La “tolleranza zero” contro violenza e molestie lavorative: una rivoluzione in arrivo?

01 Ottobre 2021

Gli autori partendo dall'attuale situazione di supplenza giurisprudenziale e da un panorama legislativo frastagliato ed occasionale, analizzano la recente proposta di legge n. 2358 presentata in Senato il 4 agosto 2021, anche alla luce di alcuni dati giuri-metrici che per la prima volta vengono presentati pubblicamente.
Prologo

Da quanti decenni sentiamo parlare nel dibattito pubblico e in quello scientifico della necessità di una legge sul mobbing e, più in generale, sulle condotte vessatorie nei luoghi di lavoro?

Si tratta ovviamente di una domanda retorica che evidenzia, tuttavia, un aspetto rilevante della questione: da troppo tempo ormai un tema di grande rilevanza sociale qual è quello della lotta alla violenza e alle molestie sui luoghi di lavoro è lasciato da un lato agli umori estemporanei dell'opinione pubblica, che manifesta indignazione ed invoca interventi esemplari soltanto in occasione di gravi eventi (da ultimo quello che ha coinvolto la povera Sara Pedri) e dall'altro all'opera di supplenza pluridecennale della giurisprudenza, che ha dovuto operare nella quasi totale assenza – per non dire indifferenza - del legislatore.

Lo status quo: genesi etologica, supplenza giurisprudenziale ed occasionalità legislativa (1)

Il dibattito nella materia delle violenze, delle vessazioni e delle molestie sul posto di lavoro è stato dominato, per molti (forse troppi) anni, dalla “scoperta” del fenomeno del mobbing ovverosia di una categoria esplicativa propria delle scienze etologiche (2) che è stata trasposta, con gli opportuni adattamenti, alle comunità lavorative umane (3).

Si è trattato di un'acquisizione indubitabilmente importante operata dalla psicologia del lavoro, che è stata successivamente recepita ed utilizzata anche dalla scienza giuridica: un virtuoso esempio di come il dialogo tra differenti discipline possa fruttificare, tanto sul terreno epistemico (un tempo oggetto soltanto di riso amaro, se si pensa al personaggio cinematografico di Fantozzi, mobbizzato ante litteram) (4), quanto sul terreno più concreto della tutela (con la sanzione di atti e comportamenti datoriali neutri o addirittura leciti, ma inquadrati in una cornice persecutoria) (5).

Il successivo passaggio in assenza di un intervento legislativo è stato compiuto dalla giurisprudenza italiana la quale, attuando una meritoria opera di interpretazione “inventiva” (6) dell'art. 2087 c.c., ha costruito un'articolata e complessa fattispecie idonea a ricomprendere – e sanzionare - tutte le condotte persecutorie realizzabili sul luogo di lavoro.

In particolare, gli imprescindibili elementi costitutivi della fattispecie del mobbing cristallizzati nel diritto vivente sono quattro (7):

a)

una serie di comportamenti di carattere persecutorio (illeciti o anche leciti se considerati singolarmente) che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;

b)

l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;

c)

il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;

d)

l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante tutti i comportamenti lesivi;

Elemento qualificante è, in special modo, l'intento persecutorio che deve unificare i singoli atti o comportamenti e che implica non solo l'integrale onere della prova a carico del lavoratore ai sensi dell'art. 2697 c.c. ma, di più ed oltre, anche la necessità da parte del giudice di una “valutazione rigorosa della sistematicità della condotta e della sussistenza dell'intento emulativo o persecutorio che deve sorreggerla”(Cass., sez. lav., ord. 4 marzo 2021, n. 6079) (8).

Dal tronco del mobbing la giurisprudenza ha altresì ricavato -recependo anche in questo caso le più recenti acquisizioni della psicologia del lavoro (9) - la fattispecie dello straining (10)definita semplicisticamente quale “forma attenuata di mobbing, rientrante anch'esso nel paradigma dell'art. 2087 c.c. (11).

A quest'opera di lenta e progressiva sedimentazione svolta dal diritto vivente, si è affiancato l'occasionale ed estemporaneo intervento del legislatore che, animato da una visione di corto respiro e non di rado spinto soltanto dalla necessità di adempiere agli obblighi comunitari, ha introdotto soprattutto nel primo decennio degli anni duemila una serie di disposizioni che hanno reso il quadro normativo ancor più complesso e frastagliato.

Senza la pretesa di essere esaustivi (12), facciamo riferimento principalmente:

-

all'introduzione della categoria civilistica delle molestie connotate da specifici fattori di discriminazione, ovvero per motivi di razza e di origine etnica (art. 2 comma 3 d.lgs. 215/2003), per motivi di religione, per convinzioni personali, per handicap, per età, per orientamento sessuale (art. 2 comma 3 d.lgs. 216/2003)o per motivi di genere, ivi comprese le molestie sessuali (art. 26 d.lgs. 198/2006);

- alla codificazione della specifica fattispecie incriminatrice degli “atti persecutori” delineata dall'art. 612-bis c.p., originariamente prevista per la repressione del più ampio fenomeno dello stalking, che una recente e acuta pronuncia della Corte di cassazione ha esteso anche alle condotte di mobbing lavorativo, “in quanto la condotta descritta nella norma può esplicarsi con modalità atipica, in qualsivoglia ambito della vita, purché sia idonea a ledere il bene interesse tutelato e, dunque, la libertà morale della persona offesa, all'esito della necessaria verifica causale”(Cass. pen., sez. V, 14 settembre 2020, n. 31273);

- alla disciplina di protezione in materia di “whistleblowing”, riguardante il fenomeno del dipendente pubblico o privato che segnala o denuncia illeciti o irregolarità di cui sia venuto a conoscenza nello svolgimento delle prestazioni lavorative (l. 179/2017 e, di recente, la legge delega 22 aprile 2021, n. 53 recante all'art. 23 “Criteri e i principi direttivi per l'attuazione della Direttiva 2019/1937 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell'Unione”);

- alle norme in materia di sicurezza sul lavoro, ed in particolare alle specifiche disposizioni finalizzate alla prevenzione dei rischi collegati allo stress lavoro-correlato (art. 28 comma 1 d.lgs. 81/2008).

Questa, in estrema sintesi, è la cornice in cui si colloca il disegno di legge che andremo fra poco ad analizzare, non prima però di aver esposto alcuni interessanti dati che ci permetteranno di abbandonare l'approccio “emotivo” proprio di questo peculiare tema, recuperando al contempo un angolo visuale il più possibile oggettivo: partiamo dunque dai numeri e dalla loro intrinseca eloquenza.

Brevi riflessioni su alcuni dati giurimetrici

Soltanto l'1% (13) delle persone vittime di molestie e di violenza sui posti di lavoro decide di presentare denuncia alle competenti Autorità: segno evidente che la paura di rappresaglie e la sfiducia negli strumenti istituzionali di tutela hanno il sopravvento.

Ma vi è di più.

Nell'ambito delle controversie relative a fattispecie di “mobbing verticale” (14), la possibilità che i ricorsi presentati dai lavoratori trovino accoglimento è pari soltanto al 12%, a fronte di un 69% di rigetti e di un 19% di accoglimenti parziali (15): il che vuol dire che quasi sette presunte vittime di condotte persecutorie su dieci vedono le proprie domande arenarsi contro gli scogli del difetto di prova.

Il dato appare ancor più significativo se si considera la materia delle differenze retributive, analoga per onere della prova (16) e per tipologia di beni giuridici tutelati (17): in questo caso, la percentuale degli accoglimenti si impenna al 43% (quasi il quadruplo) a fronte di una quota di rigetti del 35% (quasi la metà rispetto ai casi di mobbing dall'alto verso il basso) (18).

Al netto della fisiologica quota di contenziosi oggettivamente infondati, i numeri manifestano comunque un evidente vuoto di tutela nell'ambito delle vessazioni lavorative. Analizziamone le possibili cause.

Non si può di certo parlare di insensibilità della magistratura del lavoro che, come abbiamo visto, rispetto alle rivendicazioni retributive ed in presenza di un'analoga strutturazione dell'onus probandi è intervenuta con decisione, garantendo ove possibile le richieste dei lavoratori.

Al contrario, l'esperienza pratica unita all'accurato studio della casistica giurisprudenziale evidenzia come le principali cause delle sconfortanti percentuali di accoglimento dei ricorsi possano essere fondamentalmente tre:

- una prima causa di ordine “culturale” definibile come “panmobbismo” (19), rappresentata dalla prassi deteriore di promuovere contenziosi giudiziali in cui il mobbing o lo straining vengono evocati a sproposito –se non addirittura temerariamente- in presenza di singoli provvedimenti disciplinari legittimi o addirittura di semplici episodi di fisiologica conflittualità lavorativa (20), in alcuni casi imputabili a problemi di relazione degli stessi ricorrenti (21);

- una seconda ragione di ordine “ambientale”, legata al “muro di gomma” dell'omertà lavorativa che spesso avvolge con una fitta coltre di nebbia le persecuzioni lavorative, condizionando pesantemente le testimonianze dei colleghi i quali risultano spesso intimiditi dalla possibile prospettiva di ritorsioni o rappresaglie da parte degli aggressori della vittima, alterando così in modo irreparabile il processo di accertamento della verità giudiziale;

- una terza causa di natura “tecnica”, connaturata alla complessa articolazione della fattispecie creata dal diritto vivente, ed avente –come abbiamo visto- quale requisito qualificante l'elemento soggettivo ovverosia l'intento persecutorio, che nella concreta prassi giudiziaria si è dimostrato essere quasi una diabolica probatio (22).

Se sulle ragioni di tipo culturale si può – e si deve - agire sul piano della formazione professionale e deontologica degli operatori (in particolar modo avvocati e periti di parte), sulle cause di natura ambientale e tecnica è invece imprescindibile l'intervento del legislatore.

Ma andiamo avanti, ed esaminiamo un ultimo ordine di dati, altrettanto significativi ai fini della presente analisi.

Con riferimento al campione di pronunce della Cassazione civile relative alle controversie di mobbing verticale, l'esame delle sentenze totalmente o parzialmente favorevoli al lavoratore (il 31% del totale, come abbiamo visto suddiviso nel 12% di accoglimenti totali e nel 19% di accoglimenti parziali) ci mostra anche le medie risarcitorie: si passa da un valore minimo di 3.783,00 euro ad un massimo di 94.330,08 euro, con una media complessiva di 28.239,69 (23) euro.

Ci sia permesso dire che si tratta di somme non degne di un paese civile, considerata soprattutto la gravità delle conseguenze che le vittime delle condotte persecutorie sul lavoro patiscono a livello personale, professionale e familiare (24).

Su questo humus, dunque, si innesta il disegno di legge n. 2358 a firma dei senatori Conzatti e Faraone, presentato il 4 agosto 2021 in Senato, che ora andiamo ad analizzare nei suoi elementi qualificanti.

Il d.d.l. n. 2358 “Disposizioni in materia di eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro”

Sin dalla relazione illustrativa, il disegno di legge in esame si propone quale concreta attuazione dei principi generali contenuti nella Convenzione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro n. 190 sull'eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro (25), la cui ratifica in Italia è stata recentemente autorizzata dal Parlamento con la l. 15 gennaio 2021, n. 4.

Lo scopo del d.d.l. n. 2358 è quello di riconoscere “il diritto di tutti ad un mondo del lavoro libero dalla violenza e dalle molestie”, promuovendo una “cultura del lavoro basata sul rispetto reciproco e sulla dignità dell'essere umano ai fini della prevenzione della violenza e delle molestie” (26),riprendendo espressamente la premessa della Convenzione OIL 190/2019.

L'intervento normativo, dunque, è collocato in una cornice di conformità non solo rispetto ai principi di derivazione costituzionale (27) ma anche rispetto a quelli derivanti dall'ordinamento dell'Unione Europea e dagli obblighi internazionali (28), non potendo prescindere “dal contesto multilivello delineato dalla coesistenza di molteplici ordinamenti giuridici reciprocamente interdipendenti” (29).

Di particolare rilievo per l'interprete, nell'opera di “sutura ermeneutica”, sono in particolar modo le norme contenute nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (30), nel Trattato sull'Unione europea (31), nella Carta sociale europea (32) e nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo (33).

L'ambito di applicazione della disciplina, delineato dall'art. 2, è definito su un triplice livello oggettivo, soggettivo e spaziale.

Sul piano oggettivo (34) il disegno di legge si rivolge a tutti i tipi di attività e di lavoro, privato e pubblico, indipendentemente dalla natura giuridica dello stesso (subordinato, autonomo, parasubordinato, di collaborazione, volontario et similia).

Sul piano soggettivo (35), in aderenza alla vocazione universalistica del disegno di legge, le disposizioni si applicano non solo a tutti i lavoratori e a tutte le lavoratrici ma anche a tutti i datori ed ai superiori gerarchici (oltre che alle persone in tirocinio e a quelle alla ricerca di lavoro): la logica che anima il legislatore, come si legge nella relazione preliminare (36), è quella di apprestare una tutela che copra allo stesso modo tutti i soggetti coinvolti nel mondo del lavoro, indipendentemente dal ruolo e dalla responsabilità esercitata. E' il riconoscimento, dunque, del fatto che le condotte persecutorie, violente e moleste nei luoghi di lavoro possono estrinsecarsi non solo nella classica dinamica “dall'alto verso il basso” ma anche in direzione radicalmente opposta, ovverosia “dal basso verso l'alto” (id est dal dipendente a danno del superiore gerarchico o del datore di lavoro).

Nell'ambito spaziale (37), infine, la tutela si estende a tutti i possibili luoghi di esplicazione della prestazione lavorativa, ovvero all'interno dei locali e delle aziende, nelle mense, negli spogliatoi o negli spazi relax, nei tragitti per andare e tornare dal lavoro, in locali esterni in occasione di eventi aziendali (cene, meeting, convention), nonché in regime di smart working, di lavoro agile o con qualsiasi altra modalità comunicativa a distanza.

Il riferimento espresso a “chi compie violenza o molestie in occasione di lavoro, in connessione con il lavoro o che scaturiscano dal lavoro” previsto dall'art. 2 comma 1 lett. c), alludendo espressamente al rapporto di occasionalità necessaria tra lavoro e violenza/molestie elaborato dalla giurisprudenza nella materia degli infortuni sul lavoro (38), consente di estendere la tutela anche alle potenziali condotte violente o moleste che i lavoratori possono subire da terzi (clienti, pazienti, studenti, genitori, parenti etc.), come espressamente richiesto dall'accordo quadro sulle molestie e sulla violenza del 26 aprile 2007.

La norma cardine, ovverosia quella definitoria della fattispecie contenuta nell'art. 3, è stata modellata operando una sintesi tra la definizione di violenza e di molestie contenuta nella Convenzione 190/2019 OIL (39) e la nozione di molestia introdotta dal legislatore italiano attraverso il recepimento delle direttive antidiscriminatorie (40).

Siamo dinanzi ad una disposizione “flessibile” ed “omnicomprensiva”, finalizzata ad apprestare alle vittime di violenza e di molestie una tutela ampia, attraverso la tecnica della fattispecie “atipica” ed “aperta” (41), modellata sul felice conio normativo dell'art. 2087 c.c. caratterizzato dalla sua potenziale adattabilità alle concrete e multiformi situazioni lavorative. Non ci sono dunque elenchi vincolanti o cataloghi esemplificativi delle concrete azioni moleste, avendo i proponenti preferito devolvere questo compito all'opera applicativa della giurisprudenza, nella convinzione – parafrasando Gustav Radbruch - che la legge sia più saggia del legislatore (42).

Accanto all'idoneità della norma a ricomprendere tutti i possibili fenomeni persecutori, molesti o violenti che si possono realizzare in un'unica occasione o sistematicamente (43) sul luogo di lavoro (dunque non solo il mobbing, lo straining ed il work stalking, ma anche quelle condotte che si traducano in un unico atto o comportamento violento o molesto), si pone la contestuale semplificazione della fattispecie che viene disegnata nel suo profilo oggettivo, eliminando del tutto il riferimento all'intento persecutorio e spostando il baricentro della tutela sull'effetto lesivo della condotta (44).

Viene in questo modo affrontata la causa di natura tecnica che abbiamo visto precedentemente essere alla base dell'alto numero di rigetti dei ricorsi in materia, evitando così alla vittima di condotte persecutorie di assolvere il diabolico onere probatorio relativo all'animus nocendi dell'aggressore. A ciò si aggiunge, quale ulteriore rimedio tecnico volto ad alleggerire l'onus probandi a carico della vittima, anche l'introduzione della prova indiziaria (45) modulata sul calco della normativa antidiscriminatoria sulla base di “elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di violenza o di molestie”, che comporta correlativamente per il convenuto “l'onere della prova sull'insussistenza della violenza o delle molestie denunciate” (46).

La chiave di volta del sistema delineato nel d.d.l. 2358 è rappresentata dal principio di effettività della tutela, che viene declinato attraverso due fasi di intervento: la prima, riguardante la prevenzione nei luoghi di lavoro, si sostanzia soprattutto in interventi organizzativi, informativi e di sorveglianza.

In particolare, gli articoli 4 (Obblighi del datore di lavoro) e 5 (Organizzazione e misure di prevenzione, protezione e vigilanza sul lavoro) configurano una duplice azione articolata in:

- Misure tipiche definite dalla legge, di natura informativa (47) (riunioni periodiche al fine di informare e formare tutti i soggetti protagonisti del sistema di prevenzione lavorativa), di organizzazione e vigilanza (48) (con l'estensione anche alla violenza e alle molestie degli obblighi di valutazione preventiva dei rischi, di informazione e addestramento e di sorveglianza sanitaria previsti dal d.lgs. 81/2008) e di protezione (49) (con l'obbligo per il datore di lavoro di accertamento dei fatti violenti o molesti denunciati e di attivazione dell'azione disciplinare a carico degli autori materiali);

- Misure atipiche devolute alla contrattazione collettiva nazionale (50), agli accordi sindacali e ai codici di condotta ed etici (51), al fine di introdurre misure idonee a prevenire, vigilare e reprimere la violenza e le molestie sui luoghi di lavoro; in particolare i CCNL devono prevedere l'istituzione di appositi organismi (sul modello dei Consiglieri di fiducia) (52) che consentano di prevenire e tutelare dalla violenza e dalle molestie, attraverso:

a) Informazione, formazione e aggiornamento dei lavoratori e delle lavoratrici;

b) Sostegno dei lavoratori e delle lavoratrici vittime di violenza e di molestie;

c) Definizione di procedure di denuncia e di accertamento;

d) Definizione di procedure di composizione delle controversie;

La seconda “fase di intervento” dei proponenti, improntata ad un'effettività ancora più marcata, è caratterizzata dalle misure di contrasto alle condotte violente e moleste: ed è qui che si rinvengono le disposizioni più innovative che, per certi versi, appaiono quasi rivoluzionarie.

Nell'alveo della Convenzione OIL 190/2019 che prescrive “l'adozione di misure che garantiscano una protezione efficace” (53), l'art. 8 (rubricato “Protezione della vittima, dei testimoni e degli informatori”) incide su quelle cause di natura ambientale che non solo sono alla base delle bassissime percentuali di denuncia da parte delle vittime ma che, soprattutto, costituiscono l'humus su cui attecchisce la malapianta dell'omertà lavorativa. Ecco prevista dunque la protezione contro le rappresaglie e le ritorsioni degli aggressori sia a favore delle vittime sia, soprattutto, a favore dei testimoni e degli informatori, attraverso la presunzione di nullità di tutti i provvedimenti datoriali aventi effetti negativi, diretti o indiretti, sulle loro condizioni di lavoro (quali, ad esempio, licenziamenti, mutamenti di mansioni, provvedimenti disciplinari, mutamenti del luogo di lavoro etc.). Si tratta di una disposizione modellata in analogia con la normativa introdotta recentemente a favore dei whistleblower (l. 179/2017) e delle vittime di discriminazioni e di molestie di genere nonché di molestie sessuali (art. 26, comma 3 e 3-bis d.lgs. 198/2006), che tuttavia si estende per la prima volta anche ai testimoni ed ai sommari informatori, allo scopo di garantire la genuinità dell'accertamento giudiziale e la sua immunità da “indebite” pressioni.

L'effettività della tutela nella fase di contrasto si articola anche attraverso altre misure, tra cui spiccano:

- La previsione di un rito accelerato dinanzi al Tribunale del lavoro competente (art. 6, commi 1, 2 e 3);

- L'obbligo per il Giudice di avvalersi della consulenza tecnica d'ufficio di un medico legale e di uno psicologo del lavoro non solo per l'accertamento e la liquidazione del danno patrimoniale e non patrimoniale, ma anche al fine di determinare la gravità del fatto accertato e delle eventuali conseguenze dannose che, come vedremo, sono i due principali parametri di determinazione delle “sanzioni civili” (art. 6 comma 4);

- L'introduzione di una specifica fattispecie di responsabilità risarcitoria oggettiva a carico dell'aggressore, salvo caso fortuito (art. 6 comma 7);

- L'estensione della procedura amministrativa dell'ammonimento questorile, che ha dato buoni risultati in materia di repressione dello stalking (art. 10);

- La pubblicazione del provvedimento di accoglimento della denuncia su due quotidiani nazionali a spese del soccombente, in analogia con la normativa antidiscriminatoria (art. 9 comma 4);

- L'ampliamento delle competenze degli Ispettorati del Lavoro e delle Consigliere di Parità in materia di prevenzione e contrasto delle condotte violente e moleste (art. 11);

Giova evidenziare un'altra disposizione particolarmente importante ed innovativa (54), giustificata dalla necessità di apprestare un'idonea tutela alle vittime che, giunte alla fase finale del proprio calvario lavorativo, decidano di rassegnare le dimissioni: in questo caso molto frequente nella prassi concreta, in aderenza a quanto prescritto dalla raccomandazione OIL 206/2019 (55), viene riconosciuto a favore della vittima di violenza o di molestie che si sia dimessa per giusta causa un indennizzo omnicomprensivo ricompreso tra un minimo di 6 ed un massimo di 36 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto (56), sul modello della disciplina vigente in materia di licenziamenti illegittimi.

Abbiamo poc'anzi parlato di possibile impatto rivoluzionario della disciplina prevista dal disegno di legge in esame: e tale pare essere, in prospettiva, l'impianto della norma più importante, ovvero l'art. 7 che prevede l'introduzione delle sanzioni civili, recte dei danni punitivi.

Partendo proprio dalla considerazione che “i risarcimenti in materia a favore delle vittime sono, in media, molto bassi e spesso non commisurati alla notevole gravità dei fatti e delle conseguenze dannose subite” (57), il d.d.l. 2358 anche alla luce della natura polifunzionale della responsabilità risarcitoria (58), affianca al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale in ottica compensativa anche la previsione del pagamento direttamente a favore della vittima di una sanzione civile a carico di ciascun soggetto responsabile di violenza o di molestie, sanzione ricompresa tra un minimo di 20.000,00 euro ed un massimo di 200.000,00 euro (che potrà aumentare da 40.000,00 a 400.000,00 euro in caso di lesione fisica o psichica che cagioni alla vittima un'invalidità lavorativa permanente) (59).

Siamo dinanzi, come abbiamo accennato prima, alla possibile introduzione nel nostro ordinamento giuridico dei “danni punitivi” (60), ovverosia di quell'istituto di derivazione anglosassone che prevede a favore della vittima -la quale si fa carico dei rischi e dei costi correlati alla funzione di private prosecutor (ovverosia di privato che esercita la funzione accusatoria)- un risarcimento del danno “ultracompensativo”, non corrispondente alla mera reintegrazione del danno patito ma contenente un quid pluris sanzionatorio di natura tanto afflittiva quanto deterrente (61).

I proponenti, inoltre, si muovono nel solco tracciato dalla pronuncia delle Sezioni Unite e nel pieno rispetto del principio di legalità definito dall'art. 23 Cost.: tipicità (previsione di una specifica fattispecie), proporzionalità (definizione di un minimo e di un massimo edittale) ed adeguatezza (commisurazione della sanzione civile alla particolarità del caso concreto).

Cambia radicalmente, quindi, la prospettiva della responsabilità civile che in questa specifica e delicata materia muta il baricentro, passando dalla vittima e dalla considerazione della sfera giuridico-patrimoniale del soggetto leso all'aggressore e, dunque, alla gravità della condotta lesiva realizzata.

Il disegno di legge, sotto questo profilo, non manca di una sua granitica coerenza: nella convinzione che “sia da evitare l'approccio pan-penalistico, considerato che la violenza e le molestie lavorative possono concretizzarsi in una pluralità di condotte già previste dalla legislazione penale” (62),non viene introdotta nessuna nuova fattispecie penale ma, al contrario, si ricorre allo strumento civilistico della responsabilità risarcitoria in chiave anche sanzionatorio/deterrente, ritenuta più adatta a contrastare la piaga della violenza lavorativa.

E' un approccio al problema totalmente giuslavoristico: ed è questa, probabilmente, la nota di più spiccata modernità del progetto di legge in esame.

Infine, un breve accenno occorre rivolgere ai limiti interni (63) che pure sono previsti nel d.d.l. 2358: nella convinzione che anche false accuse di molestie possano trasformarsi esse stesse in molestie, al fine di evitare possibili abusi delle incisive tutele apprestate, viene introdotta una responsabilità processuale da lite temeraria “rafforzata”, con l'obbligo di risarcimento del danno a carico del denunciante che abbia promosso l'azione con dolo o colpa grave. Inoltre, allorché il lavoratore o la lavoratrice abbia presentato dolosamente una falsa denuncia di violenza o di molestia, è riconosciuta la facoltà al datore di lavoro di procedere al licenziamento per giusta causa ai sensi dell'art. 2119, primo comma c.c.

Epilogo

Non sappiamo quale sarà il cammino di questo disegno di legge che ha mosso da poco i suoi primi passi nei corridoi parlamentari; tuttavia, auspichiamo che gli stimoli provenienti dall'approccio innovativo e da alcune disposizioni di dettaglio che incidono direttamente sui nodi della materia possano essere raccolti dagli studiosi del diritto, affinché fruttifichino.

“Può dirsi diritto solo ciò che tende alla giustizia” (64), scriveva il grande maestro Gustav Radbruch quasi un secolo fa: e lo ripetiamo anche noi, nella speranza che gli indifferibili strumenti che saranno scelti dal legislatore per eliminare la violenza e le molestie dal mondo del lavoro possano condurre la comunità lavorativa ad un definitivo progresso, ispirato al rispetto reciproco ed all'impreteribile valore della dignità umana.

Note

  1. Per un più ampio approfondimento, si rimanda a H. EGE – D. TAMBASCO, Il processo di codificazione delle disposizioni in materia di mobbing, straining e molestie sul lavoro: breve viaggio tra dogmi, intuizioni del singolare e nuovi orizzonti internazionali, in Labor, 3/2021; H. EGE – D. TAMBASCO, Il lavoro molesto, 2021,Milano, Giuffrè Lefebvre.
  2. Facciamo riferimento alla nota nozione di mobbing coniata per primo dall'etologo austriaco Konrad Lorenz, enunciata nel famoso saggio On aggression, 1963 (L'aggressività, Milano, Il Saggiatore, ed. 2015, pp. 32 e ss.), con cui si indica l'accerchiamento del branco con lo scopo di aggredire un altro animale lasciato isolato: “Il mobbing è naturalmente molto efficace tra gli erbivori più grandi e agguerriti che, se sono in molti, assalgono persino grossi predatori. Secondo un rapporto attendibile sembra che le zebre diano fastidio persino al leopardo se lo pescano in una steppa povera di ripari. L'aggressione sociale al lupo è ancora talmente nel sangue dei nostri bovini e dei maiali domestici che ci si può esporre a rischi seri ad attraversare un pascolo popolato da una mandria relativamente grossa in compagnia d'un giovane cane spaurito, il quale, invece di abbaiare contro gli aggressori o di darsela a gambe per conto suo, cerca protezione tra le gambe del padrone […] Io stesso una volta mi son dovuto gettare in un lago con la mia cagnetta Stasi per cercar salvezza a nuoto, perché una mandria di giovani bovini aveva formato un semicerchio intorno a noi e avanzava minacciosa” (p. 35).
  3. Si rimanda, in particolare, alle ricerche e teorizzazioni di Heinz Leymann, universalmente riconosciuto come il “padre del mobbing”. Si veda LEYMANN, Mobbing. Psychoterror am Arbeitsplatz und wie man sich dagegen wehren kann, Reinbek, Rowohlt, 1993; LEYMANN, The Content and Development of Mobbing at Work, in Mobbing and Victimization at Work, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, vol. 5, n. 263; LEYMANN – GUSTAFSSON, Mobbing at Work and the Development of Post-traumatic Stress Disorders, in Mobbing and Victimization at Work, European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, vol. 5, n. 2
  4. Il riferimento è alla famosa sentenza del Trib. La Spezia, sez. lav., 1 luglio 2005, n. 294 in EGE, La valutazione peritale del danno da Mobbing e da Straining, cit., p. 47: “Per far comprendere anche all'uomo qualunque cos'è il Mobbing, basta ricordare la figura del ragionier Fantozzi, relegato in un sottoscala dal tirannico capoufficio. Si tratta sicuramente del più famoso “mobbizzato” d'Italia che tuttavia non ha mai saputo di esserlo perché negli anni in cui la trasposizione cinematografica delle sue avventure divertiva gli spettatori, il Mobbing non era ancora studiato come fenomeno sociale in grado di causare gravi danni alla salute dei lavoratori”.
  5. Si rimanda, ex plurimis, alla nozione esposta nella nota pronuncia della Corte costituzionale n. 359 del 19 dicembre 2003 che, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale della legge regionale Lazio, 11 luglio 2002, n. 16 per violazione del riparto di competenza legislativa Stato-Regioni previsto dall'art. 117 Cost., ha dato una pregnante definizione del fenomeno del mobbing: “È noto che la sociologia ha mutuato il termine mobbing da una branca dell'etologia per designare un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all'obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo. Ciò implica l'esistenza di uno o più soggetti attivi cui i suindicati comportamenti siano ascrivibili e di un soggetto passivo che di tali comportamenti sia destinatario e vittima. Per quanto concerne i soggetti attivi vengono in evidenza le condotte - commissive o, in ipotesi, omissive - che possono estrinsecarsi sia in atti giuridici veri e propri sia in semplici comportamenti materiali aventi in ogni caso, gli uni e gli altri, la duplice peculiarità di poter essere, se esaminati singolarmente, anche leciti, legittimi o irrilevanti dal punto di vista giuridico, e tuttavia di acquisire comunque rilievo quali elementi della complessiva condotta caratterizzata nel suo insieme dall'effetto e talvolta, secondo alcuni, dallo scopo di persecuzione e di emarginazione”.
  6. Intesa come inventio, ovvero scoperta, recupero dell'esistente, secondo l'insegnamento di GROSSI, L'invenzione del diritto, Laterza, 2017, X: “il diritto quale risultato di una invenzione, percepito cioè non come qualcosa che si crea da parte del potere politico ma come qualcosa che si deve cercare e trovare (secondo il significato dello invenire latino) nelle radici di una civiltà, nel profondo della sua storia, nella identità più gelosa di una coscienza collettiva; e ne debbono essere inventori, fuori della vulgata corrente, in primo luogo i legislatori, ma, poi, anche i giuristi teorici e pratici nella loro complessa funzione”.
  7. Ex plurimis, Cass., sez. lav., ord. 4 marzo 2021, n. 6079; Cass., sez. lav., ord., 29 dicembre 2020, n. 29767; Cass., sez. lav., ord. 11 dicembre 2019, n. 32381.
  8. Si veda anche, ex plurimis, Cass., sez. lav., ord. 20 gennaio 2020, n. 1109; Cass., sez. lav., 20 novembre 2017, n. 27444; Cass., sez. lav., 24 novembre 2016, n. 24029.
  9. Si rimanda in particolare a H.EGE, Oltre il mobbing: straining, stalking e altre forme di conflittualità sul posto di lavoro, 2005, Milano, Franco Angeli.
  10. Si ricorda che la sentenza che per la prima volta ha riconosciuto in Italia il fenomeno dello straining è stata pronunciata dal Tribunale di Bergamo, sez. lav., 20 giugno 2005, n. 286, est. Bertoncini.
  11. Ex plurimis, Cass., sez. lav., 4 febbraio 2021, n. 2676; Cass., 19 febbraio 2018, n. 3977; Cass. 4 novembre 2016, n. 3291.
  12. Si rimanda alla già citata monografia di EGE-TAMBASCO, Il lavoro molesto, 2021, Milano, Giuffrè Lefebvre.
  13. Si tratta di dato riferito dal Direttore dell'OIL per l'Italia e San Marino, dott. Gianni Rosas, in occasione della conferenza stampa di presentazione in Senato del d.d.l. n. 2358, “Disposizioni in materia di eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro”, a firma dei Senatori Conzatti e Faraone, svoltasi il 20 settembre 2021.
  14. Chi scrive reputa più corretta la definizione di mobbing “dall'alto verso il basso”, che evidenzia meglio la dinamica discendente della condotta persecutoria, proveniente dal datore di lavoro (o dal superiore gerarchico) a danno del dipendente. Si rimanda a H.EGE, La valutazione peritale del danno da mobbing e da straining, Milano, 2019, Giuffrè Lefebvre, p.; H. EGE-D. TAMBASCO, Il lavoro molesto, Milano, 2021, Giuffrè Lefebvre, pp. 36-39. Si tratta ovviamente di una prospettiva significativa ma più limitata rispetto non solo alle ulteriori fattispecie del mobbing tra pari, del mobbing dal basso verso l'alto e dello straining, ma anche rispetto a quella più ampia della violenza e delle molestie in generale.
  15. Dato analizzato: 109 sentenze della Corte di cassazione civile, sezione lavoro; fonte Wolters Kluwer – One legale, funzione giurimetria. Le sentenze sono state analizzate attraverso l'utilizzo, per la prima volta, di un algoritmo con funzioni di giustizia predittiva.
  16. Sia nei contenziosi in materia di mobbing e straining sia in quelli più in generale relativi alle differenze retributive (per orario straordinario, per differente inquadramento et similia) l'onere della prova è a carico del lavoratore, ai sensi dell'art. 2697 c.c. Si veda in particolare, per il mobbing e lo straining (e più in generale per le condotte persecutorie sul luogo di lavoro), ex plurimisTAR Lombardia, Milano, sez. III, 13 gennaio 2021, n. 97; Trib. Teramo, sez. lav., 13 giugno 2020; Cass., sez. lav., 8 ottobre 2018, n. 24742. Per la rigorosa prova della prestazione lavorativa oltre l'orario normale, ex plurimis Cass., sez. lav., n. 16150 del 19 giugno 2018; Cass., sez. lav., n. 4076 del 20 febbraio 2018; Cass., sez. lav., n. 2144 del 3 febbraio 2005; sul differente livello di inquadramento, ex plurimis , Trib. Milano, sez. lav., n. 862/2015; Cass. sez. lav., 30580/2019; Cass. 26593/2018, 10961/2018, 8142/2018, 21329/2017. Un argomento a parte costituiscono le condotte moleste connotate da specifici fattori di discriminazione normativamente tipizzati (molestie di genere, di razza, di origine etnica, di nazionalità, di orientamento sessuale, per convinzioni personali, per età, per handicap, per religione), come abbiamo visto oggetto di specifica disciplina da parte dei rispettivi decreti legislativi di recepimento delle direttive eurounitarie (d.lgs. 198/2006; d.lgs. 215/2003; d.lgs. 216/2003), per cui si applica l'onere probatorio attenuato previsto dall'art. 40 del d.lgs. 198/2006 (codice delle pari opportunità per le molestie di genere) e dall'art. 28 comma 4 d.lgs. 150/2011 (per tutti gli altri tipi di molestie).
  17. La dignità della persona ai sensi degli artt. 2 e 3 Cost. nelle condotte persecutorie e moleste; il diritto ad un'esistenza libera e dignitosa ex art. 36 Cost. per le controversie retributive. Sul principio di dignità quale architrave del sistema costituzionale, si rimanda a S. RODOTA', Il diritto di avere diritti, 2012, Roma-Bari, Laterza.
  18. Dato analizzato: 1432 sentenze della Corte di cassazione civile, sezione lavoro; fonte Wolters Kluwer – One legale, funzione giurimetria.
  19. Sul “panmobbismo”, si rimanda al già citato saggio di H. EGE-D. TAMBASCO, Il processo di codificazione delle disposizioni in materia di mobbing, straining e molestie sul lavoro: breve viaggio tra dogmi, intuizioni del singolare e nuovi orizzonti internazionali, in Labor,3/2021, pp. 279-28
  20. Frequente è il richiamo della giurisprudenza in ordine all'irrilevanza delle condotte riconducibili a contrasti dovuti alla normale conflittualità dell'ambiente lavorativo nonché alla differenza sostanziale tra conflitto e vessazione: “nel conflitto, infatti, vi possono essere un vincitore ed uno sconfitto ma le parti, almeno all'inizio, combattono su un piano di parità mentre nella vessazione vi è soltanto una vittima, sostanzialmente non in grado di difendersi con un minimo di adeguatezza” (Trib. Bologna, sez. lav., 28 aprile 2010; conf. Cass., sez. lav., 19 gennaio 2018, n. 1381; Cons. Stato, sez. VI, 4 novembre 2014, n. 5419).
  21. Cass., sez. lav., 21 aprile 2009, n. 9477; Trib. Udine, sez. lav., 17 marzo 2017, n. 51.
  22. Sul rigetto di numerosi ricorsi giudiziali a causa soprattutto della mancata prova dell'intento persecutorio, si veda MEUCCI, Danni da mobbing e loro risarcibilità,2012, Roma, Ediesse, pp. 103 e ss. e nota 60.
  23. Dato analizzato: 109 sentenze della Corte di cassazione civile, sezione lavoro; fonte Wolters Kluwer – One legale, funzione giurimetria.
  24. Sulla gravità dei pregiudizi derivanti dalle condotte persecutorie lavorative, si rimanda a H. EGE, La valutazione peritale del danno da mobbing e straining, cit.
  25. I principi generali della Convenzione OIL n. 190 adottata a Ginevra il 21 giugno 2019 nel corso della 108^ sessione della Conferenza Generale dell'OIL sono declinati concretamente nei criteri direttivi contenuti nell'allegata Raccomandazione 206/2019 OIL (Raccomandazione sull'eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro), anch'essa approvata in pari data. Per un primo commento sulla Convenzione OIL n. 190, si rimanda a S. SCARPONI, La convenzione n. 190/2019 OIL su violenza e molestie nel lavoro e i riflessi nel diritto interno, in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, 2021, n. 1, I, pp. 23 e ss.
  26. Atti parlamentari Senato della Repubblica, d.d.l. n. 2358, p. 2.
  27. Art. 1 d.d.l. n. 2358: “La presente legge, in attuazione dei principi stabiliti dagli articoli 2, 3, 4, 32, 35 e 41 della Costituzione…”.
  28. Art. 1 d.d.l. n. 2358: “nonché di quelli derivanti dall'ordinamento dell'Unione Europea e dagli obblighi internazionali”.Si tratta, anche in questo caso, di previsione che tiene conto dei limiti previsti dall'art.117 comma 1 Cost., considerato che i trattati internazionali hanno rango sub-costituzionale, essendo norme interposte tra la Costituzione e le leggi ordinarie (si veda Corte costituzionale, sentenze n. 348 e 349 del 2007).
  29. Atti parlamentari Senato della Repubblica, d.d.l. n. 2358, p. 2.
  30. Art. 1 (tutela della dignità umana), art. 2 (diritto all'integrità fisica e psichica di ogni persona), art. 5 (proibizione della schiavitù e del lavoro forzato), artt. 20-26 (principio di uguaglianza e di non discriminazione), art. 31 (diritto a condizioni di lavoro giuste, eque e dignitose), art. 32 (protezione del lavoro minorile), art. 35 (garanzia di un elevato livello di protezione della salute umana, art. 47 (principio di effettività della tutela dei diritti).
  31. Art. 2 (tutela dell'inviolabile dignità umana), art. 3 (lotta alle discriminazioni e giustizia sociale), art. 19 (principio di effettività della tutela giurisdizionale), art. 153, comma 1 lett. a) (miglioramento dell'ambiente di lavoro finalizzato alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori).
  32. Art. 2 (diritto ad eque condizioni di lavoro), art. 3 (diritto alla sicurezza sul lavoro), art. 20 (diritto alla parità di trattamento e divieto di discriminazioni basate sul genere), art. 26 (diritto alla dignità sul lavoro).
  33. Art. 13 (principio di effettività), art. 4 (divieto di schiavitù e di ogni forma di lavoro forzato), art. 14 (divieto di discriminazione), art. 17 (divieto dell'abuso di diritto).
  34. Art. 2 comma 1 lett. a) d.d.l. 2358: “Ai settori di attività, privati o pubblici, indipendentemente dalla modalità di svolgimento dell'attività lavorativa, dalla mansione svolta, dal livello di inquadramento o dalla categoria legale acquisita”.
  35. Art. 2 comma 1 lett. b) d.d.l. 2358: “Ai lavoratori e alle lavoratrici, ai datori e alle datrici di lavoro, ai superiori gerarchici, alle persone in formazione, ai tirocinanti e agli apprendisti nonché alle persone alla ricerca di un impiego o candidate a un lavoro”.
  36. Atti parlamentari Senato della Repubblica, d.d.l. n. 2358, p. 3.
  37. Art. 2 comma 1 lett. c) d.d.l. 2358.
  38. Ex plurimis, Cass. n. 9913/2016.
  39. Art. 1 comma 1 lett. a) Conv. 190/2019 OIL: “L'espressione violenza e molestie nel mondo del lavoro indica un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un'unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico, e include la violenza e le molestie di genere”.
  40. Facciamo riferimento alle già citate disposizioni in materia di molestie per ragioni di razza e origine etnica (d.lgs. 215/2003), per religione, handicap, età, convinzioni personali, orientamento sessuale (d.lgs. 216/2003) e per genere, ivi comprese le molestie sessuali (d.lgs. 198/2006).
  41. 41. Art. 3 d.d.l. n. 2358: Ai fini della presente legge si intendono per ‘violenza e molestie nell'ambito del posto di lavoro' le pratiche, gli atti, i patti, le azioni, le ritorsioni o i comportamenti indesiderati, anche omissivi, compresi la minaccia o l'istigazione a porli in essere che, in un'unica occasione o reiteratamente”.
  42. G. RADBRUCH, Filosofia del diritto, Milano, Giuffrè Lefebvre, ed. 2021, p. 125: “L'interprete può comprendere la legge meglio di quanto hanno fatto i suoi creatori, la legge può essere più saggia dei suoi autori – anzi, deve necessariamente esserlo”.
  43. Nella realtà fenomenica, ben diversa da quella giuridica animata solo da fattispecie ovvero species facti (surrogati dei fatti), mentre le condotte persecutorie (tra cui rientrano il mobbing, lo straining ed il work stalking) si caratterizzano per una pluralità di azioni attuate più volte al mese o per conseguenze lavorative deteriori e costanti, le violenze e le molestie si esauriscono in un'unica condotta realizzata in un singolo momento (aggressioni fisiche, verbali o molestie sessuali), vide EGE-TAMBASCO, Il lavoro molesto, cit., p. 16.
  44. 44. Art. 3 d.d.l. n. 2358: “abbiano lo scopo o l'effetto di causare un danno patrimoniale o non patrimoniale o la violazione della dignità di una persona o di una pluralità di persone o la creazione di un clima lavorativo intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”.
  45. Art. 7 comma 1 d.d.l. n. 2358.
  46. Si tratta del cosiddetto “onere della prova asimmetrico”, già previsto dalla normativa antidiscriminatoria con l'art. 40 d.lgs. 198/2006 e con l'art. 28 comma 4 d.lgs. 150/2011, attraverso cui “rimane fermo per l'attore l'onere della prova, ma l'assolvimento dello stesso richiede il conseguimento di un grado di certezza minore rispetto a quello consueto. In sintesi: dimostrati i fatti che fanno ritenere probabile la discriminazione, spetta alla controparte dimostrarne l'insussistenza” (cfr. Cass., 5 giugno 2013, n. 14206; App. Milano, sez. lav., sentenza 17 giugno 2020, n. 380). In definitiva, “Ciò che rileva è che gli elementi di fatto addotti abbiano i caratteri della precisione e della concordanza e che da essi possa desumersi per inferenza che la discriminazione o le molestie abbiano avuto luogo, così da far scattare l'onere per il datore di lavoro di dimostrarne l'insussistenza”(App. Milano, sez. lav., 17 giugno 2020, n. 380, cit.). Si rimanda a EGE-TAMBASCO, Il lavoro molesto, cit.,p. 50.
  47. Art. 5 commi 4, 5 e 8 e 9 d.d.l. n. 2358.
  48. Art. 5 commi 1, 2 e 3 d.d.l. n. 2358.
  49. Art. 4 d.d.l. n. 2358.
  50. Art. 5 comma 7 d.d.l. n. 2358.
  51. Art. 5 comma 6 d.d.l. n. 2358.
  52. Si tratta di una figura prevista in diversi CCNL di settore, che è al centro di tre possibili procedure: una informale e riservata, che consiste nel tentativo di composizione della controversia mediante rapporto diretto con l'autore della condotta vessatoria. Il fine della procedura è assicurare, a seguito del dialogo tra le parti con la mediazione del Consigliere di Fiducia, che il molestatore si asterrà dal compiere in futuro altri comportamenti indesiderati. Nel caso in cui le parti raggiungano una conciliazione, l'aggressore non è soggetto a sanzioni; una formale, solitamente amministrata dal Dirigente o dal Consiglio di amministrazione, in cui il Consigliere di Fiducia assiste la parte denunziante, e che può chiudersi con un provvedimento disciplinare a carico dell'aggressore o con il suo trasferimento per incompatibilità ambientale, ferma restando in ogni caso la cessazione della condotta violenta o molesta; una arbitrale, in cui il Consigliere di Fiducia assume il ruolo di arbitro delegato alla risoluzione della controversia attraverso l'adozione dei provvedimenti necessari, allorché le parti abbiano deciso di devolvere all'arbitrato irrituale la definizione del contenzioso insorto.
  53. [1] Art. 8 comma 1 lett. c) Conv. 190/2019 OIL. In particolare, l'art. 10 lett. b) IV prescrive la “protezione contro la vittimizzazione o le ritorsioni nei confronti dei querelanti, vittime, testimoni e informatori”.
  54. Art. 7 comma 4 d.d.l. n. 2358.
  55. Art. 14 lett. a) Racc. 206/2019 OIL: “I meccanismi di ricorso e di risarcimento di cui all'articolo 10 b) della Convenzione potrebbero includere: a) il diritto alle dimissioni con indennità”.
  56. I criteri di commisurazione dell'indennità sono gli stessi previsti, come vedremo fra poco, per la determinazione delle sanzioni civili, ovverosia la gravità del fatto e delle eventuali conseguenze dannose, la condotta stragiudiziale e processuale del convenuto e le condizioni delle parti (art. 7 comma 2 d.d.l. 2358).
  57. Atti parlamentari Senato della Repubblica, d.d.l. n. 2358, p. 5.
  58. Si fa riferimento alla nota pronuncia della Cass., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601.
  59. Anche in questo caso in conformità con l'art. 15 della Raccomandazione 206/2019 OIL, che stabilisce come “Le vittime di violenza e molestie nel mondo del lavoro dovrebbero poter accedere a risarcimenti in caso di lesioni o malattie di natura psicosociale o fisica, o di qualsiasi altra natura, che causino inabilità lavorativa”.
  60. Sebbene, come evidenziato anche dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite, già da tempo non siano estranee al nostro ordinamento alcune fattispecie risarcitorie “ultra compensative”, quali ad esempio quelle previste per la lite temeraria dall'art. 96 c.p.c. per il processo civile e dall'art. 26 comma 2 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 per il processo amministrativo. Addirittura di sanzioni pecuniarie civili, sebbene devolute a favore non della vittima ma della Cassa delle ammende, si parla nel decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 che ha depenalizzato alcune fattispecie di reato, sostituendo le sanzioni penali proprio con le sanzioni pecuniarie civili.
  61. Per un'approfondita e completa analisi dell'istituto, si rimanda alla trattazione di P. MARIOTTI, P. MASINI, R. CAMINITI, Danni punitivi. Profili giuridici e assicurativi dopo la sentenza n. 16601/2017 delle SS.UU. della Corte di cassazione, 2017, Maggioli.
  62. Atti parlamentari Senato della Repubblica, d.d.l. n. 2358, p. 5.
  63. Art. 6 commi 5 e 6 d.d.l. 2358.
  64. G. RADBRUCH, Filosofia del diritto, cit., p. 206.

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