La composizione negoziata di cui al D.L. 118/2021: svolgimento e conclusione delle trattative

Luigi Amerigo Bottai
04 Ottobre 2021

Viene esaminato il nuovo istituto della composizione negoziata della crisi d'impresa introdotto dal D.L. 118/2021, la cui struttura, come evidenzia l'Autore, non costituisce una novità nell'ordinamento, poiché ricalca il parallelo percorso previsto dal Codice della crisi, che agli artt. 19 e ss. disegna la composizione assistita davanti all'Ocri.
Il vincolo della Direttiva sui Preventive Restructuring Frameworks e i nuovi principi del diritto della crisi d'impresa: la rescue culture

Buoni ultimi, dopo che numerosi paesi europei hanno già varato specifiche misure per consentire alle aziende in difficoltà di fronteggiare le conseguenze economiche della pandemia, arriva anche l'Italia ad apprestare strumenti negoziali pensati per rispondere alle esigenze impellenti delle imprese, dei creditori, dei lavoratori e del mercato in genere nel periodo in cui vengono a cessare le moratorie bancarie, i divieti di licenziamento e i plurimi sostegni o ristori concessi dal governo.

Non v'è spazio per analizzare partitamente ciascuna recente riforma continentale (la STARUG in Germania, il Traitement de sortie de crise in Francia, il CERP in Olanda, e analoghe procedure in Spagna, Belgio, Irlanda) (Per una rassegna delle recenti legislazioni europee si rimanda alle pubblicazioni trimestrali dell'Osservatorio Internazionale sulla crisi di impresa, in cndcec.it. Mentre negli USA è in vigore lo Small Business Reorganization Act per le MPI (un sub Chapter V al Chapter 11), ma qui si può indicare il comun divisore di tutte: l'intento di dare attuazione agli artt. 4 e 5 della Direttiva 2019/1023, che, diffondendo la cultura della prevenzione e del salvataggio dell'impresa in crisi (nonché quella di concedere una seconda opportunità al debitore in stato di difficoltà economico-finanziaria), impegnano gli Stati membri, qualora sussista una probabilità di insolvenza, a fornire alle imprese in difficoltà l'accesso a uno o più quadri di ristrutturazione preventiva - consistenti non solo in procedure concorsuali ma anche in semplici misure negoziali - “al fine di impedire l'insolvenza e di assicurare la loro sostenibilità economica, fatte salve altre soluzioni volte a evitare l'insolvenza, così da tutelare i posti di lavoro e preservare l'attività imprenditoriale”.

La Direttiva, vincolante per gli Stati membri, persegue l'obiettivo di escludere solo i debitori che non abbiano prospettive di sostenibilità economica, ed era stata preceduta dalla Raccomandazione della Commissione del 12 marzo 2014 (2014/135/UE) denominata "un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all'insolvenza", che aveva i medesimi oggetto e finalità ma non erano stati pienamente accolti nei singoli ordinamenti. Si è così resa necessaria la loro trasposizione nella Direttiva 1023.

Sulla spinta delle raccomandazioni specifiche del Consiglio Europeo all'Italia sulla lentezza e inefficienza del sistema giudiziario, fra gli obiettivi del PNRR il Governo – per quanto qui interessa - si è impegnato ad apportare modifiche al Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza

  • attuando la Direttiva UE n. 1023/2019
  • rivedendo gli accordi di risoluzione extragiudiziale al fine di incentivare le parti a farne un maggior uso;
  • potenziando i meccanismi di allerta;
  • specializzando gli uffici giudiziari e le autorità amministrative competenti per le procedure concorsuali;
  • implementando la digitalizzazione delle procedure anche attraverso la creazione di una apposita piattaforma online.

Anticipando la conclusione, si deve constatare come il D.L. 118 abbia recepito interamente i criteri direttivi UE, anche e soprattutto come filosofia di fondo: l'emersione anticipata della crisi e la "precocità" della fase di ristrutturazione, ovvero in sintesi la rescue culture e i corollari principi di semplificazione, celerità, economicità e modernizzazione delle discipline e di prevalenza delle soluzioni negoziate, stante il favor per i meccanismi e le tecniche di conservazione delle strutture produttive (cfr. A. NIGRO, I principi generali della nuova riforma “organica” delle procedure concorsuali, in Riv. Dir. banca, 2020, 1, 12 s.).

Si apre, così, la strada all'importazione di ulteriori rilevanti modifiche alle procedure concorsuali esistenti in base alla legge di delegazione europea n. 53/2021 (per il recepimento della Direttiva 1023 entro luglio 2022 è stata prorogata la durata in carica della Commissione di riforma istituita con DM 22.4.2021 e presieduta dalla Prof. I. Pagni).

E la Direttiva 1023, nell'affermare la volontà di salvaguardare anche i diritti dei lavoratori (in particolare nelle PMI) e dei principali stakeholders (fornitori, banche, consumatori e clienti, erario, enti previdenziali, soci) (Concetto introdotto già nel 1984 da E. FREEMAN e dal medesimo aggiornato in Stakeholder Theory: The State of the Art, Cambridge University Press, 2010), non trascura di certo la tutela di tutti i creditori (v. gli artt. da 6 a 11 e i Considerando 35 ss.): con riguardo a questi ultimi è stato elaborato il principio di assenza di pregiudizio, ovverosia del No creditor worse off (NCWO) (su cui v. già il d.lgs. 180/2015, art. 52, di recepimento della direttiva BRRD, nonché da ultimo il pregevole saggio di I. DONATI, Crisi d'impresa e diritto di proprietà. Dalla responsabilità patrimoniale all'assenza di pregiudizio, in Riv. Soc., 2020, 164 ss. §§ 5-7, e il contributo di L. STANGHELLINI, Verso uno statuto dei diritti dei soci di società in crisi, in RDS, 2020, 304)., che declina la tutela del diritto di proprietà, qual è considerato ormai anche il diritto di credito a livello costituzionale ed europeo, nella materia della crisi d'impresa come diritto a non essere pregiudicati rispetto all'alternativa della liquidazione.

Anche nel D.L. 118 i diritti dei creditori vengono vieppiú assicurati, nel massimo grado di intensità esigibile in un contesto di crisi – non si dimentichi che l'odierna crisi mondiale ha cause sistemiche -, sia dai pagamenti ordinari ai fornitori (artt. 6, co. 1 e 9, co. 2), sia dai rapidi trasferimenti delle aziende, se del caso previo affitto, nell'ambito della composizione negoziata.

La celerità dell'operazione di cessione è notoriamente dirimente per la riuscita del salvataggio, come testimonia da sempre il successo del modello USA del Chapter 11 (privo di procedure competitive obbligate, alla stregua dell'art.163-bis l.f.) verso cui tendono tutti gli ordinamenti europei e la Direttiva 1023.

Per (cercare di) dare un quadro esaustivo del nuovo istituto della composizione negoziata della crisi introdotto dal D.L. 118/2021 appare opportuno esaminarne la disciplina – limitatamente al profilo dello svolgimento e della conclusione delle negoziazioni (artt. 4-15), oggetto del presente contributo - dal punto di vista di ciascuno dei tre protagonisti coinvolti: debitore proponente, creditori, esperto mediatore.

Del primo e del terzo occorre anche indagare le responsabilità in caso di ritardi, errori od omissioni, per comprenderne i limiti di azione.

Volendo individuare il punto focale e filo conduttore dell'intervento legislativo in commento si può fin d'ora apprezzare come sia stata ripristinata nel discorso politico la centralità dell'istituzione "impresa" - tanto quelle in crisi, quanto quelle creditrici, conferendo loro la piena e libera disponibilità dei diritti in contesa -, con il connesso bilanciamento degli interessi in conflitto lasciato alle capacità negoziali degli attori in gioco, auspicabilmente orientati dall'esperto mediatore (sulla cui figura ruota l'intera riforma), pur sempre all'interno di una cornice normativa conforme al diritto UE (sulla ritrovata centralità dell'impresa anche nella fase di crisi, imposta dalla Raccomandazione UE 135 del 2014 e dalla Direttiva 1023, v. P. MONTALENTI, Diritto dell'impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto societario della crisi: appunti, in Giur. Comm., 2018, 62 ss. Ora anche S. PACCHI, Le misure urgenti in materia di crisi d'impresa e di risanamento aziendale (ovvero: i cambi di cultura sono sempre difficili), in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 2021, 8) e con il supporto tecnologico di presidi digitali come la piattaforma on-line e il test di autovalutazione dello stato di difficoltà che ciascuna impresa può sperimentare autonomamente.

Tuttavia, la debole attrattività delle misure premiali, limitate a minimi vantaggi fiscali solo per il debitore (e nulla per i creditori), lascia pronosticare l'ennesima conferma che la via della "disintermediazione giudiziaria", tentata sin dalla precedente riforma del 2005 e soprattutto posta a base della deflazione del processo civile, non sarà facilmente perseguibile in un paese geneticamente conflittuale come il nostro.

Differenze con la composizione assistita del CCI

La struttura della fase di composizione negoziata della crisi non è una novità nell'ordinamento, poiché ricalca il parallelo percorso previsto dal Codice della crisi, che agli artt. 19 e ss. disegna la composizione assistita davanti all'Ocri (Già M. FERRO, Allerta e composizione assistita della crisi nel D.Lgs. n. 14/2019: le istituzioni della concorsualità preventiva, in Fall., 2019, 419, aveva rimarcato come sugli Organismi di composizione della crisi fosse riposta “l'intera scommessa” delle necessitate soluzioni “pregiurisdizionali”).

Ma entrambi i modelli sono ispirati ai procedimenti del mandat ad hoc e della conciliation da tempo operanti in Francia (cfr. G. CARMELLINO, Le droit francais des entreprises en difficulté e i rapporti con la nuova normativa europea, in Fall., 2015, 1057), laddove però il tribunale commerciale che nomina il professionista indipendente, non è composto da magistrati togati, bensì da giudici eletti tra i commercianti o i dirigenti di società commerciali (già gli artt. 825 e 827 del Codice di Commercio del 1882 disciplinavano l'accordo amichevole durante la moratoria prefallimentare, da stipularsi con la maggioranza dei creditori che rappresentasse almeno il 75% del passivo, alla sola condizione che i creditori partecipi dell'accordo assumessero "insieme col debitore le conseguenze di ogni lite coi dissenzienti e, ove occorra, l'intero pagamento dei loro crediti". Era una procedura stragiudiziale, che non aveva un contenuto predeterminato e dunque, con salvezza dei diritti dei dissenzienti (sempre in rapporto al risultato fallimentare), poteva ricomprendere ogni tipo di pattuizione volta a comporre il conflitto tra debitore e creditori partecipi dell'accordo).

Restando nell'ordinamento interno attuale, i due istituti della composizione - assistita nel Codice della crisi e negoziata nel D.L. 118 -, volti alla ricerca e alla facilitazione di accordi con creditori e terzi idonei a superare la crisi, non sembrano così distanti l'uno dall'altro: la Relazione illustrativa al D.lgs. 14/2019 prevede che anche nel Codice "la soluzione viene ricercata mediante una trattativa con i creditori, favorita dall'intervento dell'OCRI che si pone come una sorta di mediatore attivo tra le parti. L'articolo 19 dispone che l'iniziativa per l'attivazione del procedimento di composizione assistita della crisi appartenga solo al debitore"[1].

Stabilisce l'ultimo comma che se, all'esito delle trattative, il debitore raggiunge un accordo con i creditori, detto accordo debba essere formalizzato per iscritto e depositato presso l'OCRI, che può consentirne la visione e l'estrazione di copie solo a coloro che l'hanno sottoscritto. E le misure premiali sono analoghe a quelle appresso descritte per la composizione negoziata.

Tuttavia va sottolineato come a) la monocraticità dell'organismo indipendente nel D.L. 118, b) l'assenza di congrua disciplina nel CCI in ordine agli effetti dell'attività compiuta dal debitore e dall'esperto - viceversa ben articolati negli artt. 9-13 del D.L. 118 -, c) il venir meno di segnalazioni esterne all'impresa, con contestuale responsabilizzazione dell'organo di controllo e d) lo sbocco conclusivo “libero” in caso di esito negativo delle trattative, che nel CCI conduce(va) invece alla segnalazione al pubblico ministero, rendano decisamente più fluida (e completa) la regolamentazione della composizione negoziata.

La Relazione illustrativa al d.lgs. 14/2019 prevede che anche nel Codice "la ristrutturazione del debito, la soluzione viene ricercata mediante una trattativa con i creditori, favorita dall'intervento dell'OCRI che si pone come una sorta di mediatore attivo tra le parti. L'articolo 19 dispone che l'iniziativa per l'attivazione del procedimento di composizione assistita della crisi appartenga solo al debitore"(Ulteriori somiglianze si ravvisano nel prosieguo: sempre la Relazione esplicativa rimarca l'opportunità per l'OCRI di farsi "parte attiva, se ciò sia utile per favorire l'accordo con l'autorevolezza che gli deriva dal ruolo. Il termine può essere prorogato fino ad un massimo di altri tre mesi solo se risulta che le trattative segnano un progresso verso la soluzione concordata. Nel più breve tempo possibile il collegio deve acquisire dal debitore una relazione aggiornata sulla situazione economica e finanziaria dell'impresa ed un elenco dei creditori e dei titolari di diritti reali e personali, con l'indicazione dell'ammontare dei crediti e delle eventuali cause di prelazione (...)”).

Dispone l'ultimo comma che se, all'esito delle trattative, il debitore raggiunge un accordo con i creditori, detto accordo debba essere formalizzato per iscritto e depositato presso l'OCRI, che può consentirne la visione e l'estrazione di copie solo a coloro che l'hanno sottoscritto". E le misure premiali sono analoghe a quelle appresso descritte per la composizione negoziata.


La prospettiva del debitore

Prendendo le mosse dal soggetto direttamente interessato e unico legittimato ad avviare la procedura stragiudiziale - di cui si sottolinea che può essere qualsiasi imprenditore, anche agricolo, e di qualunque dimensione, purché si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale od economico-finanziario e il risanamento risulti "ragionevolmente perseguibile" (su tale essenziale requisito, da (auto)valutare con l'apposita lista di controllo e il test di cui all'art. 3, co. 2, si rinvia ai contributi già pubblicati in questo portale) -, non si può fare a meno di notare come la fase delle trattative costituisca il banco di prova

-della sufficienza dell'allerta light (artt. 5 e 15 del D.L.: quest'ultima norma onera l'organo di controllo societario di segnalare per iscritto all'organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell'istanza compositiva), come propugnata dalla Direttiva 2019/1023 (cfr. L. PANZANI, Il D.L. "Pagni" ovvero la lezione (positiva) del covid, in dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021, che giustamente annovera anche la lista di controllo e il test di autodiagnosi fra i servizi consulenziali di cui fa parola l'art. 3 della Direttiva; v. anche S. LEUZZI, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. n. 118 del 2021, in dirittodellacrisi.it, 28 settembre 2021) e

-della tempestività della reazione del proponente nell'avviare il procedimento, tale da convincere i creditori ad addivenire agli accordi di risanamento o ristrutturazione, per il rischio che, in mancanza, il debitore attivi il concordato semplificato di liquidazione (da cui il soddisfacimento ritraibile sarà verosimilmente inferiore).

Come rilevava nel 2006 un illustre Autore (F. D'ALESSANDRO, La crisi delle procedure concorsuali e le linee della riforma: profili generali, in Giust. Civ., 2006, 329, § 5.: “l'efficienza, anche quella di una procedura concorsuale, si misura nel rapporto tra un input e un output. Se il fallimento trova un patrimonio inconsistente o nullo - come avviene, secondo le statistiche, in una larghissima quota di casi - non gli si potrà rimproverare di aver lasciato del tutto o quasi del tutto insoddisfatti i creditori), i risultati delle procedure concorsuali dipendono dagli attivi realizzabili, che in una fase precoce delle difficoltà possono essere maggiormente appetibili per vari interessati.

Di conseguenza le negoziazioni, svolte in regime di riservatezza, secondo i canoni della buona fede e della correttezza (art. 4, co. 4 e 7, in continuità con gli artt. 3 e 4 CCI) e con l'assistenza dei consulenti graditi al debitore (art. 5, co. 5 D.L. 118), non potranno non sortire effetti vantaggiosi per tutti (nel settore dei crediti bancari deteriorati l'efficienza dei recuperi per via negoziale, a confronto con quella giudiziale, è assodata: cfr. G. GALLO, I crediti deteriorati. Tecniche di gestione negoziale: cessione e ristrutturazione, in dirittobancario.it, 4 luglio 2019).

Le clausole generali della buona fede e della solidarietà economica sono qui richiamate siccome strettamente dipendenti dal bilanciamento degli interessi in campo, che il legislatore ha operato dando preminenza al salvataggio/risanamento dell'impresa in crisi per le ragioni esposte nei Considerando e nei primi articoli della Direttiva 1023 (Cfr. in tema I. DONATI, op. cit., § 6-7, secondo il quale tale indirizzo normativo poggia sulla diffusa e documentata convinzione che l'anticipazione del momento in cui viene affrontata la crisi abbia un positivo effetto sulle possibilità di successo del tentativo di risanamento. Ma si chiede “sino a che punto è possibile spingere in avanti lo sguardo per accertare la sussistenza di una probabilità di futura insolvenza dell'impresa”, per concludere che il limite invalicabile è costituito dal diritto di credito declinato però, in contesti di crisi, nell'accezione del “principio dell'assenza di pregiudizio”, che “richiede che ciascun socio o creditore dissenziente riceva un trattamento economico almeno pari a quello che gli sarebbe spettato nello scenario attuativo della responsabilità patrimoniale, in concreto, più probabile” (nella Direttiva 1023 v. art. 2, par. 1, n. 6). Sull'argomento della tutela del credito si rimanda alle riflessioni di G. FAUCEGLIA, La legislazione in tempo di pandemia e la metamorfosi del diritto della crisi, in Giur. Comm., 2021, 431, e D. GALLETTI, Breve storia di una (contro)riforma “annunciata, in questo portale, 1 settembre 2021).

L'imprenditore deve rappresentare compiutamente e trasparentemente la propria situazione complessiva all'esperto, ai creditori e alle controparti contrattuali e a tal fine deve depositare tutta la documentazione prescritta dell'art. 5, co. 3. Si tratta dell'intero corredo documentale richiesto per il concordato preventivo e per l'omologa degli accordi di ristrutturazione sia dalla legge fallimentare che dal CCI, con l'aggiunta di una relazione sintetica sull'attività esercitata, cui va annesso il piano finanziario e industriale per i successivi sei mesi e le risultanze della Centrale rischi non anteriori di 3 mesi.

Le micro imprese potranno avvalersi dell'apposito modello offerto dalla piattaforma telematica. In proposito è d'uopo notare come il test preliminare di autovalutazione consentirà, tramite una check list particolareggiata, di verificare le probabilità di risanamento dell'impresa, analizzandone altresì la coerenza.

Sarà, inoltre, messo a disposizione delle parti un protocollo di conduzione delle negoziazioni, nel quale si potrà apprezzare un vademecum utile tanto per la gestione provvisoria dell'impresa durante le trattative, quanto per la formulazione delle proposte ai creditori (con appendice relativa alla stima dell'azienda per il caso di liquidazione del patrimonio).

Con i fornitori non si intuiscono soverchie difficoltà, potendo il debitore insieme al mediatore proporre la prosecuzione dei rapporti commerciali a diverse condizioni. I fornitori strategici avranno interesse a trattare, mentre quelli occasionali dovranno essere liquidati.

Con le banche, invece, gli elementi di incertezza appaiono molteplici: dalla titolarità del credito - se in capo all'istituto originario o ai successivi cessionari, con le conseguenti diverse aspettative di rientro: altro è cercare di ridurre le perdite, altro ricavare profitti notevoli - allo stadio di classificazione del credito deteriorato (stage 2 o 3), dalla vetustà di esso alla quantità di accantonamenti già effettuati.

Sia con i fornitori che con le banche il maggior rischio risiede, piuttosto, nella imminente entrata in funzione del registro dei pegni non possessori (Cfr. D.MEF. 25.5.2021, n. 114, pubbl. in G.U. il 10 agosto 2021), che dopo un'attesa di quasi sei anni promette di modificare in radice il modo di fare impresa, posto che il finanziatore più forte potrà ottenere dal debitore l'iscrizione del pegno sugli assets fruttuosi dell'impresa finora non pignorabili (ivi inclusi i flussi di cassa futuri e l'intero ramo aziendale), con conseguente pressoché totale azzeramento della garanzia patrimoniale per tutti gli altri creditori.

Non è stata prevista la possibilità di avvalersi della transazione fiscale e contributiva per la semplice ragione che quegli strumenti accedono a procedure formali (come gli accordi di ristrutturazione e il concordato preventivo), che restano attivabili come esito della composizione negoziata ai sensi dell'art. 11.

(Segue) La gestione dell'impresa (art. 9)

Sulla gestione dell'impresa durante le negoziazioni l'art. 9 del D.L. ha il pregio della chiarezza: si lascia al debitore l'amministrazione ordinaria e straordinaria, in quanto egli non è ancora in stato di dissesto, precisando tuttavia al comma 1 che "quando sussiste probabilità di insolvenza" la gestione deve essere improntata in modo da garantire "la sostenibilità economico-finanziaria dell'attività" (E' il pendant del dovere di cui all'art. 4, co. 5, di non pregiudicare "ingiustamente" gli interessi dei creditori).

La sostenibilità non è concetto diverso dalla continuità aziendale, benché presupponga la verifica mediante il test di autodiagnosi di cui all'art. 3 (essenzialmente rileva l'indice DSCR, Debt Service Coverage Ratio).

Sugli atti più importanti - ossia i pagamenti rilevanti e gli atti eccedenti l'ordinaria gestione [la cui definizione è rinvenibile (dopo talune oscillazioni) nell'orientamento giurisprudenziale ribadito da Cass. n. 14713/19 e successive] - il debitore deve "informa(re) preventivamente l'esperto, per iscritto", qualora non appaiano coerenti rispetto alle trattative in corso o alle prospettive di risanamento. Va da sé che la coerenza deve essere intesa in senso stretto e rigido, posto che, come si deduce dall'art. 12, co. 2, sulla conservazione degli effetti dell'attività compiuta, l'incoerenza con le trattative o con le prospettive risanatorie esistenti lascia esperire le azioni revocatorie nel conseguente eventuale fallimento successivo ovvero, in ogni caso, le azioni recuperatorie e risarcitorie derivanti dal loro compimento (v. art. 12, co., 3 e 4).

L'omessa informativa, ancorché non disciplinata espressamente dall'art. 9, dovrebbe comportare una grave responsabilità per il debitore - anche di natura penale (per bancarotta fraudolenta) se sopraggiunga il fallimento - al pari dell'esecuzione di quegli atti contro la volontà dell'esperto debitamente informato. Inoltre fa scattare l'obbligo di segnalazione in capo all'esperto medesimo ai sensi dell'art. 9, co. 3 e 4 (il quale deve attivarsi immediatamente per scoprire l'accaduto) e soprattutto l'iscrizione del dissenso di quest'ultimo nel registro delle imprese nei dieci giorni dalla scoperta, con gli effetti di cui agli artt. 9, co. 5, e 12 (v. infra).

In proposito si può osservare che le azioni revocatorie fallimentari dopo 180 giorni o più (anche oltre i 240 giorni) di durata della composizione assistita saranno difficilmente ipotizzabili in assenza di una norma (analoga all'art. 69-bis l.f.) che faccia decorrere i termini almeno dalla pubblicazione della domanda di applicazione di misure protettive nel registro delle imprese, se il fallimento sia stato dichiarato entro un breve termine e come effetto della medesima crisi.

(Segue) Le misure premiali (art. 14) e gli altri incentivi

Ricalcando la disciplina della composizione assistita nel codice della crisi, anche la composizione negoziata è incentivata da misure premiali (riprese dall'art. 25 CCI, senza il richiamo delle lett. d) ed e) del comma 1), ma unicamente di carattere fiscale. Ad avviso di chi scrive sono insufficienti e poco attrattive, vuoi perché circoscritte al solo debitore e non concesse anche ai creditori o ai terzi coinvolti nelle negoziazioni, vuoi perché non estese alle attenuanti per i reati fallimentari contenuta nell'art. 25 CCI (L. PANZANI, op. cit., nota che "Diversamente dal codice della crisi non è stata riproposta la norma di cui all'art. 25, comma 2, CCII per l'ipotesi che il danno sia di speciale tenuità e l'attenuante ad effetto speciale per il caso in cui il valore dell'attivo inventariato od offerto ai creditori assicuri il soddisfacimento di almeno un quinto dell'ammontare dei debiti chirografari e, comunque, il danno complessivo cagionato non superi l'importo di 2.000.000 di euro". Lo stesso Autore (in La tempestività dell'istanza non è più rilevante, Focus N&T, Sole 24 Ore del 9.9.2021) rileva che la norma del CCI in parola era stata criticata poiché implicava accertamenti tecnici complessi).

Comunque esse prevedono a far data dall'accettazione dell'incarico dell'esperto fino alla conclusione della composizione negoziata mediante una delle soluzioni contemplate dall'art. 11, co. 1 e 2,

a) la riduzione degli interessi (al tasso legale codicistico) e delle sanzioni (nelle misure indicate dall'art. 14, co. 2 e 3, del D.L. 118);

b) la dilazione in un massimo di 72 rate mensili dei debiti tributari, anche prima dell'iscrizione a ruolo delle somme dovute, secondo regole parzialmente diverse dall'ordinaria disciplina della rateazione dei debiti iscritti a ruolo, se l'istanza sia sottoscritta anche dall'esperto (detta rateizzazione serve a superare l'ostacolo alla predisposizione dei piani di ristrutturazione finché non viene avviata la riscossione);

c) l'applicazione alle sopravvenienze attive sui debiti (per il proponente) e alle perdite su crediti (per i creditori) degli artt. 88, co. 4-ter e 101, co. 5, D.P.R. 917/86 e 26, co. 3-bis, D.P.R. 633/72, ma soltanto dalla data di pubblicazione del contratto o degli accordi di cui all'art. 11 D.L. 118.

In caso di fallimento le riduzioni predette vengono meno, mentre dalle rateazioni si decade per il mancato pagamento anche di una sola rata alla scadenza e per la presentazione della domanda di accesso al concordato preventivo o ad una delle altre procedure concorsuali.

In realtà, ben più efficaci sembrano altre agevolazioni, disseminate nell'articolato, che “premiano” il ricorso allo strumento compositivo; in estrema sintesi si tratta:

- della sospensione – rimessa alla volontà del debitore - degli obblighi di ricapitalizzazione per perdite rilevanti e della connessa causa di scioglimento (art. 8) dalla pubblicazione nel RI dell'istanza di misure protettive fino alla conclusione delle trattative o all'archiviazione dell'istanza di composizione negoziata;

- della conservazione degli effetti per gli atti autorizzati dal tribunale (finanziamenti prededucibili, cessioni di rami d'azienda, rinegoziazione dei contratti divenuti eccessivamente onerosi per il Covid) allorché in seguito si acceda alle procedure concorsuali tradizionali (art. 12, comma 1);

- dell'esenzione da revocatoria per gli atti e i pagamenti coerenti con le trattative e le prospettive di risanamento (art. 12, co. 2 e 3);

- dell'esonero da responsabilità penale per i fatti di bancarotta preferenziale e bancarotta semplice di cui agli artt. 216, co. 3 e 217 l.f. degli atti e pagamenti “coerenti” e di quelli autorizzati dal giudice (art. 12, co. 5);

- della possibilità di conferire all'eventuale accordo di ristrutturazione sottoscritto anche dall'esperto gli effetti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d), l.f. senza necessità dell'attestazione (art. 11);

- della possibilità di presentare il concordato semplificato di liquidazione se l'esperto nella relazione finale dichiari che le trattative hanno avuto esito positivo.

(Segue) Le necessarie autorizzazioni giudiziali (art. 10)

Allorché si renda necessario i) ricorrere a finanziamenti, sia di soci (o del gruppo societario di appartenenza) che di terzi, o ii) procedere al trasferimento “in qualunque forma” dell'azienda o di uno o più rami di essa, l'art. 10, comma 1, dispone che allo scopo di concedere la prededuzione ex art. 111 l.f. ai primi e l'esenzione dalla responsabilità solidale ex art. 2560 cpv. al cessionario, l'imprenditore debba richiedere l'autorizzazione al tribunale (territorialmente competente in base alla sede legale o effettiva), che decide in composizione monocratica, previa audizione degli interessati e ove lo ritenga nominando un ausiliare ex art. 68 c.p.c.

In conformità alla Direttiva 1023 (artt. 2, par. 1, n. 1, e 17) dette operazioni rivestono rilievo significativo e abbisognano di un sindacato giudiziale autorizzativo: è il secondo momento in cui l'autorità giudiziaria viene chiamata ad intervenire, dopo la conferma delle misure protettive.

Non sarà infrequente che il giudice, replicando quanto avviene oggi, disponga la ricerca di offerte alternative e concorrenti prima di autorizzare finanziamenti o affitti o cessioni di rami aziendali (Qualora sussistano più potenziali acquirenti, essi si potranno palesare all'esperto indipendente, che ben volentieri li metterà in competizione - non foss'altro che per l'incremento del compenso ex art. 16 -, oltre al fatto che il giudice con ogni probabilità ordinerà una gara al fine di concedere l'autorizzazione ex art. 10).

Qualora, però, vi sia urgenza o rischio di perdere l'affare l'impresa proponente potrà reclamare il provvedimento suddetto, dimostrando l'assenza di pregiudizio per i creditori.

Il procedimento, come per le misure protettive, segue le regole dei procedimenti camerali, in quanto compatibili, ossia gli artt. 737 e ss. c.p.c., ma il riferimento all'art. 9 l. fall. per l'individuazione della competenza indica che si verte in materia “concorsuale” e, quindi, la sezione cui demandare la decisione sarà quella c.d. fallimentare, ove esistente (e non il tribunale delle imprese o le sezioni ordinarie del tribunale civile).

La mancata autorizzazione a contrarre finanziamenti o a trasferire l'azienda indurrebbe i creditori a sospendere le trattative, avviando così il debitore verso la via giudiziaria e recuperando le garanzie procedurali più tranquillizzanti per i soggetti coinvolti.

Ulteriore possibilità per il debitore è quella di chiedere la riconduzione ad equità dei contratti ad esecuzione continuata, periodica o differita (esclusi quelli di lavoro) che siano divenuti eccessivamente onerosi per effetto delle misure emergenziali di questi 2 anni: in tali casi l'art. 10, comma 2, autorizza il tribunale (competente ex art. 9 l.f., sempre in composizione monocratica e con le regole processuali già viste, sentito l'esperto) a rideterminare l'equilibrio delle condizioni contrattuali per il periodo strettamente necessario, eventualmente assegnando alla controparte un indennizzo.

Anche detto strumento sembra assimilabile all'istituto di cui all'art. 169-bis l.f., con la decisiva differenza, tuttavia, che non ogni contratto considerato non più conveniente potrà essere modificato dal giudice, in quanto la situazione presupposta è rappresentata dallo squilibrio economico-patrimoniale o finanziario dell'impresa collegato alla pandemia che però in prospettiva risulti ragionevolmente risanabile senza ricorrere a procedure concorsuali.

(Segue) L'ausilio delle misure protettive (artt. 6 e 7)

Tuttavia, lo strumento principale di ausilio per l'avanzamento delle trattative è costituito dalla possibilità per il debitore di ottenere dal giudice la concessione di misure protettive (Il tema trattato non consente l'approfondimento delle tematiche create dalle misure protettive, disciplinate in maniera non troppo dissimile dal CCI, per le quali si rinvia a G. BOZZA, Le misure protettive e cautelari nel Codice della crisi e dell'insolvenza, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 18 luglio 2021), anche cautelari, che preservino il patrimonio aziendale dalle aggressioni dei singoli creditori.

E' il c.d. automatic stay, che l'ordinamento concorsuale statunitense da sempre pone alla base di ogni tentativo di riorganizzazione (v. U.S. Bankruptcy Code, Section 362 del noto Chapter 11), non tanto a garanzia di un'ormai superata concezione rigida della par condicio creditorum quanto per salvaguardare la fattibilità del piano di ristrutturazione e l'efficacia delle trattative volte alla composizione della crisi, che altrimenti verrebbero pregiudicate dalle iniziative processuali e cautelari di qualunque creditore. Non richiede dimostrazione il rischio di asfissia oltre alle diseconomie che un pignoramento dei conti correnti o dei crediti dell'impresa (divenuto oggi estremamente rapido grazie alle modalità telematiche di ricerca dei beni da pignorare: art. 492-bis cpc) provocherebbe nel momento in cui la liquidità diviene il bene più prezioso per l'operazione di risanamento.

Il D.L. 118, sulla scia della Direttiva 1023 (artt. 6 e 7) (I principi basilari della normativa UE, al fine di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione, sono: - che la sospensione delle azioni esecutive individuali possa riguardare tutti i tipi di crediti, compresi quelli garantiti e privilegiati, ma gli Stati membri possono esentare o limitare il blocco per “uno o più singoli creditori o categorie di creditori” (art. 6, par. 3); - in caso di sospensione limitata, essa si applica solamente ai creditori che siano stati informati delle trattative sul piano di ristrutturazione o della sospensione;- l'esclusione predetta deve essere “giustificata”, ossia qualora: a) un'azione esecutiva non sia suscettibile di compromettere la ristrutturazione dell'impresa; oppure b) la sospensione comporti un ingiusto pregiudizio dei creditori che vantano tali crediti), detta una disciplina esaustiva della materia, poiché facoltizza l'imprenditore a chiedere, già con l'istanza di nomina dell'esperto oppure con successiva istanza presentata sempre sulla piattaforma con le modalità telematica di cui all'art. 5, l'applicazione di misure protettive del patrimonio, che possono essere di qualsiasi genere e tipo ritenuto utile.

L'istanza di applicazione delle misure protettive, coinvolgendo diritti di terzi (anch'essi imprenditori), va pubblicata nel registro delle imprese - unitamente all'accettazione dell'esperto, se coeva – e da quel giorno “i creditori non possono acquisire diritti di prelazione se non concordati con l'imprenditore né possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l'attività d'impresa” (art. 6, co. 1) (Ma la Direttiva, all'art. 7, par. 3, precisa che la sospensione delle azioni esecutive individuali potrebbe essere derogata “in situazioni in cui il debitore sia incapace di pagare i suoi debiti in scadenza. In tali casi, gli Stati membri provvedono affinché l'autorità giudiziaria o amministrativa possa decidere di mantenere il beneficio della sospensione delle azioni esecutive individuali se, tenendo conto delle circostanze del caso, l'apertura di una procedura di insolvenza che potrebbe concludersi con la liquidazione delle attività del debitore non fosse nell'interesse generale dei creditori”).

Norma fondamentale, contenuta nel medesimo comma 1, è quella che consente di eseguire pagamenti anche ai creditori pregressi. In ciò risiede una novità assoluta rispetto a quanto finora la legge (art. 182-quinquies l.f.) e la giurisprudenza (Tutti ricordiamo l'insegnamento di Cass. 12 gennaio 2007, n. 578, secondo cui “l'art. 168, nel porre il divieto di azioni esecutive da parte dei creditori, comporta implicitamente il divieto di pagamento di debiti anteriori, perché sarebbe incongruo che ciò che il creditore non può ottenere in via di esecuzione forzata possa conseguire in virtù di spontaneo adempimento, essendo in entrambi i casi violato proprio il principio di parità di trattamento dei creditori”. Nella composizione negoziata le ragioni di par condicio chiaramente recedono).

Ma la scelta di quali e quanti di essi possano essere pagati è prerogativa da condividere con l'esperto, per via di quanto disposto nel successivo art. 9, commi 2, 3 e 4. L'inosservanza produce la sanzione ivi prevista della segnalazione o dell'iscrizione del dissenso nel RI.

Nell'istanza l'imprenditore deve dichiarare l'esistenza di misure esecutive o cautelari e l'eventuale pendenza di ricorsi per la dichiarazione di fallimento, i quali vengono congelati (almeno la sentenza, atteso che l'istruttoria potrebbe proseguire: comma 4). Com'è stato osservato, i mezzi di tutela dei diritti dei creditori – tra i quali non va annoverata l'istanza di fallimento, benché spesso venga strumentalmente utilizzata a scopo di “pressione” - passano attraverso il procedimento di conferma delle misure protettive (L. PANZANI, op. cit., § 7).

Per il cennato favore verso i lavoratori i crediti di costoro sono esclusi dall'inibitoria (comma 3; ma anche per costoro la pronuncia di fallimento dovrebbe rimanere preclusa).

Altra novità di notevole rilievo è espressa nell'art. 6, comma 5, che impedisce ai creditori interessati dalle misure protettive di rifiutare unilateralmente l'adempimento dei contratti pendenti o di provocarne la risoluzione, di anticiparne la scadenza o di modificarli in danno dell'imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti anteriori. Fino ad oggi in tema di concordato è sempre stato discusso il limite di tutela dei diritti delle controparti contrattuali, con riferimento agli inadempimenti pregressi: anche in tale ambito la Direttiva 1023 (art. 7, par. 4) interviene a sancire il principio appena esposto pure nelle procedure concorsuali; pertanto il legislatore interno dovrà adeguare la normativa esistente a siffatto principio generale, non apparendo sufficiente in tal senso il testo dell'art. 97, comma 1, CCI, che ricalca quello dell'art. 186-bis, comma 3, l.f.

Le misure protettive e cautelari restano soggette a verifica ed eventuale conferma da parte del tribunale, individuato ai sensi dell'art. 9 l.f. e sempre in composizione monocratica (ma la forma del procedimento è quella di cui agli artt. 669-bis c.p.c., incluso il reclamo collegiale).

All'uopo l'art. 7 stabilisce che con ricorso presentato lo stesso giorno al tribunale competente (allegando tutti i documenti ivi elencati) l'imprenditore “chiede la conferma o la modifica delle misure protettive e, ove occorre, l'adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative”. L'omesso o il ritardato deposito del ricorso è causa di inefficacia delle misure e di cancellazione dal registro delle imprese dell'istanza di applicazione delle stesse.

Il tribunale, entro dieci giorni dal deposito del ricorso, fissa l'udienza, da tenersi “preferibilmente con sistemi di videoconferenza” (si auspica che le udienze da remoto vengano superate, attesi gli inconvenienti verificatisi nella prassi giudiziaria). Il decreto è notificato dal ricorrente con le modalità celeri prescritte.

All'udienza il tribunale, sentite le parti (ella categoria non possono certo rientrare tutti i creditori; si deve, quindi, ritenere che il riferimento sia ai soggetti direttamente incisi dalle misure) e l'esperto - e nominando, se occorra (si spera mai), un ausiliario ex art. 68 c.p.c. (la stessa figura menzionata nel già esaminato art. 10 per le autorizzazioni al compimento degli atti più significativi, ove invece l'ausiliario potrebbe risultare utile (specie quando si chiedano finanziamenti).

-, procede agli atti di istruzione indispensabili sentendo obbligatoriamente i terzi sui quali incidono le misure inibitorie; e provvede con ordinanza in cui fissa la durata delle misure protettive e/o cautelari, non inferiore a trenta e non superiore a centoventi giorni, prorogabili in seguito fino a 240 giorni complessivi.

L'atipicità del provvedimento consente di limitarle “a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori” (art. 7, co. 4). In ogni caso, su istanza dell'imprenditore, di uno o più creditori o su segnalazione dell'esperto, il giudice che ha emesso i provvedimenti può, in qualunque momento, sentite le parti interessate, revocare le misure protettive e cautelari o abbreviarne la durata, “quando esse non soddisfano l'obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiono sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti” (comma 6). Quest'ultimo requisito appare difficilmente comprensibile, posto che, nella logica del tentativo di composizione, se il credito in questione fosse rilevante anche la misura dovrebbe essere estesa.

La prospettiva dei creditori

Lo spazio di azione riservato ai creditori e ai terzi interessati alla ristrutturazione è finalmente regolato nelle linee essenziali dagli artt. 4 e 5: finora, invero, nella fase delle trattative ogni creditore si riteneva libero di adottare qualunque tipo di condotta senza dover osservare i minimi precetti di buona fede e correttezza sanciti dagli artt. 1175 e 1337 c.c. (per le trattative fra soggetti in bonis; in verità qui si verte in fase di esecuzione dei contratti, da rinegoziare) disposti ora esplicitamente anche dall'art. 4, comma 4, del D.L.

Il comma 6, poi, specifica che le banche, gli intermediari finanziari e i gestori o cessionari dei loro crediti - categorie determinanti per la riuscita della composizione negoziata - debbano partecipare alle negoziazioni in modo attivo e informato, collaborando lealmente e con un preciso "obbligo di risposta, tempestiva ed espressa" (così la Relazione illustrativa, rivolta a "tutte le parti coinvolte"), allo scopo di "evitare situazioni di stallo delle trattative e quindi del processo di risanamento".

È notorio, infatti, che la gran parte dei tentativi di ristrutturazione non giunga tempestivamente ad una conclusione a causa degli atteggiamenti dilatori e pilateschi degli istituti di credito (Sul tema cfr. P. RINALDI, La composizione negoziata della crisi e i rapporti con gli intermediari creditizi, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 9 settembre 2021).

Naturalmente costoro sono soggetti a discipline di settore rigide e vincolanti (Occorre ricordare che la regolamentazione europea in campo bancario, nonostante la pandemia, ha subìto un irrigidimento per il varo del c.d. Calendar Provisioning, mediante il quale le autorità (EBA e BCE) impongono alle banche la progressiva automatica svalutazione dei crediti deteriorati fino al 100% in tre anni (7 e 9 anni se garantiti), assimilando di fatto NPL e UTP. Inoltre la nuova definizione di debitore in default classifica come tale ogni impresa che ritardi di oltre 90 giorni i pagamenti superiori ad € 500 (100 per le persone fisiche) con soglia percentuale sul totale delle esposizioni ridotta dal 5% all'1%. Dinanzi a 'sì rigide discipline – si noti che il c.d. stage 2 riguarda le imprese in bonis ma a rischio di default (con incremento degli accantonamenti), che valgono ca. il 15% di tutti gli impieghi bancari - il coinvolgimento delle banche potrà essere sostituito da quello dei servicer, i quali per le aziende «salvabili» possono fare interventi sui piani strategici / di ristrutturazione delle aziende, apportando quella nuova finanza che le banche non erogano più perché aggrava i loro ratios, che richiedono tempi non brevi di reazione, dovendo interpellate vari uffici e livelli di responsabilità; ma la sollecitudine della risposta è ora codificata (art. 4, co. 7) ed esigibile da tutti i creditori (benché la sanzione per l'inosservanza possa essere unicamente la segnalazione all'autorità di vigilanza. Tuttavia la Relazione illustrativa prefigura financo una responsabilità risarcitoria per coloro che, tenuti a rispondere, siano rimasti inerti cagionando il fallimento dell'operazione di risanamento astrattamente perseguibile (sul punto si rimanda all'ultimo paragrafo del presente scritto).

Sempre il comma 6 dell'art. 4 aggiunge che l'accesso alla composizione assistita "non costituisce causa di revoca degli affidamenti bancari concessi", così superando la sospensione delle anticipazioni bancarie che la disciplina del concordato prenotativo dispone all'art. 182-quinquies, comma 3, ult. per., l.f.

La stessa prosecuzione dei contratti è prevista, a sostegno del buon esito delle negoziazioni, nei confronti delle controparti creditrici qualora siano state chieste e confermate misure cautelari o protettive del patrimonio aziendale (art. 6, comma 5; v. supra). In tali casi, come prescrive la Direttiva 2019/1023, i contratti in corso non potranno essere risolti, né si potranno opporre le eccezioni ex artt. 1460 o 1461 c.c. per la sola esistenza di crediti anteriori inadempiuti.

Tutte le riferite novità sono da salutare con estremo favore, poiché anche da questo mutamento culturale potrà trarre beneficio il successo del percorso di risanamento.

L'altro obbligo vincolante per i creditori è quello alla riservatezza circa le condizioni economiche e patrimoniali del debitore, apprese durante le trattative (art. 4, comma 7); in particolare sono dati sensibili i vari tipi di costi e i prezzi praticati dall'impresa, come pure i dati dei clienti e le iniziative da intraprendere, oltre alle peculiari informazioni acquisite.

Una posizione radicalmente nuova è assunta dal D.L. a vantaggio dei lavoratori, considerati creditori "deboli" e perciò meritevoli di misure ad hoc, sulla scorta degli omologhi precetti della Direttiva 1023. Durante le trattative essi devono ricevere le informazioni ed essere consultati (tramite le rappresentanze sindacali) se vengano assunte rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di una pluralità di lavoratori (persino sulle mere modalità di svolgimento delle prestazioni: art. 4, co. 8); rispetto alle misure protettive vengono esclusi i diritti di credito dei lavoratori (art. 6, co. 3), che possono pertanto percepire anche le mensilità arretrate dello stipendio.

er concludere sul punto, ciò che rileva è che il piano di ristrutturazione, sottoposto al test di tenuta di cui all'art. 3, co. 2, appaia economicamente e finanziariamente efficiente, 'sì da giustificare il temporaneo sacrificio dei creditori (attraverso la riduzione o il riscadenzamento dei debiti) a beneficio della sostenibilità economica dell'azienda auspicabilmente per i successivi 2 anni (v. art. 11, co. 1, lett.a) e, indirettamente, dei creditori stessi.

La posizione dell'esperto indipendente

La figura dell'esperto indipendente e imparziale, che partecipa attivamente alle trattative, è la chiave di volta del sistema e ciò che lo differenzia sostanzialmente dagli OCRI del Codice della Crisi.

L'enumerazione degli ambiti in cui interviene dà la misura della fiducia che la legge ripone su di lui, giustificando il giudizio espresso nella Relazione illustrativa, per cui la sua presenza “serve a dare forza e credibilità alla posizione dell'impresa ed a rassicurare i creditori e le altre parti interessate. La figura terza ed indipendente dell'esperto, chiamato a verificare costantemente la funzionalità e utilità delle trattative rispetto al risanamento e l'assenza di atti pregiudizievoli per i creditori, conferisce alle trattative un elevato livello di sicurezza ed elimina il dubbio sull'esistenza di possibili atteggiamenti dilatori o poco trasparenti tenuti dalle parti coinvolte” (La legge rinvia ad un decreto dirigenziale ministeriale l'individuazione della specifica formazione degli “esperti”, secondo un percorso ritenuto “adeguato”; occorre tuttavia notare che l'autorevolezza si acquisisce in anni e anni di esperienza “sul campo” e non basteranno pochi corsi di formazione per proporre soluzioni compositive accettabili da tutte le parti chiamate al tavolo della crisi).

In effetti, il cambiamento di rotta - verso il modello francese del mandataire ad hoc e della conciliation, come sopra anticipato - sembra evidente e foriero di una rinnovata speranza (andata delusa dopo le riforme del 2005-2006, che pure puntavano sulle soluzioni negoziali delle crisi).

Vero è che nel nostro sistema civilistico la figura dell'esperto (che sia perito stimatore, valutatore, attestatore o mediatore) non ha mai dato prova di indipendenza e soprattutto di autonomia (sono le osservazioni di D. GALLETTI, Breve storia di una (contro)riforma “annunciata”, in questo portale, 1 settembre 2021, che ne attribuisce la responsabilità alla politica, “incapace di adottare esplicite scelte fra interessi contrapposti”, la quale si trincera dietro deleghe ad esperti “le cui soluzioni tecniche si autolegittimano, senza generare responsabilità politica”): altro è mostrare autorevolezza e insensibilità alle pressioni delle parti. Inoltre è pagato dal debitore e non gli sono preclusi incarichi futuri e/o indiretti provenienti da debitore o creditori (non vi è specifica causa di incompatibilità).

Ma il ruolo di facilitatore e negoziatore lo onera pure di responsabilità e si è fatto in modo che, attraverso il dissenso sugli atti di straordinaria amministrazione e sui pagamenti da egli ritenuti in contrasto con lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento, abbia poteri dissuasivi tali da sconsigliare iniziative gestionali in contrasto con gli obiettivi prefissati.

Ai sensi dell'art. 4, comma 2, del D.L. egli può chiedere all'imprenditore e ai creditori tutte le informazioni utili e può avvalersi di soggetti dotati di specifica competenza, anche nel settore economico in cui opera l'imprenditore, e di un revisore legale, i cui costi tuttavia rimangono a suo carico.

Ciò che conta è che l'esperto rimanga comunque ben lontano dalla figura del commissario giudiziale, quale ausiliario del giudice, che nel concordato preventivo deve invece indagare a tutto campo sulle cause della crisi e cercare meticolosamente eventuali ostacoli alla fattibilità dei piani di ristrutturazione.

Anche nella composizione negoziata, in taluni casi - ossia quando l'imprenditore si rivolge al giudice per la conferma delle misure protettive o cautelari e per l'autorizzazione degli atti rilevanti -, è chiamato ad esprimere pareri obbligatori, ma non vincolanti. D'altro canto, l'esperto può chiedere la revoca o l'abbreviazione delle misure inibitorie qualora esse non si rivelino funzionali al buon esito delle trattative.

Al cospetto dei creditori il suo compito si tradurrà nel soppesare le “reciproche concessioni” elargibili alle controparti, con lo scopo di trovare i punti di caduta del piano ipotizzato.

Qui si contendono il campo due principali tecniche di mediazione: la negoziazionedistributiva”, sviluppata su una logica lineare di contrapposizione, in cui il negoziatore esperto avrà difficoltà a individuare le possibili riduzioni delle rispettive pretese e servirà tempo per cercare di comporre i conflitti; e la negoziazione “cooperativa”, imperniata su una logica circolare, che opera per ricomporre le posizioni al di là del binomio torto/ragione, ma valorizzando gli interessi e i bisogni sottostanti. In tale secondo scenario si persegue una vera e più solida conciliazione (più che una transazione) degli interessi, ove compatibili. Dipenderà essenzialmente dall'atteggiamento col quale le parti si accingono al processo negoziale e dalle capacità di conduzione dell'esperto (Interessanti in proposito le considerazioni di P. RIVA, La negoziazione, in La mediazione civile. Tecniche di gestione dei conflitti, Quad. n. 37).

Questi, se sottoscriverà unitamente all'imprenditore e ai creditori l'accordo raggiunto, darà al piano di risanamento gli effetti di cui all'art. 67 l.f. senza necessità dell'attestazione del professionista (art. 11, co. 1, lett. c).

Nella crisi dei gruppi di società (art. 13 D.L. 118) (per la cui definizione la norma richiama l'art. 2497 (e il 2545-septies per i gruppi cooperativi) c.c., escludendo però dalla nozione di controllo lo Stato e gli enti territoriali. Sull'argomento si rinvia a P. BOSTICCO, La composizione negoziata: trattative e gruppo di imprese, in questo portale, 13 settembre 2021) - nei quali l'istanza di composizione va presentata alla camera di commercio ove è iscritta l'impresa che esercita l'attività di direzione e coordinamento oppure, in mancanza di tale indicazione, dove ha sede l'impresa che presenta la maggiore esposizione debitoria (anche per le misure cautelari o protettive sarà competente ex art. 9 l.f. il tribunale situato nel circondario della sede della società o ente che, in base alla pubblicità prevista dall'art. 2497-bis, esercita l'attività di direzione e coordinamento oppure, in mancanza, dell'impresa che presenta la maggiore esposizione debitoria) - l'esperto agirà contemporaneamente per tutte le imprese in difficoltà, “in modo unitario (…) salvo che lo svolgimento congiunto non renda eccessivamente gravose le trattative. In tal caso può decidere che le trattative si svolgano per singole imprese”. Ovviamente le imprese del gruppo che non si trovino nelle condizioni di squilibrio possono partecipare alle trattative.

In caso di presentazione di separate istanze di composizione da parte di imprese appartenenti al medesimo gruppo gli esperti nominati, sentiti i maggiori creditori, propongono che la composizione negoziata si svolga in modo unitario oppure per più imprese appositamente individuate, dinanzi all'esperto designato di comune accordo fra quelli nominati. In difetto di accordo (evento non improbabile), la composizione proseguirà con l'esperto nominato a seguito della domanda presentata per prima (comma 8). Anche la conclusione dei contratti o degli accordi di cui all'art. 11, comma 1, ove raggiunta, può avvenire in forma “unitaria”, ovvero separata per ciascuna impresa del gruppo (comma 10).

Importante è il comma 9 che esclude dalla postergazione ex artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. i finanziamenti in qualsiasi forma pattuiti dopo la presentazione dell'istanza compositiva in favore di società controllate oppure sottoposte a comune controllo (trattasi di questione diversa dalla prededuzione, la quale dev'essere autorizzata dal tribunale ex art. 10, co. 1, pur attenendo ai medesimi finanziamenti), sempre che l'imprenditore abbia informato preventivamente l'esperto ai sensi dell'art. 9, comma 2, e che quest'ultimo – pur segnalando il fatto ai creditori - non iscriva il proprio dissenso nel registro imprese.

Certamente per la riuscita del risanamento molto dipenderà dall'effettiva riservatezza mantenuta durante le negoziazioni (del che è lecito dubitare, data la molteplicità dei creditori, non tutti ben disposti verso il debitore), come pure dalla fiducia di cui l'imprenditore proponente ancora goda presso i propri creditori, onde ottenere quella parziale remissione dei debiti che consentirà di superare la crisi. Però è anche facile pronosticare come non di rado il risultato si potrà conseguire attraverso il trasferimento dell'azienda o di suoi rami a terzi, sempre da autorizzare ex art. 10 D.L. per evitare la solidarietà passiva del cessionario.

Chi scrive ritiene sommessamente che lo sbocco più comune dalla composizione non riuscita sarà proprio questo, possibilmente con l'appendice dell'accesso al concordato semplificato di liquidazione, che avrà il medesimo fine di cessione dell'azienda o di suoi rami o di specifici beni (Il riferimento agli “specifici beni” non è contemplato tra gli atti autorizzabili dal tribunale nell'art. 10, comma 1, lett. d), del D.L. 118, per cui sembra legittimo dedurne che per alienare beni di rilievo occorra attendere la stipula dei contratti o accordi di cui all'art. 11 ovvero il concordato semplificato di liquidazione) ad un soggetto individuato – magari nelle more divenuto anche affittuario -, purché sia “verificata l'assenza di soluzioni migliori sul mercato” (art. 19 D.L.). Locuzione che aiuta ad accelerare le operazioni liquidatorie, bastando una pubblicità sui siti specializzati e/o sugli organi di informazione a diffusione locale o nazionale (a seconda del mercato di riferimento). Tuttavia il tribunale potrà sempre imporre lo svolgimento delle procedure competitive sulla falsariga del subprocedimento dell'art. 163-bis l.f.

La conclusione positiva delle trattative (artt. 11 e 12)

In ordine agli effetti della negoziazione, il D.L. 118 ha cura di precisarli negli artt. 11 e ss. e di distinguere tutte le possibili vie d'uscita, sotto forma a) di contratti con uno o più creditori, che producono gli effetti premiali di cui all'art. 14 se, secondo la relazione finale dell'esperto, sono idonei ad assicurare la continuità aziendale almeno per un biennio (art. 11, co. 1, lett. a); b) di convenzione di moratoria disciplinata ex novo dall'art. 182-octies l.f., avente ad oggetto solo la dilazione delle scadenze dei crediti, la rinuncia agli atti o la sospensione delle azioni esecutive e conservative e ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito (da stipulare con qualsiasi “categoria” di creditori, purché vi aderisca almeno il 75% di essa e tutti siano stati avvisati e messi in grado di interloquire, salvo il diritto di opposizione), ovvero c) di accordo sottoscritto dall'imprenditore, dai creditori e dall'esperto che produce gli effetti di cui all'art. 67, 3° co., lett. d), l.f. senza necessità dell'attestazione ivi prevista, in quanto sostituita dalla sottoscrizione dell'esperto (art. 11, co. 1, lett. c).

E' rimessa al debitore, con il consenso dei creditori interessati, la decisione di iscrivere o meno l'accordo nel registro delle imprese, rendendolo così conoscibile ai terzi.

L'imprenditore istante potrà inoltre, all'esito delle trattative, domandare l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli artt. 182-bis, 182-septies (AdR ad efficacia estesa) e 182-novies (AdR agevolati) l.f., con la percentuale di assensi per l'estensione degli effetti di cui all'art. 182-septies, comma 2, lett. c), ai creditori non aderenti - che appartengano alla medesima categoria, individuata tenuto conto dell'omogeneità di posizione giuridica ed interessi economici - ridotta dal 75% al 60% se il raggiungimento dell'accordo risulta dalla relazione finale dell'esperto.

L'imprenditore può infine, indipendentemente dall'esito delle trattative:

I) predisporre il piano attestato di risanamento di cui all'art. 67 l.f.;

Ii) proporre la domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all'art. 18 D.L. 118;

Iii) accedere ad una delle procedure concorsuali tradizionali.

Come si vede, la gamma di soluzioni approntate dal legislatore dell'emergenza è oltremodo ampia, articolata e adeguata ad ogni evenienza del debitore e dei creditori, a riprova del fatto che l'intervento in parola era tanto atteso quanto provvidenziale.

Nel CCI, invece - che, in generale, indirizza gli sbocchi negativi verso le procedure codificate, addirittura con il presidio del pubblico ministero -, l'unica previsione riguardante gli effetti, oltre alle misure premiali, specifica che gli accordi ivi menzionati hanno la stessa efficacia degli accordi che danno attuazione al piano attestato di risanamento, con i conseguenti corollari in termini di esenzione dalla revocatoria in caso di successiva liquidazione giudiziale. Così la Relazione illustrativa al CCI, che aggiunge una notazione importante, valida anche per l'esperto della composizione negoziata: "Presupposto evidente di tale beneficio è che l'accordo sia stato raggiunto con la supervisione e l'approvazione del collegio, il quale, quindi, si rende indirettamente garante della fattibilità del piano sottostante l'accordo".

Siffatta "garanzia" rappresenta il valore aggiunto dell'intervento del mediatore, il quale proprio per la sua posizione di autonomia attribuisce al risultato negoziale maggiore affidabilità.

Merita, allora, piena condivisione la riflessione di S. Pacchi (Le misure urgenti in materia di crisi d'impresa e di risanamento aziendale (ovvero: i cambi di cultura sono sempre difficili), in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 9 agosto 2021), secondo la quale "Lo strumento negoziale non è, infatti, imperniato sulla contrapposizione tra debitore e creditori, ma piuttosto sulla ricerca congiunta di una risposta adeguata al problema che affligge tutti, cercando di puntare alla conservazione della relazione economica. L'accordo si proietta così oltre la soluzione del debito".

Il ruolo dell'esperto, dunque, nell'intenzione del legislatore dovrebbe condurre l'impresa verso lidi sicuri, che il concordato in continuità non ha mai veramente assicurato.

Per converso, però, si aprono scenari di responsabilità dell'esperto non del tutto rassicuranti (v. par. 8).

L'espressione “concrete prospettive di risanamento” richiama la medesima terminologia dell'art. 27, D. lgs. n. 270/1999 per l'apertura dell'amministrazione straordinaria (E' stato notato da S. AMBROSINI, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 23 agosto 2021, il quale propende per il criterio causale del “più probabile che non”). La valutazione della loro sussistenza deve tener conto sia dell'entità degli squilibri che affliggono l'impresa e il suo modello di business, sia del settore merceologico di appartenenza, oltre ovviamente al piano predisposto.

E' intuitivo, però, che la diagnosi da parte dell'esperto non sarà di massimo rigore, proprio per non precludere possibilità di ristrutturazione che appaiano comunque meritevoli di approfondimento (di là dal problema della maturazione del compenso dell'esperto, sussiste l'ipotetica responsabilità di costui per l'interruzione ingiustificata o prematura delle trattative, v. infra), benché inizialmente non trovino l'immediato consenso dei creditori maggiori. Di conseguenza, la concretezza del risanamento – anche in forma “indiretta”, tramite cessione o affitto del compendio aziendale o di parte di esso - andrà verificata in un momento più avanzato delle negoziazioni.

La formulazione della norma contenuta nell'art. 12, comma 1, del D.L. 118 pone tuttavia un problema disciplinare che merita una riflessione. "Gli atti autorizzati dal tribunale ai sensi dell'articolo 10 conservano i propri effetti se successivamente intervengono un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, un concordato preventivo omologato, il fallimento (…)".

Ci si deve chiedere a quale regime siano assoggettati gli atti autorizzati dal giudice ai sensi del medesimo art. 10 qualora successivamente non sopraggiunga l'omologazione del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis l.f.

Testualmente risultano non coperti dalla prededuzione (i crediti per finanziamenti autorizzati) ovvero dalla deroga alla responsabilità solidale dell'acquirente ex art. 2560 cpv. (le cessioni di aziende o di rami) ovvero ancora dalla rideterminazione delle condizioni contrattuali (i contratti divenuti eccessivamente onerosi per il debitore proponente a causa del Covid).

Ma ci si chiede se sia corretto, oltre che opportuno, che atti passati sotto il vaglio giudiziale prima del loro compimento, in quanto autorizzati, diventino in seguito privi della tutela legale - costituita dalla prededuzione o dalla esenzione dalla responsabilità solidale per i debiti del cedente - sol perché, per un qualsivoglia accidente esterno, non vengano omologate le successive procedure di ristrutturazione intraprese dal debitore.

In altri termini, è legittimo (e giusto) che i finanziatori, essenziali alla continuità aziendale, oppure i cessionari di azienda, parimenti determinanti nell'assicurare il risanamento d'impresa, perdano il diritto acquisito nella fase di stipula dei relativi contratti perché la loro controparte non sia riuscita a far omologare il tentativo di superare la crisi mediante una procedura diversa e posteriore?

La risposta non può che essere negativa, per tre ragioni fondamentali:

A) in primis, per una questione di ragionevolezza, non apparendo giustificato un differente regime per le due situazioni rappresentate, atteso che la salvaguardia dei creditori - si badi: controparti del proponente la ristrutturazione - viene a dipendere da un evento esterno, incerto e del tutto indipendente dalla loro sfera d'azione e di responsabilità;

B) in secundis, per l'opposta soluzione adottata dal legislatore nell'art. 161, comma 7, che conferisce la qualifica di prededucibilità ai "crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore" durante il concordato in bianco, ancorché non seguito da omologazione;

C) infine, per il diverso trattamento riservato agli atti, pagamenti e garanzie posti in essere dall'imprenditore nel periodo successivo all'accettazione dell'incarico da parte dell'esperto (purché coerenti con l'andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti), i quali rimangono esenti dalla revocatoria fallimentare, che notoriamente è l'altra faccia della medaglia della prededuzione.

Dunque lì le controparti negoziali del debitore vengono premiate, mentre qui gli stessi atti, per giunta autorizzati dal giudice ex art. 10, subiscono un successivo declassamento se non sopravviene l'omologazione della procedura maggiore instaurata.

È probabile che i finanziatori e gli acquirenti siano indotti ad astenersi dall'intervenire in un procedimento assai poco tutelante, preferendo attendere le garanzie offerte dall'apertura di una procedura concorsuale; pertanto si auspica che in sede di conversione venga posto rimedio a siffatta ingiustizia.

Vero è che, quanto ai finanziamenti, la prededucibilità rileva soltanto in caso di apertura del concorso e, dunque, se non viene omologato il concordato o l'accordo ex art. 182-bis l.f. l'impresa dovrebbe fallire; altrimenti il creditore finanziatore è libero di aggredirlo.

Più preoccupante resta la cessione di azienda, qualora la procedura successiva non venga omologata senza che segua il fallimento: far rivivere la solidarietà ex post sarebbe irragionevole e lesivo dell'affidamento ingenerato nell'acquirente. Se poi al primo tentativo di omologazione non riuscito faccia seguito un secondo accesso alla stessa o ad una differente procedura concorsuale, con esito positivo, l'interpretazione secundum rationem legis impone di ritenere che siano conservati gli effetti dell'autorizzazione ex art. 10 D.L. (Si ringrazia il Prof. Giorgio Lener per lo scambio di opinioni sul punto). In caso di sopravvenuta risoluzione del contratto di finanziamento o di trasferimento d'azienda non sembra dubbio che gli effetti suddetti vengano meno definitivamente (così anche la responsabilità solidale del cessionario).

Gli ulteriori effetti disposti dall'art. 12, già sopra esaminati, riaffermano la responsabilità dell'imprenditore istante per il compimento di atti e pagamenti non congrui o coerenti con il disegno risanatorio e/o con l'andamento delle trattative (l'art. 12, co. 2), ciò che potrà accadere ogni qualvolta il debitore provveda a contrarre obbligazioni superflue o eccessivamente gravanti sul ciclo produttivo, privando l'azienda di risorse determinanti, ovvero a soddisfare crediti non strategici nonostante la concessione di misure protettive, etc.

La responsabilità, in simili casi, è triplice: per danni, per la revocabilità delle operazioni – se l'esperto ha iscritto il proprio dissenso nel registro delle imprese (ex art. 9) o se il tribunale ha rigettato la richiesta di autorizzazione - e penale, a termini dell'art. 12, co. 3-5 del D.L. Sull'esperto, quindi, pende una corrispondente responsabilità per la vigilanza stretta e attenta sulle condotte del debitore, specialmente quelle non dichiarate e comunicate.

L'archiviazione immediata del procedimento e la conclusione negativa delle trattative

L'esito negativo della composizione può avere tre cause:

a) l'inesistenza di concrete prospettive di risanamento, tanto iniziale quanto sopravvenuta (art. 5, co. 5), anche alla luce delle informazioni raccolte o dell'inutile protrarsi delle trattative (in difetto di strategie o iniziative del debitore o per carenza di flussi di cassa o di acquirenti dell'azienda); - nota: l'esperto, in caso di immediata archiviazione del procedimento di composizione, percepirà un compenso di soli 500 euro (art. 16, co. 7), sicché (almeno all'inizio) soltanto i tentativi "disperati" di allungare i tempi del fallimento subiranno detta sorte;

b) il compimento da parte dell'imprenditore di atti o pagamenti "non coerenti" con le negoziazioni o con le prospettive risanatorie, eseguiti in modo occulto ovvero malgrado il dissenso dell'esperto (art. 9);

c) il decorso di 180 giorni dall'accettazione della nomina dell'esperto senza che le parti coinvolte - creditori e terzi, clienti e/o contraenti - abbiano raggiunto accordi sulle soluzioni proposte per il superamento degli squilibri di cui all'art. 2, co. 1, del D.L.; è possibile ottenere una proroga del termine, senza limite di tempo ma verosimilmente rapportato ai 240 giorni di efficacia massima delle misure protettive (art. 7, co. 5) o al maggior termine necessario al tribunale per autorizzare gli atti ex art. 10, purché però tutte le parti vi consentano (incluso l'esperto).

In tutte le ipotesi di esito negativo non si verifica più quello che l'art. 22 CCI disponeva, ossia la trasmissione degli atti al pubblico ministero affinché proceda con l'istanza di fallimento (perché potrebbe non sussistere insolvenza e comunque perché si è scelta la via non invasiva del mantenimento del livello negoziale: difatti l'esperto neppure segnalerà al debitore o all'organo di controllo la necessità di presentare domanda di accesso ad una delle procedure concorsuali ex art. 21 CCI), ma l'esperto dovrà semplicemente redigere la relazione finale, inserendola nella piattaforma telematica e comunicandola all'imprenditore, oltre che al giudice delle misure protettive (ove emesse), il quale ne dovrà dichiarare cessati gli effetti (art. 5, co. 8).

Ai sensi del citato art. 5, co. 5, il segretario generale della camera di commercio dispone l'archiviazione dell'istanza di composizione negoziata. Non essendo un provvedimento giurisdizionale non sarà impugnabile dinanzi a un tribunale, né davanti al TAR, in quanto non incide su diritti soggettivi o interessi legittimi del debitore.

Con l'archiviazione dell'istanza - o, in caso di inerzia degli organi a ciò obbligati, con la conclusione negativa delle trattative - riprendono vigore i diritti dei creditori, i quali possono proseguire l'eventuale procedura prefallimentare avviata prima della composizione negoziata e si potrà pervenire alla pronuncia della sentenza di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza a termini dell'art. 6, co. 4, del D.L.

Al riguardo si è giustamente rilevato che la sottoposizione a revocatoria degli atti e pagamenti effettuati (art. 12, co. 2-3) o l'esenzione dai reati di cui agli artt. 216, comma 3 e 217 l.f. (art. 12, co. 5) qualora ex post essi risultino non coerenti con l'andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti è “talmente generica e vaga da risultare di quasi nessuna efficacia deterrente; senza considerare poi, da un lato, che non è stato previsto alcun prolungamento del periodo di revocabilità pur dinanzi alla sospensione delle istanze di fallimento (…) e, dall'altro, che in generale tali misure sanzionatorie potranno scattare solo in caso di successivo fallimento, mentre - al di fuori di tale evento - non sembrano previste serie misure di contrasto degli abusi che può compiere il debitore, di tal genere non potendo considerarsi l'obbligo di informare l'esperto, incombente sul debitore, in ordine alla sua intenzione di compiere pagamenti ed atti di straordinaria amministrazione (art. 9), tenuto conto che tale obbligo sussiste solo quando lo stesso debitore (improbabilmente) ritenga che tali atti e pagamenti siano non coerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento” (Così F. LAMANNA, Nuove misure sulla crisi d'impresa del D.L. 118/2021: Penelope disfa il Codice della crisi recitando il "de profundis" per il sistema dell'allerta, in questo portale, 25 agosto 2021).

L'art. 8 del D.L. determina poi la ri-applicazione dal predetto momento delle norme codicistiche sulla riduzione del capitale sociale per perdite rilevanti (artt. 2446, co. 2 e 3, 2447, 2482-bis e 2482-ter) e sullo scioglimento della società per perdita del capitale (artt. 2484, n. 4, e 2545-duodecies).

A quel punto l'imprenditore potrà, in alternativa all'istanza di autofallimento, tentare la strada del concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, secondo le indicazioni degli artt. 18 e 19 del D.L. 118 (Sull'analisi di tale istituto si rinvia, per ragioni di spazio, a L. BOTTAI, La rivoluzione del concordato liquidatorio semplificato, in dirittodellacrisi.it, 9 agosto 2021, non senza rimarcare - per quanto concerne i diritti dei creditori privilegiati - come il mancato richiamo dell'art. 160 e, in particolare, del suo comma 2, sembri implicare la non applicazione della relazione giurata di stima, indispensabile nel concordato ordinario per conformare il trattamento dei creditori privilegiati e ipotecari. Ad essi, dunque, nel nuovo strumento spetterà un soddisfacimento secondo i principi di cui all'art. 54, comma 1, l.f. (non richiamato dall'art. 18, comma 2, del D.L.)? Per Cass. n. 24970/2013 non sembra possibile. La norma in questione, però, esplicita che si potranno (e dovranno) soddisfare i creditori privilegiati in misura tale che non siano pregiudicati i più altolocati nell'ordine fissato dalla legge (dagli artt. 2777 ss., in primis). Il legislatore dell'emergenza ha optato, pertanto, per il mantenimento della absolute priority rule).

Ma laddove il patrimonio da liquidare col concordato semplificato non sia sufficiente per pagare integralmente tutti i crediti assistiti da prelazione, anche i chirografari non potranno ricevere alcunché, in assenza di finanza esterna. In siffatta ipotesi, verosimilmente di non infrequente verificazione, si verrà a configurare una causa di inammissibilità del concordato, ostativa dell'omologazione?

Oppure si potrà aprire all'interpretazione (evolutiva) secondo il sopra richiamato principio del c.d. No creditor worse off - già in vigore nella disciplina delle crisi bancarie e ribadito anche nella Direttiva Insolvency -, ossia dell'assenza di pregiudizio per ciascun creditore e della conseguente ammissibilità di un trattamento a zero (i.e. di nessun pagamento) per i privilegiati posti più in basso nella graduatoria dalla legge?

Il D.L. all'art. 18, comma 5, dispone che il tribunale omologhi il concordato quando, verificato "il rispetto dell'ordine delle cause di prelazione e la fattibilità del piano di liquidazione, rileva che la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all'alternativa della liquidazione fallimentare e che comunque assicura un'utilità a ciascun creditore".

Orbene, a stretto rigore basterebbe la previsione di un qualsivoglia tipo di utilità per ciascun creditore e, dunque, anche non monetaria (es. la prosecuzione dei rapporti).

Qualora, pertanto, una siffatta utilità per i creditori privilegiati incapienti - che, cioè, non troverebbero utile collocazione nello scenario alternativo del fallimento - venga proposta e comprovata dal debitore, risulterà oltremodo difficile per l'organo giudiziario impedire l'omologazione.

Naturalmente una simile o diversa utilità dovrà essere attribuita anche a ciascun creditore chirografario.

E così la rivoluzione copernicana del nuovo concordato semplificato costituirebbe davvero quel mutamento culturale avuto di mira dalla Commissione Pagni.

Le responsabilità dell'esperto: cenni

Non è da escludere, infine, che l'esperto mediatore nello svolgimento dell'incarico incorra in possibili situazioni generatrici di responsabilità, tanto civile quanto penale.

Vero è che il D.L. 118 in più norme cerca di limitarle; tuttavia, non si può escludere che il mancato raggiungimento di accordi, se non di contratti ai sensi dell'art. 11, possa dipendere dalle scarse capacità dell'esperto di condurre le negoziazioni, sempreché naturalmente un piano di risanamento fattibile sussista e sia concretamente percorribile. Così come, per converso, potrebbe accadere che i creditori accettino accordi meno convenienti per via delle omesse o errate informazioni diffuse dall'esperto.

Costui è destinatario di specifici obblighi di azione e di informazione, la cui inosservanza potrebbe produrre nocumento alle parti coinvolte.

Il negoziatore potrà, dunque, incorrere in responsabilità professionali, di nuova forgia (tutta da approfondire, V. la voce di M. ROSSETTI, La responsabilità del mediatore) - oltre che nelle classiche negligenze di cui all'art. 1759 c.c. per quanto concerne la mancata o parziale comunicazione alle parti delle circostanze rilevanti sulla situazione del debitore o sulle posizioni dei creditori a lui note - soprattutto nella insufficiente vigilanza sui comportamenti del debitore nei termini dettati dall'art. 9 per i pagamenti e gli atti di straordinaria amministrazione compiuti senza previa comunicazione all'esperto ovvero nonostante la sua opposizione/dissenso manifestati.

Vi sarebbe, poi, un'ipotetica responsabilità per aver avanzato ipotesi di soluzione contrarie all'ordine pubblico o a norme imperative, prevista dall'art. 14 D. lgs. 28/2010 sulla mediazione civile. Ma anche l'inosservanza degli standard tipici dell'esecuzione dell'opera “a regola d'arte” ex art. 2224 c.c. potrebbe configurare un titolo risarcitorio (standard oggi ancora da formarsi).

Sotto il profilo penalistico, ferma l'esenzione nei casi dell'art. 12, resta possibile (seppur arduo) delineare un concorso nel dissesto per le ritardate e/o le omesse decisioni sulle manovre dilatorie del debitore, laddove il risanamento appaia irrealizzabile.

In ogni modo il tema è denso di interesse – anche nella distinzione fra piccole e grandi imprese in crisi - e merita supplementi di riflessione (il primo è offerto da S. PACCHI, op. cit., 14, la quale, assegnando all'esperto la qualifica di “garante dell'esecuzione degli impegni assunti dal debitore” prefigura “possibili inquietanti scenari di responsabilità”. Nelle conclusioni (p. 19) l'acuta Autrice identifica il “cambio di cultura proposto dal D.L.”) alla luce delle prime fattispecie concrete verificatesi.

I creditori potranno incorrere in responsabilità in dipendenza dei propri ritardi, delle condotte ostruzionistiche o delle incomplete risposte (su aspetti decisivi) offerte in fase di trattative, oltre che per la diffusione o lo sfruttamento di informazioni sensibili sul debitore. La Relazione illustrativa, nella parte iniziale evidenzia proprio il fatto che la violazione degli obblighi di riservatezza e di collaborazione da parte dei creditori “può venire in rilievo nell'ambito delle eventuali azioni risarcitorie che, nel caso in cui il dissesto dell'impresa derivi da comportamenti omissivi ingiustificati o non corretti delle parti coinvolte nelle trattative, possono essere esercitate, ad esempio, dal curatore fallimentare”.

Certa è invece la responsabilità dell'organo di controllo societario, che ai sensi dell'art. 15 è tenuto al suo tipico dovere di vigilanza di cui all'art. 2403 c.c. Del resto, tale disposizione al comma 2 individua nella “tempestiva segnalazione all'organo amministrativo ai sensi del comma 1 e [nel]la vigilanza sull'andamento delle trattative” le cause di esonero o di attenuazione della responsabilità prevista dall'art. 2407 c.c.

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