Responsabilità dell'advisor in caso di inammissibilità del piano di concordato preventivo
02 Luglio 2021
Deve risarcire il danno cagionato il professionista che ha assunto l'incarico di advisor di una società per l'assistenza nella procedura di concordato preventivo nel caso in cui il piano sia giudicato inammissibile?
Caso pratico - Una società in nome collettivo in stato di crisi, con ricorso ex art. 161, comma 1,L.F., chiedeva al Tribunale di Padova di essere ammessa alla procedura di concordato preventivo, depositando contestualmente piano e proposta. La domanda si basava su una proposta irrevocabile d'acquisto di un ramo d'azienda della debitrice, che prevedeva l'offerta di un determinato prezzo da corrispondersi mediante l'accollo, non novativo, dell'intera esposizione debitoria privilegiata nei confronti dell'amministrazione finanziaria e nei confronti di due dipendenti. Tuttavia, l'accollo non era liberatorio e, per questa ragione, la società rimaneva debitrice nei confronti dei creditori. Nonostante ciò e la permanente sussistenza dell'obbligazione a carico della debitrice, nel passivo concordatario i due creditori non venivano rappresentati. Il Tribunale di Padova, ravvisando differenti criticità nel piano proposto, tra cui la mancata esposizione nel passivo dei predetti debiti, convocava la società all'udienza di cui all'art. 162 L.F., assegnandole un termine per il deposito di un'integrazione al piano o una memoria difensiva. In tale sede, la debitrice, mediante i suoi advisors, insisteva per l'apertura della procedura, senza apportare alcuna modifica al piano. Il Tribunale, ritenuti insuperabili i vizi della domanda, dichiarava inammissibile il ricorso e, in ragione della pendenza di una domanda di fallimento, accertava e dichiarava con sentenza lo stato di insolvenza della società. Il curatore fallimentare, esaminati i documenti, riteneva che gli advisors non avessero diligentemente adempiuto ai propri obblighi contrattuali e decideva di promuovere nei confronti di uno solo degli stessi un'azione di risarcimento del danno, che veniva quantificato in un importo pari a quanto versato dalla società a titolo di compenso per l'assistenza prestata per la presentazione della domanda di concordato. Il professionista si costituiva in giudizio, affermando che il suo incarico fosse limitato all'esame dei bilanci e al riordino della contabilità e non comprendesse la consulenza nella predisposizione del piano. Il Tribunale di Padova, accertato il perimetro del rapporto contrattuale e l'inadempimento del professionista, con sentenza pronunciata in data 9 marzo 2021, condannava, quest'ultimo alla restituzione di quanto percepito prima del deposito del piano e della proposta di concordato.
Spiegazioni e conclusioni - Il Tribunale di Padova, con la sentenza in esame, si è pronunciato in merito alla responsabilità del professionista che viene incaricato della predisposizione di una domanda di concordato nell'ipotesi in cui il collegio giudicante respinga il ricorso di accesso alla procedura in ragione dell'inammissibilità del piano. Nel dettaglio, a parere del collegio giudicante, la mancata appostazione nel passivo di debiti non estinti, o meglio il successivo storno di tale appostazione, determina, in presenza di un accollo non liberatorio dell'offerente (del ramo di azienda), la palese inidoneità del piano di concordato «a perseguire la causa concreta attribuita dal legislatore a questo istituto e cioè il superamento della crisi dell'impresa realizzato attraverso il soddisfacimento, seppur minimale, dei creditori secondo le modalità ed i tempi appositamente previsti». Ebbene, la lampante inettitudine del piano di concordato depositato comporta la responsabilità contrattuale, per grave inadempimento, e il conseguente obbligo di risarcire il danno cagionato in capo all'advisor che ha ideato e predisposto l'atto. In tali fattispecie, il danno subito dalla società (ma anche dalla massa dei creditori) consiste nelle somme di denaro che sono state corrisposte al professionista, prima del deposito del ricorso per l'accesso al concordato, in adempimento del contratto di prestazione d'opera che era in essere tra le parti. Il Tribunale di Padova, infine, conclude affermando che la domanda di risarcimento danni per inadempimento non deve necessariamente contestuale ad una richiesta di risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1453 c.c. In tal senso, il collegio ha seguito l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, che «esclude che l'azione risarcitoria presupponga il necessario esperimento di quella di risoluzione del contratto» e che sostiene che le due richieste siano del tutto autonome e non debbano necessariamente essere formulate in modo correlato (cfr. Cass. 12 giugno 2020, n. 11348; Cass. 24 novembre 2010, n. 23820). Il curatore fallimentare che intende promuovere un'azione risarcitoria nei confronti di un professionista che ha prestato la sua assistenza in favore della società, pertanto, non deve necessariamente domandare la previa risoluzione del contratto d'opera per inadempimento.
Normativa e giursprudenza
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