Sulla tempestività dell'azione di reintegra nel possesso
07 Ottobre 2021
Massima
Nell'ambito dell'azione di reintegrazione del possesso a seguito di uno spoglio clandestino, l'onere di provarne il tempestivo esercizio entro l'anno dal sofferto spoglio incombe sulla parte ricorrente, la quale dovrà dimostrare il momento in cui lo spoglio era conoscibile secondo la diligenza ordinaria dell'uomo medio. Il caso
A.C. ricorreva avanti il competente Tribunale per chiedere di essere reintegrata nel possesso a seguito dello spoglio violento e clandestino asseritamente posto in essere da P.C., il quale, costituendosi, eccepiva la decadenza per tardività della proposta azione possessoria. Conclusasi la fase interdittale con l'accoglimento della domanda di reintegrazione formulata dalla ricorrente, il giudizio di merito veniva definito in primo grado con la declaratoria di inammissibilità dell'invocata tutela possessoria perché esercitata tardivamente. La Corte d'appello, investita del relativo gravame, riformava la decisione emessa dal giudice di prime cure stabilendo che A.C. avesse, invece, provato la tempestività dell'azione di reintegrazione. P.C. ricorreva, quindi, avanti la Corte di cassazione formulando tre motivi di impugnazione, uno dei quali (il secondo) - avente ad oggetto la violazione degli artt. 116 c.p.c., 2697 e 1168 c.c. per aver la Corte territoriale ritenuto tempestivamente esercitata l'azione possessoria - veniva accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d'appello. La questione
La questione esaminata dalla Corte di cassazione può essere sintetizzata come segue: nell'ambito di un'azione di reintegrazione del possesso, esperita a seguito di uno spoglio clandestino, il termine di decadenza annuale per il relativo esercizio decorre da quando il ricorrente sia venuto effettivamente a conoscenza dello spoglio oppure da quando egli sia stato nella condizione di potersene accorgere usando la diligenza ordinaria e su chi grava il connesso onere probatorio? Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte, dopo aver ricordato che lo spoglio clandestino è tale, in buona sostanza, quando avviene all'insaputa del possessore conformandosi, così, a quella che sembra essere la definizione tradizionale di clandestinità (Nardelli, Reintegrazione o spoglio (azione di): termini: violenza e clandestinità, in Giur. It, 2003, 2033; Cass. civ., sez. II, 6 aprile 2017, n. 8911 in Giustizia Civile Massimario 2017; App. Bari, sez. III, 31 ottobre 2019, n. 2279 in Redazione Giuffrè 2020) affronta le due questioni sottese al (secondo) motivo di impugnazione dedotto. Nello specifico, circa il momento rilevante ex art. 1168, comma 3, c.c. per poter considerare scoperto lo spoglio e, dunque, far decorrere il termine decadenziale annuale previsto dalla norma in questione, la Cassazione lo identifica con la conoscibilità secondo la diligenza ordinaria. In altri termini, lo spoglio può dirsi scoperto (e costituire il dies a quo per l'esercizio dell'azione possessoria) non già quando la vittima se ne avvede effettivamente (per usare le parole della Corte, «soggettiva conoscenza»), bensì quando lo spoglio risultava conoscibile dalla stessa con il canone di diligenza ordinaria, ossia dal momento (evidentemente anteriore) in cui tale scoperta sarebbe stata normalmente possibile secondo «l'uomo medio» (Cass. civ.,sez. II, 13 settembre 1991, n. 9585 in Mass. Giur. It., 1991; Trib.Napoli, 18 settembre 2002 in Giur. merito 2004, 76; Cass. civ., sez. II, 29 marzo 2006, n. 7267 in Giust. civ. Mass. 2006, 3). Con riferimento, poi, all'onere della prova (del momento della scoperta dello spoglio), la Suprema Corte - piuttosto sbrigativamente, senza ulteriori precisazioni e come vedremo infra discostandosi dall'orientamento assolutamente maggioritario, seppur non compiutamente motivato - afferma che lo stesso incombe sulla parte che agisce in reintegra con ciò sostenendo, piuttosto chiaramente seppur in modo generico, che è il ricorrente la parte che dovrà sopportare le conseguenze negative che derivano dalla mancata prova dei fatti allegati (Taruffo, Onere della prova, in Digesto civ., XIII, 185, 68). Osservazioni
L'ordinanza in commento merita di essere approfondita non tanto con riferimento al criterio della diligenza ordinaria, quale «metro di misura» della scoperta dello spoglio e, quindi, della tempestività dell'actio spolii quanto sul tema del soggetto onerato a fornire la prova di tale scoperta. Se, infatti, il canone della diligenza ordinaria, quale parametro per verificare il momento in cui lo spogliato è in condizione di avvedersi dello spoglio (dal quale dipende la tempestività dell'azione di reintegrazione), è un approdo che è possibile dare per acquisito nel panorama dottrinale e giurisprudenziale e che coerentemente riflette sul piano processuale il contenuto sostanziale della clandestinità dello spoglio (nel senso che quest'ultimo può dirsi clandestino qualora attuato in modo occulto che non consenta alla vittima di percepirlo all'istante, sì che ciò che rileva è lo stato di ignoranza di chi subisce l'attentato possessorio, il quale deve essersi trovato nell'impossibilità di avere conoscenza del fatto costituente lo spoglio nel momento in cui viene posto in essere pur usando l'ordinaria diligenza (Trib. Genova 4 gennaio 1995, in Rass. giur. Enel, 1995, 912; Pret. Torino, 3 aprile 1995, in Giur. it., 1995, I, 2, 686; Cass. civ., sez. II, 14 aprile 1999, n. 3674, in Giust. civ. Mass., 1999, 845), l'individuazione del soggetto onerato della prova di detta tempestività, pur essendo risolto dalla giurisprudenza del tutto maggioritaria in modo univoco (e dalla quale il decisum di cui trattasi sembra discostarsi), presenta delle incertezze dal punto di vista della motivazione che non consentono di comprendere sino in fondo sulla base di quali considerazioni l'orientamento prevalentemente si fondi. Orbene, in argomento si riscontra, come detto, una corrente giurisprudenziale del tutto dominante (tra le tante, Trib. Bologna, sez. II, 17 maggio 2011, n. 1352 in Guida al diritto 2011, 29, 56; Cass. civ., sez. II, 19 marzo 2014, n. 6428 in Giustizia Civile Massimario 2014) che ravvisa, anch'essa, in capo al ricorrente l'onere di provare la tempestività dell'azione, ma ciò solo (ed è precisamente questo il profilo che sembra non essere stato fatto proprio dall'ordinanza de qua) qualora la controparte, costituendosi, abbia eccepito la decadenza dal termine annuale di legge. Non risulta, però, che i giudici si premurino di motivare tale conclusione la quale, invero, viene ripetuta da decenni (Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 2013, n. 3975, in Dir. e giustizia, 2013, 217; Cass. civ., sez. II, 27 settembre 2016, n. 19018 in Dir. e giustizia, 2016). In proposito, di fronte ad arresti, appartenenti al suddetto orientamento, secondo cui grava sull'attore l'onere di provare la tempestività dell'azione ritenuta «presupposto per l'esercizio dell'azione» (Cass. civ., sez. II, 6 giugno 2012, n. 9123, in Dir. e giustizia, 2012, 489 ss) o «presupposto per l'ammissibilità della domanda» (Trib. Bologna 17 maggio 2011, n. 1352, in Guida dir, 2011 29, 56) oppure «condizione di proponibilità della domanda» (Trib. Bari, 22 ottobre 2009, n. 44 in Giurisprudenzabarese.it, 2009) o ancora «condizione per l'esercizio dell'azione» e «presupposto processuale» (Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1995, n. 1036 in Giust. civ. Mass. 1995, 213), non viene chiarita la ragione giuridica per la quale il soggetto spogliato sarebbe gravato da siffatto onere solo qualora parte resistente eccepisca l'intempestività dell'azione (il che porterebbe logicamente a ritenere che nel caso in cui non venisse eccepito alcunché dal presunto spoliator, parte attrice sarebbe sollevata dalla prova temporale). Ragione giuridica certamente non di immediata enucleazione posto che, circa la distribuzione dell'onere della prova in materia di decadenza da poteri o dall'esercizio dell'azione, né la dottrina né la giurisprudenza sono pervenute ad un criterio unitario ritenendo che il decorso (o meno) della decadenza talvolta costituisca un fatto estintivo il cui onus probandi grava sul convenuto e in altre ipotesi un fatto costitutivo la cui prova è «dovuta» dall'attore (ricade in quest'ultima ipotesi, ad esempio, la dimostrazione del termine decadenziale ex art. 1892, comma 2, c.c. che grava sull'assicuratore-attore, mentre la tardiva denuncia del difetto afferente il buon funzionamento di una cosa mobile ex art. 1512 c.c. grava sul venditore convenuto). Difatti, come è stato autorevolmente osservato, vi sono massime che considerano la decadenza come un fatto impeditivo la cui prova spetta a chi l'oppone e ce ne sono altre secondo le quali il tempestivo compimento dell'atto richiesta dalla legge è condizione necessaria per far valere il diritto che in quanto tale va provato da chi lo invoca (Verde, L'onere della prova, 382-383). Ebbene, premesso quanto sopra circa il contenuto dell'orientamento dominante – con tutte le carenze in termini di motivazione – l'ordinanza di cui trattasi sembra discostarsi dalla giurisprudenza testé richiamata nella parte in cui, senza premesse di sorta (i.e. senza far dipendere l'attività probatoria del ricorrente all'eccezione di decadenza avversaria) statuisce che la prova della tempestività dello spoglio incombe sulla parte che propone l'azione di reintegrazione. Invero, non è chiaro se in questo caso la Suprema Corte, pur senza darne espressamente atto, abbia recepito automaticamente la contestata decadenza dell'azione possessoria (nel caso concreto, P.C., già nella fase interdittale, aveva rilevato la tardività dell'iniziativa processuale avversaria) di fatto applicando implicitamente quello che sappiamo essere l'orientamento primario oppure, per quanto laconica, abbia voluto, come in altre rare pronunce (Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1995, n. 1036 cit.; Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2003, n. 67 in Giur. it., 2003, 2033; Cass. civ., sez. II, 18 settembre 2009, n. 20228 in Giust. civ. Mass. 2009, 9, 1335; Trib. Messina, sez. I, 20 aprile 2015, n. 942 in Redazione Giuffrè 2016) discostarsi dall'impostazione tradizionale dando credito ad un più generale orientamento giurisprudenziale oppure, forse, alla ricostruzione alternativa elaborata da autorevole dottrina. Sul punto, si può brevemente osservare che (i) sebbene la non univocità e le incertezze di cui si è detto, a livello sistemico la giurisprudenza tende ad affermare che allorquando la decadenza da un diritto consegua alla mancata osservanza dell'onere di compiere un determinato atto entro un dato termine, spetta a colui che intende esercitare il diritto provare di aver compiuto tempestivamente quell'atto (Cass. civ., sez. II, 26 agosto 1989, n. 3796, in Giust. civ. Mass., 1989, 8-9; Cass. civ., sez. II, 26 agosto 1993, n. 9010, in Giust. civ. Mass., 1993, 1328; Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1994, n. 2394 in Giust. civ. Mass., 1994, 30); (ii) secondo una diversa proposta interpretativa (Dittrich, Diritto processuale civile, IV, 2019, 4633 ss), sull'assunto che il possesso (caratterizzato dalla simultanea ricorrenza di corpus e animus) è espressamente definito come fatto costituivo dell'azione (Cass. civ., sez. II, 12 giugno 2014, n. 13415, in Giust. civ. Mass., 2014) e che l'esercizio tempestivo dell'azione di cui all'art. 1168 c.c. costituisce un aspetto identificativo dell'animus possidendi (come tale, dunque un elemento della fattispecie costituiva del possesso), la relativa prova dovrà gravare sul ricorrente spogliato tenuto anche conto del principio della c.d. vicinanza della prova quale criterio sussidiario per attribuire all'una o all'altra parte la prova di un fatto (Cass. sez. II, 17 aprile 2012, n. 6008 in Giust. civ. Mass. 2012, 4, 508). Riferimenti
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