Uno stop dalla giurisprudenza all'attività riqualificatoria, ex art. 20 TUR, ad opera del fisco

12 Ottobre 2021

In applicazione dello ius superveniens, lo stop della giurisprudenza all'attività di riqualificazione compiuta dall'Amministrazione Finanziaria, ai sensi dell'art. 20 TUR, di determinate sequenze negoziali in cessione d'azienda.
Premessa

Negli ultimi anni si è assistito ad un copioso dibattito dottrinale e giurisprudenziale circa l'interpretazione dell'art. 20 del d.P.R. 131/1986 (Testo Unico del Registro), spesso utilizzato dall'Amministrazione finanziaria in chiave antielusiva per la riqualificazione di atti sottoposti a registrazione sulla base dei loro effetti sostanziali (economici) piuttosto che giuridici. La precedente formulazione della norma prevedeva che “l'imposta è (era) applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione anche se non vi corrisponde(va) il titolo o la forma apparente". Queste in sintesile ipotesi classiche in cui determinate sequenze negoziali sono state riqualificate dal fisco in cessione d'azienda:

  • il conferimento di aziende seguito dalla cessione (non necessariamente totalitaria) delle partecipazioni ottenute dal conferente;
  • la cessione totalitaria delle partecipazioni sociali;
  • la cessione con una pluralità di atti, con lo stesso acquirente, di beni, attività e passività aziendali, considerati in modo atomistico (cd cessione spezzatino).

L'effetto economico (sostanziale) raggiunto da tali sequenze negoziali realizza in chiave elusiva, secondo l'Agenzia, un indebito risparmio d'imposta: così, ad esempio, l'atto di cessione di quote di partecipazioni sociali, soggetto ad imposizione di registro in misura fissa, versus atto di cessione d'azienda, tassabile in misura proporzionale.

Il legislatore, consapevole del contrasto giurisprudenziale generatosi sulla corretta interpretazione dell'art. 20, sembrava aver dato un definitivo “colpo di spugna” alla querelle con la legge di bilancio 2018 (legge 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lettera a) prevedendo che «l'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi» chiarendo definitivamente con la legge di interpretazione autentica di cui alla legge di bilancio 2019 (comma 1084 art. 1 legge n. 145 30/12/2018), in senso favorevole al contribuente, che l'imposta di registro deve essere applicata secondo l'intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, prescindendo dagli elementi extratestuali e dagli atti ad esso collegati, così restituendo all'imposta di registro la natura originaria di “imposta d'atto”.

Contribuiva a riaprire il dibattito l'ordinanza interlocutoria della Suprema Corte di Cassazione (n. 23549 del 23.09.2019) che rimetteva la questione alla Consulta sotto il profilo della irragionevolezza e del contrasto con le norme costituzionali in materia di capacità contributiva di una norma che, innovando il contenuto dell'articolo 20, aveva poi inteso ritenerlo interpretazione autentica; in particolare, i giudici di legittimità trasmettevano gli atti alla Consulta sollevando questione di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 3 e 53 della Cost. e in adesione al proprio e più restrittivo indirizzo interpretativo che ha affermato principio della tassazione unitaria di fattispecie giuridiche a formazione progressiva, rilevando, quindi, non solo il contenuto proprio dell'atto portato alla registrazione ma anche quello di tutti gli atti ad esso collegati.

La Corte Costituzionale con due sentenze a breve distanza l'una dall'altra (n. 158 del 21 luglio 2020 e n. 39 del 16 marzo 2021) ha “promosso a pieni voti” la nuova formulazione dell'art. 20; la Consulta è stata chiara nel sottolineare come non sia un argomento spendibile, ai fini del contrasto con i principi di uguaglianza e di capacità contributiva, la considerazione che escludere la rilevanza, ai fini dell'imposizione di registro, sia di elementi extratestuali che del collegamento con altri atti negoziali potrebbe favorire l'ottenimento di indebiti vantaggi fiscali sottraendo all'imposizione, in violazione dei citati principi costituzionali, l'effettiva ricchezza imponibile, in quanto tale ipotetico vantaggio potrebbe rilevare solo sotto il profilo di un “abuso del diritto”.

I giudici costituzionali hanno ribadito la ratio dell'imposta di registro in conformità alla sua origine storica di imposta d'atto, evidenziando come l'interpretazione evolutiva della norma de quo nelle ipotesi di collegamento negoziale, sostenuta dalla Cassazione, provocherebbe incoerenze nell'ordinamento interno quantomeno a partire dall'introduzione della normativa sull'abuso di diritto di cui all'art. 10-bis della legge n. 212/2000 (cd. Statuto dei Diritti del Contribuente): la tesi della Cassazione, non condivisa dalla Consulta, consentirebbe all'Amministrazione finanziaria di non osservare le garanzie procedimentali previste dalla disciplina dell'abuso (v. contraddittorio preventivo) e precluderebbe ai contribuenti ogni legittima pianificazione fiscale, pacificamente ammessa sia nell'ordinamento interno che nei principi del diritto unionale.

All'uopo va ricordato che la stessa legge di bilancio 2018 ha integrato il Testo Unico con l'articolo 53-bis (“rubricato attribuzioni e poteri degli uffici”) al fine di prevedere l'applicazione della disciplina anti abuso, con le connesse garanzie procedimentali, anche all'imposta di registro.

La giurisprudenza prevalente afferma il carattere retroattivo della novella

Nel 2018 (sent. CTR Lombardia n. 2772 del 15 giugno), decidendo una controversia in base alla precedente formulazione della norma, affermava che qualora l'Ufficio riqualifichi in cessione d'azienda operazioni commerciali consistenti in conferimenti di rami d'azienda con successiva cessione delle quote di partecipazione, deve provare con circostanze obiettive che gli atti plurimi siano funzionalmente collegati ed aventi un disegno unitario alla base delle operazioni compiute; poco dopo la Ctp di Milano (sent. n. 4098 del 03 ottobre 2018) si pronunciava affermando che l'operazione commerciale consistente nella scissione di un ramo d'azienda a favore di una newco e la successiva cessione totalitaria delle partecipazioni della beneficiaria non è abusiva se finalizzata al miglioramento funzionale dell'impresa, non avendo quale esclusivo fine l'indebito risparmio d'imposta.

Sul finire del 2018 (Ctr Lombardia, sent. n. 5498 del 17 dicembre) i giudici ambrosiani applicavano lo ius superveniens evidenziando come l'art. 53-bis del d.P.R. 131/1986, introdotto dalla novella di cui alla legge di bilancio 2018, avesse restituito all'art. 20 TUR, con portata innovativa, l'originaria struttura di “imposta d'atto”, regolando con rinvio all'art. 10-bis L. 212/2000 ogni riqualificazione antielusiva, anche mediante atti collegati o elementi extra-testuali, laddove venisse ravvisato un abuso del diritto. La CTR faceva, altresì, presente come già la precedente versione dell'art. 20 prescindesse da intenti elusivi e fosse una norma interpretativa degli atti registrati intesa ad identificare l'elemento strutturale del rapporto giuridico tributario, dando prevalenza alla causa reale (“intrinseca natura” ed “effetti giuridici degli atti”) rispetto all'assetto cartolare (“il titolo e la forma apparente”) e mirando alla regolazione degli interessi realmente perseguiti dalle parti e del risultato economico emergente dal collegamento di più negozi;

Continua nel 2019 la giurisprudenza milanese a pronunciarsi sull'art. 20 TUR. La CTP Milano (sent. n. 1058 del 07 marzo) “boccia” la riqualificazione degli atti fondata sugli effetti economici. L'attività interpretativa degli atti sottoposti alla registrazione, motivavano i giudici, impone di privilegiare l'intrinseca natura e gli effetti giuridici, rispetto al titolo e alla forma apparente degli stessi; l'Amministrazione finanziaria, nell'effettuare tale attività, non può travalicare lo schema negoziale nel quale l'atto risulta inquadrabile, non potendo altrimenti arrivare ad una artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile, diversa da quella voluta dalle parti. In sostanza l'Ufficio non deve andare alla ricerca di presunti effetti economici dell'atto;

La CTR Lombardia (sent. n. 3839 dell'8 ottobre 2019), riconoscendo il carattere retroattivo della novella, affermava che la riqualificazione compiuta dal Fisco in atto (unitario) di cessione d'azienda di una serie di operazioni caratterizzate da cessione di ramo d'azienda e licenze commerciali ad una newco e successiva cessione delle partecipazioni societarie della newco ad una SGR , con conferimento nel fondo di beni immobili, è da considerarsi priva di qualsiasi fondamento giuridico alla luce della nuova formulazione dell'art. 20 TUR che ha efficacia retroattiva e si applica a tutti i giudizi pendenti.

Nello stesso senso, CTR Lombardia (sent. n. 4840 del 02 dicembre 2019) ribadiva che la nuova formulazione dell'art. 20 TUR non consente più di riqualificare gli atti sulla base di elementi esogeni; la sostituzione della locuzione «degli atti presentati» con la locuzione «dell'atto presentato» e l'integrazione in calce, hanno posto un importante argine all'interpretazione della natura dell'atto, oltre che degli effetti, che deve essere determinata esclusivamente da elementi contestuali all'atto stesso;

Nel 2020 (Ctr Lombardia, sentenza n. 132 del 22 gennaio) bocciava la riqualificazione del fisco in cessione d'azienda di operazioni straordinarie (doppio conferimento) in quanto erano avvenute esclusivamente all'interno del gruppo societario e finalizzate alla riorganizzazione delle proprie attività di private equity; non era possibile, osservavano i giudici, identificare una cessione di ramo d'azienda e, dunque, un trasferimento del diritto di godimento di un complesso aziendale da un soggetto economico ad un altro, in considerazione anche dalla non equivalenza tra le aziende conferite e l'azienda della beneficiaria.

Poco più tardi (Ctr Lombardia, sentenza n. 2562 del 25 novembre) veniva applicato dai giudici l'effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 158/2020 dovendosi, quindi, ritenere che la cessione totalitaria di quote, preceduta dal conferimento di ramo di azienda, non possa essere tassata alla stregua di una cessione di ramo di azienda unitaria; concetto ribadito dalla pronuncia n. 2807 del 01 dicembre 2020 della stessa Ctr che aggiungevano come non si possano riqualificare in cessione unitaria di ramo d'azienda distinte operazioni commerciali anche quando le stesse siano state poste in essere in un ristretto arco temporale da soggetti economici collegati tra loro;

Durante l'anno in corso CTR Lombardia torna a pronunciarsi sul tema con la sentenza n. 768 del 24 febbraio sconfessando l'attività di riqualificazione in vendita dell'azienda dell'atto di cessione totalitaria delle quote di partecipazione da parte di una persona fisica. Rappresenta una fictio iuris, affermano i giudici, considerare come cessione d'azienda l'ipotesi della vendita del 100% delle quote detenute da parte di una persona fisica in una società di capitali in quanto lo scopo contrattuale perseguito è quello di cedere tali quote societarie e non solo i beni appartenenti alla stessa società. È noto che cedere le quote totalitarie di una società di capitali comporta degli effetti giuridici del tutto diversi rispetto alla cessione dell'azienda.

La scelta del contribuente di optare per la cessione di partecipazioni, anziché per la cessione d'azienda, non è finalizzata al mero conseguimento di un risparmio fiscale (le due fattispecie differiscono anche sotto il profilo degli effetti giuridici civilistici): la cessione delle quote, diversamente dalla cessione d'azienda, comporta la spogliazione, da parte del cedente, di tutte le obbligazioni presenti e future della società di capitali posseduta in merito ai debiti pregressi, al divieto di concorrenza ed in merito ai rapporti di lavoro. La reinterpretazione del rapporto contrattuale da cessione totalitarie delle quote in cessione di azienda andrebbe a stravolgere la reale volontà negoziale dello stesso; nello stesso senso recente CTR Lombardia (n. 3312 del 17 settembre) ha ulteriormente chiarito che le due fattispecie, ovvero cessione quote sociali versus cessione di azienda, rispondono non solo a schemi giuridici, ma anche a scelte e strategie imprenditoriali assolutamente non coincidenti: nel primo caso, i soci si spogliano completamente di qualunque relazione con la società le cui quote sono cedute perdendo ogni connessione con la stessa e con la loro precedente posizione di soci; viceversa, qualora la società ceda i beni o l'azienda da essa posseduti a un terzo, i soci mantengono il loro status di partecipanti alla compagine societaria.

Registrazione della cessione della totalità delle quote di una srl da parte dei due soci avvenuta (secondo l'A.F.) in modo “indiretto”

Sentenza CTR Lombardia, sezione XVI, n. 3431 del 24 settembre 2021

Oggetto della controversia era un avviso di liquidazione dell'imposta di registro emesso dall'Agenzia delle Entrate in applicazione dell'art. 20 TUR nella formulazione ante novella.

In particolare, veniva riqualificata la registrazione della cessione della totalità delle quote di una srl da parte dei due soci (per una quota del 50% ciascuno), in atto di cessione di azienda, avvenuta secondo l'Amministrazione in modo “indiretto” allo scopo di conseguire un risparmio fiscale. I giudici del riesame rilevano che lo ius superveniens introdotto dalla legge di bilancio 2018, la cui efficacia retroattiva emergeva già dalla relazione governativa, è confermato dalla successiva legge di bilancio 2019 che ha chiarito come l'art. 1 comma 87, lett. a) della Legge 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell'art. 20, comma 1 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.

È stata, pertanto, ex lege chiarita la natura interpretativa e non meramente innovativa del precedente intervento normativo della legge di bilancio 2018 con cui era stato modificato l'articolo 20 del d.P.R. 131/1986, prevedendo che: "L'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponde il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extra testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi".

La precedente formulazione dell'art. 20 T.U.R., osserva la Ctr, non era, quindi, solo «una norma interpretativa degli atti registrati», bensì una «disposizione intesa a identificare l'elemento strutturale del rapporto giudico tributario» (Cass. n. 25001/2015) che dava prevalenza alla causa reale ("intrinseca natura" ed "effetti giuridici degli atti") sull'assetto cartolare (“il titolo e la forma apparente"), mirando alla regolazione degli interessi realmente perseguita dalle parti - anche se attraverso ulteriori accordi extratestuali - e segnatamente del risultato economico emergente dal collegamento tra più negozi (vds. Cass. nn. 101804/2009, 15319/2013, 2713/2002 e 14900/2001), a prescindere da eventuali «intenti elusivi» (vds. Cass., nn. 7335/2014 e 19752/2013).

Con l'ordinanza n. 22988/2021 la Corte di Cassazione ha affermato che l'interpretazione prevista dall'art. 20 d.P.R. n. 131/1986, non può basarsi sull'individuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali, nonché' dagli elementi comunque desumibili dall'atto presentato alla registrazione, e neppure può confondere gli effetti giuridici, rilevanti ai fini dell'imposizione di registro, con quelli economici dell'operazione negoziale, essendo la finalità antielusiva, pure evocata dalla ricorrente, profilo affatto estraneo alla disposizione in esame. L'azione accertatrice, ove intenda perseguire siffatta finalità, deve essere attuata mediante apposito e motivato atto impositivo, preceduto, a pena di nullità, da una richiesta di chiarimenti che il contribuente può fornire entro un certo termine, il tutto da svolgersi all'interno di uno specifico procedimento di garanzia (articolo 53-bis TUR, introdotto anch'esso con la novella).

Nella parte conclusiva della motivazione, i giudici ambrosiani osservano, poi, come sussista una differenza ontologica, sia giuridica che economica, tra la cessione di quote e la cessione d'azienda (vds. anche CTR Lombardia n. 768/2021): la titolarità delle quote (come delle azioni) non attribuisce al socio la qualifica di imprenditore né le facoltà proprie di chi detiene direttamente i beni aziendali; infatti, non può cedere, affittare o ipotecare tali beni, cosi come non gliene possono essere imputati gli oneri.

La garanzia prevista dall'art. 2560, secondo comma c.c. per la quale l'acquirente risponde dei debiti propri dell'azienda ceduta, in caso di conferimento, opera nei confronti della società conferitaria e giammai nei confronti dei relativi soci. Infatti, secondo Cass. n. 17048/2012: "vi è differenza tra vendita dell'azione, cui consegue l'acquisto dello status di socio ed anche la misura della partecipazione del nuovo socio nella società e vendita dell'intero patrimonio o di singoli beni della società: solo in quest'ultimo caso l'oggetto della vendita sono i beni della società (e quindi non possono trovare applicazione le garanzie dovute dal venditore, con riferimento al patrimonio sociale); nella vendita di azioni, la disciplina giuridica, invece, si ferma all'oggetto immediato e, cioè all'azione oggetto del contratto, mentre non si estende alla consistenza od al valore dei beni costituenti il patrimonio" (cfr. Cass. n. 5773/1996, n. 9067/1995, n. 10829/1991, n. 1098/1991, n. 423/1986, n. 721/1977, n. 1832/1974, n. 26690/2006, n. 16031/2007 e n. 10648/2010).

Secondo Cass. n. 2054/2017: "se è indubitabile che l'Amministrazione in forza di tale disposizione non è tenuta ad accogliere acriticamente la qualificazione prospettata dalle parti ovvero quella forma apparente al quale lo stesso art. 20 fa riferimento, è indubbio che in tale attività riqualificatoria essa non può travalicare lo schema negoziale tipico nel quale l'atto risulta inquadrabile, pena l'artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici. In altre parole non deve ricercare un presunto effetto economico dell'atto tanto più se e quando…lo stesso è il medesimo per due negozi tipici diversi per gli effetti giuridici che si vogliono realizzare. Infatti, ancorché da un punto di vista economico si possa ipotizzare che la situazione di chi ceda l'azienda sia la medesima di chi cede l'intera partecipazione, posto che in entrambi i casi si 'monetizza' il complesso di beni aziendali, si deve riconoscere che dal punto di vista giuridico le situazioni sono assolutamente diverse".

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