Specificità dell'appello e riproposizione delle ragioni formulate in primo grado

Franco Petrolati
11 Ottobre 2021

La specificità dei motivi di appello è da commisurare alla specificità della motivazione della sentenza impugnata, sicchè, ove il giudice di primo grado si sia limitato ad escludere la valenza probatoria di determinati documenti, è sufficiente, ai fini dell'ammissibilità del gravame, riproporre le ragioni già spese nel pregresso grado per dimostrarne l'efficacia dimostrativa del diritto azionato.
Massima

In tema di appello la specificità dei motivi è da commisurare, a sua volta, alla specificità della motivazione della sentenza impugnata, sicchè, ove il giudice di primo grado si sia limitato ad escludere la valenza probatoria di determinati documenti, è sufficiente, ai fini dell'ammissibilità dell'atto di gravame, riproporre le ragioni già spese nel pregresso grado per dimostrarne l'efficacia dimostrativa del diritto azionato.

Il caso

Una società commerciale sostiene di aver subìto un danno patrimoniale per la chiusura della propria attività, dal 23 gennaio al 25 febbraio 2007, a seguito della caduta di tegole dal tetto dell'edificio e conviene, quindi, in giudizio il relativo Condominio chiedendo il risarcimento. Il Tribunale respinge la domanda della società, la quale, tuttavia, propone appello e riesce a conseguire la condanna del Condominio al risarcimento nei limiti di € 1.500,00, oltre interessi corrispettivi sino al saldo. La sentenza della Corte d'appello di Genova è, quindi, impugnata per cassazione dal Condominio, con un unico motivo, ove si assume che in secondo grado non è stata correttamente valutata l'eccezione di difetto di specificità del gravame. Il ricorso è, tuttavia, ritenuto manifestamente infondato.

La questione

Avanti alla Corte di cassazione il Condominio lamenta innanzitutto che in appello è stato erroneamente applicato «ratione temporis», in punto di specificità dei motivi, l'art. 342 c.p.c. nella formulazione previgente, anteriore cioè alle modifiche introdotte dall'art. 54, comma 1, lett. 0a), del d.l. 83/2012, convertito con modificazioni nella l. 134/2012, nonostante l'atto di citazione in appello fosse stato notificato in epoca successiva, vale a dire in data 28 ottobre 2015.

Le soluzioni giuridiche

Al riguardo la Cassazione riconosce fondato tale profilo di censura in quanto ai sensi dell'art. 54, comma 2, cit., la nuova formulazione dell'art. 342 c.p.c. opera espressamente per tutti i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dopo 1'11 settembre 2012.

Tale errore viene, tuttavia, ritenuto privo di incidenza in quanto viene considerata comunque infondata la critica del ricorrente alla valutazione eseguita dalla Corte di appello in ordine alla specificità dei motivi di gravame. A fronte di una pur accertata violazione di norme processuali, infatti, non rileva l'interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma solo l'eventuale pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione.

La Cassazione argomenta, al riguardo, che la specificità dei motivi dell'appello presuppone la specificità della motivazione della sentenza impugnata, nel senso cioè che va commisurata all'ampiezza e alla portata delle argomentazioni spese da giudice di primo grado; può, quindi, eventualmente l'appellante limitarsi anche a chiedere di valutare «ex novo» le prove già raccolte e le stesse argomentazioni difensive già svolte nel pregresso grado, non essendo onere di chi appella introdurre sempre e comunque un «quid novi» rispetto agli argomenti spesi in primo grado, il che - a tacer d'altro - non sarebbe coerente col divieto di «nova» prescritto dall'art. 345 c.p.c.

Nel caso di specie, pertanto, a fronte dell'affermazione del tribunale secondo cui «la produzione di copia autentica dei registri dei corrispettivi relativi ai mesi di gennaio e febbraio 2007, e dei tre anni antecedenti e [dei] due successivi», non avrebbe fornito «la prova di quelli che sarebbero stati i guadagni» nel periodo di chiusura dell'esercizio commerciale (23 gennaio/25 febbraio 2007), l'appellante ha correttamente ribadito, invece, l'idoneità della documentazione già prodotta a dimostrare il danno patrimoniale subito.

Osservazioni

E' da precisare che il vigente art. 342 c.p.c. si applica, ai sensi del citato art. 54, comma 2, d.l. 83/2012, conv. nella l. 134/2012, «dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione» e, quindi, a decorrere dall'11 settembre 2012, essendo la l. 134/2012 entrata in vigore il 12 agosto 2012: la formulazione adottata nell'ordinanza annotata invece – dopo l'11 settembre 2012 - rischia qualche equivoco, in quanto potrebbe essere erroneamente riferita al giorno successivo all'11 settembre.

Tuttavia è da riconoscere che la portata potenzialmente innovativa della nuova formulazione della forma-contenuto dell'atto di appello – che aveva persino indotto a ritenere che fosse necessario dedurre nei motivi ex art. 342 c.p.c. un progetto di decisione alternativa a quella impugnata – è stata sostanzialmente esautorata in sede nomofilattica, essendo prevalsa una ricostruzione della specificità, a pena di inammissibilità, delle censure del tutto analoga a quella già consolidata nell'applicazione della formulazione anteriore, nel senso cioè che sia sufficiente una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene così la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.

Ne consegue che l'onere della specificazione del gravame deve essere commisurato allo spessore della motivazione contestata, al punto che potrebbe essere ritenuto sufficiente – presumibilmente a fronte di una ragione della decisione piuttosto gracile o apodittica - anche la riproposizione delle stesse argomentazioni già spese nel pregresso grado, senza alcun «quid novi».

A quest'ultimo riguardo, tuttavia, occorre evitare il rischio di una eccessiva semplificazione degli oneri che l'art. 342 c.p.c. pone a carico dell'appellante, in quanto è comunque necessario richiamare le ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata ed opporre a queste le proprie argomentazioni: a rigore, quindi, un quid novi o pluris rispetto alle deduzioni formulate in primo grado appare, in realtà, imprescindibile. In tal senso si è correttamente precisato che qualora l'atto d'appello denunci l'erronea valutazione, da parte del giudice di primo grado, degli elementi probatori acquisiti, è almeno richiesta, ai fini dell'ammissibilità dell'appello, l'enunciazione dei punti sui quali si chiede al giudice di secondo grado il riesame delle risultanze istruttorie per la formulazione di un suo autonomo giudizio, anche se non è necessario che l'impugnazione medesima contenga una puntuale analisi critica delle valutazioni e delle conclusioni del giudice che ha emesso la sentenza impugnata.

Non sembra, inoltre, neppure congruo il richiamo, per giustificare la non necessità di un quid novi, al divieto dei nova in appello ex art. 345, comma 3, c.p.c., laddove sono di regola preclusi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti: gli oneri di forma-contenuto ex art. 342 c.p.c. attengono, in realtà, alle sole argomentazioni difensive da spendere per fondare la richiesta riforma della sentenza e non all'assolvimento dell'onere della prova, sicchè appare ultroneo il riferimento al regime delle preclusioni.

Riferimenti

L'interpretazione del novellato art. 342 c.p.c. si è consolidata a partire da Cass. civ., sez. un., sent., 16 novembre 2017, n. 27199; conf. Cass. civ., sez. VI, ord., 30 maggio 2018, n. 13535.

In ordine alla commisurazione delle ragioni dell'appello a quelle della decisione impugnata, Cass. civ., sez. III, ord., 24 aprile 2019, n. 11197; Cass. civ., sez. III, sent., 29 luglio 2016, n. 15790; in particolare l'esclusione della necessità di un quid novi è ritenuta in Cass. civ., sez. II, ord., 28 ottobre 2020, n. 23781; Cass. civ., sez. VI, ord., 8 febbraio 2018, n. 3115; nel senso che, invece, sia almeno necessaria l'enunciazione dei punti sui quali si chiede al giudice di secondo grado il riesame delle risultanze istruttorie, Cass. civ., sez. III, ord., 4 novembre 2020, n. 24464; Cass., sez. II, ord., 19 marzo 2019, n. 7675; si è persino giunti a richiedere «che sia trascritta o riportata con precisione la pertinente parte motiva della sentenza di primo grado, il cui contenuto costituisce l'imprescindibile termine di riferimento per la verifica in concreto del paradigma delineato dagli artt. 342 e 434 c.p.c.» (Cass. civ., sez. lav, ord., 4 febbraio 2019, n. 3194) o, comunque, sia individuato «in modo chiaro ed esauriente il «quantum appellatum», circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata» (Cass. civ., sez. lav., ord., 23 marzo 2018, n. 7332).

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