Lo status della “società quotanda”: profili giuridici

30 Settembre 2021

L'oggetto di questo contributo è circoscritto ad una disamina della posizione dell'ente societario nella fase immediatamente precedente alla prima ammissione a quotazione delle azioni e, più specificamente, dei riflessi che sullo stesso può avere la prospettiva della quotazione.
Premessa

L'oggetto di questo contributo è circoscritto ad una disamina della posizione dell'ente societario nella fase immediatamente precedente alla prima ammissione a quotazione delle azioni e, più specificamente, dei riflessi che sullo stesso può avere la prospettiva della quotazione.

Definizioni e fase di pre-quotazione

Sotto il profilo temporale, tale fase — per semplicità espositiva di “pre-quotazione” — può essere enucleata tra il momento della manifestazione, da parte della società, della volontà di quotare le proprie azioni e quello di effettiva ammissione alla quotazione.

Quanto al profilo soggettivo, invece, l'indagine si rivolge, in prima battuta, alla individuazione di un regime normativo autonomo applicabile all'impresa, che nel prosieguo verrà definita “quotanda” o “con azioni quotande”, idoneo ad attribuirle uno status distinto rispetto alla mera “società non quotata”, seppur nell'ambito di quello che, per definizione, è un processo di transizione, concentrato di regola in pochi mesi.

In tale prospettiva, fermo il presupposto della funzionalità rispetto alla quotazione, verranno poi approfonditi alcuni specifici aspetti, fra i quali: i cambiamenti sul piano statutario e organizzativo necessitati dalla manifestazione della volontà di quotarsi in un determinato mercato; l'efficacia di tali mutamenti in quanto prodromici alla quotazione; l'applicazione analogica alla società quotanda delle disposizioni vigenti per le società quotate o con azioni diffuse in misura rilevante e i limiti alla loro operatività; le conseguenze in caso di mancata quotazione o revoca dalla quotazione; l'ampiezza dei poteri della Consob nella fase di pre-quotazione.

(Segue) Il discrimine tra “società quotata” e “società non quotata”. Cenni

Paiono opportune preliminari considerazioni in ordine al rilievo sistematico attribuito dall'ordinamento — interno e comunitario — al termine “quotazione” ed alle locuzioni ad esso collegate, fra cui anzitutto quella di “società quotata”, che rappresenta il principale metro per enucleare un regime — se non autonomo quantomeno similare — applicabile alla “quotanda” (v. A. BLANDINI, Società quotate e società diffuse, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. Perlingieri, X, Napoli, 2005, 40; G.F. CAMPOBASSO, Art. 1, in Commentario T.u.f., diretto da G.F. Campobasso, I, Torino, 2002, 6 ss.; P. MONTALENTI, La società quotata, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, IV, tomo 2, Padova, 2004, 379).

Il D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, breviter il Testo Unico o T.u.i.f.) ha introdotto infatti una disciplina organica — dal punto di vista sia strutturale che organizzativo — delle società c.d. “quotate”, intendendosi per tali, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. w), «i soggetti italiani o esteri che emettono strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati italiani».

Il Legislatore, seguendo lo schema tracciato nel diritto comunitario, ha in particolare sviluppato, come noto, un nucleo di norme inderogabili attinenti perlopiù alla separazione tra gestione e controllo, alla revisione contabile esterna e alla tutela delle minoranze, attribuendo viceversa all'autonomia privata una funzione integrativa delle regole di corporate governance, appena tratteggiate nei confini dal T.u.i.f. e successivamente sviluppate in modo più articolato dai regolamenti attuativi di vigilanza e dai codici di autodisciplina (si veda, S. ALVARO - P. CICCAGLIONI - G. SICILIANO, L'autodisciplina in materia di corporate governance, in Quaderno Giuridico Consob n. 2, 2013; G. ROSSI, Le c.d. regole di «corporate governance» sono in grado di incidere sul comportamento degli amministratori?, in Riv. Soc., 2001, 16 ss. V. inoltre, G. FAUCEGLIA, Società con azioni quotate in borsa, in D. disc. priv., sez. comm., 2000, 656 ss. Più recentemente, M. CERA, Le società con azioni quotate nei mercati, Bologna, 2018, 113 ss.).

La riforma del diritto societario, che nel disegno originario non prevedeva espressamente disposizioni concernenti le società quotate (cfr. Legge 3 ottobre 2001, n. 366), ha invece inciso su queste ultime in numerosi punti, partendo dalla suddivisione di cui all'art. 2325-bis c.c., che, al secondo comma, dispone come le norme di cui al Capo V si applichino «alle società con azioni quotate in mercati regolamentati in quanto non sia diversamente disposto da altre norme» del codice civile o di leggi speciali (cfr. P. MONTALENTI, Art. 2325-bis, in Il nuovo diritto societario, diretto da G. Cottino - G. Bonfante - O. Cagnasso - P. Montalenti, II, Torino, 2004. 25 ss.; L. DELLI PRISCOLI - R. RORDORF, Art. 2325-bis, in Del lavoro (artt. 2247-2461), a cura di Id., in La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina, diretto da C. Ruperto, V, Milano, 2012, 295 ss.; M.G. PAOLUCCI, Art. 2325-bis, in Commentario breve al diritto delle società, diretto da A. Maffei Alberti, Padova, 2015, 227 ss.; E. MONIACI, Art. 2325-bis, in Società per azioni: costituzione, promotori, patti parasociali, conferimenti, azioni, in Commentario al codice civile, a cura di P. Cendon, Milano, 2010, 49 ss.; M.L. VITALI, Art. 2325-bis, in Costituzione - Conferimenti, a cura di M. Notari, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti - L.A. Bianchi - F. Ghezzi - M. Notari, Milano, 2008, 71 ss.).

Più specificamente, l'assetto promanante dalla riforma pare più ragionevolmente fondarsi sul discrimine tra “società chiusa” e “società aperta”, cioè “società che fa ricorso al mercato del capitale di rischio”, comprendendo in tale espressione sia le società emittenti azioni quotate in mercati regolamentati, sia quelle emittenti azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante (v. art. 2325-bis, comma 1, c.c., art. 111-bis disp. att. c.c. e art. 116 T.u.i.f.).

La nozione di società quotata evocata dal codice civile non coincide perfettamente con quella della disciplina speciale, risultando prima facie la prima più ampia rispetto alla seconda (v. G. MINERVINI, Art. 2325-bis. Art. 111-bis disp. att. trans., in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli - V. Santoro, 1, Torino, 2003, 17 ss.).

Infatti l'art. 119 T.u.i.f. dispone che la disciplina del Capo II, relativa alle società con azioni quotate, e cioè le disposizioni a contenuto strettamente societario, diverse dalle norme relative al mercato finanziario, si applichino «salvo che sia diversamente specificato, allesocietà italiane con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell'Unione europea (società con azioni quotate)», rimanendo escluse dal campo di applicazione del Testo Unico sia le società estere con azioni quotate in mercati regolamentati italiani, a meno che esse abbiano in Italia la sede amministrativa o l'oggetto principale, sia le società italiane con azioni quotate esclusivamente in mercati regolamentati extracomunitarie (v. P. BALZARINI, Art. 119, in Commentario delle società, a cura di G. Grippo, Torino, 2009, III, 1811; M. NOTARI, Art. 119, in La disciplina delle società quotate nel Testo Unico della finanza, a cura di P. Marchetti - L.A. Bianchi, Milano, 1999, 761).

Senza indulgere sulle difficoltà indotte dalla sovrapposizione di definizioni presenti nelle fonti poc'anzi richiamate, si può tuttavia ritenere, in ossequio peraltro al dettato dell'art. 206 T.u.i.f., che la nozione di società quotata ex art. 2325-bis c.c. debba necessariamente far riferimento all'art. 119 T.u.i.f. e, sotto il profilo applicativo, alla società quotata così circoscritta si applichino le disposizioni di diritto comune, ove non derogate dalle norme dettate per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e ove non ulteriormente derogate, a loro volta, da disposizioni codicistiche limitate alle quotate o dal Testo Unico (v. M.G. PAOLUCCI, cit., 230; E. MONIACI, cit., 59 ss.).

L'impianto normativo sinteticamente richiamato suggerisce inoltre riflessioni in ordine al tema teorico generale della configurabilità della società quotata quale “modello” societario distinto, che, secondo un'interpretazione sistematica e i principi che hanno informato la riforma della materia che qui occorre, si porrebbe quale cardine della disciplina del governo dell'impresa, suggerendo l'estensione di paradigmi, istituti e prassi suoi propri anche alle non quotate, nella prospettiva di una riduzione del divario tra società azionarie chiuse e aperte (v. amplius P. SPADA, Dalla nozione al tipo di società per azioni, in Riv. dir. civ., 1985, I, 95 ss.; ID., Tipologia delle società e società per azioni quotate, in Riv. dir. civ., 2000, II, 213; G. OPPO, Maggioranza e minoranze nella riforma delle società quotate, in Riv. dir. civ., 1999, II, 490; ID., La nuova legislazione commerciale. Sulla “tipicità” delle società quotate, in Riv. dir. civ., 1999, II, 483 ss.; B. LIBONATI, La categoria del diritto commerciale, in Riv. Soc., 2002, 1 ss.; v. anche, G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale 2. Diritto delle società, 8, Torino, 2012, 149 ss.; P. ABBADESSA - E. GINEVRA, Art. 2325-bis, in Società di capitali. Commentario, a cura di G. Niccolini - A. Stagno d'Alcontres, I, Napoli, 2004, 9).

In altri termini, è stato osservato che la specialità della disciplina della società quotata è stata via via temperata, in ossequio agli obiettivi dichiarati dal Legislatore della riforma (e, ancor prima, dal c.d. “Progetto Mirone”), diretti a ridurre le differenze tra società chiuse e aperte al fine di favorire l'accesso ai mercati finanziari. A riprova di ciò depone la circostanza che alcune practice maturate nell'ambito della quotata hanno trovato dimora anche per la non quotata (N. SALANITRO, La riforma delle società di capitali, in Banca, borsa, 2001, I, 561; C. ANGELICI, Introduzione alla riforma delle società di capitali, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa - G.B. Portale, I, Torino, 2006, 1 ss.; G. FAUCEGLIA, cit., 657).

(Segue) Considerazioni sulla ratio sottesa alla disciplina delle “società aperte” e, in particolare, delle società con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante

La netta dicotomia tra “società chiuse” e “società aperte” è calmierata da un sistema normativo che, nel suo complesso, consente una sostanziale graduazione della restrizione della libertà di autoregolamentazione in senso proporzionale all'apertura al mercato del capitale: più ampio è il grado di apertura al mercato, tanto maggiori sono le esigenze di tutela dei terzi e, in particolare, delle minoranze azionarie, la cui salvaguardia è garantita da norme di rango imperativo (sul rapporto tra autonomia statutaria e obblighi legali, v. M. CERA, cit., 16 ss.; v. anche M. SCIUTO, Art. 2325-bis, in Codice commentato delle società, a cura di N. Abriani - M. Stella Richter jr., Torino, 2010, 456 ss.).

Sintomo di tale orientamento si rinviene, ad esempio, nella disciplina in materia di operazioni con parti correlate che ha introdotto un regime semplificato per le società neo-quotate e le quotate di minori dimensioni, che possono qualificarsi, quindi, come “sottoinsiemi” della s.p.a. quotata (in tal senso, v. M.G. PAOLUCCI, cit., 227).

Ancor prima è stata la stessa legge delega 3 ottobre 2001, n. 366, all'art. 4, comma 1, a suggerire l'introduzione di regole caratterizzate via via da un maggior grado di imperatività in considerazione del ricorso al mercato del capitale di rischio.

È in tale prospettiva di contemperamento delle esigenze di protezione dei terzi con l'autonomia statutaria, attraverso la previsione di limiti meno stringenti rispetto a quelli imposti alle quotate, che è stata accolta la nozione di “società con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante”.

A tale categoria, in quanto emittenti titoli oggetto di investimento e di circolazione presso un pubblico ampio, si estendono infatti alcune disposizioni tipiche delle quotate, come meglio infra esposto, pur puntando ad una semplificazione degli obblighi, al fine di non imporre eccessivi oneri amministrativi ed economici, in ossequio a criteri di proporzionalità ed economicità (cfr. G.D. MOSCO, Le società con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante fra definizione, norme imperative e autonomia privata. Uno scalino beccato, da riparare in fretta, in Riv. Soc., 2004, 864; v. anche CONSOB, Semplificazione regolamentare (fase 2), Modifiche ai Regolamenti concernenti la disciplina degli emittenti e dei mercati adottati rispettivamente con delibere n. 11971/99 e 16191/07 e succ. mod. Esiti della consultazione, 11 maggio 2012, 7, disponibile all'indirizzo www.consob.it).

Tuttavia, gli obiettivi enunciati in sede di delega, se sono sembrati raggiunti ai primi commentatori, in verità, non possono dirsi pienamente compiuti: ciò che — forse — è sfuggita al Legislatore, o avrebbe meritato maggiore attenzione, è proprio la definizione dell'ampiezza dello spazio frapposto tra le società chiuse e quelle quotate in mercati regolamentati.

La disciplina delle società ad azionariato diffuso sconta infatti due forme di criticità, una di origine fattuale, la seconda di natura giuridica.

La prima, di immediata percezione, attiene il numero esiguo di imprese alle quali tale disciplina si rivolge, per la maggior parte operanti nel settore finanziario-bancario e, quindi, già sottoposte a maggiori vincoli, con l'effetto di rendere, nella pratica, poco significativa la categoria in esame.

La seconda — di cui la prima è consecutio — risiede nella coincidenza concettuale tra “società con azioni diffuse in misura rilevante” e “società aperte non quotate”, nonché nel rinvio per la determinazione dei requisiti soggettivi ai regolamenti Consob, che a loro volta hanno optato per l'enucleazione di criteri quali-quantitativi ristretti (cfr. art. 2-bis del Regolamento Emittenti). L'impatto di tali parametri è subito evidente posto che l'acquisto ovvero la perdita dello status di emittente diffuso consegue ipso jure rispettivamente dalla sussistenza e dal venir meno degli stessi e non, quindi, dall'esito di un iter procedimentale, che avrebbe potuto valorizzare anche ulteriori profili economico-aziendali. Lo stesso inserimento dell'emittente nell'elenco apposito istituito dalla Consob ha valenza meramente dichiarativa e non costitutiva, da cui deriva che gli obblighi gravanti in capo all'emittente sorgono (o cessano) automaticamente a decorrere dai termini indicati ai commi 1 e 4 dell'art. 108 del Regolamento Emittenti (v. CONSOB, Documento di consultazione. Proposte di modifica al Regolamento Emittenti del 24 novembre 2017, disponibile all'indirizzo www.consob.it).

La previsione di un c.d. “scalino intermedio”, circoscritto a poche decine di imprese che possiedono i requisiti statuiti dalla Consob, travisa in parte i principi programmatici della legge delega, così che un possibile correttivo potrebbe rinvenirsi nell'abbassamento delle soglie, in modo da inglobare un numero maggiore di società o addirittura superare quello delle quotate.

Difficile tuttavia sostenere che la questione si possa risolvere da un punto di vista meramente numerico, ove soprattutto si consideri il ruolo preminente assegnato dalla riforma del diritto societario all'autonomia privata: l'apertura al mercato costituisce in primis decisione degli organi sociali di assoggettamento ad uno statuto differenziato rispetto alle società chiuse e di progressivo avvicinamento al regime di quelle quotate.

Abbracciando tale angolazione sarebbe quindi preferibile sottoporre al regime “intermedio” in discussione anche imprese che possiedono requisiti “compatibili” con quelli di una futura quotazione, ma prive allo stato di una significativa apertura azionaria, fra cui vi rientrerebbero a pieno titolo le società quotande, oppure quelle imprese che ambiscono al raggiungimento di determinate posizioni di mercato (v. G. PRESTI, Riforma della s.p.a. e scalini normativi, in Società, 2003, 330).

In altri termini, assumendo quali obiettivi la valorizzazione dell'autonomia decisionale e la semplificazione dell'accesso alla quotazione, sarebbe stato più opportuno sviluppare un vero e proprio regime organico “delle” società aperte non quotate, nel quale farvi rientrare sia le società con azioni diffuse in misura rilevante (individuate secondo i parametri — rettificati o meno — di cui al Regolamento Emittenti), sia quelle società che abbiano già avviato il processo di quotazione (rectius, abbiamo presentato domanda di ammissione alla quotazione), sia quelle società che, per caratteristiche proprie o piani strategici, ambiscano alla quotazione e decidano volontariamente di sottoporsi a tale statuto. L'attuale definizione di società aperta (non quotata) trascura infatti tutte quelle ipotesi in cui un'impresa, pur non possedendo i requisiti numerici previsti in sede regolamentare per effetto del rinvio dell'art. 116 T.u.i.f., vorrebbe ad esempio dotarsi dello “statuto” delle società aperte per presentarsi al mercato in modo più efficace in vista di un'imminente initial public offering (G. PRESTI, op. ult. cit., 329).

Ciò che invece è stato posto in secondo piano è la “volontarietà” del passaggio ad uno statuto diverso da quello ordinario, che avrebbe consentito — almeno sulla carta — un ampliamento dello spettro di imprese sottoposte alle regole oggi applicate alle sole società con azionariato diffuso; regole che altro non sono che parziale traslazione della disciplina delle quotate.

A quest'ultimo riguardo, si vedano, a titolo esemplificativo, i poteri di enforcement esercitati dall'Authority al fine del rispetto degli obblighi di comunicazione e trasparenza nei confronti del pubblico, del tutto similari a quelli applicabili alle quotate per effetto del rimando dell'art. 116 T.u.i.f. agli artt. 114, commi 5 e 6, e 115 del Testo Unico.

Trasparenza e simmetria informativa permangono infatti paradigmi invalicabili anche per le società con azioni diffuse in misura rilevante, ancorché diversamente calibrati in funzione proprio del minor grado di relazione con il mercato.

Più specificamente, sono imposti obblighi di disclosure con riguardo a eventi e circostanze rilevanti, pubblicazione dei documenti contabili, dell'avviso di convocazione dell'assemblea, degli eventuali piani di compensi basati su strumenti finanziari ad amministratori e dirigenti, di pubblicità degli incarichi assunti dai componenti l'organo di controllo al fine di verificare il rispetto dei limiti al cumulo di incarichi. A ciò si aggiungono i doveri di trasparenza previsti per le società che intrattengono rapporti di controllo o di collegamento.

Per quanto riguarda le modalità di adempimento degli obblighi informativi citati, si notino peraltro le recenti modifiche apportate agli artt. 108, 109, 110 e 111 del Regolamento Emittenti, prevedendo, inter alia, la diffusione al pubblico delle informazioni ad almeno tre agenzie di stampa, di cui due a rilevanza nazionale, ferma restando la facoltà di avvalersi di uno SDIR allo scopo di ampliare il numero di soggetti che possono attingere all'informazione, nonché l'istituzione obbligatoria e non facoltativa del sito internet.

Significative revisioni sono state altresì apportate all'art. 109-ter del Regolamento Emittenti, a seguito della riformulazione dell'art. 116 T.u.i.f. (D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 107, di adeguamento al Regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 in materia di abusi di mercato).

Il comma 1-bis della disposizione da ultimo citata, recita che gli emittenti strumenti finanziari che, ancorché non quotati in mercati regolamentati, siano diffusi tra il pubblico in misura rilevante debbano informare «quanto prima possibile, il pubblico dei fatti non di pubblico dominio concernenti direttamente detti emittenti e che, se resi pubblici, potrebbero avere un effetto significativo sul valore degli strumenti finanziari di propria emissione », demandando alla Consob di stabilire con regolamento «le modalità di informazione del pubblico e i casi di esenzione dall'osservanza dei predetti obblighi informativi, qualora gli emittenti siano comunque tenuti agli obblighi previsti dal regolamento (UE) n. 596/2014».

Infatti, tali emittenti ben potrebbero rientrare anche nel campo di applicazione del Regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo agli abusi di mercato, ad esempio in quanto emittenti titoli scambiati sui sistemi multilaterali di negoziazione (MTF) o sui sistemi organizzati di negoziazione (OTF) oppure ancora perché quotati in mercati regolamentati di altri Paesi: in tali ipotesi sarebbero dunque sottoposti al regime più stringente previsto dalla normativa europea.

Ambito nel quale si nota invece maggiormente la differenziazione tra società quotate e con azioni diffuse è quello, ad esempio, della sollecitazione e raccolta di deleghe, che rimane appannaggio esclusivo della prima categoria (invero la scelta del Legislatore si presta a non poche censure, dal momento che tali meccanismi contemplati nel T.u.i.f. per le sole quotate, per la loro funzione di facilitare la partecipazione del socio alla vita della società, ben si sarebbero prestati ad essere estesi a tutte le società cosiddette aperte. In tal senso, v. A. BLANDINI, cit., 395).

Ancora nel senso di accentuare la distanza tra quotate e non-quotate benché emittenti titoli diffusi, si veda l'esclusione di queste ultime dal campo di applicazione di molte disposizioni del T.u.i.f. in materia di controlli interni ed esterni (v. amplius, V. CALANDRA BUONAURA, Il sistema dei controlli nelle società quotate, in Il testo unico della finanza. Un bilancio dopo 15 anni, a cura di F. Annunziata, Milano, 2015, 33 ss.).

Non va taciuto peraltro che l'assetto adottato in tema di controlli finisce col disincentivare la quotazione, attesa la eccessiva asimmetria del regime applicabile. Inoltre ciò — è stato osservato — è in parziale contraddizione con la già citata ratio che ha governato la riforma del sistema societario e animato il dibattito dottrinale: la riduzione del gap tra società di diritto comune e quelle sottoposte alla disciplina speciale del T.u.i.f..

In tema proprio di controlli interni ed esterni degli emittenti azioni diffuse, qualche riflessione in più sarebbe apprezzabile da parte del Legislatore data la delicatezza dell'argomento in ragione del coinvolgimento del pubblico risparmio e dei principi generali sui quali si erige l'ordinamento del mercato finanziario (C. AMATUCCI – A. BASSI – G. CAPO – R. COSTI – G. FAUCEGLIA – A. LUMINOSO – F. MARTORANO – G. RACUGNO – R. ROSAPEPE – P. VALENSISE, Le società con azioni quotate, in Manuale di diritto commerciale, ideato da V. Buonocore, Torino, 2020, 552 ss.).

(Segue) Il processo di quotazione: in particolare, la fase di “pre-quotazione” e la fattispecie di “società quotanda”

L'indagine sulla configurazione della “società quotanda” quale categoria autonoma riconducibile all'alveo delle società aperte non rappresenta un mero esercizio ermeneutico, in quanto dall'accoglimento della tesi proposta derivano non pochi rilievi pratici in ordine, ad esempio, agli obblighi di disclosure, agli assetti di governance e alla pervasività dei poteri dell'Autorità di Vigilanza.

Sostenere l'autonomia concettuale della “quotanda” significa in primis elevare tale locuzione a rango definitorio a fronte di un sistema — quello delineato nei paragrafi che precedono — concentrato sulla contrapposizione tra società chiuse e aperte, queste ultime sottoposte ad un regime più pregnante sotto il profilo della trasparenza e della informazione per le note ragioni, e che tace circa il significato terminologico di “quotanda”, escludendone pertanto (apparentemente secondo la tesi che qui si propone) qualsivoglia autonoma rilevanza.

La contraddittorietà di tale conclusione si manifesta infatti con evidenza ove si analizzino le disposizioni che regolano il processo di quotazione: percorrendo una “prospettiva dinamica” si apprezzano i mutamenti significativi che la presentazione della domanda di ammissione a quotazione imprime alla struttura societaria, così da distanziarla de facto dalle società chiuse.

Del resto il processo di quotazione — connotato dal susseguirsi di fasi contigue, integrate tra loro e funzionali al raggiungimento degli obiettivi societari — è rivolto proprio all'adeguamento, attraverso adempimenti formali e sostanziali, della società ai requisiti richiesti per l'ammissione al mercato o segmento di riferimento (v. F. PREDIALI, Manuale di valutazione aziendale e processo di quotazione di borsa, Milano, 2003, 174 ss.).

In particolare, la disciplina dell'ammissione dei titoli alla quotazione in borsa, che trova fondamento in norme promananti da fonti di rango primario e secondario, mira nel complesso non solo a delineare le fasi che conducono alla quotazione da un punto di vista procedurale, ma anche a dettagliare i requisiti per l'ammissione e la permanenza nel mercato di riferimento che devono pertanto essere acquisiti.

Adottando questo punto di vista e considerando il dettato dell'art. 2325-bis c.c. nonché dell'art. 119 T.u.i.f., si potrebbe quindi, a contrario, definire “quotanda” la società italiana che abbia assunto la decisione, tramite l'organo competente, di quotare le proprie azioni (o meglio, strumenti finanziari) in un mercato regolamentato italiano o di altri Paesi dell'Unione europea, ma le cui azioni non siano state ancora formalmente ammesse a quotazione, ovvero non sia stata ritirata o rigettata la domanda di ammissione.

Il momento iniziale della procedura di ammissione, secondo il dettato regolamentare, coincide infatti con la presentazione della domanda di ammissione alla società di gestione del mercato, tuttavia il mutamento dello status può essere colto, ancor prima, nella decisione assunta dalla società di quotare le proprie azioni.

A tal proposito si noti come nessuna fonte normativa imponga che la quotazione delle azioni sia espressamente prevista dall'atto costitutivo o sue successive modificazioni, ma rimanga circoscritta alla sfera decisionale dell'organo competente in base al modello di governance adottato (v. amplius sul tema, C. RABITTI BEDOGNI, Manuale di diritto dei mercati finanziari, Milano, 2004, 234; M. MAUGERI, Considerazioni su sistema delle competenze assembleari nella s.p.a., in Riv. Soc., 2013, 336. Si veda anche, in particolare per la competenza dell'assemblea ordinaria: C. MONTAGNANI, Artt. 2364-2364-bis, in Società di capitali. Commentario cit., 449; M. DE MARI, La quotazione di azioni nei mercati regolamentati: profili negoziali e rilievo organizzativo, Torino, 2004, 72 ss.; A. TUCCI, Le competenze, in Società per azioni. L'assemblea, R. Lener - A.Tucci, in Trattato di diritto commerciale, diretto da R. Costi, Torino, 2012, 28).

Quest'ultimo aspetto, se da un punto di vista giuridico potrebbe essere percepito quale elemento di debolezza della tesi proposta, riacquista significato ove lo si legga in chiave economico-aziendale, dal momento che l'assunzione della decisione di quotarsi è annoverata tra le «scelte di natura strategica», in quanto idonea ad imprimere modifiche significative all'impresa e ai suoi obiettivi di fondo, accrescendo la visibilità esterna e la struttura finanziaria e gestionale (in generale sulle decisioni strategiche, v. A. CANZIANI, La strategia aziendale, Milano, 1984; V. CODA, L'orientamento strategico dell'impresa, Torino, 1988, 24 ss.; v. anche, M. GERANIO, I delisting dal mercato azionario italiano: analisi empirica delle cause e delle conseguenze, Newfin Working Paper, Università Bocconi, 2004, 4 ss.).

Non è un caso che la fase di pre-quotazione sia stata fatta oggetto, in letteratura, di numerosi contributi volti a valorizzare proprio le complesse problematiche di strategia aziendale e finanza, piuttosto che i profili di diritto sostanziale (v. ad es. G. PIVATO, La quotazione di borsa di aziende societarie, in Banche e banchieri, 1976, 9; C. LEARDINI, L'economia della quotazione in Borsa. Profili economico-aziendali, Padova, 2003, 29 ss.; J. DRAHO, The IPO decision. Why and how companies go public, Cheltenham, 2004, 10 ss.).

L'assunzione della decisione di quotarsi, infatti, è già di per sé idonea a imprimere un cambiamento del posizionamento dell'impresa rispetto ai propri competitors e a ingenerare effetti sia sul piano organizzativo sia economico-finanziario, sicché può dirsi reversibile, ma a condizione di sostenerne pesanti costi, financo reputazionali (già G. ZAPPA, Tecnica della speculazione di borsa, Milano, 1935, ha affrontato il tema dei mutamenti impressi dalla quotazione sulla vita dell'impresa).

Tra i numerosi effetti positivi indotti dall'accesso a un mercato regolamentato è possibile annoverare, ad esempio, sul piano

(i) finanziario: la diversificazione delle fonti di finanziamento, il miglioramento del credit standing, la conseguente maggiore disponibilità di capitale ad un costo mediamente inferiore;

(ii) strategico: la liquidabilità dei titoli, il ritorno di immagine anche per il management, la condivisione con il mercato dei piani industriali e delle prospettive dell'impresa, la revisione della struttura informativa aziendale al fine di ottemperare agli obblighi di legge e la correlata disponibilità di dati e informazioni utili per il perseguimento degli obiettivi aziendali;

(iii) degli interessi dei singoli stakeholder: la facilitazione dei processi di monetizzazione dell'investimento dei soci originari (anche in chiave di risoluzione di problemi di successione imprenditoriale), più accattivanti politiche di incentivazione e remunerazione del management (M. GERANIO, cit., 8 ss.; S.R. FOERSTER - G.A. KAROLYI, The effects of market segmentation and investor recognition on asset process: evidence from foreign stocks listing in the U.S., in Journal of Finance, vol. 54, 1999, 981-1013).

Tali vantaggi, in concreto, possono tuttavia rivelarsi, in alcuni casi, più contenuti rispetto a quelli attesi o addirittura insussistenti considerando gli oneri di quotazione (sia iniziali sia periodici) e i costi di riorganizzazione aziendale. Tali criticità emergono soprattutto per le imprese di piccole o medie dimensioni, dove spesso gli scarsi risultati ottenuti rispetto alle aspettative, la sottovalutazione dei titoli e l'abbattimento dei corsi azionari inducono infine la società a ritirarsi volontariamente dal listino (M. GERANIO, cit., 50, 12 ss.; A.W.A. BOOT - R. GOPALAN - A.V. THAKOR, Market liquidity, investor participation and managerial autonomy: why do firms go private?, in The Journal of Finance, LXIII, No. 4, August 2008, 2013 ss.; A. POMELLI, Delisting di società quotata tra interesse dell'azionista di controllo e tutela degli azionisti di minoranza, in Riv. Soc., 2009, 407; AA.VV., Strategie di sviluppo aziendale, processi di corporate governance e creazione di valore. Teorie, analisi empiriche ed esperienze a confronto, Milano, 2013, 572 ss.).

Per tali ragioni la delibera con cui si manifesta formalmente la volontà di quotarsi è (anzi, dovrebbe essere) di regola preceduta dall'attenta analisi della fattibilità dell'operazione di quotazione e, in particolare, dalla determinazione del valore della società, dall'esame della posizione dell'impresa interessata rispetto al mercato al quale intende accedere, dalla verifica della sussistenza dei requisiti formali e sostanziali per la quotazione e delle eventuali modifiche da apportare.

Interessante al riguardo, per apprezzare meglio le ragioni economico-finanziarie che supportano il percorso della ammissione a negoziazione, è l'analisi dei molteplici casi aziendali, che si sono succeduti (a livello nazionale e internazionale) negli ultimi anni, di rinuncia al programma di quotazione, dettati in gran parte dalle condizioni di mercato ritenute allo stato non favorevoli o non compatibili con le strategie di sviluppo dell'impresa (si veda ad esempio, a livello nazionale, il caso “Furla”, società operante nel settore della pelletteria che, dopo aver annunciato l'avvio di un programma che l'avrebbe portata alla quotazione ha abbandonato tale prospettiva in considerazione delle contingenti condizioni di mercato ritenute non favorevoli e compatibili con le strategie di sviluppo dell'azienda).

La “società quotanda” nel sistema normativo vigente

Il Testo Unico detta la disciplina applicabile alle società quotate in mercati regolamentati italiani o di altri Paesi dell'Unione europea (cfr. art. 119 T.u.i.f.), non occupandosi della società con azioni quotande se non (attraverso il rinvio ai regolamenti Consob) per ciò che concerne i profili che attengono alle informazioni relative ai prodotti finanziari ed agli emittenti, che devono essere contenute nel prospetto di quotazione (art. 113 T.u.i.f.).

Sebbene il nucleo proprio della normativa richiamata rimanga il procedimento di quotazione, alcuni indici utili per delineare lo status di società quotanda — del quale si rinvengono scarni riferimenti in dottrina — possono tuttavia essere rintracciati in alcune disposizioni riferite espressamente alla società che abbia presentato domanda di ammissione alla quotazione, nonché dagli orientamenti espressi dalla Consob e dai principi sistematici che governano le società azionarie quotate.

Di seguito, verranno pertanto sinteticamente richiamati i principali ambiti nei quali esplicitamente, seppur in maniera concisa, sono evocate le società con azioni quotande.

In primis, l'art. 127-quinquies, comma 7, T.u.i.f. legittima testualmente la possibilità, nel caso in cui una società abbia intrapreso il «procedimento di quotazione in un mercato regolamentato», di adottare una deliberazione di modifica dello statuto sociale che disponga la maggiorazione del diritto di voto (v. S. ALVARO - A. CIAVARELLA - D. D'ERAMO - N. LINCIANO, La deviazione dal principio “un'azione - un voto” e le azioni a voto multiplo, Quaderno giuridico Consob n. 5, 2014; M. VENTORUZZO, Un'azione, un voto: un principio da abbandonare?, in Giur. comm., 2015, I, 512; M. BIONE, Il principio della corrispondenza tra potere e rischio e le azioni a voto plurimo: noterelle sul tema, in Giur. comm., 2015, I, 266; E. MARCHISIO, La “maggiorazione del voto” (art. 127-quinquies, T.u.f.): récompense al socio “stabile” o trucage del socio di controllo?, in Banca borsa, 2015, I, 78).

La fattispecie contemplata dal comma da ultimo citato costituisce una deroga alla regola generale di esclusione delle non-quotate dal perimetro di applicabilità dell'art. 127-quinquies.

La ratio è quella di incentivare la quotazione, consentendo ai soci-fondatori di mantenere il controllo reperendo risorse finanziarie e incrementando il flottante.

L'inserimento facoltativo di una clausola statutaria che consenta di conteggiare il possesso ante quotazione (art. 127-quinquies, comma 7, T.u.i.f.) per la maturazione, successivamente alla intervenuta ammissione, della maggiorazione di voto è idoneo a influire sul valore stesso della partecipazione detenuta, in quanto ne accresce l'“appetibilità” sul mercato (v. U. TOMBARI, “Maggiorazione del dividendo” e “maggiorazione del voto”: verso uno “statuto normativo” per l'investitore di medio-lungo termine?, in Banca borsa, 2016, I, 303 ss.; P. MARCHETTI, Osservazioni e materiali sul voto maggiorato, in Riv. Soc., 2015, 448; N. DE LUCA, Premi di fedeltà ed eguaglianza tra azionisti: riflessioni sull'art. 127-quater t.u.f., in Riv. dir. soc., 2012, 23 ss.).

In altre parole, sebbene l'operatività della maggiorazione postula l'avvenuta ammissione alla quotazione, l'introduzione di una previsione statutaria di tale contenuto e, quindi, ad effetto differito, imprime già di per sé una modifica della partecipazione sociale apprezzabile dal punto di vista economico-aziendale, dal momento che ne accresce il valore (attuale), aumentando il peso decisionale del titolare (cfr. M. LAMANDINI, Voto plurimo, tutela delle minoranze e offerte pubbliche di acquisto, in Atti del XXVIII Convegno di studio su “Unione Europea: concorrenza tra imprese e concorrenza tra Stati”, Courmayeur, 19-20 settembre 2014).

L'autonomia societaria è in grado di plasmare (in parte), già nella fase antecedente la quotazione, gli assetti proprietari che conseguiranno alla quotazione stessa, prevedendo non solo la maggiorazione di voto come anzidetto, ma anche emettendo azioni a voto plurimo (v. C.F. GIAMPAOLINO, Azioni a voto maggiorato e a voto plurimo, in Giur. comm., 2015, I, 779).

Come noto, quest'ultima categoria di azioni non è ammessa per la società quotata, che può tuttavia mantenerla solo se riguarda azioni emesse prima della quotazione. Tale ipotesi — che si configura quale eccezione nell'ambito del corpus delle norme applicabili alle quotate — implica valutazioni in ordine agli obiettivi che la società intende perseguire: successivamente alla quotazione, ove siano in circolazione azioni a voto plurimo, la società sarà infatti chiamata a scegliere se mantenere tale categoria, ovvero, ad esempio, prevederne la conversione in azioni a voto maggiorato, ferma restando l'incompatibilità ex art. 127-sexies, comma 3, T.u.i.f. (in tal senso v. P. MARCHETTI, Osservazioni e materiali sul voto maggiorato, in Riv. Soc., 2015, 448).

Ancora una volta, quindi, una decisione assunta ante quotazione (emissione di azioni a voto plurimo) pone le basi per la definizione del profilo dell'azionariato e degli assetti proprietari nella fase post-quotazione. Non a caso, in dottrina, il voto plurimo è stato visto come strumento funzionale, in sede di quotazione, al mantenimento del controllo da parte del socio-fondatore, consentendogli nel contempo di raccogliere capitale di rischio e favorendo la contendibilità della sua partecipazione.

Di interesse ai fini de quibus è inoltre la disciplina di comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate che, ai sensi dell'art. 181 T.u.i.f., è estesa, per espressa previsione del comma 12 dell'art. 114 T.u.i.f., «ai soggetti italiani ed esteri che emettono strumenti finanziari per i quali sia stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni nei mercati regolamentati italiani».

Ne consegue quindi che le società con azioni quotande risultano ex lege vincolate anzitutto al rispetto della clausola generale di disclosure incorporata nel comma 1 del citato art. 114 T.u.i.f., che impone il dovere di comunicare al pubblico, senza indugio, le informazioni privilegiate che interessano l'emittente.

La materia è stata peraltro oggetto di ridefinizione a seguito dell'emissione del Regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo agli abusi di mercato (Market Abuse Regulation o “MAR”), della Direttiva 2014/57/UE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle sanzioni penali in caso di abusi di mercato (Market Abuse Directive II o “MAD II”), nonché da ultimo del D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 107, che hanno apportato modifiche anche alla nozione stessa di “informazione privilegiata”, nel senso di recepire la giurisprudenza che si è affermata a livello europeo soprattutto con riferimento al tema dei cosiddetti “processi prolungati”, cioè a quegli eventi complessi, articolati in fasi intermedie, che necessitano di un orizzonte temporale ampio (cfr., in particolare, Corte di Giustizia dell'Unione Europea, Caso C-19/11, Markus Gelti v Daimler AG, 28 giugno 2012).

Il perimetro della riformata nozione di informazione privilegiata, recepita dall'art. 181 T.u.i.f., comprende quindi anche le singole fasi intermedie in cui si compongono i processi di cui sopra, rendendo tuttavia più gravoso il delicato bilanciamento tra ragioni di efficienza e trasparenza del mercato e tutela degli interessi della società che potrebbero essere pregiudicati da una anticipata disclosure.

In tale contesto, è stato osservato che l'unico rimedio sarebbe rappresentato dalla valorizzazione dell'istituto del “ritardo” (F. ANNUNZIATA - M. VENTORUZZO, L'armonizzazione europea del diritto delle società per azioni quotate, in Diritto societario europeo e internazionale, diretto da M. Benedettelli - M. Lamandini, Torino, 2017, 415; P. GIUDICI, Informazione privilegiata e responsabilità civile, in Società, 2016, 140), come emerge anche dalle linee guida dell'ESMA che ammetterebbero la possibilità di posticipare fino alla conclusione dell'operazione in corso la disclosure dell'informazione, qualora quest'ultima non sia in contrasto o smentisca eventuali precedenti indicazioni fornite dalla società stessa (EUROPEAN SECURITIES AND MARKETS AUTHORITY (ESMA), Orientamenti relativi al regolamento sugli abusi di mercato (MAR). Ritardo nella comunicazione al pubblico di informazioni privilegiate, 20 ottobre 2016 (ESMA/2016/1478 IT).

Ovviamente la legittimità della reticenza dell'emittente è ancorata al limite invalicabile dei principi di trasparenza e efficienza enunciati, che in caso di dubbio, comunque prevarrebbero.

La delicatezza del tema relativo alle operazioni in corso si manifesta con maggior forza in relazione alle società quotande: riservare a queste ultime spazi di manovra in merito alla tempistica di diffusione delle informazioni significa infatti anche contenere il potenziale danno che da una early disclosure potrebbe derivare sul valore attribuito in sede di negoziazione alle azioni, nonché neutralizzare possibili azioni dei concorrenti. Disvelare precocemente le linee strategiche dell'impresa potrebbe importare un deficit concorrenziale e di contendibilità del titolo successivamente all'ammissione a quotazione.

Tali aspetti problematici non pare siano passati inosservati alla lente del Legislatore europeo e italiano, dal momento che il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 25, introducendo nel nostro ordinamento l'articolazione del processo di ammissione presso i mercati regolamentati nelle distinte fasi dell'ammissione alla quotazione e alla negoziazione, ha fatto decorrere solo dall'inizio di quest'ultima gli obblighi di disclosure di cui all'art. 114 T.u.i.f..

L'intervento del Legislatore è coerente rispetto:

(a) alla prassi invalsa in altri ordinamenti, ad esempio, quello inglese;

(b) alla disciplina MAR che, come detto, ha accolto una definizione più ampia di “informazione privilegiata”;

(c) alla struttura delle quotande che, in ipotesi contraria, si troverebbero gravate da eccessivi oneri informativi.

L'applicazione degli obblighi di disclosure (e della disciplina degli abusi di mercato) a far data da un momento più prossimo all'effettivo inizio delle negoziazioni si configura quindi più ragionevole anche da un punto di vista sistematico.

Il limite della presentazione della domanda di ammissione alle negoziazioni vale anche per la disciplina di cui agli artt. 180 ss. T.u.i.f., con le relative conseguenze anche sul piano delle sanzioni (penali e amministrative) conseguenti alle condotte illecite poste in essere (Si veda sull'argomento, Cass., 25 gennaio 2017, n. 3836, in Quotidiano giur., 14 febbraio 2017, con nota di F. Di Vizio, Manipolazione informativa: non per il periodo tra il pre-marketing e la fissazione del prezzo).

Ulteriori isolati riferimenti alle società cosiddette “quotande” si rinvengono in ambiti eterogenei del diritto e sono relegati spesso a regime di carattere transitorio e circoscritti a mere enunciazioni, con conseguenti problemi interpretativi ove in particolare si tratti della materia impositivo-tributaria.

Ad esempio, il Testo Unico delle società a partecipazione pubblica (D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, breviter, T.u.s.p.), che trova applicazione alle quotate solo se espressamente previsto, all'art. 26, comma 4, ha escluso dal suo campo di applicazione, per un periodo di 18 mesi dall'entrata in vigore, le società a partecipazione pubblica che «abbiano deliberato» la quotazione delle proprie azioni in mercati regolamentati con provvedimento comunicato alla Corte dei Conti, precisando altresì che se entro il 31 dicembre 2015 la società interessata ha presentato domanda di ammissione alla quotazione, il decreto non si applica fino alla conclusione del procedimento di quotazione.

La disposizione in commento si è prestata a differenti interpretazioni, che se, da una parte, hanno condiviso che la ratio della norma vada rinvenuta nel favor del Legislatore nei confronti del going public delle imprese, dall'altra parte, non concordano circa il trattamento da riservare alle quotande nel periodo successivo alla scadenza del termine menzionato.

Secondo alcuni infatti, decorsi diciotto mesi dell'entrata in vigore del T.u.s.p., alle società che presentano domanda di ammissione a quotazione dovrebbe applicarsi la medesima disciplina delle quotate, con sostanziale equiparazione sul piano giuridico sostanziale.

Ulteriori richiami attengono al trattamento fiscale. Ad esempio, per effetto dell'art. 1, comma 89, della Legge di Bilancio 2018, beneficiano di un credito di imposta le PMI che dal 1° gennaio 2018 iniziano una procedura di ammissione alla quotazione in un mercato regolamentato o in sistemi multilaterali di negoziazione di uno Stato membro dell'Unione europea, a condizione tuttavia che ottengano l'ammissione (Si veda amplius, G.M. COMMITTERI - F. IOVINO, Le principali agevolazioni per le imprese nella legge di bilancio 2018, in Corr. trib., 2018, 409).

L'agevolazione citata è pari al 50% dei costi di consulenza sostenuti nel periodo 2019-2021, fino ad un importo massimo di Euro 500.000, unicamente in caso di ottenimento dell'ammissione alla quotazione ed indipendentemente, stando al tenore letterale, alle modalità con cui l'operazione di quotazione viene strutturata (e.g., Ops piuttosto che Opv).

La disposizione da ultimo citata ha sollevato non pochi dubbi, soprattutto in relazione al coinvolgimento di una SPAC nel processo di quotazione di un'impresa operativa, la quale avrebbe titolo per accedere al beneficio in luogo della newco, che si configura quale mero strumento di raccolta di denaro (A. GERMANI, cit.).

L'orientamento della Consob in materia di applicabilità alla “società quotanda” di disposizioni della disciplina delle quotate

Ai fini che ci occupano, giova ricordare l'orientamento espresso dalla Consob con la Comunicazione DIE n. 0061499 del 18 luglio 2013 che, benché circoscritta all'interpretazione degli artt. 147-ter e 148 T.u.i.f., offre alcuni spunti di riflessione più ampi circa l'applicabilità della regolamentazione delle quotate anche alle non quotate.

In tale sede la Consob ha infatti ribadito che le società sono assoggettate alla disciplina degli emittenti solo a partire dal primo giorno di ammissione alla negoziazione delle azioni in un mercato regolamentato.

A tale data, ciascuna società deve avere adeguato il proprio statuto alle prescrizioni relative alla parità di genere, non ritenendo viceversa necessario l'adeguamento effettivo della composizione degli organi di amministrazione e di controllo prima della quotazione.

La Consob, tuttavia, ha “raccomandato” alle società che nell'immediatezza della quotazione rinnovino integralmente i propri organi sociali di osservare i criteri di equilibrio tra generi nella nomina dei componenti gli organi sociali, anche alla luce dei poteri di intervento che sono attribuiti alla Consob ai sensi degli artt. 147-ter, comma 1-ter, e 148, comma 1-bis, T.u.i.f. (v. in dottrina, A. BLANDINI - F. MASSA FELSANI, Dell'equilibrio sulle quote di genere: principi di fondo e “adattamenti” del diritto societario, in Riv. dir. comm., 2015, I, 443 ss.; L. CALVOSA - S. ROSSI, Gli equilibri di genere negli organi di amministrazione e controllo delle imprese, in Osservatorio dir. civ. e comm., 2013, 3 ss.; M. RUBINO DE RITIS, L'introduzione delle c.d. quote rosa negli organi di amministrazione e controllo di società quotate, in Nuove leggi civ., 2012, 309 ss. Per una disamina completa della composizione e dei requisiti soggettivi degli amministratori di società quotate, v. L.A. BIANCHI, Il T.u.f. e il consiglio di amministrazione degli emittenti, in Riv. Soc., 2014, 831 ss.; M. STELLA RICHTER jr., Sulla composizione e sulla elezione dell'organo amministrativo di una società quotata, in Riv. dir. comm., 2012, I, 51).

In altri termini, fermo restando che l'art. 119 T.u.i.f. delinea il perimetro di applicazione delle disposizioni di cui alla Parte IV, Titolo III, Capo II, specificando che esse operano, in via generale e fatta salva diversa indicazione, a partire dal primo giorno di ammissione alla negoziazione delle azioni in un mercato regolamentato; tuttavia si è posto il problema di stabilire se l'art. 147-ter, comma 1-ter, T.u.i.f. si applichi anche alle società quotande con efficacia dal primo giorno di inizio delle negoziazioni degli strumenti finanziari sul mercato regolamentato oppure dal primo rinnovo del consiglio di amministrazione successivo alla quotazione, atteso che non vi è alcuna previsione specifica che riguardi l'adeguamento delle società quotande alla disciplina in materia di equilibrio tra generi.

La Consob si è espressa nel senso di ritenere che, al momento dell'ammissione alla quotazione, incomba sugli emittenti solo l'obbligo di adeguamento dello statuto alla normativa in argomento, al fine di consentire, in occasione del primo rinnovo successivo dell'organo gestorio, di rispettare i criteri imposti dal T.u.i.f., garantendo peraltro l'applicazione di tali modalità per tre mandati successivi pieni. Tale principio vale anche per la nomina dei componenti l'organo di controllo.

Le argomentazioni sviluppate dall'Autorità di Vigilanza nella parte di motivazione della Comunicazione suggeriscono tuttavia le seguenti ulteriori conclusioni:

(a) l'opportunità (dichiarata), nell'imminenza della quotazione, di rinnovare le cariche sociali, adeguandone la composizione ai requisiti di genere previsti dagli artt. 147-ter e 148 T.u.i.f., nell'ottica di una «maggiore efficienza nel funzionamento» degli organi sociali;

(b) la necessità che, alla data di ammissione alla quotazione, sia garantita la presenza minima di componenti l'organo gestorio dotati di requisiti di indipendenza.

Infatti, con riferimento a quest'ultimo punto, la Consob, muovendo dal disposto dell'art. 119 T.u.i.f. secondo cui, in via generale, l'applicazione delle norme del Capo II del T.u.i.f. decorre dal primo giorno di ammissione alla negoziazione delle azioni in un mercato regolamentato, finisce per chiarire la portata sistematica dell'art. 147-ter T.u.i.f. che prescrive, in estrema sintesi: (a) l'elezione degli amministratori sulla base di liste di candidati; (b) il riparto degli amministratori da eleggere nel rispetto dell'equilibrio tra i generi; (c) la presenza di componenti espressi dalla lista di minoranza; (d) la presenza minima di componenti con requisiti di indipendenza.

L'obbligo di osservare quest'ultimo requisito discende direttamente dalla legge, in quanto «prescinde nel suo tenore letterale dalla procedura di nomina degli amministratori» e, pertanto, l'emittente deve «avere in seno al proprio organo di amministrazione gli amministratori indipendenti sin dall'inizio delle negoziazioni» (Consob, Comunicazione DIE n. 0061499 del 18 luglio 2013).

Di contro, in merito ai criteri sub (a), (b) e (c), è lo statuto a dover prevedere clausole compatibili con la citata normativa, sicché, in tema di equilibrio tra i generi, voto di lista e rappresentanza delle minoranze, si impone solo l'obbligo, alla data dell'ammissione a quotazione, di adeguamento dello statuto sociale. La violazione di tale dovere configurerebbe peraltro grave omissione da parte dell'organo amministrativo (cfr. artt. 2392 e 2393-bis c.c. e 187-quinquiesdecies T.u.i.f.) e dell'organo di controllo (cfr. artt. 2403 c.c. e 149 T.u.i.f.), passibile di sanzioni (cfr. M.E. MUSUMECI, Dai “soliti noti” alla “gender diversity”: come cambiano gli organi di amministrazione e controllo delle società (II parte). Gli adempimenti delle società quotate ed il procedimento sanzionatorio, in Giur. it., 2015, 2515).

In conclusione, dunque, l'orientamento espresso dalla Consob parrebbe introdurre un duplice ordine di obblighi in capo alla quotanda a seconda della fonte della prescrizione che, se di rango primario, indurrebbe la quotanda, ancor prima della quotazione, a fare già propri quei requisiti imposti dalla disciplina speciale applicabile alle quotate; di contro, il semplice dovere di introduzione negli statuti di clausole compatibili fa sì che l'efficacia delle stesse sia condizionata dalla effettiva ammissione a quotazione, con il rischio di rimanere lettera morta in caso di rigetto o ritiro della domanda.

Adempimenti formali e sostanziali prodromici alla quotazione: profili tassonomici

La società quotanda è chiamata, dunque, alla messa in atto di atti preliminari, compatibili con lo status di società non quotata, ma prodromici alla quotazione e che potrebbero essere ricondotti a:

(a) modifiche statutarie dichiaratamente finalizzate all'ammissione alla quotazione: si pensi alla delibera di aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione destinato a creare flottante per la quotazione (v. P. MARCHETTI - P. MAGNANI, Art. 148, in La disciplina delle società quotate nel Testo Unico della finanza, cit., 1659);

(b) modifiche statutarie finalizzate ad adeguare l'assetto statutario della società al futuro status di quotata: si tratta dell'introduzione di quelle previsioni statutarie che una società con azioni quotate deve necessariamente contemplare, compatibili con la disciplina delle non-quotate; quanto alle società che adottano il sistema di amministrazione e controllo tradizionale, si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alle disposizioni in materia di: criteri e modalità per la nomina del presidente del collegio sindacale (artt. 148, comma 1, lett. c), e 154 T.u.i.f.), limiti al cumulo degli incarichi dei sindaci (art. 148, comma 1, lett. d), T.u.i.f.), tutela delle minoranze (ad es. art. 148, comma 2, T.u.i.f.), numero dei sindaci effettivi e supplenti (art. 148, comma 1, lett. a) e b), T.u.i.f.), requisiti di onorabilità e professionalità dei sindaci non revisori (art. 148, comma 4, T.u.i.f. e art. 1, comma 3, del Decreto Ministeriale30 marzo 2000, n. 162), flussi informativi tra amministratori e collegio sindacale (art. 150, comma 1, T.u.i.f.);

(c) modifiche attinenti gli assetti organizzativi: la società quotanda è chiamata a dotarsi di meccanismi di corporate governance tipici delle società con azioni quotate (e finalizzati a realizzare una gestione più efficiente della società), come i comitati per le proposte di nomina e per la remunerazione degli amministratori o il comitato per il controllo interno ovvero la figura dei cosiddetti amministratori non esecutivi indipendenti o i regolamenti assembleari; è stato peraltro osservato, dal punto di vista empirico, che l'adeguamento dell'assetto organizzativo societario agli standard più elevati imposti dalla disciplina speciale, è direttamente correlato a performance economico-finanziarie più elevate, con sensibili effetti nella successiva fase di collocamento dei titoli ammessi a quotazione.

Nondimeno, con riguardo a tale ultimo aspetto, è stato dato atto di una fattiva moral suasion esercitata, negli ultimi anni, da Borsa Italiana durante il processo di quotazione, che ha comportato, secondo i dati più recenti, ad un'ampia applicazione del Codice di Autodisciplina da parte delle neo-quotate (85%), rispetto alle società con maggiore “anzianità” di quotazione (75%) (COMITATO PER LA CORPORATE GOVERNANCE, Relazione 2018 sull'evoluzione della corporate governance delle società quotate, 2018, 36, disponibile presso www.borsaitaliana.it).

Di conseguenza, benché non sussista alcun obbligo giuridico di conformità al Codice di Autodisciplina, si assiste ad una implementazione della sua adozione, dettata, inter alia, dall'esigenza delle imprese italiane di allineamento dei propri modelli di gestione e controllo intorno a standard più elevati, comunemente applicati dai player più efficienti, non solo a livello nazionale.

Se si considera inoltre il segmento merceologico, si osserva come alcune delle raccomandazioni del Codice di Autodisciplina abbiano già un carattere obbligatorio in base alla normativa del settore di riferimento (es. banche, assicurazioni, servizi pubblici), sicché, essendone addirittura imposta (ex lege) l'osservanza ancor prima dell'ammissione a quotazione, l'adozione dei principi di comportamento enucleati da Borsa Italiana diviene un pre-requisito, non derogabile, all'esercizio dell'attività propria dell'impresa (v. S. ALVARO - P. CICCAGLIONI - G. SICILIANO, cit.).

Il compimento degli atti supra sinteticamente richiamati, in quanto sintomatici dell'intenzione di quotarsi, induce una riflessione circa il momento a decorrere dal quale (i) la società risulterebbe sottoposta ad un regime che si scosta (parzialmente) da quello di ente non quotato, e (ii) la fase di pre-quotazione avrebbe inizio.

Al riguardo, vale osservare come:

(a) la misura di tale “cambiamento di status” (e le relative tempistiche) sia comunque rimessa all'autonomia privata, difettando sull'argomento un corpus di norme organico;

(b) non sia comunque condivisibile l'ipotesi — avanzata in dottrina — per la quale la società che si doti, già in sede di costituzione, di regole statutarie e organizzative tipiche del codice organizzativo delle quotate, possa essere qualificata sic et sempliciter “quotanda”, richiedendo l'ammissione alla quotazione apposita delibera che manifesti espressamente tale volontà da parte dell'ente societario.

Le argomentazioni che precedono suggeriscono altresì riflessioni in merito alla previsione di clausole statutarie incompatibili con lo status di non-quotata, cioè relative ad adeguamenti statutari obbligatori ai fini della quotazione (rectius: che devono sussistere all'atto di ammissione alla quotazione), ma che non sono ammessi dalla disciplina di diritto comune (sul punto, si vedano ad esempio le disposizioni in materia di azioni di risparmio).

Il thema attiene in sostanza all'efficacia di dette clausole (contemplate in atto costitutivo) che sarebbe sospensivamente condizionata al verificarsi dell'evento futuro e incerto della ammissione alla quotazione, ma, ovviamente, in tale eventualità, le clausole statutarie incompatibili con lo status di società non quotata non potranno essere efficaci sino a quando l'iter dell'ammissione alla quotazione non sia portato a compimento (al riguardo, si veda, M. BIANCA, Brevi riflessioni sulle clausole statutarie in tema di nomina dei sindaci di minoranza nelle società quotate, in Riv. dir. comm., 2000, I, 646 ss., secondo cui «nulla esclude che una clausola di tal specie possa essere da subito presente nello statuto». V. anche in argomento: M. STELLA RICHTER jr., Forma e contenuto dell'atto costitutivo della società per azioni, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo - G.B. Portale, 1*, Torino, 2004, 277 ss. e ID., Artt. 2326-2328, in Costituzione - Conferimenti cit., 129 ss.).

La questione risulta più complessa ove si indaghi:

(a) l'ammissibilità di successive delibere modificative dello statuto ad efficacia sospesa (i.e., i cui effetti si producano nel momento del definitivo perfezionamento della quotazione) e la loro iscrizione a registro delle imprese;

(b) le conseguenze derivanti dal ritiro della domanda di ammissione alla quotazione, prima che la stessa sia accettata dalla società di gestione del mercato.

L'efficacia medio tempore delle modifiche statutarie “obbligatorie” si colloca, in definitiva, all'interno della questione più ampia della regolamentazione dell'intervallo di tempo nel corso del quale la società, pur non essendo ancora quotata, deve dotarsi, via via, di uno statuto conforme a quanto richiesto per le quotate.

Come illustrato ai paragrafi che precedono, il “problema” è stato ad esempio preso in considerazione con riferimento alla disciplina delle azioni a voto maggiorato, nella parte in cui è stata introdotta la possibilità per le società quotande di prevedere clausole statutarie che attribuiscano voto maggiorato.

La scelta del Legislatore, in tale ipotesi, è stata quella di prendere posizione in modo palese, confermando in questo modo la delicatezza del tema e la non facile individuazione delle possibili soluzioni.

La “società quotanda” come sub modello di società che fa ricorso al mercato del capitale di rischio?

L'obiettivo di verificare se possa essere attribuita alla società prossima o tendente alla quotazione un'autonoma rilevanza dal punto di vista sistematico, alla luce delle considerazioni sviluppate nel presente contributo, pare più ragionevolmente inerire al quesito circa la possibile riconducibilità della quotanda all'interno della categoria unitaria delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

Sopra si è avuto modo di osservare come i riferimenti normativi all'impresa nella fase di pre-quotazione (al di fuori dei rimandi procedimentali) siano sporadici e disarticolati. Tantomeno la lettera delle (rare) disposizioni in materia depone per la qualificazione della quotanda quale “modello” a sé stante.

I confini di tale assunto, tuttavia, perdono la loro nitidezza ove si consideri che la ratio dello “statuto speciale” — come pure in dottrina si è ritenuto sussistere — per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio risiede nella tutela del risparmio e nella correlativa spinta all'economia ed all'investimento.

Al riguardo, si noti come l'impresa che assuma la decisione di quotarsi si apra — de facto — alla cosiddetta “variabile di mercato”, con le relative implicazioni sul piano delle strategie aziendali. In altri termini, già a partire dall'approvazione del progetto di quotazione da parte dell'organo amministrativo, verrebbe intrapreso un processo volontario di modifica degli assetti, anche organizzativi e di governance, che, in quanto preordinati alla quotazione, implicherebbero essi stessi un cambiamento del fine (da intendersi in senso economico-aziendale) dell'ente societario coincidente con la raccolta di risorse finanziarie.

Il distacco della quotanda dal modello di società chiusa, dunque, può essere apprezzato, adottando una prospettiva dinamica, che valorizzi le modifiche alla struttura aziendale impresse, sul piano fattuale, dalla decisione di quotarsi.

La ratio che ha animato (quantomeno nelle intenzioni) il Legislatore della riforma azionaria del 2003 è stata quella di tentare una riduzione del divario tra società azionarie aperte e chiuse. Tentativo che non pare pienamente riuscito, ma che non può essere trascurato ove si ritenga, come nel nostro caso, di enucleare possibili distinti modelli (o sotto-modelli) all'interno delle categorie espressamente contemplate dal codice civile.

Ciò è peraltro in linea con la tendenza accolta negli ultimi anni di introdurre, in seno alla disciplina speciale, un sistema di disposizioni “modulare”, ovvero diversamente calibrato in base, ad esempio, alle dimensioni o alle peculiarità delle singole imprese e non legato tout court alla qualificazione come società quotata ovvero chiusa. Si vedano, ad esempio, la disciplina relativa alle parti correlate oppure gli schemi introdotti dalla Direttiva n. 2013/34/UE in materia di redazione del bilancio di esercizio e di informativa contabile, che ammettono delle semplificazioni per alcune categorie di imprese, individuate sulla base di criteri economico-patrimoniali.

La differenziazione della quotanda rispetto alle ordinarie società chiuse non può prescindere dalla considerazione dei principi di fondo che governano la disciplina degli emittenti quotati, primi fra tutti quello della trasparenza e quello dell'informazione.

Il primo si traduce in un obbligo generale di correttezza, da osservare non solo nella gestione societaria, sottoposto all'attività di vigilanza delle Autorità indipendenti in quanto preordinato alla tutela degli investitori e del buon funzionamento del mercato finanziario.

Il secondo — collegato e complementare al primo — concerne invece l'insieme delle informazioni che debbono essere rese conoscibili agli azionisti e ai terzi. Tale principio si declina poi in regole stringenti finalizzate perlopiù a consentire agli investitori di valutare l'effettivo valore delle azioni oggetto di scambio sul mercato ovvero di impedire agli operatori, con posizioni di accesso privilegiato alle informazioni rilevanti, di utilizzarle indebitamente (M. CERA, Le società con azioni quotate nei mercati, cit., 2018, 31 ss.).

Trasparenza e informazione, eretti a clausola generale informante le disposizioni del T.u.i.f., in quanto tali, ben possono rappresentare anche il criterio ermeneutico per la valutazione delle condotte degli emittenti quotandi.

Sintomatici di tale assunto sono i meccanismi enunciati nei paragrafi che precedono con riguardo, soprattutto, alle prescrizioni MAR e alla scelta operata dal Legislatore con riferimento alle società con azioni diffuse in misura rilevante.

Se, infatti, interesse degli investitori e corretto funzionamento del mercato sono alla base della regolamentazione delle società cosiddette aperte, non vi sono ragioni per negarne la tutela anche in relazione a società prossime alla quotazione, in considerazione tra l'altro (i) dei mutamenti economico-finanziari che dalla quotazione derivano per gli azionisti, (ii) della attrattività medio tempore dell'impresa che abbia deciso di quotarsi, (iii) della sua posizione rispetto ai concorrenti, e (iv) della prossima sollecitazione di risparmio.

Nell'ipotesi in cui venga assunta la decisione di intraprendere un processo di quotazione, nella vita della società interviene, come detto, già la c.d. variabile “di mercato”, con conseguente ampliamento dello spettro di interessi coinvolti meritevoli di tutela (D. LATELLA, Informazione societaria e tutela delle minoranze nelle società quotate, in Società, banche e crisi d'impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, diretto da M. Campobasso - V. Cariello - V. Di Cataldo - F. Guerrera - A. Sciarrone Alibrandi, 1, Torino, 2014, 793).

Tale argomento introduce altresì un tema di sviluppo paritario e proporzionale delle dinamiche endosocietarie che garantisca simmetria nelle informazioni accessibili dai soci.

Muovendo dalla funzione protettiva del diritto di informazione endosocietaria così come delineato nel sistema della legislazione speciale (cfr. art. 130 T.u.i.f.), non pare sussistano ostacoli all'estensione analogica alle quotande delle disposizioni approntate a tutela degli azionisti (di minoranza), ove peraltro, nella fase antecedente alla quotazione delle azioni, la società è chiamata ad adeguarsi ai requisiti richiesti dal mercato al quale intende accedere con evidenti implicazioni (attuali e prospettiche) sulla struttura della partecipazione sociale.

Le considerazioni esposte depongono pertanto per ritenere, se non una autonomia piena in chiave istituzionale — data l'assenza di un corpus di regole organico (che è stato ad esempio dirimente per l'attribuzione alla quotata di tale status) — una riconducibilità latu sensu della quotanda a modello nell'ambito o species delle “società aperte”.

Va da sé che ove la quotanda abbia già azioni diffuse in misura rilevante, rimane comunque vincolata alle disposizioni espressamente applicabili a tale categoria di imprese.

Benché, dunque, non possa dirsi completa la ricostruzione della società che si accinge ad accedere alla quotazione come “modello” distinto, non possono negarsi le peculiarità insite nel mutamento di status ingenerato dall'assunzione della decisione di quotarsi, che la collocano in una posizione similare o prossima rispetto alle società cosiddette aperte che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, quindi con la possibilità di configurarlo come un sub modello di società aperta.

Se infatti lo stretto tenore letterale delle disposizioni esaminate e degli orientamenti espressi dalla Consob, allo stato, non consente di sostenere la sussistenza di una vera e propria categoria a sé, l'analisi sistematica delle norme e la loro ratio conducono ad un'estensione analogica alle quotande quantomeno delle best practice in fatto di corporate governance, in ragione anche degli obiettivi di fondo che la disciplina speciale in materia di sollecitazione di pubblico risparmio si propone: trasparenza, doveri di informazione e tutela degli investitori.

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