Le rinunce e le transazioni di cui all'articolo 2113 c.c., se intervenute in sede protetta, sono sempre valide?
15 Ottobre 2021
Massima
In tema di atti abdicativi di diritti posti in essere dal lavoratore subordinato, le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti previsti da disposizioni inderogabili di leggi o di contratti collettivi e contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale non sono impugnabili, a patto che l'assistenza prestata dai rappresentanti sindacali al lavoratore sia stata effettiva, e ciò in quanto deve potersi ritenere che lo stesso sia stato posto nella condizione di comprendere a quali diritti rinunciare e in quale misura.
In concreto, la presenza del sindacalista al momento della conciliazione lascia presumere un'adeguata assistenza, anche in ragione del conferimento di un mandato implicito. Il caso
Un lavoratore ha proposto ricorso al Tribunale del Lavoro, dopo aver sottoscritto in sede sindacale con il datore di lavoro una transazione, chiedendo la condanna al versamento di somme ulteriori rispetto a quelle oggetto di accordo, che, a suo dire sarebbero frutto del ricalcolo di quanto dovuto per incentivo all'esodo, nonché al risarcimento dei danni psicofisici conseguenti alle condotte vessatorie subite e alla corresponsione del ricalcolato tfr, in ragione dell'incidenza dello straordinario, non compreso nella base di calcolo del CCNL vigente.
Il Tribunale ha dichiarato l'improcedibilità della domanda relativa alle voci già oggetto di transazione e ha rigettato la richiesta inerente all'omesso ricalcolo dell'incentivo all'esodo, facendo leva sul tenore letterale della conciliazione.
La Corte di appello, adìta dal soccombente, ha rigettato l'appello, confermando in motivazione le argomentazioni già svolte dal primo giudice.
In particolare, la Corte territoriale ha escluso la nullità della conciliazione, in carenza di specifiche deduzioni in ordine a vizi specifici in tal senso, disattendendo la denunciata effettiva mancata assistenza alla sottoscrizione da parte di un rappresentante sindacale, essendo accertato che quello presente all'atto della transazione, seppur in precedenza non conosciuto dal lavoratore, era munito di delega (comportante l'implicito conferimento di un mandato).
I giudici di appello, inoltre, hanno ritenuto infondata la doglianza relativa all'omesso ricalcolo dell'incentivo all'esodo, facendo leva sull'art. 3 dell'accordo conciliativo contenente la clausola di salvezza “delle verifiche relative ad errori contabili sulle spettanze di fine rapporto e sul tfr”, che deve ritenersi riferita al solo errore materiale di computo e non già alla determinazione della composizione dell'incentivo stesso, in quanto oggetto di negoziazione.
Avverso tale pronuncia il lavoratore ha proposto ricorso in cassazione e il datore di lavoro ha resistito con controricorso. La questione
La controversia ha un oggetto delicato e sensibile, per il possibile impatto che una decisione di segno opposto a quella in commento avrebbe potuto avere sull'ampia platea di lavoratori che abbiano sottoscritto transazioni nella protetta sede sindacale.
Ad avviso del lavoratore ricorrente, infatti, la transazione dallo stesso sottoscritta e avente ad oggetto diritti riconosciuti da norma inderogabili sarebbe invalida, ai sensi dell'art. 2113 c.c., dal momento che il rappresentante sindacale presente non gli avrebbe prestato una tutela effettiva: nella sua tesi la mera presenza fisica del sindacalista non sarebbe sufficiente a scongiurare la sua condizione di inferiorità, vieppiù considerando che non vi era stata alcuna conoscenza pregressa e che, neppure in loco, egli avrebbe ricevuto alcuna informazione circa il concreto contenuto dell'accordo. Di conseguenza, quindi, la transazione sarebbe invalida e sarebbe ben possibile agire in giudizio per ottenere ulteriori somme, anche per titoli non dedotti nella medesima, malgrado il carattere novativo.
Il ricorrente, poi, ha sostenuto l'errata e falsa applicazione da parte dei giudici di merito del combinato disposto degli artt. 2113 e 1965 c.c.. Lo stesso, partendo dell'assunto secondo cui al momento della sottoscrizione dell'accordo non sarebbe stato determinato il tfr nel suo esatto ammontare, in ragione della prevista sua esatta quantificazione in un momento successivo, è giunto ad affermare l'assenza del requisito di “reciprocità” delle concessioni, proprio per la condizione di dubbio ed incertezza riguardante una di esse.
Inoltre, il lavoratore ha lamentato l'erronea applicazione dell'art. 1326 c.c., dal momento che non sarebbe stata fornita una corretta interpretazione dell'accordo transattivo, e, cioè, più nello specifico della clausola di salvezza “errori contabili”: questa dovrebbe comprendere non solo gli errori materiali di calcolo, bensì anche quelli inerenti l'indicazione delle singole poste contabili e il computo delle ore di straordinario ai fini dell'incentivo all'esodo. Le soluzioni giuridiche
La Corte di cassazione, nella pronuncia in esame, ha disatteso tutte le doglianze del lavoratore, ribadendo – con riferimento a singole censure – la loro inammissibilità, in quando involgenti valutazioni di merito, come tali incensurabili in sede di legittimità, laddove – come nel caso di specie – la pronuncia di appello contenga un congruo apprezzamento fattuale.
Innanzitutto, con riferimento agli atti abdicativi di diritti dei lavoratori subordinati, i giudici di legittimità, richiamando precedenti sentenze, hanno affermato che le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti previsti da disposizioni inderogabili di leggi o di contratti collettivi e contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale non sono impugnabili, giusta la previsione del comma 4 dell'art. 2113 c.c.
Gli stessi, però, hanno precisato che per affermarne la validità, occorre che il lavoratore abbia fruito di un'assistenza effettiva da parte dei rappresentanti sindacali: ciò in quanto tale assistenza permette di ritenere che il lavoratore stesso sia stato posto nella condizione di comprendere a quali diritti stia rinunciando ed in quale misura, così risultando azzerata la sua posizione di inferiorità, che, nell'ottica del legislatore, lo avrebbe potuto indurre a sottoscrivere accordi svantaggiosi. In concreto, secondo la Corte, la presenza del sindacalista al momento della sigla della conciliazione lascerebbe presumere un'adeguata assistenza, anche in ragione del conferimento di un mandato implicito da parte del lavoratore, in forza del quale il sindacalista ha svolto attività, in assenza di specifiche deduzioni ed offerta di prova volta a dimostrare che, malgrado la partecipazione fisica, il rappresentante non abbia prestato alcuna assistenza.
Nel caso di specie, avendo i giudici di merito argomentato congruamente in ordine agli aspetti fattuali della vicenda, ravvisando, in concreto, la sussistenza di un'effettiva e idonea assistenza al ricorrente da parte del rappresentante sindacale, la Corte ha respinto la censura.
Trattando, poi, un aspetto squisitamente processuale, la Cassazione ha avuto modo di rammentare come, nel caso di cd. assorbimento improprio per rigetto, da parte del giudicante di merito, di una domanda in base alla soluzione di una questione di carattere esaustivo che renda inutile l'esame delle altre, il soccombente non sia tenuto a formulare alcuno specifico motivo di impugnazione sulla questione assorbita (nel caso, ricomputo del tfr con inclusione delle ore di straordinario), essendo sufficiente ad evitare il formarsi del giudicato interno la censura o della decisione sulla questione assorbente (nel caso, validità dell'accordo conciliativo) o della stessa statuizione di assorbimento, contestando i presupposti applicativi e la ricaduta sulla decisione della domanda assorbita.
Quanto all'aspetto qualificativo dell'accordo siglato, e cioè alla sua qualificazione come transazione, nonché all'interpretazione della locuzione “errori contabili”, la Corte ha rilevato quanto segue.
Ribadita la non impugnabilità, per le ragioni già espresse, dei verbali di conciliazione sottoscritti in sede sindacale, gli Ermellini hanno condiviso l'accertamento dei giudici di merito circa la validità dell'accordo per cui è causa, il quale ha avuto quale oggetto anche “le competenze di fine rapporto, ivi compresi il tfr … erogati a decorrere dal mese successivo alla cessazione del rapporto di lavoro”, considerate nel momento effettivo di insorgenza, cioè all'atto di cessazione del rapporto di lavoro.
Pertanto, appaiono sussistenti tutti gli elementi essenziali del contratto, vale a dire la comune volontà delle parti di scongiurare una lite o un pericolo di lite, al contempo effettuando un nuovo regolamento di interessi che, mediante le reciproche concessioni, si sostituisce al precedente: la reciprocità delle concessioni, ha evidenziato ancora la Corte, deve essere intesa in correlazione alla pretese e contestazioni delle parti e non già ai diritti a ciascuna spettanti.
Nel caso di specie, quindi, la reciprocità risulterebbe soddisfatta, in quanto il lavoratore ha accettato il licenziamento intimato, rinunciando all'impugnazione, a fronte dell'erogazione, da parte del datore di lavoro, delle somme indicate nella transazione medesima.
Quanto all'interpretazione della locuzione “errori contabili”, è apparsa del tutto congrua la valutazione dei giudici di merito, che vi hanno ricompreso solamente gli errori materiali di calcolo e non anche quelli riguardanti la composizione delle poste contabili utili per il calcolo finale. Osservazioni
Come già evidenziato, le tematiche affrontate dalla pronuncia in commento rilevano la loro sensibilità, tenuto conto dell'elevato numero di transazioni che vengono quotidianamente sottoscritte in sede sindacale, della loro finalità deflattiva del contenzioso e, in ogni caso, delle ragioni che hanno portato il legislatore a ritenere tale sede quale luogo “protetto” per il lavoratore.
In linea astratta, non può che condividersi quanto affermato dalla Suprema Corte, e cioè che, le transazioni raggiunte in sede protetta sindacale, purchè l'assistenza del rappresentante sindacale sia stata effettiva, sono pienamente valide.
Val la pena, in proposito, rammentare che lo stesso legislatore ha ritenuto di derogare alla regola generale di invalidità delle rinunce e transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 c.p.c., nell'ipotesi di conciliazioni avvenute in sede protetta, tra cui, appunta, quella sindacale (cfr. comma 4 dell'art. 2113 c.c.).
Ciò in quanto, come evidenziato anche dalla Corte, l'assistenza del sindacalista si presume essere elemento di riequilibrio della storica condizione di inferiorità in cui si trova il lavoratore rispetto al proprio (ex) datore di lavoro.
Se è vero, quindi, in astratto e in linea strettamente giuridica che la presenza del rappresentante sindacale è sintomatica di un'assistenza effettiva, però, occorrerà un attento e preciso esame, da parte del giudice di merito e nel limite delle prospettazioni e delle prove offerte dalla parte, delle circostanze di fatto che possano vincere la presunzione di effettività dell'assistenza medesima.
In proposito, sempre nel rispetto dei rispettivi oneri probatori, quindi, occorrerà dare rilievo ad ulteriori indici sintomatici dell'effettività, quali, ad esempio, il rilascio scritto di un mandato, l'eventuale pregressa assistenza in occasione di precedenti contestazioni disciplinari, la sussistenza di contatti tra lavoratore e sindacalista (cfr., Corte di Appello di Torino, Sez. Lav., n. 198/2021).
Pertanto, la conclusione cui è giunta la Corte di Legittimità è del tutto coerente con il testo normativo, anche considerata la ratio legis che ha ispirato il legislatore, che, per l'appunto, ha ritenuto che il metus in capo al lavoratore scemi a fronte di un contesto sindacale protetto.
Si condivide, inoltre, l'ulteriore affermazione, secondo cui la reciprocità delle concessioni ben può dirsi sussistente nel caso di specie, posto che l'incertezza sul preciso ammontare del tfr (non quantificato in una somma esatta all'interno dell'accordo), che sarebbe stato versato solo in un momento successivo, non incide su tale aspetto, proprio in ragione del fatto che questo avrebbe dovuto e potuto essere quantificato solamente con riferimento al momento effettivo di sua insorgenza, vale a dire alla cessazione del rapporto.
Nel caso, la reciprocità delle concessioni è consistita proprio, da un lato, nella rinuncia ad impugnare il licenziamento intimato e, dall'altro, alla corresponsione di somme di denaro: trattandosi di transazione, infatti, le reciproche concessioni debbono essere intese non in relazione a diritti effettivamente spettanti alle parti, bensì a mere pretese delle parti, poiché, diversamente opinando, verrebbe del tutto svuotato di senso pratico l'istituto medesimo. |