Comodato: niente rilascio dell'immobile alla scadenza, se il contratto nasconde un intento elusivo

Eleonora Mattioli
15 Ottobre 2021

Accolte in Cassazione le ragioni di una donna, condannata in secondo grado al rilascio di un immobile – assegnatole quale casa familiare a seguito del giudizio di separazione e poi divorzio – per avvenuta scadenza del contratto di comodato con cui il medesimo immobile era stato trasferito dall'ex suocero all'ex marito.

La vicenda. Così si è pronunciata la Corte di Cassazione con ordinanza n. 26541/21 depositata il 30 settembre, nell'ambito del giudizio instaurato dalla ex coniuge nei confronti del marito, per essere stata condannata alla restituzione dell'immobile adibito a casa familiare, alla scadenza del contratto di comodato con cui l'abitazione era stata concessa al marito dal padre di lui.

Fattori sintomatici dell'intento elusivo. Avverso la pronuncia di secondo grado, fa ricorso la donna, prospettando una serie di fatti che la Corte di Cassazione giudica idonei a condurre a diversa ricostruzione della fattispecie. La stessa fa presente, in particolare, che all'epoca dell'”apertura” della crisi coniugale, il marito intraprendeva una serie di atti dispositivi dell'immobile all'insaputa della moglie (trasferimento della proprietà al padre e successivo contratto di comodato dal padre al figlio) in vista del deposito del ricorso per la separazione giudiziale avvenuta due mesi dopo. Altro fattore determinante, è l'assenza di contestazioni da parte dell'ex suocero comodante, sia nel corso del procedimento di separazione che di divorzio (ove la donna aveva abitato indisturbata l'immobile insieme ai sui figli), per poi presentare domanda di rilascio solo due anni dopo la presunta scadenza del contratto di comodato. Si evidenzia infine l'assenza di grave, imprevedibile e urgente bisogno, da parte del comodante, di vendere l'immobile libero dal vincolo del comodato.

La cronologia di tali atti e la parentela tra le parti interessate rende del tutto evidente, secondo la Corte Suprema, il collegamento che sussiste tra l'alienazione in permuta dell'immobile dal figlio al padre e la successiva stipula del comodato sul medesimo immobile, a parti invertite. La pratica utilità di tale complessiva operazione negoziale, chiarisce la Corte, non può altrimenti percepirsi se non in funzione elusiva del rischio che la crisi coniugale, poi manifestatasi con separazione e divorzio, potesse far perdere la disponibilità dell'abitazione al marito, originario proprietario. Da qui, la previsione di un termine di conclusione del contratto di comodato e l'esercizio, da parte del comodante, del conseguente diritto al rilascio (tra l'altro, dopo due anni dalla scadenza), ben potrebbero leggersi come strumentali al suindicato obiettivo.

Abuso del diritto. Si appalesa nel caso di specie, concludono i Giudici Supremi, un abuso del diritto da parte dell'ex marito; figura che ricorre ogni qual volta vi è una utilizzazione alterata di uno schema formale di diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi da quelli indicati dal legislatore. In tal caso l'ordinamento pone come regola generale, quella di rifiutare tutela ai poteri, diritti ed interessi esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. Il che si traduce, nell'ipotesi de quo, nel diniego di copertura giuridica all'obiettivo perseguito da comodante e comodatario.

Per tutto ciò, la Cassazione accoglie il ricorso della donna e cassa la sentenza impugnata.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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