Equiparazione tra liquidazione del patrimonio e fallimento e consecutio tra le due procedure

22 Luglio 2021

La liquidazione dei beni ex art. 14 ter L. 3/2012, che  deve essere qualificata a tutti gli effetti come procedura concorsuale, può essere equiparata al fallimento sia dal punto di vista strutturale che con riguardo agli effetti che si producono?

La liquidazione dei beni ex art. 14 ter L. 3/2012, che deve essere qualificata a tutti gli effetti come procedura concorsuale, può essere equiparata al fallimento sia dal punto di vista strutturale che con riguardo agli effetti che si producono?

Caso pratico - Il socio illimitatamente responsabile di una società di persone, in stato di sovraindebitamento, depositava presso il Tribunale di Roma una domanda di accesso alla procedura di liquidazione del patrimonio, disciplinata dall'art. 14 ter ss. L. 3/2012.

Il Tribunale, in composizione monocratica, ritenuti sussistenti i requisiti di legge, con decreto dichiarava aperta la procedura.

Tuttavia, un avvocato promuoveva reclamo ex art. 10, comma 6, L. 3/2012 avverso tale provvedimento, ritenendolo illegittimo.

Prima dell'apertura della procedura di liquidazione del patrimonio, infatti, il soggetto era stato dichiarato fallito in estensione della società di persone di cui era socio, ai sensi e per gli effetti dell'art. 147 L.F.

Nondimeno, la sentenza dichiarativa di fallimento era stata impugnata e, nel corso del giudizio di legittimità, la Corte di cassazione aveva cassato con rinvio il decreto di rigetto del reclamo pronunciato dalla Corte d'appello. Non essendo stato riassunto il predetto giudizio nei termini di cui all'art. 393 c.p.c., era decaduto l'intero procedimento e, conseguentemente, il Tribunale di Roma aveva preso atto di quanto accaduto per la definizione della procedura fallimentare in corso.

Contestualmente, il medesimo Tribunale fallimentare aveva altresì dichiarato con decreto la chiusura del fallimento.

Questi due provvedimenti del Tribunale di Roma erano però stati impugnati dalla stessa legale che aveva promosso reclamo avverso il decreto di apertura della liquidazione dei beni.

Ella, in sede di reclamo ex art. 10, comma 6, L. 3/ 2012, si doleva dell'attuale pendenza della procedura fallimentare, essendo in particolare stato impugnato il decreto di chiusura del fallimento, e dunque dell'improcedibilità della domanda di liquidazione dei beni.

In proposito, è bene evidenziare che l'avvocato reclamante fosse creditrice (prededucibile) del fallimento, in quanto professionista che si era occupata della difesa di quest'ultimo in numerosi giudizi, e lamentasse sia il mancato riconoscimento di compensi per l'attività svolta che non erano ancora stati liquidati dal giudice delegato sia la presumibile degradazione del diritto dal rango dei prededucibili.

Il Tribunale di Roma, con decreto del 19 aprile 2021 ritenendo infondate le pretese della reclamante, peraltro priva dell'interesse ad agire, rigettava il reclamo promosso.

Spiegazioni e conclusioni - La pronuncia in esame risulta di grande interesse pratico poiché fornisce agli operatori una panoramica di sintesi sull'istituto della liquidazione del patrimonio e sui principi che ne regolano il funzionamento.

Nel dettaglio, nel dichiarare inammissibili le doglianze della reclamante in ragione della definizione del procedimento fallimentare, il Tribunale di Roma afferma chiaramente che la liquidazione di cui agli artt. 14ter ss. L.3/2012 possa essere «assimilata ad un fallimento sia strutturalmente sia per gli effetti che conseguono all'ammissione». In questo senso, non è superfluo ricordare che il soggetto sovraindebitato che ha accesso alla procedura venga del tutto spossessato dei propri beni (ad eccezione della parte di reddito necessaria per il sostentamento suo e della propria famiglia), i quali confluiscono in una massa attiva separata la cui funzione consiste nella soddisfazione dei creditori concorsuali.

Inoltre, analogamente a quanto accade nel fallimento, il giudice nomina un liquidatore giudiziale, che è incaricato dalla legge a verificare il passivo della procedura, liquidare i beni del debitore e distribuire il ricavato delle alienazioni ai creditori concorsuali.

In buona sostanza, così come accade nella procedura fallimentare, la soddisfazione della massa dei creditori avviene mediante la liquidazione dell'intero patrimonio del soggetto sovraindebitato.

Questi tratti salienti conducono ad affermare, senza alcuna esitazione, che la liquidazione del patrimonio risulta essere «a tutti gli effetti una procedura concorsuale, in quanto involge l'intero complesso dei beni del debitore (…) e ne affida le sorti ad un organo ad hoc, il liquidatore, investito dei compiti dismissivi prodromici al riparto dell'attivo realizzato tra i creditori» anteriori all'apertura, ai quali viene del tutto inibita la possibilità di esercitare o proseguire azioni esecutive e cautelari individuali e, dunque, qualsiasi forma di soddisfazione con preferenza e priorità rispetto all'intera massa degli insinuati.

Il Tribunale di Roma, peraltro, formulando considerazioni più generali, applicabili a tutte le procedure da sovraindebitamento, ricorda come la concorsualità implichi naturalmente che la distribuzione dell'attivo tra i creditori debba avvenire nel rispetto della par condicio creditorum, in ossequio all'ordine legale dei privilegi.

Una menzione a parte, però, meritano i crediti prededucibili, che si sottraggono alle regole del concorso.

Questi, infatti, tanto nel fallimento quanto nella liquidazione del patrimonio, in ragione di quanto disposto rispettivamente dagli artt. 111 bis L.F. e 14 duodecies l. n. 3 del L. 3/2012, «sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione» proprio per il rapporto di occasionalità o di funzionalità che si instaura con il procedimento.

Un'ultima annotazione di grande rilievo viene formulata con riferimento alla sorte dei crediti prededucibili in una delle due procedure liquidatorie nel caso in cui, in un secondo momento, venga aperta l'altra.

Il caso in esame si presta a questa analisi poiché, come noto, al fallimento ha fatto seguito una liquidazione del patrimonio.

Ebbene, ad avviso del Tribunale di Roma i crediti prededucibili nel fallimento non possono che avere la stessa graduazione anche nel caso di eventuale successiva apertura della procedura di liquidazione del patrimonio, in ragione di quanto disposto dall'art. 69 bis L.F.

Precisamente, considerata la concorsualità delle stesse, si può parlare di consecuzione di procedure non solo nel caso di successione tra concordato preventivo e fallimento, ma anche nel caso di successione tra liquidazione del patrimonio e fallimento (e viceversa). Di talché, i crediti che hanno acquisito rango prededucibile nell'ambito del fallimento lo hanno anche nell'ambito della liquidazione ex artt. 14 ter ss. L. 3/2012 (e viceversa).

Normativa

  • Art. 393 c.p.c.
  • Art. 69 bis L.F.
  • Art. 111 bis L.F.
  • Art. 147 L.F.
  • Art. 10L. 3/2012
  • Art. 14 ter L. 3/2012
  • Art. 14 duodeciesL.3/2012

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