Ancora sulla deliberazione assembleare di autorizzazione alla proposizione dell'azione di responsabilità

Guido Romano
13 Ottobre 2021

In tema di società di capitali, la delibera assembleare con la quale è autorizzato il promovimento dell'azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. deve contenere l'individuazione degli elementi costitutivi dell'azione, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, in mancanza dei quali la delibera deve considerarsi generica e, dunque, invalida...
Massima

In tema di società di capitali, la delibera assembleare con la quale è autorizzato il promovimento dell'azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. deve contenere l'individuazione degli elementi costitutivi dell'azione, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, in mancanza dei quali la delibera deve considerarsi generica e, dunque, invalida, non essendo idonea ad esprimere la volontà compiutamente informata dei soci (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di merito che aveva ritenuto inammissibile l'azione sociale di responsabilità, perché priva di una valida autorizzazione, essendosi l'assemblea dei soci limitata a dare mandato al legale di verificare se vi fossero gli estremi per promuovere "le azioni del caso" nei confronti degli organi di gestione e di controllo in carica a partire dalla data di costituzione della società).

Il caso

Una società cooperativa a responsabilità limitata proponeva l'azione sociale di responsabilità nei confronti di due componenti del precedente consiglio di amministrazione deducendo la commissione, da parte di questi, di atti di mala gestio. Il Tribunale di Milano, dopo avere rilevato l'assenza della delibera dei soci di autorizzazione all'azione di responsabilità sociale ex art. 2393 c.c., in applicazione dell'art. 182, comma 2, c.p.c., rimetteva la causa sul ruolo, assegnando alla società attrice un termine per la produzione di tale documento.

Non avendo a ciò ottemperato la società – la quale riteneva che la deliberazione assembleare autorizzativa fosse già agli atti del giudizio avendo l'ente depositato, nell'ambito del procedimento cautelare svoltosi ante causam, il verbale di una riunione assembleare del 28 novembre 2011 – il Tribunale adito dichiarava inammissibile l'azione proposta ed inefficace la misura cautelare all'uopo rilevando che il verbale assembleare richiamato conteneva un mandato professionale esplorativo che richiedeva necessariamente un secondo passaggio assembleare propriamente autorizzativo, nel caso di specie, non realizzatosi. In particolare, il deliberato dell'assemblea del 28 novembre 2011 era il seguente: «dare mandato al legale di verificare se ci siano gli estremi per un'azione di responsabilità nei confronti di tutto il precedente Consiglio di Amministrazione, dei Consigli ancora precedenti, oltre che dei Collegi dei sindaci, che avevano operato dalla costituzione della Cooperativa ad oggi e, nel caso ci siano i presupposti di dare, fin da ora, formale mandato al legale di intraprendere tutte le azioni del caso».

La decisione veniva confermata, con ordinanza emessa ai sensi dell'art. 348-ter c.p.c., dalla Corte di appello di Milano.

Avverso tale decisione, proponeva ricorso per cassazione la società cooperativa evidenziando, per quello che qui interessa, la violazione e falsa applicazione dell'art. 2393 c.c., non essendo condivisibile la decisione del Tribunale laddove aveva affermato la genericità della delibera per la mancata indicazione specifica degli addebiti mossi agli ex amministratori e per la mancata indicazione dei nominativi degli ex amministratori contro i quali agire.

Le questioni giuridiche

A distanza di poco più di due mesi dalla pubblicazione di Cass., 12 maggio 2021, n. 12568 (per una nota di commento a tale decisione, sia consentito rinviare a G. Romano, Sulla natura e sul contenuto della deliberazione assembleare di autorizzazione alla proposizione della azione di responsabilità, in GiustiziaCivile.com), la Corte di cassazione torna sull'argomento del contenuto – e, in qualche modo, della natura – della deliberazione assembleare di autorizzazione all'esercizio dell'azione sociale di responsabilità.

Pur non mancando talune discrasie, sulle quali si tornerà più avanti, tra le due decisioni, entrambe condividono l'idea di fondo e, cioè, che la deliberazione in questione debba in qualche modo contenere l'individuazione degli elementi costitutivi dell'azione, sia sotto il profilo soggettivo (consistente nella selezione degli amministratori nei cui confronti dare vita al giudizio) sia sotto il profilo oggettivo relativo ai “fatti” materialmente imputabili ai componenti dell'organo gestorio.

In realtà, soprattutto con la sentenza in commento, la esattezza della decisione non è inficiata da un percorso argomentativo che, come si è già inteso evidenziare nel commento alla decisione antecedente, non appare del tutto coerente con una corretta impostazione del problema inerente alla natura della deliberazione in argomento. Quello che si vuole affermare, in particolare, è che una delibera che si limiti a dare mandato ai professionisti legali di verificare se vi siano gli estremi per promuovere «le azioni del caso» nei confronti degli amministratori non può neppure essere qualificata come azione autorizzativa all'esercizio dell'azione, con la conseguenza che la successiva affermazione della Corte secondo la quale la deliberazione dovrebbe contenere l'individuazione degli elementi costitutivi dell'azione appare, da un lato, ultronea e, dall'altro, non del tutto perspicua.

Proprio per tali ragioni, appare utile svolgere un qualche approfondimento in ordine alla natura ed al contenuto della deliberazione assembleare di autorizzazione alla proposizione della azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori.

Come è noto, la deliberazione in argomento è prevista dall'art. 2393 c.c. (a mente del quale l'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa in seguito a deliberazione dell'assemblea, anche se la società è in liquidazione) con una norma che deve essere letta in uno con il disposto di cui all'art. 2363, comma 1, n. 4, c.c., il quale attribuisce, nelle società azionarie prive di consiglio di sorveglianza, la competenza a deliberare all'assemblea in sede ordinaria (cfr., Cass., 26 luglio 2012, n.13279 che ha, peraltro, precisato che la competenza dell'assemblea ordinaria è inderogabile). Infine, completa il quadro normativo, il secondo comma dell'art. 2393 c.c., a mente del quale la deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori può essere presa in occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell'elenco delle materie da trattare, quando si tratta di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce il bilancio (argomento, quest'ultimo, sul quale non è possibile soffermarsi in questa sede).

Merita, poi, di essere ricordato che la deliberazione assembleare è necessaria anche per la proposizione dell'azione di responsabilità nei confronti dei sindaci, in forza del richiamo contenuto nell'ultimo comma dell'art. 2407 c.c. all'intero disposto dell'art. 2393 c.c., e nei confronti del direttore generale e del liquidatore, in ragione del rinvio generalizzato alle norme sulla responsabilità degli amministratori operato rispettivamente dagli artt. 2396 e 2489, comma 2, c.c.

In altre parole, gli amministratori o i liquidatori, che di regola dispongono autonomamente del potere di deliberare e di esperire le iniziative processuali della società e, sotto il profilo sostanziale, hanno finanche il dovere di tutelare in via giudiziaria il patrimonio sociale, vengono ad essere privati, in via eccezionale rispetto alla generalità dei poteri gestori e di rappresentanza ad essi affidati, del potere di decidere discrezionalmente se esercitare l'azione sociale di responsabilità (così, S. Serafini, 71; in giurisprudenza, Cass., 6 giugno 2003, n. 9090).

Si tratta, allora, in primo luogo, di approfondire le ragioni per le quali il legislatore ha inteso, derogando al regime ordinario, attribuire la competenza all'assemblea in ordine all'esercizio dell'azione.

Vi è, sul punto, una certa unanimità di vedute sul fatto che il fondamento di questa diversa allocazione della competenza decisionale non può essere ravvisata in una supposta – e, oggi, non più attuale – preminenza dell'organo assembleare rispetto all'organo gestorio: osta ad una simile ricostruzione non solo la delineata esclusività del potere gestorio in capo agli amministratori (esclusività cristallizzata nell'attuale formulazione dell'art. 2380-bis c.c.), ma anche il fatto che l'esercizio dell'azione è attribuito direttamente anche alla minoranza qualificata prevista dall'art. 2393-bis c.c. e, nella società a responsabilità limitata, finanche a ciascun socio (S. Serafini, 72).

Secondo l'opinione maggioritaria, l'attribuzione della competenza alla assemblea - e, dunque, in definitiva, ai soci - muove dalla considerazione che i soci sono i destinatari ultimi dell'attività di impresa esercitata dalla società e, per tale ragione, sono legati agli amministratori da un rapporto fiduciario che, «come giustifica il potere di nomina e revoca riconosciuto agli stessi soci dagli artt. 2364, co. 1 e 2383 c.c., così spiega perché, in caso di lesione di tale rapporto, debbano essere i titolari dell'interesse sostanziale pregiudicato dalla mala gestio a poter decidere le iniziative da intraprendere nei riguardi degli amministratori» (F. Briolini, 1404, ma si veda anche S. Serafini, 76 ss. che, però, muove da premesse non del tutto condivisibili e, precisamente, dalla constatazione che il rapporto tra società e proprio patrimonio non possa sussumersi in una tradizionale e generica relazione di appartenenza, sostanziandosi, invece, in una regola di destinazione a soggetti diversi dalla società. In questa prospettiva, secondo l'A., il momento dell'imputazione del patrimonio alla società acquista il significato della destinazione del patrimonio sociale e dei beni che lo compongono ad una determinata attività, ossia alla attività di impresa, i cui risultati sono, a loro volta, assegnati a soggetti diversi dalla società e, precisamente, ai soci, non solo in sede di liquidazione della società, mediante attribuzione dei valori residui dopo il soddisfacimento dei creditori, ma anche durante la vita della società, mediante la distribuzione degli utili. Pertanto, «la sottrazione agli amministratori del potere autonomo di proporre l'azione sociale di responsabilità si spiega (...) laddove si abbandoni l'impostazione formalistica della società quale soggetto che agisce in giudizio per il ristoro del danno subito in conseguenza dell'inadempimento degli obblighi contrattuali gravanti sugli amministratori, e si valorizzi la connessione tra l'individuazione dei soggetti cui è rimessa la scelta se esercitare l'azione di responsabilità e coloro che, essendo i destinatari dei valori del patrimonio sociale pregiudicati dall'illecito gestorio, vantano un interesse alla ricostituzione del medesimo»).

Infine, merita di essere subito evidenziato che la delibera dell'assemblea non ammette equipollenti: in particolare, non può essere sostituita da un accordo extra-assembleare ancorché intervenuto tra tutti i soci (Cass., 7 luglio 2011, n. 14963; Cass., 1 ottobre 1999, n.10869. In dottrina, G. Dongiacomo, La responsabilità degli amministratori e dei direttori generali, 360; Id., Il giudizio di responsabilità nei confronti degli amministratori di società di capitali, 286).

Osservazioni

Profili processuali.

Chiarito il senso e la portata dell'attribuzione della decisione di esercitare l'azione in capo all'assemblea con conseguente sottrazione del relativo potere agli amministratori, appare opportuno, per comodità espositiva, affrontare da subito taluni profili processuali il cui esame sarà utile al fine di chiarire il contenuto e la natura della deliberazione medesima.

Se è pacifico che il giudice innanzi al quale sia stata proposta l'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori debba verificare, anche d'ufficio, la sussistenza della deliberazione assembleare che tale azione approva, è, al contrario, fonte di incertezze se tale deliberazione integri un presupposto processuale o una condizione per la legittimazione. In questo secondo senso sembra orientata la giurisprudenza maggioritaria: si afferma, infatti, che l'autorizzazione dell'assemblea all'esperimento dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori costituisce una condizione dell'azione che integra la legittimazione di colui che, in qualità di legale rappresentante della società, agisce nel processo, e la cui sussistenza va verificata d'ufficio dal giudice. Al riguardo, peraltro, appunto perché trattasi di condizione dell'azione, è sufficiente che essa sussista al momento della pronuncia che definisce il giudizio (Trib. Roma, 5 giugno 2017, n. 11279 in DeJure; Cass., 10 settembre 2007, n. 18939; Cass., 6 giugno 2003, n. 9090; Trib Milano 15 maggio 1986, in Soc., 1986, 1221. In dottrina, R. Bernabai, 216; A. Picciau, 575; L. Nazzicone – S. Providenti, 290). Si precisa, poi, che, in caso di contestazione tra le parti in ordine alla esistenza della predetta delibera, grava sul legale rappresentante della società attrice l'onere di dimostrare che l'azione di responsabilità è stata debitamente deliberata dall'assemblea, così da mettere il giudice in condizione di eseguire il necessario accertamento (Cass., 6 giugno 2003, n. 9090, cit. Nel richiamato arresto si è, dunque, affermato che, mancando l'assolvimento di tale onere, la prova dell'esistenza della delibera assembleare non può dirsi raggiunta per effetto della menzione che di essa abbia fatto il consulente tecnico d'ufficio nella sua relazione, attraverso l'indicazione degli estremi di reperimento nel libro dei verbali delle adunanze della società, atteso che il fatto riferito dal consulente non solo non ha una valenza tecnica inerente alla sfera di cognizione propria dell'indagine peritale, ma si risolve in un atto negoziale, il cui significato e la cui portata richiedono un'attività interpretativa che è quella specificamente propria del giudice ed in ordine alla quale le parti debbono essere poste in condizione di interloquire).

Secondo altro orientamento, la deliberazione costituirebbe un presupposto che attiene alla legittimazione di colui che agisce nel processo, ossia alla stessa efficacia della costituzione in giudizio della società in nome e per conto della quale l'azione di responsabilità è stata esercitata (Cass. 11 novembre 1996, n. 9849; Cass., 26 agosto 2004, n. 16999): così, la legittimazione processuale del legale rappresentante della società necessita, nell'ipotesi di azione sociale di responsabilità, di un indispensabile presupposto, costituito dalla deliberazione assembleare, che ha dunque la funzione di un elemento integratore di detta legittimazione processuale.

Ebbene, mentre Cass., 12 maggio 2021, n. 12568 aveva aderito a quest'ultimo orientamento, espressamente evidenziando che la deliberazione costituisce un presupposto, ancorché suscettibile di successiva regolarizzazione ex tunc, che attiene alla legittimazione di colui che ha agito nel processo, ossia alla stessa efficacia della costituzione in giudizio della società in nome e per conto della quale l'azione di responsabilità è stata esercitata, la decisione in commento “ritorna” all'orientamento tradizionale che qualifica la deliberazione come una condizione dell'azione.

Peraltro, la questione appare di scarso rilievo pratico, in quanto anche i sostenitori del secondo approccio pervengono comunque alla conclusione che la deliberazione - la cui esistenza deve essere verificata in via preliminare dal giudice, d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, salvo il giudicato interno formatosi sul punto - può sopravvenire nel corso del giudizio già introdotto con effetto sanante ex tunc (così, anche, la più volte richiamata Cass., 12 maggio 2021, n. 12568).

Merita, infine, di essere segnalato che - attesa la facoltatività del litisconsorzio derivante dalla responsabilità solidale degli amministratori (Cass., 18 settembre 2017, n. 21567; Cass., 18 maggio 2012, n. 7907; Cass., 29 ottobre 2013, n. 24362; Cass., 14 dicembre 2015, n.25178; Cass., 25 luglio 2008, n. 20476) – l'assemblea può decidere di limitare l'autorizzazione all'esercizio dell'azione ad alcuni soltanto dei componenti del consiglio di amministrazione, indicati espressamente: in tal caso, l'azione non potrà essere proposta nei confronti degli altri non menzionati nella delibera (G. Dongiacomo, Il giudizio di responsabilità nei confronti degli amministratori di società di capitali, 291 il quale precisa che, se la delibera riguarda genericamente tutti gli amministratori, l'azione non dovrà essere necessariamente proposta nei confronti dell'intero consiglio di amministrazione; nel medesimo senso, R. Weigmann, 208). In altre parole, sul fronte della selezione “soggettiva” dei destinatari dell'azione sociale di responsabilità, non vi può essere dubbio che la deliberazione divenga obbligatoria per gli amministratori che dovranno intraprendere il giudizio soltanto nei riguardi di coloro nei cui confronti quel giudizio è stato autorizzato.

Contenuto e natura della deliberazione.

Chiariti alcuni aspetti processuali, non vi è dubbio che, con riguardo alla deliberazione di autorizzazione alla proposizione dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, le questioni più significative, anche in ragione delle evidenti ricadute pratiche, riguardano il contenuto e la natura di essa.

Si afferma correttamente, e con una certa unanimità di vedute, che la deliberazione non deve recare una specifica motivazione in ordine alla responsabilità degli amministratori: in altre parole, la deliberazione non deve necessariamente menzionare - e tanto meno documentare - i fatti su cui l'azione si fonda (in dottrina, G. Dongiacomo, Il giudizio di responsabilità nei confronti degli amministratori di società di capitali, 291; F. Briolini, 1406; S. Ambrosini, 658; L. Sambucci, 386; L. Nazzicone – S. Providenti, 291; A. Picciau, 579; R. Weigmann, 209; F. Sacchi, 191 il quale, tuttavia evidenzia che, sebbene in astratto non sembrano esservi dubbi sull'assenza di un obbligo di motivazione della delibera ex art. 2393 c.c., in concreto, in determinati casi, non pare potersi prescindere da essa).

D'altra parte, è noto che le deliberazioni assembleari per le quali vige un obbligo di motivazione sono solo quelle espressamente previste dal legislatore, seppure estensibili in via interpretativa ad altre (limitate) fattispecie, mentre, nelle restanti ipotesi, i soci sono liberi di autodeterminarsi, senza dovere necessariamente esternare le ragioni delle proprie decisioni o, più precisamente, del voto espresso in sede di riunione assembleare.

E, infatti, come chiarito nella giurisprudenza di legittimità, a differenza che in altri casi di deliberazione societaria, la legge non richiede che la deliberazione con cui l'assemblea di una società per azioni autorizza l'esercizio dell'azione di responsabilità contro gli amministratori rechi una specifica motivazione volta ad illustrare le ragioni di tale scelta, restando ovviamente affatto impregiudicata la fondatezza degli addebiti mossi all'amministratore, destinati ad essere vagliati solo nella causa contro di lui successivamente instaurata. Ciò non implica, peraltro, che detta deliberazione assembleare si sottragga a qualsiasi possibile censura di legittimità, non solo sotto il profilo della correttezza del procedimento con cui essa è stata adottata, ma anche per aspetti concernenti il suo contenuto, ed in particolare per eventuali vizi di eccesso di potere o per una situazione di conflitto d'interessi in cui eventualmente versi il socio che abbia espresso in quell'assemblea un voto determinante (Cass., 11 novembre 2005, n. 21858; nello stesso senso, Cass., 11 luglio 2008, n. 19235; Cass., 18 giugno 2005, n. 13169).

È rimasto, invece, del tutto minoritario l'orientamento (in tal senso, si segnala soltanto Trib. Napoli, 26 marzo 2008, in DeJure. In dottrina, Cabras, 83, il quale sembra orientato verso la sussistenza di un obbligo di motivazione di carattere generale alla base delle delibere sull'azione sociale di responsabilità) secondo il quale per l'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti dell'amministratore di una società di capitali non è sufficiente invocare genericamente il compimento di atti di mala gestio e riservare una più specifica descrizione di tali comportamenti nel corso del giudizio, atteso che, per consentire alla controparte l'approntamento di adeguata difesa, nel rispetto del principio processuale del contraddittorio, la causa petendi deve sin dall'inizio sostanziarsi nell'indicazione dei comportamenti asseritamente contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto sociale. Appare, infatti, del tutto evidente come il ragionamento sotteso a questo orientamento confonda il profilo sostanziale inerente alla validità della deliberazione assembleare (basata sul corretto espletamento del procedimento che dà vita a quella deliberazione e sulla libertà dei soci ad esprimersi in sede di voto) con gli aspetti più squisitamente processuali (il diritto di difesa) che, però, trovano la propria esclusiva sede nell'ambito del giudizio di responsabilità poi concretamente instaurato.

L'orientamento maggioritario sopra riportato merita certamente adesione, sia in ragione del fatto che la motivazione di una deliberazione assembleare costituisce l'eccezione alla regola sia in ragione delle difficoltà pratiche che richiedere una specifica motivazione creerebbe, dovendo, a quel punto, l'assemblea ripercorrere tutta la gestione societaria (eventualmente protrattasi per anni) e valutare singolarmente tutti gli episodi che potrebbero, in astratto, generare una qualche responsabilità degli amministratori.

Chiarito che la deliberazione non richiede una specifica motivazione, occorre indagare quale sia il suo (necessario) contenuto e da tale contenuto, quasi in un moto circolare, risalire fino alla determinazione della sua natura.

In questa prospettiva, ferma la non necessità di una specifica motivazione a fondamento della deliberazione, è evidente che i soci possano, nel corso del dibattito in sede di riunione assembleare, discutere su alcuni fatti da porre a fondamento della azione, fatti che, una volta trasfusi nel verbale assembleare, costituiscono parte integrante della deliberazione autorizzativa.

Ma se così è, il problema che immediatamente emerge riguarda il «vincolo» che deriva da tale indicazione rispetto all'azione poi concretamente proposta. In altre parole, occorre verificare se i fatti illustrati nella deliberazione siano, poi, vincolanti per chi rappresenta la società oppure se, al contrario, l'azione possa essere proposta in forza di fatti diversi da quelli esaminati dall'assemblea (per una disamina del problema, G. Dongiacomo, Il giudizio di responsabilità nei confronti degli amministratori di società di capitali, 292; F. Briolini, 1406).

Secondo un certo orientamento, in presenza di una deliberazione che indica espressamente la condotta amministrativa su cui l'azione deve fondarsi, chi propone la domanda giudiziale è vincolato all'osservanza di quella indicazione, la quale esprime i limiti entro cui la società vuole che l'azione di risarcimento sia contenuta (così, testualmente, V. Salafia, 1013; A. Picciau, 580). Secondo una diversa ricostruzione, invece, l'azione potrebbe essere fondata anche su fatti diversi da quelli illustrati in sede assembleare e ciò in quanto la deliberazione costituisce (soltanto) una condizione dell'azione, ma non è idonea a predeterminare il contenuto che può essere fissato solo dopo un esame più attento ed approfondito di quanto non sia possibile in sede assembleare (così, R. Weigmann, 209; S. Ambrosini, 668 il quale sottolinea come, diversamente opinando, l'assemblea porrebbe un limite che, invece, attiene alle strategie processuali perseguibili che il difensore non sarebbe più libero di scegliere in piena autonomia).

Nell'ambito di questo orientamento, si fa talvolta riferimento all'art. 1711, secondo comma, c.c., secondo il quale il mandatario può discostarsi dalle istruzioni ricevute esclusivamente in presenza di circostanze ignote al mandante, che siano tali da non potergli essere comunicate in tempo utile e che facciano ritenere che quest'ultimo avrebbe comunque dato la sua approvazione: un eventuale scostamento dalle indicazioni di cui alla delibera ex art. 2393, comma 1, c.c., dunque, sarebbe ammesso solo nell'evenienza di fatti di cui la società sia venuta a conoscenza in un secondo momento rispetto alla seduta assembleare (A. Picciau, 580). Altri evidenziano, per sostenere la soluzione in argomento, che ammettere la possibilità per gli amministratori di discostarsi nell'impostazione della linea processuale dalle circostanze espressamente poste dai soci alla base della loro decisione finirebbe con lo svuotare di contenuto una scelta che (comunque) il legislatore ha deciso di demandare ai soci medesimi (F. Sacchi, 194 il quale, comunque, ammette che l'assemblea possa limitarsi ad assumere la delibera concernente l'azione di responsabilità senza indicare specificamente i soggetti contro i quali questa sia diretta).

Sul punto, il precedente del maggio 2021 della giurisprudenza di legittimità - che sembrava optare per una posizione mediana – aveva cura di precisare che «pur non mancando, in dottrina come in giurisprudenza, affermazioni nel senso dell'ammissibilità di un'azione di responsabilità incentrata su fatti diversi da quelli che l'assemblea abbia preso in considerazione allo scopo di precisare i contorni dell'iniziativa giudiziale da intraprendere, è difficile negare che l'organo amministrativo debba conformarsi alla deliberazione che intenda fissare i precisi limiti entro cui l'azione di responsabilità vada modulata. Infatti, l'ampiezza dei poteri spettanti agli amministratori, quanto all'individuazione delle condotte illecite da denunciare con l'azione di responsabilità, dipende dalle concrete determinazioni dell'assemblea, giacchè è quest'ultima a definire, col proprio deliberato, la legittimazione processuale del soggetto che deve agire in giudizio in nome e per conto della società. Ciò non significa, però, che ove la delibera rechi menzione di alcuni comportamenti, sia precluso prospettarne in giudizio di ulteriori. A prescindere dall'eventualità della successiva scoperta di fatti ignorati dall'assemblea (…) va osservato che l'identificazione, nel corpo della delibera, di alcuni fatti non è, di necessità, un elemento rappresentativo della volontà dell'assemblea di basare su di essi, e su di essi soltanto, l'azione di responsabilità che viene deliberata; siffatta menzione può infatti avere valore esemplificativo, o essere finalizzata a precisare che la domanda giudiziale da proporsi non possa prescinderne, o indicare, più semplicemente, il rilievo che l'assemblea assegna a quella condotta sul piano delle motivazioni che l'hanno spinta a deliberare l'azione di responsabilità (senza tuttavia escludere che questa possa avere ad oggetto anche altri comportamenti)».

Il caso affrontato dalla decisione in commento si presenta, invece, diverso. Infatti, come sopra evidenziato, la deliberazione assembleare assunta dall'assemblea della cooperativa si limitava a «dare mandato al legale di verificare se ci siano gli estremi per un'azione di responsabilità nei confronti di tutto il precedente Consiglio di Amministrazione, dei Consigli ancora precedenti, oltre che dei Collegi dei sindaci, che avevano operato dalla costituzione della Cooperativa ad oggi e, nel caso ci siano i presupposti di dare, fin da ora, formale mandato al legale di intraprendere tutte le azioni del caso».

Ebbene, la Corte ha gioco facile nel ribadire la affermata (nei precedenti gradi di giudizio) genericità della deliberazione, concludendo che «sussiste, dunque, la denunciata carenza di autorizzazione all'esercizio dell'azione di responsabilità, essendo evidente che, la delibera societaria in esame, mancando (…) della individuazione degli elementi costitutivi dell'azione di responsabilità, sia sotto il profilo oggettivo, che soggettivo, essendo stato dato mandato al legale di verificare se vi fossero gli estremi per "le azioni del caso" nei confronti di una pluralità di organi collegiali (consigli di amministrazione e collegi sindacali in carica fin dalla data di costituzione della società), non era idonea ad esprimere una volontà, compiutamente informata, dei soci».

Ora, appare evidente che una delibera che si limiti a conferire un incarico professionale per lo svolgimento degli ulteriori approfondimenti non costituisce una autorizzazione ai sensi dell'art. 2393 c.c., la quale presuppone una manifestazione di volontà di esercitare - hic et nunc, verrebbe da dire – l'azione di responsabilità.

Tuttavia, visto che la decisione ha anche evidenziato, oltre alla carenza del profilo soggettivo, anche la mancanza degli elementi oggettivi costitutivi dell'azione di responsabilità, appare utile evidenziare come tutti gli orientamenti sopra esposti non siano pienamente soddisfacenti, meritando qualche ulteriore precisazione.

Posto che, come sopra evidenziato, vi è sostanziale accordo sulla non necessità, ai fini della validità della deliberazione, di una specifica motivazione, non del tutto perspicue risultano le conclusioni cui giunge la recente giurisprudenza (e, in particolare, in Cass., 12 maggio 2021, n. 12568) ove si evidenzia, da un lato, che l'ampiezza dei poteri spettanti agli amministratori dipende, quanto alla individuazione delle condotte illecite da denunziare in giudizio, dalle concrete determinazioni dell'assemblea e, dall'altro, che, ove la delibera rechi menzione di alcuni comportamenti, possano essere invocati in giudizio fatti ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati nella deliberazione medesima. Sebbene l'antecedente del maggio scorso giunga ad affermare una simile conclusione sulla base della considerazione che le delibere soggiacciono, quando se ne debba interpretare il contenuto dispositivo, alla regole ermeneutiche dettate per i contratti, non può non cogliersi una intima contraddittorietà nello snodo motivazionale della decisione (non necessità di motivazione della deliberazione; obbligo degli amministratori di conformarsi alle indicazioni eventualmente compiute dall'assemblea; non preclusione dell'esercizio dell'azione anche con riferimento a fatti diversi). Parimenti, identica contraddizione si coglie nella decisione in commento laddove non ci si arresta ad una qualificazione negativa della decisione assembleare (l'assoluta genericità del deliberato implica, a monte, l'impossibilità della sua riconduzione alla categoria della deliberazione autorizzativa), ma si procede oltre, richiedendo che la delibera contenga l'indicazione degli elementi oggettivi costitutivi dell'azione.

Al contrario, una corretta impostazione metodologica del problema imporrebbe di scegliere, in maniera netta, tra le due opzioni costituite, da una parte, dalla irrilevanza di eventuali indicazioni di fatti specifici da porre a fondamento della azione di responsabilità e, dall'altra, dalla vincolatività delle condotte indicate nella deliberazione medesima.

Ebbene, la prima soluzione appare assai più convincente. Infatti, dall'assunto che non sia necessaria una specifica motivazione della deliberazione deve coerentemente trarsi la conclusione, a monte, che non sia in alcun modo necessaria l'individuazione particolareggiata delle singole condotte degli amministratori e, a valle, che, ove comunque la delibera contenga una qualche illustrazione di condotte di mala gestio, questa indicazione resti del tutto irrilevante sia in punto di validità della deliberazione medesima, sia in punto di definizione del perimetro dell'azione di responsabilità poi in concreto esercitata.

La deliberazione, infatti, autorizza - puramente e semplicemente - l'esercizio dell'azione, ma non ne predetermina in alcun modo il contenuto che è lasciato all'apprezzamento delle strategie processuali demandate alla difesa tecnica della società.

Conseguentemente, l'azione di responsabilità può essere fondata e materialmente proposta anche sulla base di atti diversi da quelli specificamente esaminati dall'assemblea (Trib. Roma, 5 giugno 2017, n. 11279, cit.; Trib. Milano, 9 novembre 1987, in Giur. comm., 1988, II, 967; Trib. Milano 17 ottobre 1988, in Giur. it., 1990, I, 2, 48 secondo il quale l'enunciazione di specifici addebiti nella deliberazione assembleare che autorizza l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori di società di capitali non pone limiti oggettivi all'esperimento dell'azione medesima; Trib. Milano, 20 febbraio 2017, in Giur. comm., 2019, II, 177 in un caso, tuttavia, ove la deliberazione espressamente delegava l'organo amministrativo ad «ampliare il raggio d'azione» dell'iniziativa giudiziale da intraprendere). In questa prospettiva, coerente con l'impostazione che vede nella deliberazione una condizione dell'azione, salva l'esigenza di una adeguata informativa degli azionisti - che si assume svolta in sede di dibattito assembleare, ma che non connota il contenuto del deliberato, inteso in senso stretto -, l'assemblea può limitarsi ad autorizzare l'esercizio dell'azione nei confronti di tutti o di alcuni amministratori senza la necessità di motivazione o di specifica individuazione dei fatti di responsabilità; diversamente, la società attrice sarebbe vincolata a seguire pedissequamente la decisione assembleare, ciò che si risolverebbe in una limitazione delle proprie strategie e possibilità processuali. Inoltre, la ratio della attribuzione della competenza a decidere in ordine alla azione di responsabilità ai soci è soddisfatta lasciando a questi ultimi la valutazione circa il se perseguire gli amministratori infedeli, senza necessità che tale competenza arrivi a pre-determinare il come agire a tale fine in giudizio.

In questa prospettiva, appare del tutto inconferente il richiamo alle norme sul mandato e, dunque, al vincolo tra assemblea ed amministratori “delegati” per l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità. Infatti, appare evidente come la deliberazione di autorizzazione non crea alcun rapporto di mandato, ma elimina un limite legale al potere degli amministratori.

In definitiva, il contenuto della deliberazione (recte: la mancanza di contenuto necessario della deliberazione) fa emergere la natura della deliberazione che costituisce una pura autorizzazione agli amministratori in carica ad esercitare l'azione sociale di responsabilità nei confronti dei precedenti (discorrono di deliberazione autorizzativa, sia pure con diversità di accenti, L. Sambucci, 386; L. Nazzicone – S. Providenti, 290; A. Picciau, 575; E. Dalmotto, 803).

D'altra parte, la conclusione ora raggiunta risulta coerente anche con l'affermazione, che deve reputarsi corretta, che solo l'esercizio dell'azione è rimesso alla decisione dell'assemblea dei soci: gli atti sostanziali e processuali conseguenti, come la designazione del difensore e la sottoscrizione del relativo mandato ad litem, sono, invece, atti di gestione di esclusiva competenza, a seconda dei casi, dell'amministratore con rappresentanza diverso da quello incolpato ovvero del curatore speciale designato a norma dell'art. 78 c.p.c. (G. Dongiacomo, Il giudizio di responsabilità nei confronti degli amministratori di società di capitali, 286; M. Spiotta, 864).

Né, infine, coglie nel segno l'obiezione mossa ad una simile ricostruzione, secondo la quale, a seguire l'orientamento qui propugnato, dovrebbe coerentemente concludersi che gli amministratori conservino il potere, ex artt. 2364, primo comma, n. 5 e 2380 bis c.c., di valutare discrezionalmente l'opportunità dell'azione e, se del caso, di non dar seguito alla deliberazione dell'assemblea (così, F. Briolini, 1405). E, infatti, la deliberazione impone un vincolo agli amministratori in ordine all'esercizio dell'azione, con la conseguenza che essi non potrebbero non agire, ma lascia liberi gli amministratori medesimi sulla concreta individuazione dei fatti da porre a fondamento dell'azione.

La delibera autorizzativa nella società a responsabilità limitata.

Ulteriore profilo critico manifestato dalla decisione in commento riguarda la applicazione della disciplina dell'azione di responsabilità (e, precisamente, per quello che qui interessa, della delibera autorizzativa) alla società a responsabilità limitata ed alla società cooperativa che adotti quel regime. Nella sentenza, infatti, quella applicazione viene data quasi per presupposta, senza particolare approfondimento, limitandosi l'estensore ad evidenziare che «anche nella società cooperativa a responsabilità limitata l'autorizzazione dell'assemblea al promovimento dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, richiesta dall'art. 2393 c.c., costituisce una condizione dell'azione, la cui esistenza va verificata d'ufficio dal giudice».

La disciplina della società a responsabilità limitata nulla prevede in ordine alla necessità che l'azione sociale di responsabilità sia esercitata previa deliberazione dei soci, lasciando così il dubbio se la disposizione di cui all'art. 2393 c.c. debba trovare applicazione in via analogica ovvero se, per tale tipo societario, debba valere il principio generale della competenza dell'organo amministrativo ad intraprendere le azioni a tutela del patrimonio sociale.

Peraltro, come è noto, all'indomani della riforma del diritto societario, si arrivò a dubitare della stessa legittimazione della società – anch'essa non contemplata dall'art. 2476 c.c. che si limita ad attribuire la legittimazione straordinaria ai singoli soci, a prescindere dall'entità della partecipazione al capitale sociale – ad esercitare l'azione sociale di responsabilità. Tuttavia, la giurisprudenza di merito, superate le prime perplessità, si è univocamente orientata a riconoscere la legittimazione dell'ente sulla base della considerazione che la società è titolare del diritto al risarcimento del danno da essa stessa subito con la conseguenza che una diversa opzione interpretativa si mostrerebbe costituzionalmente illegittima in quanto priverebbe il soggetto, titolare del diritto, di agire in giudizio per farlo valere(sul punto, già, Trib. Napoli, 28 aprile 2004, in Soc., 2004, 1396; Trib. Roma, 22 maggio 2007, in Foro it., 2008, I, 307; Trib. Roma, 19 ottobre 2015, in IlSocietario.it). E, in questa prospettiva, anche il richiamo al dato testuale della norma appare argomento assai debole, atteso che lo stesso primo comma dell'art. 2476 c.c. fissa la regola generale della responsabilità degli amministratori «verso la società».

Pertanto, del tutto correttamente, la giurisprudenza di legittimità, cristallizzando l'orientamento da ultimo richiamato, ha avuto cura di precisare che, sebbene l'art. 2476 terzo comma c.c. abbia un indubbio contenuto ellittico, non contemplando espressamente l'azione sociale, né tanto meno il relativo procedimento autorizzativo, tale omissione non può considerarsi significativa di un'ontologica diversità di strutture delle due azioni parallele (quella della società e quella del socio), a pena di un vulnus alla coerenza sistematica (Cass., 26 maggio 2016, n. 10936).

Se pacifica appare, oggi, la legittimazione attiva della società, non altrettanto lo è la modalità con la quale l'azione sociale viene esercitata e, in particolare, se sia necessaria una preventiva deliberazione o decisione dei soci al pari di quanto avviene, come visto, nelle società per azioni.

Secondo una parte della dottrina, nel caso di azione proposta dalla società, sarebbe necessario un preventivo pronunciamento autorizzativo dei soci (sotto forma di deliberazione assembleare ovvero di decisione dei soci assunta mediante consultazione scritta ovvero sulla base del consenso espresso per iscritto), dal che deriverebbe la improcedibilità dell'azione proposta per conto della società dall'amministratore in difetto di tale deliberazione o decisione (così, G. Scognamiglio, 297; M.G. Paolucci, 504; G. Dongiacomo, La responsabilità degli amministratori e dei direttori generali, 369).

In realtà, appare preferibile una diversa opzione interpretativa secondo la quale nessuna deliberazione dell'assemblea o decisione dei soci è richiesta, nell'ambito della disciplina della società a responsabilità limitata, ai fini dell'esercizio dell'azione sociale di responsabilità.

In primo luogo, come sopra già evidenziato, la disposizione di cui al primo comma dell'art. 2393 c.c. costituisce norma eccezionale che deroga all'ordinario riparto di competenze tra organo gestorio ed assemblea, ordinario riparto che costituisce la regola generale: conseguentemente, la norma non può essere applicata al di fuori dei casi espressamente previsti. In questa prospettiva, appare giocoforza concludere che - in difetto, appunto, di una norma derogatrice - l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità rientra nella generale competenza degli amministratori che si estende a tutti gli atti che non siano da norme legali o statutarie riservate ad i soci (in questo senso, G. Zanarone, 1067; S. Serafini, 109, nt. 71). D'altra parte, nella disciplina della società a responsabilità limitata, non solo è assente una norma di contenuto analogo a quella prevista dal primo comma dell'art. 2393 c.c., ma l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità non rientra neppure tra le materie riservate «in ogni caso», ai sensi del secondo comma dell'art. 2479 c.c., alla competenza dei soci.

Sotto altro profilo, anche una considerazione di carattere sistematico conferma una simile conclusione. Se è vero, infatti, che la ratio della competenza dell'assemblea a deliberare l'azione sociale di responsabilità va rintracciata, nelle società azionarie, nel fatto che i soci sono i titolari (ultimi) dell'interesse sostanziale pregiudicato dalla mala gestio degli amministratori con la conseguenza che appare coerente che ai medesimi sia lasciata la «scelta» se perseguire i soggetti da essi stessi nominati ad amministrare la società, il legislatore ha inteso, con riguardo alle società a responsabilità limitata, raggiungere il medesimo risultato attraverso un'altra strada. E va da sé che questo diverso percorso deve essere ravvisato nella disposizione di cui al terzo comma dell'art. 2476 c.c. a mente del quale l'azione sociale di responsabilità può essere esercitata da «ciascun socio», a prescindere, peraltro, dalla aliquota di partecipazione al capitale sociale detenuta. In altre parole, l'attribuzione a tutti i soci, singolarmente intesi, di attivare, davanti alla competente sezione specializzata in materia di impresa, l'azione sociale di responsabilità soddisfa pienamente la ratio sopra richiamata, potendo ciascun socio valutare il pregiudizio subito dalla società – e, indirettamente, da lui stesso – per effetto delle condotte tenute dagli amministratori (in questo senso, Trib. Roma, 19 ottobre 2015, in questo portale, nonché Trib. Roma, 22 maggio 2007, in Foro it. 2008, 1, I, 307, secondo il quale la deliberazione non è necessaria, pur potendo essere, di fatto, assunta. Nella giurisprudenza di merito, tuttavia, è stata talvolta dichiarata l'improcedibilità dell'azione nel caso in cui non risulti essere mai stata né deliberata o comunque autorizzata dai soci: così, Trib. Milano, 13 gennaio 2005, in Giur. it., 2005, 523; Trib. Milano, 30 giugno 2008, in Giust. Milano, 2008, 53).

Conclusioni

La decisione in commento appare corretta nel suo esito finale, ancorché possano legittimamente porsi dei dubbi su alcune affermazioni svolte nella motivazione. In particolare, una deliberazione che si limiti a dare mandato ai professionisti legali verificare se vi siano gli estremi per promuovere «le azioni del caso» nei confronti degli amministratori non può neppure essere qualificata come azione autorizzativa all'esercizio dell'azione, con la conseguenza che la genericità del deliberato assembleare era certamente sufficiente per il rigetto del ricorso.

Al contrario, alla luce delle considerazioni svolte in questa nota, non appare del tutto corretto il successivo enunciato della Corte secondo la quale la deliberazione dovrebbe contenere l'individuazione degli elementi costitutivi dell'azione.

E, infatti, sulla base della esclusione della deliberazione in argomento dal novero di quelle per le quali il legislatore richiede una specifica motivazione, sembra più corretta la conclusione che la deliberazione assembleare, prevista dal primo comma dell'art. 2393 c.c., costituisce, assumendone la natura, una mera autorizzazione all'esercizio dell'azione sociale di responsabilità, non dovendo, necessariamente, contenere una indicazione dei fatti di mala gestio su cui si fonderà la successiva azione: con essa, viene rimosso un limite legale alla competenza degli amministratori, consentendo loro di agire nei confronti dei componenti infedeli dell'organo gestorio. In questa prospettiva, la deliberazione, da un lato, non è idonea a predeterminare il contenuto della domanda giudiziale e, dall'altro, non deve necessariamente riportare l'indicazione dettagliata dei fatti o delle omissioni contestati agli amministratori. Ove tale indicazione sia comunque contenuta nella deliberazione, essa resta del tutto irrilevante proprio in quanto contenuto eccedente rispetto alla natura della deliberazione.

Guida all'approfondimento

S. Ambrosini, La responsabilità degli amministratori, in Cottino (a cura di), Trattato di diritto commerciale, IV-1, Le società per azioni, Padova, 2010;

R. Bernabai, profili processuali delle azioni di responsabilità, in Soc., 2005, 216

F. Briolini, art. 2393, in P. Abbadessa – G.B. Portale, Le società per azioni, Milano, 2016, 1402 ss.;

G. Cabras, La responsabilità per l'amministrazione delle società di capitali, Torino, Utet, 2002, 79 ss.;

E. Dalmotto, Artt. 2393, 2393 bis, in G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti(a cura di), Il nuovo diritto societario. Commentario, 1, Bologna, 2004, 803;

G. Dongiacomo, La responsabilità degli amministratori e dei direttori generali, in G. Dongiacomo, U. Macrì, L. Nazzicone, E. Quaranta, Organi sociali, responsabilità e controlli, Milano, 2019;

G. Dongiacomo, Il giudizio di responsabilità nei confronti degli amministratori di società di capitali, Milano, 2020;

L. Nazzicone – S. Providenti, Amministrazione e controlli nella società per azioni, Milano, 2010;

M.G. Paolucci, art. 2476, in Della società a responsabilità limitata, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca-Galgano, Bologna, 2014;

A. Picciau, in F. Ghezzi (a cura di), Amministratori, sub artt. 2393-2393 bis; 2394 bis, Milano, 2005;

L. Sambucci, art. 2393, in E. Gabrielli (a cura di), Commentario del codice civile, Delle società - Dell'azienda. Della concorrenza, artt. 2379-2451, a cura di D. Santosuosso;

V. Salafia, L'azione sociale di responsabilità, in Soc., 1995, 1009 ss.;

F. Sacchi, Doveri di controllo degli amministratori di s.p.a. privi di deleghe e delibera assembleare in ordine all'azione sociale di responsabilità, in Giur.comm., 2019, II, 185 ss. (nota a Trib. Milano, 20 febbraio 2017);

G. Scognamiglio, L'azione sociale di responsabilità, in C. Ibba e G. Marasà (a cura di), Trattato delle società a responsabilità limitata, vol. V, L'amministrazione. La responsabilità gestoria, Padova, 2012;

S. Serafini, Responsabilità degli amministratori e interessi protetti, Milano, 2013;

M. Spiotta, Amministratori, in G. Cavalli, Assemblea e amministratori, Torino, 2013;

R. Weigmann, Responsabilità e potere legittimo degli amministratori, Torino, 1974;

G. Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Il codice civile commentato, fondato da P. Schlesinger e continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2010.

Sommario