Mancata interruzione del processo: estinzione o motivo di gravame?
11 Ottobre 2021
Nell'ordinanza in esame la Corte di legittimità ha valutato gli effetti della mancata interruzione del processo, distinguendoli da quella mancata riassunzione.
Nel caso di specie, si era verificato in primo grado un evento interruttivo (la morte del procuratore degli attori), il giudizio era proseguito con la costituzione di nuovi avvocati e con l'accoglimento delle domande attoree da parte del Tribunale. La Corte d'appello aveva accolto il gravame proposto dal soccombente e dichiarato «estinto il giudizio di primo grado», rilevando che «la morte del procuratore in primo grado aveva determinato ope legis l'interruzione del processo» e che «questo non poteva ritenersi validamente proseguito (a causa del difetto di procura dei nuovi avvocati), né era stato riassunto nel termine di sei mesi».
Adita a seguito ricorso per cassazione proposto dagli originari attori, la Corte ha accolto il ricorso evidenziando come la Corte d'appello abbia confuso gli effetti di due distinti vizi processuali: la mancata riassunzione e la mancata interruzione. Il primo vizio ricorre quando il processo, ritualmente dichiarato interrotto dal giudice, non è proseguito o riassunto nel termine di legge: sanzione di questo vizio è l'estinzione del processo (art. 307 c.p.c.). Il secondo vizio ricorre quando, verificatosi un evento ad effetto interruttivo automatico (ad. es. morte del procuratore, oppure dichiarato in giudizio un effetto interruttivo non automatico (ad. es. morte della parte costituita) il giudice non dichiari l'interruzione del processo e prosegua nell'istruzione.
In tale seconda ipotesi, ricorrente nella specie, non essendosi mai verificata una formale interruzione, è inconcepibile una riassunzione del processo, e di conseguenza non è pensabile che questo possa estinguersi. Invero, «la mancata interruzione del processo, pur a fronte dell'avverarsi di una causa interruttiva, non comporta l'estinzione del giudizio, ma una nullità processuale da far valere come motivo di gravame» (Cass. civ., n. 10912/2021; Cass. civ., n. 3546/2016; Cass. civ., n. 19267/2015).
Tratto da: www.dirittoegiustizia.it |