Sul concetto di concorrenza e coesistenza di danno

07 Ottobre 2021

Come noto, la dottrina medico-legale è attualmente divisa sul ruolo da conferirsi allo stato anteriore nella valutazione di nuove menomazioni; una parte sostiene il metodo cosiddetto "innovativo", un'altra il metodo "tradizionale"..
Introduzione

Lo stato anteriore assume un ruolo centrale nella valutazione del danno biologico alla persona. Questo aspetto fu evidenziato in maniera estremamente attenta nell'articolo di Ronchi e Morini (in Riflessioni in tema di “stato anteriore” nella valutazione del danno biologico Riv. IL Med. Leg. XIV, 1992 pag. 547 e ss.), così come in numerose pubblicazioni precedenti (si veda Cazzaniga A,. Le basi medico-legali per la stima del danno alla persona da delitto e quasi delitto, S.A. Istituto Editoriale Scientifico, Milano 1928 pag 30 e ss; Cazzaniga A., Le basi medico-legali per la stima del danno alla persona da delitto e quasi delitto, S.A. Istituto Editoriale Scientifico, Milano, 1928, p. 30 e ss) e successive (si veda Ronchi E., Il danno biologico permanente, differenziale-incrementativo, in r.c.: dalle origini medico legali a Cass. civ. n. 28986/2019, in Ridare.it) ed anche dal legislatore come, ad esempio, nel DM 3 luglio 2003, n. 11790 in merito alle menomazioni preesistenti, che recita: “Nel caso in cui la menomazione interessi organi od apparati già sede di patologie od esiti di patologie, le indicazioni date dalla tabella andranno modificate a seconda della effettiva incidenza delle preesistenze rispetto ai valori medi”.

Ronchi e Morini, nel proprio lavoro, segnalano che nella pratica vi possono essere casi in cui l'invalidità preesistente possa essere irrilevante a fini valutativi o, viceversa, essa possa avere un ruolo decisivo nello stato menomativo dell'individuo. Dai rilievi di questi ed altri Maestri della medicina legale, in particolare della scuola milanese, si è giunti alla concettualizzazione innovativa del cosiddetto danno differenziale incrementativo.

Come noto, la dottrina medico-legale è attualmente divisa sul ruolo da conferirsi allo stato anteriore nella valutazione di nuove menomazioni; una parte sostiene il metodo cosiddetto "innovativo", un'altra il metodo "tradizionale".

Tale è la differenza di pensiero che, nella Guida alla valutazione del danno di Ronchi, Mastroroberto e Genovese (in Guida alla valutazione medico-legale dell'invalidità permanente in responsabilità civile e nell'assicurazione privata contro gli infortuni e le malattie, Giuffrè, 2015) alle pagine da 28 a 46, gli autori (tra i più accreditati esperti nell'ambito della valutazione del danno alla persona in ambito nazionale), non riuscendo a raggiungere una posizione unitaria in merito, scelgono di presentare sia il criterio "tradizionale" sia il criterio "innovativo", ciascuno esponendo le proprie ragioni in merito e criticando la posizione opposta.

La Guida redatta dalla Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni (SIMLA, Linee guida per la valutazione medico-legale del danno alla persona in ambito civilistico, Giuffrè, 2016) a partire da pagina 46, sul punto, non esprime un'indicazione chiara ed affida il giudizio al prudente vaglio dell'esperto. Così si esprimono gli Autori:

"…La pratica dimostra, comunque, che l'applicazione di codeste indicazioni di massima può portare a risultati diversi, in termini di entità del risarcimento, a seconda dei variegati approcci interpretativi degli esperti. Taluni applicano anche a questi casi la regola della differenza, che (come si è detto) è nata per menomazioni incidenti sulla stessa funzione, dove già non sempre è di facile impiego. Il calcolo differenziale diventa comunque impraticabile quando sia la menomazione preesistente, sia quella acquisita sono di grande entità...".

La parte della dottrina medico legale che sostiene il metodo innovativo (insieme alla giurisprudenza), indica quindi che, in presenza di due invalidità concorrenti, si effettuerà una valutazione di tipo differenziale del danno.

Dunque, stabilito che le condizioni preesistenti del danneggiato siano concorrenti coi postumi residuati alla nuova menomazione, il medico legale dovrà valutare la menomazione complessiva (comprendente tutte le menomazioni concorrenti) e la menomazione antecedente l'evento di danno lasciando poi, sulla base del danno differenziale calcolato, la liquidazione al Giudice.

Questo convincimento è stato notevolmente rafforzato dagl'interventi del legislatore della necessità improcrastinabile che, con le note sentenze di San Martino 2019, si è espresso in merito al danno alla persona; una di queste, in particolare, con relatore Rossetti, ha vieppiù confermato nelle proprie idee chi sostiene il metodo innovativo:

“…Ritiene questa Corte che i suddetti problemi debbano trovare le seguenti soluzioni:

(a) di eventuali preesistenze si deve tenere conto nella liquidazione del risarcimento, non nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente, il quale va determinato sempre e comunque in base all'invalidità concreta e complessiva riscontrata in corpore, senza innalzamenti o riduzioni, i quali si tradurrebbero in una attività liquidativa esulante dai compiti dell'ausiliario medico-legale;

(b) di eventuali preesistenze si deve tenere conto, al momento della liquidazione, monetizzando l'invalidità accertata e quella ipotizzabile in caso di assenza dell'illecito, e sottraendo l'una dall'altra entità…”

Scopo del presente lavoro è di concentrare l'attenzione sul concetto di concorrenza e coesistenza di danno, che è una delle basi del sistema “innovativo”, ed operarne una critica medico scientifica in primis e, quindi, medico-legale. La premessa è la ferma convinzione di chi scrive che la medicina legale abbia natura scientifica, con le conseguenze che ne derivano.

La natura scientifica della Medicina Legale

L'appartenenza della medicina legale alla medicina, alle scienze applicate ed all'”hard science” la differenzia radicalmente dalle scienze giuridiche da cui è chiamata in aiuto.

In filosofia della scienza l'esistenza della verità e la conoscibilità della stessa sono questioni dibattute e non risolvibili con il metodo scientifico; tuttavia, se la scienza non può rispondere in merito all'esistenza della verità, è tuttavia in grado, grazie agli strumenti matematico-statistici, di quantificare l'incertezza e l'errore che si frappongono tra i modelli che elabora e la realtà che questi si prefiggono di spiegare.

Tale capacità di quantificare l'incertezza è la grande forza del pensiero scientifico, che vede al centro del proprio lavoro l'elaborazione di modelli ed il tentativo di applicarli alla realtà fenomenica; un modello può descrivere la realtà, od una sua porzione, oppure rivelarsi inutile a tale scopo. Proprio la capacità di quantificare il grado di incertezza nell'applicazione di un modello, dunque il confronto tra modello e realtà misurata, conferisce alle scienze teoriche ed applicate autorevolezza rispetto alle scienze “molli” dove il rigore e l'aderenza al metodo scientifico non sono applicabili, sono superficiali e non si basano su dati sperimentali e riproducibili o su dimostrazioni matematico-statistiche di tali dati.

La Medicina Legale lavora continuamente alla connessione di scienze “dure” e scienze “molli” essendo questo lavoro l'essenza stessa della disciplina che “…è e resta scienza della causalità, in forza appunto della sua duplice natura, essendo cioè partecipe della biologia e della medicina … e contemporaneamente samaritana del diritto...” (Barni, M., Il rapporto di causalità materiale in Medicina Legale, Giuffrè, 1995 pag. 2 e ss.).

La necessità di soccorrere le scienze che non possono utilizzare l'evidenza scientifica rende necessario alla Medicina Legale il ricorrervi, farne propri metodi e strumenti. Questo argomento è già stato ampiamente affrontato dal Barni il cui apporto dottrinario resta ancor oggi straordinariamente attuale.

Tuttavia, la sola conoscenza scientifica e del metodo scientifico non è sufficiente per definire la materia, che non è solo “medicina” ma, anche, “legale”; ciò significa che, per interpretare correttamente il proprio ruolo, essa necessita della conoscenza del linguaggio e delle regole rilevanti del Diritto e dei principi dello stesso. Perciò, se in Medicina l'evidenza scientifica oggi “regna sovrana”, la Medicina Legale è soggetta a due “leggi fondamentali”, l'una proveniente dallo studio dei fenomeni, l'altra dallo studio del Diritto, al fine di riconoscere la valenza giuridica di un fenomeno biologico.

La valutazione dei danni alla persona costituisce in questo il modello di riferimento: se dall'evidenza scientifica si possono desumere informazioni fondamentali in merito alla causalità materiale, alle prospettive di cura ed alle possibilità di recupero funzionale nel tempo, oltre alla valutazione descrittiva della funzione residua, queste dovranno essere interpretate alla luce della normativa vigente per fornire loro una valenza in ambito giuridico.

Una delle principali funzioni della normativa è dare indicazioni percentuali ai fini della quantificazione delle menomazioni, essendo oggi impossibile fornire un parametro percentuale di compromissione dell'integrità psico-fisica della persona basato su una forte evidenza scientifica. Tale aspetto è, del resto, anche riconosciuto nella sesta edizione delle Guide dell'American Medical Association, recentemente aggiornate; nel secondo capitolo delle medesime è chiaramente indicato che le valutazioni numeriche espresse con le Guide sono basate sul consenso e sulla opinioni degli esperti, in assenza di sufficienti evidenze su cui basare le valutazioni percentuali, considerato anche che il concetto di menomazione e quello di disabilità sono complessi e non ancora suscettibili di una definizione basata sulle evidenze, in quanto l'impatto di una singola menomazione dipende da fattori che superano gli aspetti fisici e psichici, comprendendo anche questioni psicosociali, comportamentali e relazionali.

Del resto, laddove fosse possibile analizzare così a fondo ogni attività umana da poter misurare l'impatto di una determinata menomazione rispetto alle attività della vita quotidiana, sarebbe da attendersi, fatti salvi specifici aspetti socio-culturali, l'universalità delle quantificazioni percentuali del danno alla persona, aspetto ben lungi -se non, forse, impossibile- dall'essere ottenuto.

L'unità e la complessità del soggetto

Secondo la Costituzione dell'OMS, la salute è definita come “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattie o infermità”. Questo tipo di definizione pone l'accento sull'essere umano in toto in rapporto con l'ambiente, non frazionabili, tantomeno in singoli distretti anatomici; essa ha il pregio, inoltre, di superare la definizione negativa di salute come semplice assenza di malattia, posto che la definizione stessa di “malattia” è sfuggente.

Il concetto di “malattia” non è definibile in maniera univoca.

Tale non è un'esigenza imprescindibile nella pratica clinica mentre diverso è il caso quando da tale fenomeno sorgano dei diritti. Già Cazzaniga (si veda La definizione di «malattia» come oggetto della assicurazione generale contro le malattie, in Rassegna Prev. Soc., XVI, 9, 1929) nel 1929, in merito al concetto di malattia, affermava trattarsi “di un concetto empirico e, quindi, a rigore, inafferrabile o per lo meno non delimitabile entro i rigidi termini di una definizione di valore universale” criticandone la definizione in negativo, ovvero come “mancanza di salute”, considerandola un infelice ripiego.

Salute e malattia sono, in effetti, stati dinamici e possono essere percepiti sia in assenza sia in presenza di patologie identificabili. Per tali motivi il concetto di malattia è soggettivo e si è affermato in letteratura che la “malattia” in sé non esiste ma solo l'esperienza della stessa (Fugelli P., Clinical practice: between Aristotle and Cochrane, Schweiz Med Wochenschr. 1998; 128: 184–8.); tuttavia, l'oggettivizzazione della malattia come entità specifica è un aspetto fondamentale della cultura occidentale, al punto che la sofferenza in assenza dell'identificazione di una malattia spesso non trova legittimazione.

Questo aspetto è ben evidente nelle difficoltà insite nella valutazione del dolore cronico, al punto che, sul punto, l'American Medical Association nelle proprie Guide alla valutazione del permanent impairment segnala la mancanza di consenso nella comunità scientifica in proposito al punto che condizioni di dolore cronico non accompagnate da rilievi obiettivi sono valutate al massimo al 3% dell'intera persona (Bentzen, N. (1995) WONCA international glossary for general practice/family medicine. Family Practice, 12 (3), 341–369).

In medicina è frequente l'uso della metafora (di origine newtoniana) del corpo come una macchina, in cui ogni evento ha una o più cause identificabili; tale aspetto si scontra, tuttavia, con l'esperienza clinica in cui sono evidenti i limiti di tali metafore (Goodwin JS., Chaos, and the limits of modern medicine, JAMA. 1997;278(17):1400). Ciò è peraltro compatibile con l'insaziabile bisogno dell'essere umano di comprendere il Mondo mediante semplificazioni che negano la complessità dell'esperienza. La natura semplificatrice della biomedicina (si pensi alla necessità di distinguere tra “normoteso” ed “iperteso”) è una delle risposte a questo bisogno e ha consentito numerosi avanzamenti attraverso generalizzazioni, categorizzando i soggetti in insiemi così da estendere la conoscenza di quanto gli stessi hanno in comune: si pensi, ad esempio, a fenomeni come l'ipertensione o il diabete. È tuttavia necessario ricordare che non esiste la categoria degli “ipertesi” ma la realtà del singolo paziente, cui devono essere adattati i modelli generalizzanti.

Ogni soggetto è in realtà un sistema complesso, una rete in cui numerosi agenti parallelamente agiscono e reagiscono al comportamento di altri agenti; il comportamento dello stesso deriva dalla competizione e dalla cooperazione di numerosi diversi sistemi ed è il risultato di un enorme numero di eventi che si verificano ed interagiscono contemporaneamente.

Dalla complessità del soggetto deriva che, in ambito medico legale, questi deve essere valutato nella propria interezza e vivente nel proprio ambiente reale; per tali motivi, la valutazione dell'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato deve essere effettuato sulla vita di quello specifico soggetto e non di un soggetto astratto, idealmente -quanto illusoriamente- “integro e sano”. La questione medesima delle attività quotidiane e degli aspetti dinamico relazionali è testimonianza di quanto sia difficile la valutazione del danno alla persona tanto più questa si allontana dal modello “ideale”, basti pensare ad un fisiologico invecchiamento, nel quale si perde la capacità di effettuare numerose attività di vita quotidiana, anche a fronte di un soggetto sano e apparentemente indenne da menomazioni.

Lo stato anteriore

Una delle basi di una corretta valutazione medico legale del danno alla persona è l'indagine dello stato anteriore del soggetto, che deve essere il più approfondita possibile.

Esso comprende, come enunciato dai criteri delle giornate medico-legali di Como e Perugia del 1967-8, età, sesso, costituzione, preparazione tecnico-professionale del soggetto, tare morbose, eventuali menomazioni preesistenti. Nella relazione relativa agli orientamenti giurisprudenziali nella valutazione del danno alla persona, contenuta all'interno delle conclusioni delle giornate medico-legali di Como e Perugia, Pedote, Avvocato Generale presso la Corte Suprema di Cassazione, evidenziava più precisamente la questione dello stato anteriore del soggetto segnalando le gravi difficoltà poste in rilievo dalla commissione deputata all'elaborazione delle tabelle sottolineando la necessità di una ricostruzione dell'uomo al momento dell'evento, tenendosi presenti il sesso, l'età, la sua costituzione; dunque, la valutazione effettuata rispetto allo stato anteriore più o meno prossimo. L'avviamento alla medesima tabella, elaborato da Gentile sempre nello stesso volume, rispetto allo stato anteriore del soggetto, ribadendone gli elementi costitutivi, segnala come essi possono operare diversamente rispetto all'invalidità, a volte maggiorandone a volte diminuendone i valori e richiedendo comunque un'indagine concreta caso per caso con particolare riferimento alla personalità psicofisica del soggetto.

Luvoni e coll. (si veda La definizione di «malattia» come oggetto della assicurazione generale contro le malattie, in Rassegna Prev. Soc., XVI, 9, 1929) lo identificano in intrinseche condizioni fisiologiche o parafisiologiche personali, in situazioni patologiche preesistenti nel soggetto leso. Rossetti (Rossetti, M. Il danno alla salute, Milano, 2009 pag. 415 e ss.), riprendendo la definizione di Gramignani (Sulla metodologia valutativa mediante formule per la quantificazione del danno alla persona, Arch. circolaz. 1975, 689-690.), lo identifica in “quell'insieme di condizioni fisio-psichiche preesistenti e indipendenti dall'avvenimento causa di danno (infortunio o fatto illecito altrui), che possono influire sul determinismo e sul decorso della lesione («concause di lesione» o di «malattia») e sulle sue conseguenze («concausa di menomazione» o di «invalidità»), provocando una compromissione biologica maggiore di quella che si sarebbe avuta in loro assenza”.

Resta il problema di valutare il soggetto alla luce di uno stato anteriore compromesso, ossia quando si tratti di lesioni policrone dell'integrità psicofisica. Esse toccano il soggetto in momenti diversi; quelle anteriori all'ultima (o alle ultime) sono definite come “preesistenze”. Sempre Rossetti (Sulla metodologia valutativa mediante formule per la quantificazione del danno alla persona, Arch. circolaz. 1975, 689-690) riporta i vari atteggiamenti dottrinari alternativi della medicina legale, consistenti o nel negare l'uso di qualsiasi criterio maggiorativo del grado di invalidità permanente, o nell'utilizzo di formule di provenienza assicurativo-sociale, o nel determinare il grado di invalidità permanente complessivo e sottrarre da esso il grado di invalidità permanente assente l'evento di danno e, infine, nel far riferimento alla persona e quindi nel riferimento all'autonomia e capacità perse in conseguenza della lesione.

Il terzo orientamento dottrinario riportato da Rossetti è il metodo c.d. “innovativo”.

L'applicazione di questo richiede il quantificare precisamente il ruolo che la nuova lesione esplica rispetto allo stato anteriore del soggetto. In altre parole, se vi sia una sostanziale indifferenza della nuova lesione rispetto alle preesistenti menomazioni con riguardo allo stato del soggetto, ovvero una semplice coesistenza. Differente il caso in cui il risultato menomativo ultimo della nuova lesione sia causato, anche, dalle precedenti menomazioni, in tal caso definite concorrenti.

Tale risultato potrà essere nullo, laddove il quadro menomativo fosse già grave (si pensi alla frattura di caviglia in soggetto paraplegico) o più grave che in un soggetto “normale”, essendo già la funzione menomata: in questo caso, nuova lesione e stato anteriore si influenzano reciprocamente, determinando un effetto più ampio di quello che sarebbe stato da attendersi dal solo ultimo evento.

Il concetto di concorrenza e coesistenza del danno

Il punto fondamentale, dunque, è stabilire il ruolo dello stato anteriore nella menomazione del soggetto esaminato. La valutazione di tale ruolo, nel caso si intenda utilizzare il metodo “innovativo”, deve essere precisa al punto da percentualizzare il danno preesistente. Tale percentualizzazione però deve essere effettuata non per tutte le menomazioni ma solo per quelle aventi un ruolo causale nella menomazione definitiva. Ecco, dunque, la necessità di introdurre un principio, ovvero quello della coesistenza o concorrenza di danno a seconda che le due menomazioni non si influenzino reciprocamente o viceversa nell'ambito del soggetto.

Tale costrutto pare di semplice comprensione prima facie. Si pensi ad una frattura di caviglia in un soggetto portatore degli esiti di una frattura di polso: è logico il ritenere che queste due menomazioni non si influenzino ed appartengano ad ambiti completamente differenti. Allo stesso modo, si pensi ad una frattura di gomito che insiste su esiti gravanti la medesima articolazione; in questo caso risulterebbe logico ritenere le menomazioni concorrenti nel formare la nuova menomazione e, dunque, applicare il metodo innovativo. Lo stesso può dirsi nel caso dell'amputazione di un arto superiore in un soggetto trapiantato di rene.

Risultano tuttavia alcuni punti critici nell'esame delle situazioni appena rappresentate. Il primo, è che l'indagine sullo stato anteriore deve essere ampia, come richiesto dalla dottrina medico-legale; non è sufficiente elencare le menomazioni preesistenti.

Il secondo punto, più specifico, è che si tratta di soggetti che non risultano in uno stato già gravemente compromesso. Ciascuno dei soggetti presi in esame non ha, verosimilmente, importanti limitazioni sulle proprie attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita al momento in cui si verifica la lesione e successivamente la menomazione. Si pensi, però, alla stessa frattura di caviglia del primo esempio che in un soggetto affetto da morbo di Parkinson. Si tratta di due distretti completamente diversi, si tratta degli esiti di un trauma acuto in un caso ed in una malattia degenerativa nell'altro, eppure la linea di demarcazione tra una “semplice” coesistenza ed una concorrenza del danno si fa alquanto sfumata. Si pensi, ancora, all'amputazione dell'arto superiore dominante che si verifichi però in un soggetto paraplegico e costretto in carrozzina. Si può facilmente comprendere l'esito disastroso della nuova menomazione rispetto allo stato anteriore. Ciò che prima la persona poteva comunque fare -guidare l'auto, svolgere determinati lavori, attendere alla cura della propria persona- risulta oggi impedito. Eppure, si tratta di lesioni che attingono organi differenti, aventi diverse funzioni però non esiste persona che non comprenda immediatamente come la perdita di quell'arto modifichi enormemente la capacità di vita di quel soggetto. E quindi è evidente come le due menomazioni concorrano, pur interessando distretti differenti.

Questo in quanto l'essere umano deve essere concepito come un'unica entità non frazionabile in parti indifferenti fra loro. Tale aspetto risulta, del resto, già ben evidenziato da Gramigniani (Sulla metodologia valutativa mediante formule per la quantificazione del danno alla persona, Arch. circolaz., 1975, p. 690) quando scrive che il concetto di concorso o sinergia è da intendersi non già ristretto alle sole menomazioni interessanti lo stesso sistema organo- funzionale, bensì esteso anche a quelli interessanti sistemi diversi purché vicendevolmente influenzatesi (in questo caso l'autore fa riferimento alla attitudine lavorativa, nel contesto valutativo dell'epoca).

Tutti gli esempi sopra proposti dimostrano che, se il concetto concorrenza/coesistenza di danno può essere facile da tradurre nella pratica per danni contenuti, non perturbanti l'intera persona, essa diventa ben difficile (o impossibile) da applicare laddove vi siano situazioni di importante menomazione o malattie sistemiche.

Non si può pretendere, peraltro, come già sosteneva Gerin (La valutazione medico-legale del danno alla persona in responsabilità civile Giuffrè 1973 pag. 8 e ss), che il medico legale ignori il destino dei propri giudizi e valutazioni: dalla concorrenza o coesistenza di un danno consegue un effetto rilevante sulla quantificazione percentuale prima, economica poi. Tenendo a mente il soggetto già paraplegico, amputato di arto superiore destro, è evidente la concorrenza dei due danni. Logica conseguenza, secondo parte della dottrina, l'applicazione del danno differenziale incrementativo, con conseguente sottostima della perdita definitiva della capacità di svolgere le attività quotidiane e gli aspetti dinamico-relazionali della vita ed una risibile quantificazione in termini economici.

È possibile quindi comprendere come la possibilità di valutare precisamente la concorrenza o coesistenza di un danno sia un'illusione oltre che l'ennesima “finzione” che si realizza nella valutazione del danno alla persona.

Se alcune finzioni sono necessarie ed imprescindibili a fini di un'uniformità di valutazioni, quali ad esempio la tabellazione delle menomazioni -quasi che tutti i soggetti fossero uguali nelle proprie attività quotidiane e nei propri aspetti dinamico relazionali- o la descrizione percentuale di menomazioni che in realtà hanno infinite dimensioni, questa, però, non pare necessaria e sembra esclusivamente funzionale al sorreggere una teoria di valutazione del danno che non considera il soggetto nelle condizioni precise in cui si trova quando patisce una riduzione della propria capacità psico-fisica; essa consegue, inoltre, l'effetto paradossale di risarcire di più -in proporzione- chi patisce piccole menomazioni (si pensi al caso della menomazione del gomito in articolazione già menomata) e meno, anche molto, soggetti già notevolmente menomati che subiscono un'ulteriore menomazione.

Questo obbliga il Giudice al ricorso a vari strumenti a fini equitativi, di cui il medico-legale è privo. Detta attività da parte del Giudice non sarebbe -forse- necessaria laddove vi fosse una valutazione della reale perdita della capacità di vivere la vita antecedente all'evento di danno.

Conclusioni

In conclusione, appare necessario che la dottrina medico-legale affronti concettualizzazioni che paiono, oggi, non supportate scientificamente. L'infondatezza del concetto di coesistenza e concorrenza del danno emerge già dalla definizione di salute fornita dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, che peraltro riecheggia in aspetti contenuti nella definizione di danno biologico; appare infondata dal punto di vista epistemologico , nel momento in cui appare aggrapparsi a concetti di uomo “come macchina” e dunque con parti definite che lavorano insieme e non come un soggetto complesso in cui ciascuna parte interagisce con le altre in maniera anche imprevedibile, con conseguente impossibilità di tracciare un confine netto all'interno del singolo soggetto, come invece richiede il concetto di concorrenza e coesistenza di danno.

Essa appare inutile nel momento in cui trova la principale ragione d'esistenza nel sorreggere una particolare teoria di valutazione del danno. Laddove tale teoria non esistesse, non sarebbero necessari i concetti di coesistenza e concorrenza di danno o, perlomeno, non sarebbe necessaria una loro precisa definizione. Appare perciò che non vi siano motivi, in primo luogo scientifici, che giustifichino il continuare a mantenere in vita tale concetto. Infine, questa teoria ottiene il risultato di allontanare ulteriormente la valutazione medico-legale del danno alla persona dalla realtà fenomenica del singolo soggetto, rispetto al quale tale valutazione è effettuata, in un momento in cui pare invece fondamentale ancorare il più possibile la medicina legale alle evidenze scientifiche ed alla realtà per come effettivamente conoscibile.

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