Estensione dell’obbligo vaccinale al personale non sanitario: d.l. 10 settembre 2021, n. 122

Luigi Mastroroberto
Pasquale Malandrino
11 Ottobre 2021

I tentennamenti dell'adesione alla campagna vaccinale portano il Governo a scelte complicate che implicano l'introduzione dell'obbligo vaccinale, non solo più per gli esercenti la professione sanitaria, ma anche per gli altri lavoratori che a qualsiasi titolo lavorano all'interno di strutture residenziali, sanitarie e socio-assistenziali. I responsabili di tali strutture nonché i datori di lavoro sono chiamati alla verifica dell'assolvimento dell'obbligo con chiari dubbi relativi al trattamento di dati sensibili inerenti alla salute personale. La linea è tracciata, non ci resta che commentare quello che ormai è diventato oggetto di decreto e, a breve, di legge dello Stato.
Introduzione

Nello scorso aprile, con l'articolo “Medici che non aderiscono alla campagna vaccinale: aspetti normativi, deontologici, disciplinari e d.l. n. 44/2021”, avevamo cercato di commentare la posizione dei medici e degli ordini professionali di fronte alla campagna vaccinale di massa resasi necessaria per contrastare la pandemia da SARS-CoV-2, effettuando anche un breve excursus normativo relativo all'obbligo vaccinale nonché discutendo dell'allora recente decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, poi convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76.
Tale norma prevedeva, e prevede tuttora, l'obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali.

A meno di un semestre di distanza, è stato pubblicato sulla G.U. n. 217 del 10 settembre 2021 il decreto-legge 10 settembre 2021, n. 122, recante “Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza da COVID-19 in ambito scolastico, della formazione superiore e socio sanitario-assistenziale”.

Quest'ultimo, all'art. 2, prevede l'inserimento di una ulteriore norma (art. 4-bis) che dispone l'estensione dell'obbligo vaccinale, non solo ai professionisti sanitari, ma a tutti i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, tramite il seguente comma 1: “Dal 10 ottobre 2021, fino al 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, l'obbligo vaccinale previsto dall'articolo 4, comma 1, si applica altresì a tutti i soggetti anche esterni che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all'articolo 1-bis”.
Le strutture a cui si riferisce il decreto sono rappresentate da strutture di ospitalità e di lungodegenza, residenze sanitarie assistite (RSA), hospice, strutture riabilitative e strutture residenziali per anziani, anche non autosufficienti, e quelle socio-assistenziali, quindi una grande quantità di strutture che comporta un conseguente grande impatto su una vastissima fetta di popolazione.

La finalità che persegue questa estensione dell'obbligo vaccinale a noi sembra assolutamente chiara e giusta nonché giustificata dalla situazione pandemica attuale, che ci vede quasi alla fine di questo terribile momento grazie all'introduzione di un efficace programma vaccinale. Mettere in sicurezza prima di tutto gli ambienti più a rischio di contagio e in cui difficilmente si riescono a mantenere altre misure di prevenzione efficaci, come il distanziamento sociale, è un obiettivo di primaria importanza, che deve essere raggiunto rapidamente e che lo Stato deve garantire per il bene superiore costituzionalmente garantito della tutela della salute, non solo del singolo individuo, ma dell'intera comunità.

Rendere obbligatoria una vaccinazione non è mai una scelta semplice, specialmente quando ci si trova davanti a un vaccino che, pur avendo dimostrato un'ottima efficacia e un profilo di sicurezza adeguato, è comunque molto recente. E non va sottaciuto che l'obbligo vaccinale per queste categorie di lavoratori è stato introdotto solo dopo aver dato ampia possibilità di vaccinarsi autonomamente, ma anche in questo caso, come fu per gli esercenti la professione sanitaria, il Governo ha alla fine scelto nuovamente di preservare il più possibile la salute pubblica, e quindi la salute dell'intera comunità, a discapito di una momentanea contrazione del diritto di autodeterminazione del singolo o di una parte della più vasta comunità nazionale.

Tuttavia, anche in questo decreto è prevista la possibilità di esenzione dall'obbligo per quei soggetti che sulla base di idonea certificazione medica, rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della salute, non possano ricevere o completare la vaccinazione anti-SARS-CoV-2.

L'unica circolare del Ministero della Salute che tratta il tema della certificazione per l'esenzione vaccinale è la n. 35309 del 4 agosto 2021, che però regolamenta l'accesso ai servizi e attività di cui al comma 1, art. 3 del decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, in cui non si parla di strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie.

La circolare prevede che venga rilasciata la certificazione medica di esenzione nel caso in cui la vaccinazione stessa venga omessa o differita per la presenza di specifiche condizioni cliniche documentate, che la controindichino in maniera permanente o temporanea. Tale certificazione, al momento e fino al 30 settembre 2021, può essere rilasciata in formato cartaceo direttamente dai medici vaccinatori dei Servizi vaccinali delle Aziende ed Enti dei Servizi Sanitari Regionali o dai Medici di Medicina Generale o Pediatri di Libera Scelta dell'assistito che operano nell'ambito della campagna di vaccinazione anti-SARS-CoV-2 nazionale; successivamente, in teoria, e salvo ulteriori disposizioni, dovrebbe essere avviato il sistema nazionale per l'emissione digitale delle certificazioni al fine di consentirne la più agevole verifica.

A chi spetta l'onere di vigilanza dell'accesso alle strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie e quindi la verifica dell'obbligo vaccinale?

Secondo il comma 3 dell'art. 2 del decreto oggi in commento, la verifica del possesso dei requisiti necessari per l'accesso alle strutture di cui all'art. 1-bis del d.l. n. 44 del 1° aprile 2021, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76 (ndr. strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, etc…) spetta a “I responsabili delle strutture di cui all'articolo 1-bis e i datori di lavoro dei soggetti che, a qualunque titolo, svolgono nelle predette strutture attività lavorativa sulla base di contratti esterni”.

I responsabili delle strutture e i datori di lavoro delle ditte esterne diventano quindi i principali protagonisti deputati alla verifica di questi dati, fatto che chiaramente conduce a vari commenti.
È chiaro che su questo punto il primo problema da affrontare è quello in merito al trattamento dei dati personali dei lavoratori nonché su chi possa avere la facoltà di chiederne conto e, soprattutto, a che titolo e con che autorizzazione.
Tali problematiche in realtà erano state già affrontate nell'art. 17-bis del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 nel quale venivano elencati i soggetti che erano autorizzati ad effettuare controlli Questi dei dati personali, ivi inclusa la comunicazione dei dati tra soggetti autorizzati, anche relativi agli articoli 9 e 10 del regolamento (UE) 2016/679, necessari all'espletamento delle funzioni ad essi attribuite nell'ambito dell'emergenza determinata dal diffondersi del COVID-19.

Tra l'altro, lo stesso art. 9 del regolamento europeo appena citato, che vieta il trattamento dei dati relativi alla salute del soggetto, prevede che tale divieto non si applichi quando, tra gli altri, intervenga una di queste situazioni:

… g) il trattamento è necessario per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri, che deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispettare l'essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato;

h) il trattamento è necessario per finalità di medicina preventiva o di medicina del lavoro, valutazione della capacità lavorativa del dipendente, diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale ovvero gestione dei sistemi e servizi sanitari o sociali sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri o conformemente al contratto con un professionista della sanità, fatte salve le condizioni e le garanzie di cui al paragrafo 3;

i) il trattamento è necessario per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell'assistenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici, sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri che prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell'interessato, in particolare il segreto professionale…”.

Con l'attuale decreto, nel pieno rispetto delle norme europee sul trattamento dei dati sensibili, viene quindi previsto che siano i responsabili delle strutture e/o i datori di lavoro ad aver il compito di verificare l'assolvimento dell'obbligo vaccinale per i lavoratori, interni o esterni, che a qualsiasi titolo svolgano l'attività lavorativa nelle strutture precedentemente elencate. La motivazione di questa scelta è di facile intuizione ed è spiegata anche all'interno dell'art. 17-bis, ovverosia la tutela della salute pubblica. Infatti, l'articolo stesso spiega che le motivazioni sono quelle dell'interesse pubblico nel settore della sanità pubblica e, in particolare, il garantire la protezione dall'emergenza sanitaria a carattere transfrontaliero determinata dalla diffusione del COVID-19, nonché assicurare la diagnosi e l'assistenza sanitaria dei contagiati ovvero la gestione emergenziale del Servizio sanitario nazionale.

Ma in che modo i responsabili delle strutture o i datori di lavoro possono verificare la presenza dei requisiti sanitari dei lavoratori?

La risposta è nota ormai da tutti: ovviamente attraverso la Certificazione Verde COVID-19, meglio conosciuta come Green Pass, che è una certificazione comprovante lo stato di avvenuta vaccinazione contro il SARS-CoV-2 o guarigione dall'infezione da SARS-CoV-2, ovvero l'effettuazione di un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al virus SARS-CoV-2. Questa modalità è infatti prevista dal DPCM 17 giugno 2021 recante “Disposizioni attuative dell'art. 9, c. 10, del d.l. 22 aprile 2021, n. 52, recante "Misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell'epidemia da COVID-19”, su cui, tra l'altro, il Garante per la protezione dei dati personali ha espresso parere favorevole in data 31 agosto 2021.

Pertanto, sarà onere di quei soggetti la verifica attraverso il Green Pass dell'assolvimento dell'obbligo vaccinale. Attenzione quindi, perché non basterà soltanto possedere il Green Pass per accedere sul luogo di lavoro, poiché quest'ultimo può essere ottenuto ad esempio anche effettuando un tampone rapido, con una validità di 48 h; sarà invece necessario, da parte del responsabile o del datore di lavoro, verificare che il Green Pass sia relativo all'avvenuta vaccinazione (Green Pass che mostrerà una validità di 9 mesi). Di contro, la verifica dell'assenza di tale assolvimento comporterà delle conseguenze di natura economica/amministrativa non poco significative, quelle di seguito illustrate.

Lavoratori non vaccinati: che succede?

Il decreto-legge 10 settembre 2021, n. 122, al comma 4, dispone che in caso di mancato assolvimento dell'obbligo vaccinale si applichino le disposizioni di cui all'art. 4 del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, ad eccezione del comma 8.

Questo articolo dispone la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportino, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. Ed anche se questa formula può sembrare avere “maglie larghe”, nella pratica non è così. Si può erroneamente pensare che i lavoratori che non hanno contatti diretti con assistiti o, in generale, con il pubblico siano esenti dalla sospensione, ma in sostanza, nella quasi totalità il rischio di diffusione del contagio è sempre presente. Questo comporterà di conseguenza la sospensione dal lavoro del dipendente, che come segnalato non potrà nemmeno avvalersi del comma 8.

Infatti, proprio il comma 8, che per gli esercenti la professione sanitaria prevedeva eventualmente, ove possibile, la collocazione a una mansione inferiore che non implicasse il rischio di contagio (ndr. con adeguamento in peius del trattamento economico), nel nuovo decreto viene “abrogato” con la conseguenza che non vi è possibilità per il lavoratore di essere demansionato, ma soltanto di essere sospeso. La sospensione della prestazione lavorativa, si legge, comporta che non sono dovuti la retribuzione né altro compenso e mantiene efficacia fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021. Ovviamente, anche per queste categorie di lavoratori, vale quanto detto prima e cioè che l'unico caso in cui è prevista l'esenzione dall'obbligo vaccinale è quando ci siano comprovati motivi di salute che comportino la controindicazione o il differimento della vaccinazione; resta inteso che tale ultimo aspetto debba essere corredato da relativa certificazione medica attestante le condizioni che determinano l'esenzione dell'obbligo vaccinale. Per tali lavoratori è dunque consentito lo svolgimento dell'attività, ma in mansioni diverse che non contemplino contatti con altri lavoratori o utenti, senza per questo andare incontro a decurtazioni dei compensi.

Oltre alla sospensione dal lavoro senza retribuzione, nel caso in cui il lavoratore acceda nella struttura senza aver adempiuto all'obbligo vaccinale sono previste anche delle sanzioni amministrative che prevedono il pagamento di una somma di denaro da 400 a 1.000 euro. Da sottolineare che tale sanzione amministrativa pecuniaria, inoltre, non grava solo sul lavoratore inadempiente bensì anche su chi non ha vigilato e ha permesso al lavoratore di continuare la prestazione lavorativa contro le disposizioni di legge; quindi, anche i responsabili della struttura e i datori di lavoro che eventualmente non dovessero assolvere quest'obbligo di vigilanza saranno soggetti a sanzioni amministrative.

Conclusione e ultime riflessioni

Il percorso che sta tracciando il Governo appare abbastanza chiaro. Dapprima l'obbligo vaccinale riguardava soltanto gli esercenti la professione sanitaria, adesso riguarda anche le altre figure che lavorano “al loro fianco”, nelle stesse strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie. A nostro parere, si è reso assolutamente necessario mettere in sicurezza i luoghi principali della lotta al coronavirus in tutte le loro parti. Questo, come del resto tutto quello che viene fatto giornalmente, persegue un unico obiettivo, che prescinde purtroppo dalla volontà del singolo per andare a privilegiare la salute di un'intera comunità, in particolare dei soggetti più fragili. Rendere obbligatoria la vaccinazione o comunque la necessità del Green Pass per accedere nei luoghi chiusi, dove il rischio di contagio, ancora presente, è maggiore, è di fondamentale importanza per la completa riapertura del nostro Paese, per tornare alla vita che abbiamo lasciato ormai quasi due anni fa.

L'estensione dell'obbligo vaccinale col decreto oggi in commento, già previsto dal decreto-legge n. 44/2021, rappresenta di nuovo una precisa decisione politica mirata fondamentalmente a disincentivare l'astensione alla vaccinazione di una grandissima parte della popolazione, che in questo momento risulta invece indispensabile che sia vaccinata per ridurre il rischio di contagio, combattere la pandemia e cercare di riaprire il più possibile le attività, rendendo il più sicuro possibile i luoghi dove queste principalmente si svolgono. Rimane accertato scientificamente il fatto che solo una vaccinazione di massa può interromperne la diffusione del contagio, così come sembra che stia avvenendo. Come nel precedente articolo, ci sentiamo di nuovo di aderire pienamente a all'obiettivo perseguito dal nuovo decreto e non manchiamo l'occasione per riaffermare il ruolo fondamentale del medico in questa delicatissima fase e in generale nei confronti delle vaccinazioni.

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