Dichiarazione di fallimento in pendenza di un concordato preventivo omologato non risolto
30 Luglio 2021
In presenza di un inadempimento della proposta e di uno stato di insolvenza può essere dichiarato il fallimento di una società il cui concordato preventivo è stato omologato anche in assenza di una previa risoluzione dello stesso ai sensi dell'art. 186 L.F.?
Caso pratico - Una società in stato di crisi depositava presso il Tribunale di Mantova un ricorso per l'accesso alla procedura di concordato preventivo, ai sensi degli artt. 160 e 161 L.F. La debitrice aveva presentato un piano in continuità indiretta, prevedendo la cessione dell'azienda ad una società terza, la quale aveva già formulato, all'atto del deposito della domanda, una proposta irrevocabile d'acquisto. La proposta, dichiarata ammissibile, veniva approvata dai creditori e, successivamente, veniva omologata dal Tribunale. Tuttavia, nella fase esecutiva del concordato la debitrice non rispettava i termini indicati in proposta e i creditori, a distanza di due anni dal termine finale originariamente previsto, erano stati soddisfatti in misura significativamente inferiore a quella promessa. A seguito dell'omologazione, infatti, la società che aveva formulato la proposta irrevocabile di acquisto dell'azienda era stata dichiarata fallita, rendendosi così inadempiente rispetto all'impegno preso, con la conseguenza che la stessa azienda era stata alienata ad un corrispettivo molto inferiore rispetto a quello prospettato. Inoltre, a distanza di due anni dal termine di soddisfacimento indicato in proposta alcuni creditori non avevano ancora beneficiato di alcun riparto a loro favore. Considerato quanto sopra esposto, un creditore decideva di promuovere un'istanza di fallimento a carico della società in concordato, senza tuttavia prima domandare al tribunale, ai sensi dell'art. 186 L.F., la risoluzione della procedura omologata. La debitrice, che si costituiva personalmente (e senza l'assistenza di un legale) nel procedimento prefallimentare, non chiedeva il rigetto dell'istanza di fallimento, ma si limitava a confermare la sussistenza dello stato di insolvenza e si rimetteva alle decisioni che avrebbe assunto il collegio giudicante. Il Tribunale di Mantova, esaminata la domanda e accertata la sussistenza dei presupposti indicati dagli artt. 1 e 5 L.F., dichiarava, con sentenza pubblicata l'11 gennaio 2021, il fallimento della debitrice.
Spiegazioni e conclusioni - La pronuncia oggetto del presente commento affronta il tema della necessità di risolvere il concordato preventivo omologato prima di dichiarare il fallimento della società debitrice. Come noto, l'art. 186 L.F. stabilisce che «ciascuno dei creditori può richiedere la risoluzione del concordato per inadempimento. Il concordato non si può risolvere se l'inadempimento ha scarsa importanza. Il ricorso per la risoluzione deve proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto dal concordato». Nessuna disposizione della legge fallimentare, però, affronta la questione del rapporto tra inadempimento del concordato omologato, risoluzione e sentenza dichiarativa di fallimento della debitrice. In assenza di previsioni normative, si sono formati in giurisprudenza due orientamenti diametralmente opposti. Una prima scuola di pensiero, per la verità minoritaria, ritiene vi sia un rapporto di presupposizione necessaria tra risoluzione del concordato e fallimento e che, pertanto, l'istanza di fallimento depositata dal creditore in assenza di previa risoluzione debba reputarsi inammissibile (in questo senso si veda Trib. Pistoia 20 dicembre 2017). All'opposto, la seconda scuola di pensiero, maggioritaria, sostiene la possibilità di dichiarare lo stato di insolvenza anche in assenza di scioglimento della procedura concordataria (cfr. Trib. Venezia 6 novembre 2015). Quest'ultimo orientamento è stato avallato altresì dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha precisato che nel caso di fallimento dichiarato in assenza di previa risoluzione ex art. 186 L.F., purché la medesima fosse ancora possibile, il creditore istante non debba sopportare gli effetti esdebitatori previsti dall'art. 184 L.F., essendo l'attuazione del piano resa impossibile per l'intervento di un evento che rende irrealizzabile il concordato (cfr., da ultimo, Cass. 22 giugno 2020, n. 12085). Orbene, il Tribunale di Mantova, seguendo i principi dettati dalla Suprema Corte, ha aderito al secondo orientamento formatosi nella giurisprudenza di merito. Nel far ciò, ha argomentato che impedire la declaratoria di fallimento di una società in concordato in stato di insolvenza equivarrebbe a trattare differentemente, in modo del tutto ingiustificato, un debitore in procedura da un debitore in bonis. Inoltre, a parere del Tribunale di Mantova, l'art. 168 L.F., nel precludere iniziative cautelari ed esecutive, fissa in ogni caso il termine ultimo della definitività del decreto di omologazione per promuovere aggressioni patrimoniali nei confronti di una società in concordato preventivo. Di talché, una volta avviatasi la fase esecutiva della procedura e divenuto definitivo il provvedimento di omologa, l'istanza di fallimento non può che reputarsi ammissibile.
Normativa e giurisprudenza
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