Licenziamento collettivo di dirigenti e blocco Covid: orientamenti alternativi del Tribunale di Milano

Francesco Pedroni
08 Ottobre 2021

La revoca di quattro dei sei originari licenziamenti intervenuta successivamente all'intimazione degli stessi è del tutto irrilevante ed è inidonea a impedire l'integrazione della fattispecie di licenziamento collettivo ai sensi dell'art. 24 della L. 223/1991, individuandosi, a tal fine, l'evento qualificabile come licenziamento nella volontà del datore di lavoro di porre fine ai rapporti di lavoro...
Tribunale di Milano, 2 luglio 2021, n. 17628: massima

La revoca di quattro dei sei originari licenziamenti intervenuta successivamente all'intimazione degli stessi è del tutto irrilevante ed è inidonea a impedire l'integrazione della fattispecie di licenziamento collettivo ai sensi dell'art. 24 della L. 223/1991, individuandosi, a tal fine, l'evento qualificabile come licenziamento nella volontà del datore di lavoro di porre fine ai rapporti di lavoro.

L'accertata sussistenza di un licenziamento collettivo si pone in netto contrasto con la disciplina del blocco dei licenziamenti collettivi di cui all'art. 46 del D.L. n. 18/2020, primo periodo del primo comma, il cui carattere imperativo e di ordine pubblico non può mettersi in dubbio.

Dal carattere imperativo e di ordine pubblico della disciplina del blocco dei licenziamenti collettivi, consegue che la violazione di tale divieto comporta la nullità dei licenziamenti adottati in contrasto con la regola e, quindi, l'applicazione della sanzione ripristinatoria di cui all'art. 18, 1° comma, L. n. 300/1970, (nullità del licenziamento “perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge”), derivando la nullità espressamente dall'art. 1418 c.c. applicabile anche ai licenziamenti in forza del richiamo di cui all'art. 1324 c.c.

Tribunale di Milano, 17 luglio 2021: massima

La verifica circa la necessità o meno di procedere con le forme del licenziamento collettivo va condotta nel momento in cui nasce la decisione di licenziare, non già successivamente al momento in cui il rapporto è ormai cessato. In tale momento, laddove l'intenzione riguardi più lavoratori (più di cinque), in un arco temporale stabilito (120 giorni) e per identiche motivazioni, il recesso del datore di lavoro non può che avvenire con le forme di cui alla l. n. 223/91. Del tutto irrilevanti sono le vicende successive e i possibili diversi epiloghi del singolo rapporto.

Irragionevole risulta, a parere di chi scrive, una lettura dell'intero art. 46, comma 1 e 1-bis del D.L. n. 18/2020 che porti alla conclusione per la quale il licenziamento del dirigente è vietato solo se collettivo, mentre consentito se individuale.

Il divieto di licenziamento in questione non pare giustificato dal fatto di accedere al licenziamento collettivo o individuale, ma dalla possibilità, per il datore di lavoro, che nonostante la situazione economica deve assicurare la continuità occupazionale dei suoi lavoratori, di accedere agli ammortizzatori sociali. In tale contesto, posto che pacificamente la società non ha seguito la procedura, il licenziamento non può dirsi legittimo e il vizio del quale risulta affetto non è tale da determinare la nullità del recesso, ma la sua illegittimità per violazione della procedura con conseguente condanna della società il pagamento in favore del dirigente dell'indennità massima pari a 24 mensilità della retribuzione globale di fatto, essendo nella fattispecie la procedura stata del tutto omessa.

I casi

Entrambi i Giudici del Tribunale di Milano hanno accolto le domande di impugnazione del licenziamento dei due rispttivi dirigenti comunicato durante il periodo “protetto” dalla normativa emergenziale sulle limitazioni dei recessi. In entrambi i casi i licenziamenti oggetto di causa seguivano ad altri recessi da rapporti di lavoro dirigenziale, successivamente tramutati in risoluzioni consensuali per effetto di accordo tra le parti. I dirigenti, nelle rispettive cause, concludevano in via principale per la declaratoria della nullità del licenziamento per violazione della predetta normativa protettiva.

Il Tribunale di Milano, con le due pronunce in commento, parte da presupposti condivisi, ma giunge a soluzioni differenti.

La questione

Si tratta di individuare le conseguenze giuridiche in caso di recesso collettivo da rapporto di lavoro dirigenziale attuato in violazione dell'articolo 46, comma 1, del Decreto Legge n. 18/2020.

Le soluzioni giuridiche e osservazioni

L'articolo 46, comma 1, del Decreto Legge n. 18/2020 (decreto Cura Italia) ha posto il divieto di licenziamenti individuali per motivo oggettivo e delle procedure di licenziamento collettivo in connessione con la pandemia da Covid-19. La sospensione dei licenziamenti è stata, quindi, reiterata con lo stesso schema per i licenziamenti economici individuali e collettivi per riduzione di personale dal Decreto Legge n. 41/2021 (decreto Sostegni).

A parte isolate pronunce (Tribunale di Roma - ord. del 26 febbraio 2021), l'orientamento per ora prevalente della giurisprudenza del lavoro (Tribunale di Roma, sentenza n. 3605 del 19 aprile 2021 e Tribunale di Milano, ordinanza del 17 giugno 2021) interpreta la predetta norma ritenendo che i dirigenti siano esclusi dal perimetro del divieto con riguardo ai soli licenziamenti economici individuali, mentre rientrano nel regime di sospensione i licenziamenti collettivi (i.e. almeno 5 licenziamenti in un arco temporale di 120 giorni ai sensi della Legge 223/1991, come modificata nel dicembre 2014 proprio per includervi i rapporti di lavoro dirigenziale).

Il Tribunale di Milano con le due decisioni in commento, emesse a pochi giorni di distanza, è differentemente intervenuto sulle conseguenze applicabili in caso di licenziamento collettivo di dirigenti durante il periodo di blocco a causa della pandemia Covid-19.

Entrambe le pronunce partono da un presupposto condiviso, ritenendo che la verifica dei requisiti per l'attivazione della procedura di licenziamento collettivo vada condotta nel momento in cui nasce la decisione di licenziare e non successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, allorquando le eventuali successive vicende intervenute (ad es. la trasformazione del licenziamento in risoluzione consensuale per effetto di accordo delle parti) restano irrilevanti.

Le predette decisioni divergono invece in relazione alle conseguenze in caso di violazione della norma limitativa dei licenziamenti in questione.

Nel primo caso, il Tribunale di Milano (decisione del 2 luglio 2021) ha ritenuto che alla violazione del divieto in questione sia da ricollegare la conseguenza della nullità del licenziamento in quanto adottato in contrasto con una normativa di ordine pubblico, con applicazione della reintegra nel posto di lavoro in applicazione dell'art. 18, comma 1 della Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), sulla scorta quindi della tutela applicata dalla giurisprudenza in caso di licenziamento individuale o collettivo per motivo oggettivo di personale non dirigente durante il periodo emergenziale.

Nel secondo caso, il Tribunale di Milano (decisione del 17 luglio 2021) ha ritenuto irragionevole una interpretazione letterale della previsione normativa dell'articolo 46, comma 1, del Decreto Legge n. 18/2020 secondo la quale il licenziamento del dirigente sarebbe vietato solo se collettivo, mentre consentito se individuale, evidenziando come il reale discrimine nella normativa in questione sia da ravvisarsi nella possibilità di accedere o meno agli ammortizzatori sociali (non previsti per i dirigenti), seguendo, quindi, l'interpretazione proposta inizialmente dal Tribunale di Roma, con sentenza n. 3605 del 19 aprile 2021. Sulla base di tale ragionamento, la violazione della normativa sul divieto di licenziamento collettivo dei dirigenti in questione non comporta la nullità del licenziamento, ma solo la sua illegittimità nel caso in cui non sia stata attivata la relativa procedura prevista dalla legge, con conseguente applicazione della relativa tutela risarcitoria prevista dall'art. 24, comma 1-quinquies della Legge 223/1991. Dal momento che, nella fattispecie, la procedura era stata del tutto omessa, il Tribunale ha ritenuto di quantificare l'indennità in questione nella misura massima pari a 24 mensilità della retribuzione globale di fatto.

La normativa sul blocco dei licenziamenti durante la pandemia da Covid-19 continua ad essere uno degli argomenti più dibattuti. Nelle due fattispecie in commento, poi, vi sono ragioni di interpretazione letterale indubbia (nel primo caso) e logiche-sistematiche complessive (nel secondo caso, anche se in contrasto con il dettato normativo) a sostegno di entrambe le soluzioni, che complicano ulteriormente il quadro.

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