Il presente contributo costituisce un utilissimo ed approfondito vademecum sulle questioni che si pongono, dopo la «svolta» delle Sezioni Unite sulla funzione dell'assegno divorzile, in tema di riparto dei relativi oneri probatori tra le parti.
I criteri per la concessione dell'assegno divorzile secondo le Sezioni Unite n. 18287/2018

Le Sezioni Unite, con la storica sentenza n. 18287/2018, valorizzando il tenore letterale dell'art. 5 l. 898/1970, hanno avvertito la necessità di superare la funzione meramente assistenziale dell'assegno divorzile, privilegiata dalla giurisprudenza a far data dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 11490/1990, a favore di una funzione composita, sia assistenziale che compensativa-perequativa e risarcitoria.

Le S.U. hanno ritenuto che i contenuti identitari dell'istituto, per come si sono venuti a modellare nel corso di oltre un trentennio, andassero rivisitati in funzione della necessità, resa urgente dall'avanzarsi su questo terreno di una più matura coscienza collettiva, che anche nella ponderazione degli aspetti della solidarietà post-matrimoniale di più diretta rilevanza patrimoniale si dovessero rendere apprezzabili, nel segno dell'autoresponsabilità, i riflessi di una mutata valorizzazione delle scelte personali dei coniugi da valutarsi nel contesto costituzionale all'interno del quale tali scelte e la loro protezione giuridica trovano riconoscimento e tutela.

L'orientamento che si è venuto così a delineare, cogliendo la fecondità culturale di un approccio che enunciando il parametro «dell'indipendenza o autosufficienza economica» ha sovvertito un più che consolidato panorama di diritto vivente, orientato a commisurare l'entità dell'assegno divorzile al «tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio», si è indotto primariamente ad abbandonare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell'assegno di divorzio, alla luce di un'interpretazione della l. 898/1970, art. 5, comma 6, nel testo risultante dalla novellazione operatane dalla l. 74/1987, art. 10 volta a rivendicare in modo più esplicito di quanto già non fosse accaduto in passato la propria sua radice negli artt. 2,3 e 29 Cost.

In questa cornice si è formata l'opinione, suggerita dalla constatazione che il parametro dell'adeguatezza enunciato dalla l. 898/1970, art. 5, comma 6, ha carattere intrinsecamente relativo e che esso imponga perciò una valutazione comparativa condotta in armonia con i criteri indicatori che figurano nell'incipit della norma, che «la funzione assistenziale dell'assegno di divorzio si compone di un contenuto perequativo-compensativo che discende direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di solidarietà e che conduce al riconoscimento di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l'autosufficienza, secondo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell'età del richiedente».

Il riconoscimento dell'assegno di divorzio «cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi». Il parametro sulla base del quale deve essere fondato l'accertamento del diritto alla percezione dell'assegno ha, dunque, «natura composita, dovendo l'inadeguatezza dei mezzi o l'incapacità di procurarli per ragioni oggettive essere desunta dalla valutazione, del tutto equiordinata degli indicatori contenuti nella prima parte dell'art. 5, comma 6, quanto rivelatori della declinazione del principio di solidarietà».

Le S.U. hanno, inoltre, evidenziato che la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.

Le conseguenze sui procedimenti in corso

Le Sezioni Unite con la sentenza n. 18287/2018 hanno, dunque, profondamente innovato i princìpi in materia di assegno divorzile, superando il parametro del mantenimento del tenore di vita goduto durante il matrimonio, evidenziando la natura composita (assistenziale e perequativa-compensativa) dell'assegno e dando rilievo alla storia coniugale e alla prognosi sulle condizioni economiche dell'avente diritto.

All'indomani dell'innovativo arresto delle Sezioni Unite si è immediatamente posto il problema, per i difensori e per i giudici di merito, di applicare i nuovi princìpi ai giudizi in corso, che spesso erano stati istruiti facendo riferimento al tenore di vita della coppia matrimoniale ed alla disparità delle condizioni economiche delle parti a discapito di altre tematiche, ora divenute cruciali. In particolare, ora chi richiede l'assegno divorzile deve dimostrare di aver sacrificato le proprie prospettive professionali e reddituali per l'impegno profuso a favore della famiglia e deve altresì dimostrare il nesso causale tra tale sacrificio e la propria condizione economica, deteriore rispetto a quella dell'ex-coniuge.

I giudici di legittimità, intervenuti sul tema, hanno ritenuto che gli innovativi princìpi espressi dalle Sezioni Unite in tema di assegno divorzile richiedono l'accertamento di fatti diversi da quelli rilevanti secondo la precedente giurisprudenza di legittimità: pertanto, nei giudizi di divorzio pendenti al momento della pubblicazione della predetta sentenza, le parti devono essere rimesse nei poteri di allegare e provare le circostanze utili per l'applicazione del dictum delle S.U. (cfr. Cass. civ., sez. I, 23 aprile 2019, n. 11178).

La S.C. ha all'uopo sottolineato che se è vero che la legge sulle condizioni per la concessione dell'assegno di divorzio è rimasta immutata, è parimenti innegabile che ne è stata profondamente innovata l'interpretazione per effetto del diritto vivente creato dalla nuova giurisprudenza delle Sezioni Unite, sicché, per non discostarsi da esso dovranno utilizzarsi i criteri indicati dalla l. 898/1970, art. 5, interpretando la norma secondo le indicazioni del diritto vivente che in quella sentenza hanno trovato la propria fonte per dare all'assegno la nuova funzione compensativa e perequativa che gli compete.

La S.C. ha, in particolare, affermato che la cassazione della pronuncia di divorzio impugnata con rinvio per un vizio di violazione o falsa applicazione di legge che reimposti in virtù di un nuovo orientamento interpretativo i termini giuridici della controversia così da richiedere l'accertamento di fatti, intesi in senso storico e normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice del merito, impone, perché si possa dispiegare effettivamente il diritto di difesa, che le parti siano rimesse nei poteri di allegazione e prova conseguenti alle esigenze istruttorie conseguenti al nuovo principio di diritto da applicare in sede di giudizio di rinvio (cfr. Cass. civ., sez. I, 11/12/2019, n.32398; Cass. civ., sez. I, 23/04/2019, n. 11178).

La rimessione in termini non ha, comunque, una valenza generale all'interno del successivo giudizio di rinvio, ma riguarda solo determinate attività dipendenti dalla nuova regola. Infatti, proprio in ossequio alla funzionalità della rimessione alla introduzione di fatti e prove strettamente connessi al mutamento giurisprudenziale, il giudizio di rinvio si caratterizza per essere a struttura «chiusa», e cioè aperto alla introduzione di nuove domande, eccezioni, allegazioni e prove, e conclusioni solamente se esse si rendono necessarie in base alle statuizioni della pronuncia della Cassazione. Il tutto si pone in linea con le previsioni dell'art. 394 c.p.c., che descrive il procedimento di rinvio come «giudizio ad istruzione sostanzialmente chiusa», nel senso che non sono ammessi elementi ulteriori rispetto a quelli già dedotti nei precedenti gradi di giudizio, salvo - appunto - le novità indispensabili per il corretto svolgimento del processo, in conformità al dettato del giudice di legittimità (cfr. Cass. civ., sez. VI, 18 aprile 2017, n.9768; Cass. civ., sez. II, 26 giugno 2013, n.16180 che ha altresì specificato che in siffatte ipotesi, sono ammissibili anche le nuove prove che servano a supportare tale nuovo accertamento, non operando rispetto ad esse la preclusione di cui all'art. 345, comma 3, c.p.c.).

Va, tuttavia, rimarcata la peculiarità delle richiamate pronunce di legittimità atteso che la rimessione in termini a seguito di overruling, viene concessa ancorché il mutamento intervenga in relazione ad una norma di diritto sostanziale, quale è l'art. 5, l. n. 898/1970, ponendosi in contrasto con precedenti pronunce delle Sezioni Unite (cfr. Cass. civ., sez. un., 12 febbraio 2019, n.4135; Cass. civ., sez. un., 11 luglio 2011, n. 15144) che hanno ammesso la rimessione in termini, a determinate condizioni, esclusivamente se il mutamento interviene con riguardo alla interpretazione e applicazione di una norma di carattere processuale.

Il principio sul quale poggiano le decisioni della Prima Sezione, è quello per cui deve essere concessa la rimessione in termini per causa non imputabile alla parte (in questo caso, per intervenuto overruling) ogni volta in cui l'evento incolpevole comporti un mutamento della norma giuridica tale che, per la corretta (nuova) applicazione, sia necessaria la valutazione, e quindi l'allegazione, di ulteriori fatti e relative prove, a prescindere che si incida su una norma sostanziale o processuale. Pertanto, atteso che il nuovo orientamento circa l'interpretazione della l. 898/1970, art. 5 impone oggi la valutazione di ulteriori elementi fattuali rispetto al passato, la S.C. ha ritenuto di cassare con rinvio il provvedimento impugnato, vincolando il Giudice del rinvio ad attenersi al mutato indirizzo, e rimettendo le parti nei termini per nuove allegazioni (con conseguenti nuove domande, eccezioni e conclusioni) e nuove prove.

Anche una parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto che in principi innovativi dettati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18287/2018 consentono alle parti del giudizio divorzile di primo grado, qualora sia decorso il termine per le richieste istruttorie, di chiedere la rimessione nei termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., per l'allegazione e la prova dei fatti divenuti rilevanti a seguito del richiamato overruling giurisprudenziale, in applicazione analogica dell'art. 153, comma 2, c.p.c. (cfr. Trib. Treviso, 27 maggio 2019).

Quanto al giudizio di appello, dovrebbe operare il disposto dell'art. 345, comma 3, c.p.c. atteso che il mutamento della giurisprudenza di legittimità costituisce causa non imputabile alle parti tale da permettere l'introduzione di nuovi mezzi di prova e di nuovi documenti nel giudizio di secondo grado.

Il prospective overruling

La rimessione in termini (cioè la concessione di nuovi termini) rappresenta ancora oggi l'unico strumento idoneo a superare l'ostacolo del decorso del termine perentorio e con esso si mira essenzialmente ad evitare che le intervenute decadenze possano danneggiare chi vi sia incorso senza colpa. A seguito della rimessione il processo non regredisce nella sua totalità alla situazione precedente, ma riapre la precedente fase con riferimento ai quei soli poteri per i quali la parte abbia ottenuto la rimessione in termini. Come noto, in base al disposto del secondo comma dell'articolo 153 c.p.c., affinché possa operare la rimessione in termini occorre che sussistano tre requisiti tra loro cumulativi.

Il primo requisito è che vi sia una domanda di parte, da proporsi a norma dell'art. 294, commi 2 e 3, c.p.c. (senza ritardo, cioè non appena questa abbia la consapevolezza di aver violato il termine stabilito dal Giudice o dalla legge – Cass. civ., sez. II, 26/03/2012, n. 4841), non potendo il Giudice mai provvedervi d'ufficio.

Il secondo presupposto è che la parte sia incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile (Cass. civ., sez. un., 04/12/2020, n.27773).

È noto che in ordine al cd. «overruling» solo dichiarativo (o «prospective overruling») – in altri termini cd. «mutamento di giurisprudenza» - le Sezioni Unite con la sentenza n. 15144/2011 (seguita poi da numerose pronunce, tra cui Cass. civ., sez. un., 12/02/2019, n. 4135) ha sancito il principio per cui, in forza dell'art. 111 Cost. il mutamento dell'indirizzo esegetico deve considerarsi valido solo per il futuro tutte le volte in cui il «revirement» risponda a determinate caratteristiche. Innanzitutto è necessario che il mutamento giurisprudenziale riguardi una regola del processo, cioè una norma processuale.

In secondo luogo, occorre poi che il mutamento interpretativo abbia carattere «imprevedibile», in ragione del carattere consolidato e non controverso della precedente interpretazione giurisprudenziale da un lato e, dall'altro, del repentino ed improvviso mutamento della giurisprudenza successiva o, quanto meno, privo di preventivi segnali anticipatori del suo manifestarsi. Una condizione siffatta non è ravvisabile in presenza di preesistenti contrasti interpretativi (Cass. civ., sez. I, 15/12/2011, n. 27086) o di incertezza interpretativa delle norme processuali ad opera della Corte di cassazione in assenza di un orientamento consolidato della stessa Corte (Cass. civ., sez. VI, 15/02/2018, n. 3782) o nel caso in cui la parte abbia confidato nell'orientamento che non è prevalso (Cass. civ., sez. lav., 05/06/2013, n. 14214).

In terzo luogo, poi, occorre che l'«overruling» determini una preclusione o decadenza che incida sul diritto di azione o di difesa della parte che abbia confidato incolpevolmente (ossia non oltre il momento di oggettiva conoscibilità dell'arresto nomofilattico correttivo) nell'interpretazione precedente.

Qualora ricorrano questi tre presupposti, la Corte di cassazione ha chiarito che il rimedio della rimessione in termini di cui all'art. 153 c.p.c. può essere invocato, anch'esso alla luce dei principi costituzionali del giusto processo, in caso di errore oggettivamente scusabile per l'affidamento riposto su una consolidata giurisprudenza di legittimità sulle norme regolatrici del processo, poi travolta da un imprevedibile mutamento interpretativo (Cass. civ., sez. II, 02/07/2010, n. 15811; Cass. civ., sez. II, 21/12/2012, n. 23836).

In conclusione

In tema di assegno divorzile, dunque, la Prima Sezione della Cassazione si è posta in contrasto con le pronunce – anche recenti - delle Sezioni Unite che avevano adottato una soluzione restrittiva per quanto concerne la concessione della rimessione in termini a seguito di overruling.

La fattispecie sulla quale si è pronunciata la Prima Sezione integra senza dubbio un'ipotesi di overruling: infatti, i parametri cui rapportare la decisione su an e quantum del contributo divorzile, furono dettati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 11490/1990, e sono stati seguiti incondizionatamente sino al 2017, senza che mai vi fossero stati precursori di un cambiamento così radicale, come quello che poi si è verificato. Tuttavia, il mutamento giurisprudenziale ha riguardato una norma di diritto sostanziale, quale è l'art. 5, l. n. 898/1970, e non una norma di tipo processuale come invece richiesto dall'orientamento espresso dalle S.U. in tema di overrulling.

In ogni caso, deve ritenersi ormai preclusa la possibilità per le parti di invocare la rimessione in termini per overrulling nei procedimenti di primo grado pendenti alla data delle Sezioni Unite del 2018 dovendo la relativa istanza essere avanzata in giudizio senza ritardo (Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2020, 25289; Cass. civ., sez. un., 18 dicembre 2018, n. 32725).

Riferimenti
  • Frangipane, I nuovi principi sull'assegno divorzile nei processi in corso, in ilfamiliarista.it, 11 novembre 2019;
  • Pappalardo, La rimessione in termini nell'ipotesi di overrulling sulla determinazione dell'assegno divorzile, in Corriere Giur., 2020, 12, 1550 ss.

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