Responsabilità penali dell'esperto della “composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa”?

18 Ottobre 2021

Il D.L. 118/2021 ha introdotto, nell'ambito della composizione negoziata della crisi, una nuova figura di ausilio all'imprenditore in difficoltà denominata “esperto”, del quale il decreto indica i requisiti per la nomina e i compiti che lo stesso è chiamato a svolgere, ma non fa alcuna menzione né è prevista a suo carico alcuna specifica sanzione penale nel caso di violazioni poste in essere nell'ambito del proprio operato. L'assenza di ogni indicazione normativa impone, perciò, di ricostruire i confini della responsabilità penale del cd. “esperto” in via interpretativa.
Premessa

Nell'ambito della composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa, strumento negoziale stragiudiziale introdotto con il d.l. n. 118/2021 a favore delle imprese commerciali e agricole per il superamento dello squilibrio patrimoniale e finanziario., si prevede che un ruolo significativo e di ausilio all'imprenditore in difficoltà venga svolto da un soggetto, denominato genericamente dal legislatore come “esperto” ed in ordine al quale il citato decreto legge indica i requisiti per la nomina nonché i compiti che lo stesso è chiamato a svolgere.

Delle responsabilità penali di tale soggetto, invece, il legislatore non fa alcuna menzione né è prevista a suo carico alcuna specifica sanzione penale nel caso di violazioni poste in essere nell'ambito del proprio operato. L'assenza di ogni indicazione normativa impone, perciò, di ricostruire i confini della responsabilità penale del cd. “esperto” in via interpretativa, indicando in particolare i momenti di maggiore “rischio” per quanti si troveranno a svolgere tale funzione.

L'estraneità della figura dell'esperto alla pubblica amministrazione

In tale opera di ricostruzione può porsi senz'altro un primo punto fermo ovvero l'assoluta estraneità dell'esperto alla sfera della pubblica amministrazione: tale soggetto, in sostanza, non può essere qualificato né come pubblico ufficiale né quale esercente un pubblico servizio.

Questa conclusione è, a tacer d'altro, imposta dalla circostanza che lo stesso è nominato liberamente ed a discrezione dell'imprenditore, coerentemente alla scelta del legislatore di consentire il ricorso al nuovo istituto di possibile risoluzione della crisi d'impresa senza prevedere l'intervento del Tribunale fallimentare, salvo il caso siano necessarie le misure protettive di cui all'art. 6 d.l. n. 118/2021.

Da questa conclusione derivano una pluralità di conseguenze.

Deve in primo luogo escludersi la possibilità di contestare all'esperto le diverse ipotesi di reato in tema di delitti contro la pubblica amministrazione di cui agli artt. 314 ss. c.p.. Questa osservazione rileva in particolare con riferimento alla contrattazione del compenso da riservare all'esperto: da quanto detto in precedenza deriva che si tratta di attività privata, che esula da qualsiasi presidio penalistico, non potendosi quindi rivenire un'ipotesi corruttiva quando l'imprenditore concordi con l'esperto l'adozione da parte di questi di comportamenti non corretti – salvo, come vedremo, l'individuazione di altre ipotesi di reato.

In secondo luogo, deve ritenersi che la condotta dell'esperto non sia assistita da alcuna garanzia di veridicità sicché lo stesso non può essere chiamato a rispondere dei diversi delitti di falso. Detto altrimenti, gli eventuali atti, comunicazioni, dichiarazioni formati o rilasciate dall'esperto non sono assistite dalla garanzia di veridicità tipica degli atti provenienti da pubblici funzionari: non vi sarà spazio quindi per una contestazione dei reati di falso in atto pubblico o certificazione privata – né, peraltro, sarà, per ovvie ragioni, estendibile allo stesso la previsione di cui all'art. 236 bis R.D. n. 267 del 1942, dettata con riferimento all'attestatore, ma sul punto si tornerà in seguito.

Del pari, in ragione di quanto detto non può individuarsi in capo all'esperto un obbligo di denuncia circa fatti delittuosi di cui venga a conoscenza nello svolgimento del proprio incarico, come invece previsto per i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio dagli artt. 361 e 362 c.p.

Ciò significa, quindi, che qualora l'esperto si avveda della illiceità della condotta tenuta dall'imprenditore – ad esempio, accerti che, difformemente da quanti previsto dal comma 5 dell'art. 4 d.l. n. 118/2021 non ha rappresentato “la propria situazione all'esperto, ai creditori e agli altri soggetti interessati in modo completo e trasparente e di gestire il patrimonio e l'impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori” ovvero vi sono profili di falsità nei bilanci depositati a norma dell'art. 5 –, lo stesso non ha l'obbligo di farne denuncia o darne comunicazione all'autorità giudiziaria, salve ovviamente le responsabilità civili che senz'altro possono conseguire in presenza di un tale atteggiamento inerte.

Infine, quando l'esperto, dopo aver regolarmente accettato la nomina, non adempia ai compiti ed alle funzioni che gli competono, non deve rispondere del reato di omissione di atti d'ufficio di cui all'art. 328 c.p., che presuppone l'appartenenza dell'autore del fatto alla pubblica amministrazione, profilo mancante, come detto, nel caso di specie. Anche in tale circostanza sono fatte salve le responsabilità civili.

La responsabilità dell'esperto in mancato possesso dei requisiti per la nomina

Riconosciuta la natura privatistica della figura in esame, deve ritenersi che gli illeciti penali che possono essere mossi a quanti ricoprano tale ruolo siano essenzialmente le sole fattispecie di carattere fallimentare ed in particolare il delitto di bancarotta fraudolenta nelle sue molteplici ipotesi previste dal R.D. n. 267 del 1942.

Tuttavia, prima di esaminare questo aspetto è il caso di soffermarci su un ulteriore possibile profilo di responsabilità del soggetto in parola, che può porsi quando lo stesso non presenti le caratteristiche richieste dal legislatore per lo svolgimento di tale ruolo.

Va in proposito ricordato che l'art. 3 d.l. n. 118/2021 subordina la possibilità di rivestire il ruolo in parola – o meglio prima ancora, richiede per l'indispensabile iscrizione del singolo all'apposito elenco sito presso ogni camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di ciascun capoluogo di regione e delle province autonome di Trento e Bolzano, da cui poi la Commissione prevista dal successivo comma 5 del medesimo articolo sceglie il soggetto che svolgerà il ruolo di esperto nella singola procedura – al possesso da parte di quanti richiedono di svolgere una tale funzione di una serie di requisiti, la mancanza dei quali preclude l'accettazione dell'istanza e prima ancora il rigetto della domanda di iscrizione.

Vi è da chiedersi quali siano le conseguenze penali della condotta di un soggetto che accetti di svolgere il ruolo di esperto in assenza dei diversi requisiti richiesti dal citato art. 3.

Una questione analoga si è posta con riferimento al cd. attestatore di cui agli artt. 67, comma 3, lett. d), 161, comma 3, 182 bis, 182 quinquies e 186 bis l.fall., che, in sede di conferimento dell'incarico, veicoli informazioni false in merito alla propria indipendenza e qualificazione professionale e rispetto alla materia oggetto della propria attività di asseverazione.

In effetti, in entrambi i casi dell'attestatore e dell'esperto è innegabile l'importanza che, nel contesto di un'attività largamente basata sulla fiducia che il ceto creditorio (ed il giudice per quanto riguarda l'attestatore) ripongono nel giudizio del professionista, vengono ad assumere le connotazioni soggettive dello stesso, ancor prima dell'effettiva affidabilità oggettiva delle sue valutazioni e considerazioni; tuttavia, mentre con riferimento all'attestatore il legislatore è rimasto silente sul punto ed alcuni autori hanno sostenuto che tale condotta di falso in ordine alle proprie qualifiche può essere punita ai sensi del citato art. 236-bis l.fall. essendo “integrato il delitto non appena il soggetto attivo abbia inquinato il bagaglio informativo a disposizione del ceto creditorio e del giudice e non pare revocabile in dubbio che, all'interno delle informazioni oggettivamente rilevanti, debbano annoverarsi anche la qualificazione professionale dell'attestatore e la sua indipendenza rispetto alla vicenda sulla quale è chiamato ad esprimere le proprie valutazioni tecniche”, nel caso in esame nessuna incertezza circonda la rilevanza penale della vicenda, giacché il d.l. n. 118/2021 ha espressamente disciplinato l'ipotesi in questione.

Al termine del comma 5 dell'art. 3 del decreto legge citato, infatti, si afferma chiaramente che le dichiarazioni del singolo che intende svolgere la funzione di esperto sono rese ai sensi degli artt. 46 e 47 d.P.R. 445/2000 e la loro veridicità è accertata ai sensi dell'art. 71 d.P.R. 445/2000.

Ciò significa, dunque, che la loro eventuale falsità è presidiata dalla previsione di cui all'art. 76 del medesimo d.P.R. n. 445, secondo cui “chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia.

La sanzione ordinariamente prevista dal codice penale è aumentata da un terzo alla metà”; in particolare è da ritenere che troverà applicazione il disposto di cui all'art. 495 c.p. che punisce la falsa attestazione o dichiarazione del privato a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri.

La responsabilità dell'esperto per i reati fallimentari

A prescindere da tali riflessioni, tuttavia, pare palese che le principali responsabilità penali per l'esperto siano inerenti alla procedura fallimentare ed ai connessi delitti di bancarotta.

Esaminando tale profilo va in primo luogo ricordato come l'esperto possa rispondere di tali delitti solo a titolo di concorso attivo con l'imprenditore e non in relazione ad un suo omesso intervento a fronte di comportamenti delittuosi assunti da terzi e di cui egli venga a conoscenza nello svolgimento del suo incarico.

Detto altrimenti, il ruolo dell'esperto non è assimilabile alla posizione di quanti collaborino con l'imprenditore nella gestione dell'impresa assumendo un ruolo di controllo rispetto alla regolarità della gestione, come può dirsi per i sindaci o i revisori contabili: sull'esperto, dunque, non grava una posizione di garanzia a vantaggio di terzi ex art. 40 c.p. e quindi egli non ha alcun obbligo di intervenire per porre termini, impedire o denunciare condotte criminali dell'imprenditore. La sua inerzia in tali circostanze lo esporrà senz'altro a conseguenze di carattere civile, ma va esclusa ogni conseguenza penale e ciò in quanto nel testo normativo manca la (necessaria) espressa attribuzione a questo soggetto di una tale posizione di garanzia.

Ovviamente, diversa sarà la conclusione da assumere quando l'esperto “collabori” fattivamente con l'imprenditore nell'adozione di comportamenti qualificabili come fattispecie di bancarotta, non limitandosi ad assistere, senza intervenire, a tali vicende ma – ad esempio – suggerisca modalità per la distrazione o per occultare il profitto, ecc. ovvero garantisca, ma in via preventiva, il suo silenzio e la sua inerzia rispetto a tali comportamenti criminali che l'esperto si impegna a non riferire ai creditori.

Tuttavia, l'ipotesi di possibile responsabilità penale dell'esperto da considerare con maggiore attenzione, anche perché presumibilmente si tratta di una circostanza che avrà modo di verificarsi con frequenza, è rappresentata dal caso in cui l'esperto avalli con il proprio parere l'attendibilità delle proposte avanzate dall'imprenditore ai creditori, consapevole della loro falsità ed implausibilità: in questo caso, quando dopo la dichiarazione di insolvenza emerga la fraudolenza della condotta dell'amministratore societario che ha fatto ricorso alla composizione negoziata solo per rinviare nel tempo la sentenza di fallimento, l'esperto potrà rispondere (oltre che di fatti di distrazione eventualmente agevolati dalla sua condotta, che ha consentito all'imprenditore di non essere spossessato dell'azienda e dei suoi beni, anche) della figura di bancarotta fraudolenta da aggravamento del dissesto in relazione all'aumento del passivo che si è determinato in conseguenza di un continuato ricorso (anche grazie all'opera di convincimento dell'esperto) a trattative negoziali senza sbocco ed a cui, per l'appunto, l'imprenditore ha fatto ricorso solo per ritardare la dichiarazione di fallimento.

Deve in sostanza ritenersi che eventuali condotte fraudolente dell'esperto – si pensi alla consapevole violazione delle prescrizioni di cui al comma 5 dell'art. 6 d.l. n. 118/2021, ad esempio mentendo circa le prospettive di risanamento dell'impresa o omettendo di riferire che l'imprenditore non ha rappresentato la propria situazione in modo completo e trasparente o non ha gestito il patrimonio e l'impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori – rappresenteranno una forma di concorso nella fattispecie di bancarotta da dissesto di cui all'art. 223, comma 2, n. 2, l.fall., delitto che tipicamente si registra in caso di fallimento dichiarato a seguito di revoca di un concordato preventivo supportato da una falsa rappresentazione della situazione dell'azienda e delle sue potenzialità di ripresa.

Detto altrimenti, considerate le diverse modalità di realizzazione del reato di bancarotta da dissesto è agevole avvedersi di come nella gran parte dei casi la scelta dell'esperto di svolgere in maniera non corretta e menzognera il proprio ruolo, lungi dal porsi come episodio isolato ed autonomo all'interno di una procedura concorsuale regolarmente instaurata, si inscriverà all'interno del disegno criminoso dell'imprenditore che cerca di ritardare quanto possibile la dichiarazione di insolvenza della sua impresa pur in assenza dei requisiti di ripresa.

Questa conclusione è palese in caso di comprovato accordo fra debitore e esperto perché questi dichiari l'esistenza di prospettive di ripresa dell'azienda, ma non ci pare che la conclusione cambi nel caso in cui l'esperto svolga il proprio compito in maniera intenzionalmente sciatta e disattenta, non verificando le asserzioni dell'imprenditore, tacendo della circostanza di non aver proceduto ad autonoma valutazione degli elementi fornitigli dall'imprenditore, ecc..

In queste ipotesi l'elemento soggettivo rinvenibile in capo al professionista è qualificabile in termini di dolo eventuale: orbene, nulla impedisce di riferire l'accettazione del rischio in cui si concretizza questo particolare atteggiamento della volontà all'evento di aggravamento del dissesto che conseguirà in caso di dichiarazione di fallimento dell'impresa per insostenibilità dello sforzo di ripresa aziendale – evento relativamente al quale l'esperto manifesterebbe assoluta indifferenza quando, ad esempio, portasse a termine frettolosamente il suo incarico per ottenere quanto prima il compenso o fosse ingiustificatamente benevolente nei confronti delle dichiarazioni del debitore per non entrare in contrasto con colui che dovrà corrispondere il compenso pattuito.

Guida all'approfondimento

Nel senso che l'eventuale falsità ideologica nell'attestazione «informativa» (i.e., quella che il professionista fa all'atto di accettazione dell'incarico) circa il requisito dell'indipendenza, «riguardando la sussistenza di un presupposto normativo comune a tutte le attestazioni e le relazioni richiamate nell'art. 236 bis l. fall.» può a tutti gli effetti «rientrare nel perimetro sanzionatorio penale delineato dalla norma citata» ovvero l'art. 236 bis R.D. n. 267 del 1942, si veda: Tetto, La (ritrovata) indipendenza del professionista attestatore nelle soluzioni concordate della crisi d'impresa, in Fall., 2013, 678. Nello stesso senso, D'Alessandro, Il delitto di falso in attestazioni e relazioni (art. 236 bis l. fall.), tra incerte formulazioni legislative e difficili soluzioni esegetiche, in Crisi dell'impresa, procedure concorsuali e diritto penale dell'insolvenza. Aspetti problematici, a cura di Borsari, Padova, 2015, 545; Perdonò, Reati commessi da persone diverse dal fallito, in Manna (a cura di), Corso di diritto penale dell'impresa, Padova, 2018, 647.

Sulla questione, approfondita al paragrafo 3, relativa all'ipotesi in cui il professionista attestatore, in sede di conferimento dell'incarico, veicoli informazioni false in merito alla propria indipendenza e qualificazione professionale e rispetto alla materia oggetto della propria attività di asseverazione, cfr. D'Alessandro, Il delitto di falso in attestazioni e relazioni, cit., 547 (da cui è tratta la citazione del testo che segue), secondo cui “l'individuazione, quale bene giuridico oggetto di tutela, del corretto andamento della procedura di composizione negoziale della crisi – garantito essenzialmente dalla predisposizione di un bagaglio informativo completo e veridico, da parte di un professionista qualificato e autenticamente terzo – consente infatti di ravvisare, anche in tale ipotesi, un grado di offensività sufficiente a sorreggere in maniera adeguata la previsione della sanzione penale”. Contra, invece, Ponteprino, Falso in attestazioni e relazioni: i labili confini della responsabilità penale del professionista attestatore, in Penalecontemporaneo.it; Piva, Vecchie soluzioni per nuovi problemi nella falsa attestazione del professionista, in Crisi dell'impresa, procedure concorsuali, cit., 565, secondo cui la falsità deve investire solo dati provenienti dall'impresa e riguardanti la sua situazione patrimoniale, economica o finanziaria, potendo la falsità circa le proprie condizioni personali integrare il reato di truffa, ove ne sia seguito un danno ai creditori.

Con riferimento alla posizione dell'attestatore, cfr. Mucciarelli, L'informazione penalmente presidiata nella rinnovata disciplina della crisi e dell'insolvenza dell'impresa, in Dir. Pen. Proc., 2020, 539; Piva, Vecchie soluzioni, cit., 565.

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