La Corte di cassazione ritorna sull'acquisizione dei tabulati telefonici dopo le indicazioni della CGUE
05 Ottobre 2021
Massima
In tema di acquisizione di dati del traffico telefonico o telematico, l'art. 15, par. 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002, come interpretato dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 02/03/2021,causa C-746/18, non può trovare diretta applicazione nell'ordinamento nazionale, nel quale continua a dover essere applicata la disciplina di cui all'art. 132 d.lgs. n. 196 del 2003 (In motivazione, la Corte di cassazione ha rilevato che nella decisione della CGUE sono stati individuati in modo generico i casi nei quali i tabulati del traffico possono essere acquisiti, demandando al legislatore nazionale il compito di precisarli). Il caso
Il Tribunale del riesame ha rigettato il ricorso avverso l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari che aveva applicato all'indagato la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di associazione per delinquere finalizzata al compimento di reati contro il patrimonio. Avverso questa decisione, l'indagato ha proposto ricorso per Cassazione. Egli, tra l'altro, ha dedotto la violazione dell'art. 132 del d.lgs. n. 196 del 2003, sostenendo che i dati del traffico telefonico di due cellullari, elemento indiziario ritenuto fondamentale per la sua identificazione come autore del reato, non fossero utilizzabili come fonte di prova. Il provvedimento con cui era stata disposta l'acquisizione dei tabulati, infatti, non specificava quali fossero i reati da perseguire, né i soggetti che potessero essere coinvolti nell'indagine e nemmeno il motivo per cui tale violazione della privacy fosse indispensabile per la prosecuzione delle investigazioni, così violando la norma citata da interpretarsi alla luce della normativa europea la cui portata è stata di recente delineata dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 2 marzo 2021, causa C-746/18. La questione
L'art. 15, par. 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002,nell'interpretazione accolta dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 02/03/2021,causa C-746/18, può trovare diretta applicazione nell'ordinamento nazionale? I tabulati acquisiti in forza di decreto del pubblico ministero ai sensi dell'art. 132 codice della privacy sono utilizzabili? L'orientamento giurisprudenziale consolidato della Corte di cassazione, che ritiene utilizzabili i dati di traffico acquisiti con provvedimento del pubblico ministero, è superato dalle nuove disposizioni introdotte dal d.l. 30 settembre 2021, n. 132, che assegnano al giudice il compito di disporre detta acquisizione? A quali procedimenti si applica la nuova disciplina? Le soluzioni giuridiche
La Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso illustrato. È stato osservato che la Corte di giustizia dell'Unione Europea, con la sentenza del 2/03/2021, ha affermato il principio secondo cui l'art. 15, par. 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002 deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale consenta l'accesso di autorità pubbliche ai dati relativi al traffico o di dati relativi all'ubicazione dei telefoni, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull'ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate e a permettere di trarre precise conclusioni sulla sua vita privata, senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica. Questa sentenza della CGUE impone di verificare se l'art. 132 d. lgs. n. 196 del 2003, che permette l'acquisizione dei dati del traffico telefonico e telematico per le indagini relative a qualsiasi tipologia di reati, con decreto motivato del pubblico ministero, sia conforme alle previsioni della direttiva europea secondo l'interpretazione offertane dalla Corte europea. Secondo l'indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, infatti, la disciplina italiana di acquisizione dei dati di traffico di cui all'art. 132 d. lgs.30 giugno 2003, n. 196, è compatibile con le direttive n. 2002/58/CE e 2006/24/CE in tema di tutela della "privacy", come interpretate dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE 8 aprile 2014, Digital Rights, C-293/12 e C-594/12; CGUE 21 dicembre 2016, Tele 2, C-203/15 e C-698/15), poiché la deroga stabilita dalla norma alla riservatezza delle comunicazioni è prevista per un periodo di tempo limitato, ha come esclusivo obiettivo l'accertamento e la repressione dei reati ed è subordinata alla emissione di un provvedimento da parte di un'autorità giurisdizionale (Cass. Sez. II, n. 5741 del 10 dicembre 2019, dep. 2020, Dedej). La disciplina prevista dall'art. 132 d.lgs. n. 196 del 2003, dunque, sebbene non limiti l'attività alle indagini relative a reati particolarmente gravi, predeterminati dalla legge, è compatibile con il diritto sovranazionale in tema di tutela della privacy da cui si ricava solo la necessità della proporzione tra la gravità dell'ingerenza nel diritto fondamentale alla vita privata, che l'accesso ai dati comporta, e quella del reato oggetto di investigazione, in base ad una verifica che il giudice di merito deve compiere in concreto (Cass. Sez. 3, n. 48737 del 25/09/2019). Questo indirizzo giurisprudenziale, secondo la decisione della Corte di cassazione in esame, non va rimeditato alla luce della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea del 2/03/2021, H.K., C-746/18). Ai principi espressi nelle sentenze della Corte di Giustizia in sede di decisione su rinvio pregiudiziale, invero, deve essere attribuito il valore fondante del diritto comunitario con efficacia erga omnes nell'ambito della Comunità. Tale valenza, però, secondo la Corte di cassazione, non è assoluta, perché «l'attività interpretativa del significato e dei limiti di applicazione delle norme comunitarie, operata nelle sentenze della CGUE, può avere efficacia immediata e diretta nel nostro ordinamento limitatamente alle ipotesi in cui non residuino, negli istituti giuridici regolati, concreti problemi applicativi e correlati profili di discrezionalità che richiedano l'intervento del legislatore nazionale», tanto più laddove si tratti dell'interpretazione di norme contenute nelle direttive. Nel caso di specie, l'interpretazione proposta nella decisione della Corte di Giustizia più volte citata è «del tutto generica nell'individuazione dei casi nei quali i dati di traffico telematico e telefonico possono essere acquisiti ("lotta contro le forme gravi di criminalità” o prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica")». Tali aspetti non possono essere disciplinati da singole (e potenzialmente contrastanti) decisioni giurisprudenziali, dovendosi demandare al legislatore nazionale il compito di trasfondere i principi interpretativi delineati dalla Corte europea in una legge dello Stato. Ne deriva, fino a quando non interverrà il legislatore italiano ed anche europeo, l'impossibilità di ritenere che la sentenza della CGUE possa trovare diretta applicazione in Italia. Osservazioni
1. Con il d.l. n. 132 del 2021 – in vigore dal 30 settembre 2021- è stata fornita una risposta alle questioni poste dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 02/03/2021,causa C-746/18. Le nuove disposizioni hanno attribuito al giudice e non più al pubblico ministero il potere di disporre l'acquisizione di tabulati e dei file di log ed hanno precisato per quali reati e sulla base di quali presupposti probatori tali atti possono essere richiesti (per la completa illustrazione della nuova disciplina, cfr. C. Parodi, Sottratto al P.M. il potere di richiedere autonomamente i tabulati, in questa rivista, 1° ottobre 2021). Le nuove norme si applicheranno, in forza del principio tempus regit actum, alle acquisizioni dei dati di traffico compiute a partire dal 30 settembre 2021 (diversamente, secondo L. Filippi, La nuova disciplina dei tabulati, in Penale. Diritto e processo, 1° ottobre 2021, le nuove disposizioni si applicheranno «soltanto ai procedimenti penali iscritti dopo la data di entrata in vigore del decreto»). Era stata prevista, poi, l'introduzione di una disposizione transitoria, destinata a regolare l'acquisizione dei tabulati nei procedimenti penali pendenti alla data di entrata in vigore delle nuove norme. Tale disciplina, che avrebbe impegnato non poco gli organi giudicanti, alla fine non è stata introdotta dal decreto-legge. La mancata previsione di una norma transitoria impone di ritenere applicabile ai procedimenti pendenti nei quali siano stati acquisiti tabulati di traffico telefonico o telematico prima del 30 settembre 2021 la disciplina previgente dell'art. 132 Codice della privacy. Ne deriva che risulta tuttora utile e attuale soffermarsi sull'interpretazione di questa norma fornita dalla Corte di cassazione anche nella sentenza dapprima illustrata, quanto in particolare alla affermazione della compatibilità della stessa con le previsioni della direttiva europea.
2. Con la pronuncia illustrata, in particolare, la Corte di cassazione ha ribadito le ragioni - invero già espresse anche in una precedente decisione della medesima Sezione (cfr. Cass. Sez. 2, n. 28523 del 15/04/2021) - per le quali i principi formulati in merito all'interpretazione dell'art. 15, par. 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002 da parte della sentenza della CGUE (Grande Camera) del 2/03/2021, causa C-746/18 (relativa, come è noto, ad un rinvio pregiudiziale della Corte di cassazione estone) non possano essere oggetto di diretta applicazione nel diritto interno. La Corte di cassazione, in particolare, non ha negato che ai principi affermati dalle sentenze della Corte di Giustizia debba essere attribuito efficacia erga omnes nell'ambito della Comunità, sicché non è stata posta in discussione la possibilità della loro diretta applicazione nell'ordinamento nazionale; tuttavia, ha precisato che l'applicabilità di tali principi è soggetta ad un limite: non devono residuare, negli istituti giuridici regolati dal diritto interno, concreti problemi applicativi e correlati profili di discrezionalità che richiedano l'intervento del legislatore nazionale. Nel caso di specie, secondo la sentenza illustrata, l'interpretazione dell'art. 15 della direttiva comunitaria accolta dalla decisione europea del 2021 è stata reputata «del tutto generica nell'individuazione dei casi nei quali i dati di traffico telematico e telefonico possono essere acquisiti» e, pertanto, non applicabile direttamente dalle Corti nazionali previa “disapplicazione” dell'art. 132 del codice della privacy. Nella sentenza, difatti, si fa riferimento alla lotta contro le forme gravi di criminalità oalla prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, impiegando espressioni indeterminate per individuare i casi in cui sia legittima l'ingerenza dell'autorità pubblica nella vita privata dei cittadini. La norma europea come interpretata dalla Corte di Giustizia, non è self executing e, dunque, non può comportare disapplicazione della norma interna, la quale deve continuare a regolare la materia. Anzi, interpretando la direttiva unionale, la Corte europea ha dato per presupposto il rinvio alla introduzione di una normativa nazionale che ha il compito di trasfondere le regole europee in una legge dello Stato, in modo specifico quanto alla determinazione delle categorie di reati per la cui dimostrazione possa ritenersi legittima l'acquisizione dei dati di traffico telefonico o telematico. Nelle more dell'adozione di una nuova legge, l'art. 132 del Codice di privacy continua a regolare la materia. La Corte di cassazione, pertanto, ha escluso che debbano essere rimeditati gli indirizzi giurisprudenziali con i quali è stata salvata l'operatività dell'art. 132 codice della privacy, aprendo nel contempo la strada all'introduzione di una nuova disciplina normativa nazionale sul tema, che riempierebbe di contenuto la normativa europea ritenuta generica, operando per il futuro, come del resto avviene per le nuove norme processuali.
3. Appare utile osservare che l'orientamento espresso dalla Corte di cassazione appare conforme alla disciplina comunitaria. Le disposizioni dei Trattati, invero, non specificano gli effetti delle pronunce pregiudiziali. Se non si vuole mettere in discussione l'utilità del rinvio pregiudiziale, nondimeno, deve ritenersi che la decisione della Corte di giustizia abbia portata vincolante sul giudice del rinvio. Questi è tenuto a conformarsi all'interpretazione resa dalla Corte per la risoluzione della lite principale (c.d. effetti endoprocessuali). La vincolatività della sentenza interpretativa, inoltre, non impedisce comunque al giudice nazionale di sollevare un nuovo rinvio alla Corte, anche al fine di provocarne un mutamento. L'efficacia delle sentenze interpretative, tuttavia, si estende anche al di fuori del giudizio principale (c.d. effetti extraprocessuali). Tali sentenze, infatti, pur originando da una specifica controversia, hanno carattere astratto, essendo volte a chiarire l'interpretazione e la portata delle disposizioni comunitarie. Uno degli scopi fondamentali del rinvio pregiudiziale è quello di assicurare l'uniforme applicazione del diritto dell'Unione. Tale scopo sarebbe frustrato se le sentenze interpretative della Corte dispiegassero i propri effetti soltanto nel procedimento in cui è stato proposto il rinvio (cfr. R. Mastroianni, Pregiudiziale comunitaria, in Digesto discipline penalistiche, 2010). L'interpretazione dell'art. 15, par. 1, della direttiva 2002/58 fornita dalla Corte di Giustizia, sebbene relativa ad una causa estone, pertanto, assume rilievo anche per valutare la conformità della normativa italiana alla disciplina comunitaria. La Corte di cassazione, peraltro, pur non disconoscendo il rilievo dell'attività interpretativa delle norme comunitarie operata nelle sentenze della CGUE, ha precisato, però, che l'interpretazione di una disposizione comunitaria può avere efficacia immediata e diretta nel nostro ordinamento limitatamente alle ipotesi in cui non residuino, negli istituti giuridici regolati, concreti problemi applicativi e correlati profili di discrezionalità che richiedano l'intervento del legislatore nazionale. Ciò è tanto più vero laddove la normativa euro-unitaria consista in una direttiva, fonte normativa per sua natura destinata ad essere recepita dalle legislazioni nazionali.
4. La sentenza della Corte di cassazione illustrata, peraltro, al pari di quella che l'ha preceduta, non affronta l'altro profilo delicato del tema, rappresentato dalla effettiva rispondenza ai precetti europei di una disciplina che assegna il potere di acquisizione dei dati al pubblico ministero e non al giudice. Su questo punto, secondo la sentenza della Corte di Giustizia più volte indicata, l'art. 15, par. 1, della direttiva 2002/58, come modificata dalla direttiva 2009/136, deve essere interpretato nel senso che tale norma osta ad una normativa nazionale, la quale riconosca al pubblico ministero la competenza ad autorizzare l'accesso di un'autorità pubblica ai dati relativi al traffico telefonico e ad a quelli concernenti l'ubicazione dell'utenza ai fini di un'istruttoria penale. Più precisamente, la Corte europea ha ritenuto essenziale che l'accesso delle autorità nazionali competenti ai dati conservati sia subordinato ad un controllo preventivo effettuato da un giudice o da un'entità amministrativa indipendente e che la decisione di tale giudice o di tale entità intervenga a seguito di una richiesta motivata delle autorità suddette presentata, in particolare, nell'ambito di procedure di prevenzione o di accertamento di reati ovvero nel contesto di azioni penali esercitate. Il requisito di indipendenza che l'autorità incaricata di esercitare il controllo preventivo deve soddisfare, inoltre, impone che tale autorità abbia la qualità di terzo rispetto a quella che chiede l'accesso ai dati, di modo che la prima sia in grado di esercitare tale controllo in modo obiettivo e imparziale al riparo da qualsiasi influenza esterna. In ambito penale, il requisito di indipendenza implica che l'autorità incaricata di tale controllo preventivo, da un lato, non sia coinvolta nella conduzione dell'indagine penale di cui trattasi e, dall'altro, abbia una posizione di neutralità nei confronti delle parti del procedimento penale. Ciò non si verifica nel caso di un pubblico ministero che dirige il procedimento di indagine ed esercita, se del caso, l'azione penale. Infatti, il pubblico ministero non ha il compito di dirimere in piena indipendenza una controversia, bensì quello di sottoporla, se del caso, al giudice competente, in quanto parte nel processo che esercita l'azione penale. Su questo punto, è bene rimarcarlo, è intervenuto il legislatore, assegnando con il decreto-legge dapprima indicato il compito di disporre l'acquisizione dei dati di traffico al giudice.
5. L'impostazione accolta dalla Corte di Giustizia è apparsa in contrasto con la previsione dell'art. 132 del codice della privacy, ovviamente nella versione previgente alla riformulazione determinata dal decreto-legge n. 132 del 2021. La sentenza della Corte di cassazione in esame, tuttavia, non ha confrontato la decisione della Corte di Giustizia con l'indirizzo giurisprudenziale consolidato, secondo cui è pienamente rispondente ai precetti sovranazionali la disciplina nazionale che assegna il potere di acquisizione dei dati al pubblico ministero e non al giudice, in quanto il termine “giudice” adoperato nelle sentenza della Corte di giustizia (in particolare, nella pronuncia del 21/12/2016 c.d. Tele2) non va inteso in senso stretto, ma deve essere esteso sino al concetto di “autorità giudiziaria”, che pacificamente ricomprende anche la figura del pubblico ministero (Cass. pen., sez. V, n. 33851 del 24/04/2018; Cass. pen., Sez. III, 19/4/2019, n. 36380). È stato osservato che, nella lettura della versione francese delle sentenze europee, è adoperato il termine “juridiction”, riferibile alla magistratura francese nel suo complesso, composta da giudici e da pubblici ministeri (magistrats du parquet), i quali ultimi non presenterebbero caratteristiche analoghe a quelli italiani, poiché non godono della stessa autonomia dei giudici, facendo parte di una gerarchia che pone al vertice il Ministro della Giustizia. Allo stesso modo nella versione inglese delle sentenze viene adottato il termine “Court”, anch'esso secondo la Corte di cassazione promiscuo, considerato che la funzione giudiziaria è, in via generale, indicata con la formula “Court clerk”, mentre termini precisi designano il giudice (judge) e il pubblico ministero britannico (prosecutor), quest'ultimo privo della prerogativa italiana dell'indipendenza. Del resto, nelle decisioni della Corte di giustizia, in cui si afferma che il controllo sul trattamento dei dati personali può essere affidato ad una individuata “autorità indipendente” di natura amministrativa. Queste argomentazioni, per quanto oggetto di critiche da parte della dottrina (R. Flor, Data retention, in C. Parodi (a cura di), Diritto penale dell'informatica, Milano, pag. 704), sembrano evidenziare una significativa diversità di impostazione tra la sentenza della Corte di Giustizia del 02/03/2021,causa C-746/18, che pare ricondurre il profilo dell'indipendenza alla sussistenza di «una posizione di neutralità nei confronti delle parti del procedimento penale» e quelle precedenti della medesima Corte (in particolare, la pronuncia del 21/12/2016, Tele2 e Watson, cause riunite C 203/15 e C 698/15, laddove è affermata solo la necessità del “controllo preventivo da parte di un giudice o di un'autorità amministrativa indipendente”). La portata di queste argomentazioni della giurisprudenza di legittimità è notevole, tanto che pare condivisibile l'opinione giurisprudenziale secondo cui questo specifico dubbio di compatibilità comunitaria debba trovare uno sbocco nel rinvio pregiudiziale alla stessa Corte di Giustizia europea (Tribunale di Rieti 4/05/2021, in Giurisprudenza penale 13/05/2021). Quest'ultima dovrebbe chiarire se, come affermato nella sentenza della CGUE (Grande Camera) del 2/03/2021, causa C-746/18, «il requisito di indipendenza che l'autorità incaricata di esercitare il controllo preventivo deve soddisfare … impone che tale autorità abbia la qualità di terzo rispetto a quella che chiede l'accesso ai dati, di modo che la prima sia in grado di esercitare tale controllo in modo obiettivo e imparziale al riparo da qualsiasi influenza esterna».
6. La Corte di Giustizia, in particolare, come evidenziato nell'ordinanza del Tribunale di Rieti appena citata, in sede di rinvio pregiudiziale, avrebbe l'occasione per considerare come, nonostante la possibilità di un'assimilazione “funzionale” tra il Pubblico Ministero estone e quello italiano, le due figure si rivelerebbero diverse per quanto riguarda il proprio status e le garanzie che lo connotano. Il pubblico ministero estone è organo di nomina governativa, “soggetto” alla sfera di attribuzioni del Ministero della Giustizia, (v. Prosecutor's Office Act - Passed 22.04.1998, RT I 1998, 41, 625, Entry into force 20.05.1998, partially 01.01.2001, Art. 1: “Prosecutor's office: The prosecutor's office is a government agency within the area of government of the Ministry of Justice”); il pubblico ministero italiano, al contrario, è assistito da numerose garanzie di autonomia e indipendenza previste addirittura in diverse norme della Costituzione italiana. Questo tema non pare indifferente nella giurisprudenza della Corte europea, che anche nella sentenza del 2/03/2021, al par. 14, ha richiamato la “Legge relativa al pubblico ministero” estone e in particolare l'art. 1, secondo cui “Il pubblico ministero è un'autorità soggetta alla sfera di competenza del Ministero della Giustizia”). Il rinvio pregiudiziale, pertanto, pare essere la sede per valutare se, nella prospettiva della tutela dei diritti fondamentali, le garanzie di indipendenza del pubblico ministero dall'esecutivo, oltre all'obbligo di svolgere gli accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona indagata, gravante ai sensi dell'art. 358 c.p.p. sullo stesso organo, assicurino sufficiente imparzialità o neutralità al soggetto pubblico destinato ad assumere la veste di parte nel giudizio.
7. In attesa delle indicazioni della Corte europea, però, si potrebbe sostenere che può essere riconosciuta anche al pubblico ministero italiano nel corso delle indagini la posizione di indipendenza cui fa riferimento la sentenza della CGUE (Grande Camera) del 2/03/2021, causa C-746/18. Tale soluzione - nonostante la riforma dell'art. 132 Codice della privacy introdotta dal d.l. n. 132 del 2021 – non pare scorretta. Bisogna considerare, infatti, che l'acquisizione dei dati di traffico, in genere, avviene nel corso delle indagini preliminari, durante le quali il pubblico ministero è tenuto a raccogliere anche gli elementi di prova a favore dell'indagato. Sotto il profilo esclusivamente funzionale, potrebbe rilevarsi che, nel corso delle indagini preliminari, la figura del pubblico ministero italiano non sia connotata da un evidente mancanza di imparzialità e indipendenza. Si deve tener conto, difatti, del principio di obbligatorietà dell'azione penale nonché di quello di tendenziale completezza delle indagini, i quali fungerebbero da argine alla discrezionalità del magistrato requirente nella fase che precede l'esercizio dell'azione penale (così N. Rezende, Dati esterni alle comunicazioni e processo penale: questioni ancora aperte in tema di data retention, nota a Cass., Sez. III, 19 aprile 2019 (dep. 23 agosto 2019), n. 36380, in www.sistemapenale.it 2020, 5, pag. 191). Si tratterebbe, insomma, di definire il significato del riferimento ad “un giudice” o ad “un'entità amministrativa indipendente” impiegata dalla sentenza europea, come organo deputato a concedere l'autorizzazione, ritenendo che essa implichi solo che l'Autorità che autorizza l'accesso ai dati sia tenuta per legge ad acquisire anche i mezzi di prova a favore dell'indagato e non soltanto quelli che depongono per la sua responsabilità. In questa prospettiva, l'assunzione della qualità di parte nel processo non precluderebbe di ravvisare una “imparzialità” dell'organo pubblica durante lo svolgimento delle attività investigative le quali sono finalizzate alle determinazioni sull'esercizio dell'azione penale, tra le quali anche la richiesta di archiviazione. Tale soluzione è già stata proposta dalla giurisprudenza di merito, che ha ritenuto sufficiente nella prospettiva pretesa dalla giurisprudenza europea la garanzia di indipendenza assicurata dal pubblico ministero (cfr., tra le altre, Tribunale di Milano, Sez. VII, 22/04/2021, in Sistema penale 7/05/2021, con nota di V. Tondi, La disciplina italiana in materia di data retention a seguito della sentenza della Corte di giustizia Ue: il Tribunale di Milano nega il contrasto con il diritto sovranazionale), anche se è stata escluda dalla dottrina (cfr., G. Spangher, I tabulati: un difficile equilibrio tra esigenze di accertamento e tutela di diritti fondamentali, in Giustizia Insieme, 3/05/2021, secondo cui «le connotazioni del pubblico ministero, al di là di quanto possa derivare dalla disciplina dell'Estonia, consente di escludere che, pur nella (possibile) funzione di garanzia, connessa alla raccolta di indagini a favore dell'imputato, il ruolo di “parte” del P.M. contrapposta a quella dell'imputato possa connotarlo di quegli elementi idonei ad incidere su diritti fondamentali dell'imputato, in quanto persona, cioè, in quanto soggetto connotato di una sfera di garanzie particolari ed incomprimibili»). Aiuterebbe a ritenere sostenibile l'attribuzione del potere di disporre l'acquisizione dei dati di traffico in capo al pubblico ministero, peraltro, la considerazione che nel nostro ordinamento era già garantita comunque una certa parità di accesso al mezzo di prova. Il difensore dell'imputato o della persona sottoposta alle indagini, infatti, oltre a sollecitare l'acquisizione dei dati al pubblico ministero, può richiedere, direttamente al fornitore i dati relativi alle utenze intestate al proprio assistito con le modalità indicate dall'art. 391-quaterc.p.p. (la parità di accesso è accentuata dalla riforma introdotta dal d.l. n. 132 del 2021 che assegna anche al difensore dell'imputato, della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa e delle altre parti private).
8. Il riconoscimento della posizione di imparzialità del pubblico ministero nel corso delle indagini nel senso descritto, perché tenuto ex art. 358 c.p.p. a raccogliere le prove anche a favore dell'indagato, peraltro, se impedirebbe di configurare un contrasto tra la previsione dell'art. 132 d.lgs. n. 196 del 2003 e la disciplina europea come interpretata dalla corte di Giustizia, non pare necessariamente in contrasto con le successive scelte del legislatore che ha introdotto la disciplina del d.l. n. 132 del 2021. Considerata la gravità dell'ingerenza nella vita privata provocata dall'analisi incrociata dei dati acquisiti, con il decreto-legge si è ritenuto di rivedere la previsione dell'affidamento al pubblico ministero di un potere così rilevante e potenzialmente invasivo della sfera privata, demandando il compito al giudice. In questa prospettiva, la scelta del legislatore del decreto legge n. 132 del 2021 non deriverebbe tanto dall'adeguamento al dictum della sentenza della Corte di Giustizia del 2021, quanto dalla considerazione della maggiore incidenza sulla vita privata dell'acquisizione dei dati del traffico telematico di una persona, divenuta ormai frequente, rispetto a quella dei dati delle comunicazioni telefoniche.
9. Nel caso in cui si ritenesse discutibile il percorso illustrato, cioè ove non si riconoscesse al pubblico ministero una sufficiente garanzia di indipendenza nel corso delle indagini nel senso richiesto dalla Corte europea, peraltro, dovrebbe legittimamente dubitarsi che alla affermazione della contrarietà dell'art. 132 del Codice della privacy all'art. 15, par. 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002, come interpretato dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 02/03/2021,causa C-746/18, consegua l'inutilizzabilità della prova acquisita in forza di decreto motivato del pubblico ministero (ovviamente prima dell'entrata in vigore delle nuove norme). Andrebbe considerato che si tratta di tabulati acquisiti con decreto del pubblico ministero sulla base di un orientamento giurisprudenziale consolidato della Corte di legittimità che escludeva il contrasto tra la norma nazionale e la direttiva europea. Secondo il diritto vivente all'epoca dell'acquisizione dell'atto, dunque, il comportamento dell'organo pubblico era corretto. Dovrebbe dubitarsi, inoltre, dell'applicazione retroattiva del mutamento dell'interpretazione giurisprudenziale della Corte europea. Dovrebbe trovare applicazione, anche nel caso di specie, il principio affermato dalla giurisprudenza civile di legittimità con riferimento alle decisioni delle Sezioni Unite (cfr. da ultimo, Cass. Civ. Sez. U, n. 4135 del 12/02/2019), secondo cui il mutamento imprevedibile della precedente e consolidata giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo non può produrre effetti processuali pregiudizievoli (nullità, decadenze, preclusioni, inammissibilità) per la parte che abbia compiuto l'atto con modalità ed in forme ossequiose dell'orientamento giurisprudenziale successivamente ripudiato, ma dominante al momento del compimento dell'atto (c.d. prospective overruling). Le decisioni della Cassazione Civile, anche in forza dell'art. 7 CEDU, hanno delimitato la irretroattività dell'overrulling ai casi in cui il mutamento sia stato imprevedibile o quantomeno inatteso e privo di preventivi segnali anticipatori del suo manifestarsi, in ragione del carattere consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso (Cass., sez. un., 12 ottobre 2012, n. 17402; n. 23836 del 2012 cit.), ipotesi non ravvisabile in mancanza di incertezza interpretativa delle norme processuali ad opera della Corte di cassazione (Cass. 15 febbraio 2018, n. 3782). La soluzione contraria, inoltre, si risolverebbe nel rilievo di una ipotesi di inutilizzabilità non derivante dalla violazione di un puntuale divieto normativo, perché l'art. 132 Codice della privacy tipizza il solo divieto di acquisizione dei dati relativi al traffico telefonico oltre i termini previsti dalla stessa norma (cfr. Tribunale di Milano, Sez. VII, 22/04/2021, cit.), mentre l'attribuzione al giudice del potere di disporre detta acquisizione è avvenuta solo con il decreto-legge n. 132 del 2021. C. Parodi, Sottratto al P.M. il potere di richiedere autonomamente i tabulati, in questa rivista, 1° ottobre 2021; L. Filippi, La nuova disciplina dei tabulati, in Penale. Diritto e processo, 1° ottobre 2021; F. Resta, La nuova disciplina dei tabulati, in Giustizia Insieme, 1° ottobre 2021; C. Parodi, Tabulati telefonici: la Suprema Corte si esprime dopo le indicazioni della CGUE, in questa rivista 5 agosto 2021; G. Spangher, I tabulati: un difficile equilibrio tra esigenze di accertamento e tutela di diritti fondamentali, in Giustizia Insieme, 3/05/2021 J. Della Torre, L'acquisizione dei tabulati telefonici nel processo penale dopo la sentenza della Grande Camera della Corte di Giustizia UE: la svolta garantista in un primo provvedimento del Gip, di Roma, in www.sistemapenale.it; L. Cusano, Tabulati telefonici: ulteriori ricadute della sentenza della CGUE del 2 marzo 2021 sul piano della utilizzabilità degli esiti di prova, nota a Trib. Bari, Sez. GIP, 1 maggio 2021, in questa rivista, 25 maggio 2021; L. Filippi, La Grande Camera della Corte di giustizia U.E. boccia la disciplina italiana sui tabulati. CGUE, Sez. V, 17 dicembre 2020, n. 459, in www.penaledp.it; L. Luparia, Data retention e processo penale. Un'occasione mancata per prendere i diritti davvero sul serio, in Diritto di Internet, 2019, 4, p. 762; G. Melillo, Intercettazioni ed acquisizioni di dati telefonici: un opportuno intervento correttivo delle Sezioni Unite, in CP, 2000, 2602-2609; C. Parodi, Tabulati telefonici e contrasti interpretativi: come sopravvivere in attesa di una nuova legge, in questa rivista, 3 maggio 2021; F. Resta, Conservazione dei dati e diritto alla riservatezza. La Corte di giustizia interviene sulla data retention. I riflessi sulla disciplina interna, in www.giustiziainsieme.it; N. Rezende, Dati esterni alle comunicazioni e processo penale: questioni ancora aperte in tema di data retention, nota a Cass., Sez. III, 19 aprile 2019 (dep. 23 agosto 2019), n. 36380, in www.sistemapenale.it. |