La revisione del catasto degli immobili

Saverio Capolupo
19 Ottobre 2021

Lo schema di delega per la riforma del catasto, inserito nel più ampio disegno della riforma fiscale, complessivamente valutato risulta eccessivamente generico in quanto privo di principi e criteri direttivi specifici per cui l'attuale formulazione non risulta in linea con i vincoli posti dall'art. 77 della Costituzione. Si rende, pertanto, necessario un miglioramento del testo nel corso dei lavori parlamentari. Se gli obiettivi dichiarati sono certamente condivisibili, essendo incontestabile la necessità di eliminare le attuali discriminazioni a vantaggio di alcuni proprietari nonché le gravi forme di esazione, dall'altro occorre anche porre rimedio alle incongruenze e criticità evidenziate dalla dottrina e dalla giurisprudenza per le quali mancano precise indicazioni.
Premessa

Lo schema di delega per la riforma del catasto, inserito nel più ampio disegno della riforma fiscale, complessivamente valutato risulta eccessivamente generico in quanto privo di principi e criteri direttivi specifici per cui l'attuale formulazione non risulta in linea con i vincoli posti dall'art. 77 della Costituzione. Si rende, pertanto, necessario un miglioramento del testo nel corso dei lavori parlamentari.

Se gli obiettivi dichiarati sono certamente condivisibili, essendo incontestabile la necessità di eliminare le attuali discriminazioni a vantaggio di alcuni proprietari nonché le gravi forme di esazione, dall'altro occorre anche porre rimedio alle incongruenze e criticità evidenziate dalla dottrina e dalla giurisprudenza per le quali mancano precise indicazioni.

Gli obiettivi

La bozza di delega per la c.d. riforma fiscale prima ancora di essere pubblicata ha sollevato reazioni le più disparate, alcune di ordine squisitamente tecnico, altre di carattere politico. Prescindendo da queste ultime, è indubbio che la struttura del documento, per la sua genericità, origina non pochi problemi di cui alcuni di carattere strettamente giuridico, altri di ordine tecnico.

Gli obiettivi fondamentali della delega al Governo per la revisione del sistema fiscale sono:

  • la crescita dell'economia, attraverso l'aumento dell'efficienza della struttura delle imposte e la riduzione del carico fiscale sui redditi derivanti dall'impiego dei fattori di produzione;
  • la razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario, preservandone la progressività, da attuarsi anche attraverso, la riduzione degli adempimenti a carico dei contribuenti e l'eliminazione dei c.d. “micro-tributi” con gettito trascurabile per l'Erario;
  • la riduzione dell'evasione ed elusione fiscale.

Alcune considerazioni

È appena il caso di premettere che lo schema di delega recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri non è certamente il primo tentativo di adeguare il valore del patrimonio immobiliare ai valori di mercato sebbene sia auspicabile che, confidando un perfezionamento del testo nel corso dell'iter legislativo, si arrivi effettivamente ad una vera riforma che miri quantomeno a conseguire un duplice obiettivo: oggettiva equità fiscale, emersione dei milioni di fabbricati tutt'ora sottratti al fisco, ai fini sia delle imposte sul reddito sia della fiscalità locale (ed, in particolare, dell'IMU).

In via degenerale va premesso che una delega deve rispondere ai principi dettati dall'art. 77 della Costituzione. Invero, se secondo l'insegnamento della Corte Costituzionale, nel caso di delega per il riordino normativo, al legislatore delegato spetta un limitato margine di discrezionalità per l'introduzione di soluzioni innovative, le quali devono attenersi strettamente ai principi e ai criteri direttivi enunciati dal legislatore delegante, è necessario, nella medesima (opposta logica) che il legislatore delegante indichi chiari principi e criteri direttivi.

Indubbiamente, il testo pubblicato non può essere considerato ancora definitivo; è altrettanto innegabile, però, che non può neanche essere considerato una mera ipotesi. Di qui la necessità di apportare sostanziali modifiche, pena una palese violazione dell'art. 77 citato.

La riforma del catasto non riverbera effetti esclusivamente sul piano strettamente giuridico tenuto conto sia del numero di immobili posseduti da cittadini sia dell'oggettivo incontestabile scollamento esistente tra valore venale (commerciale) e valore determinabile ai fini fiscali, anche dopo la rivalutazione.

L'obiettivo, quindi, resta quello di avvicinare il valore reale dell'immobile a quello fiscalmente rilevante. Ove si conseguisse effettivamente tale obiettivo, potrebbe essere anche eliminata l'attuale divergenza tra valore tassabile e valore commerciale.

A ben vedere la vigente disciplina, se da un lato, ha tentato di evitare ingiusti vantaggi fiscali, soprattutto a favore dei possessori degli immobili di pregio, dall'altro ha legittimato il risparmio d'imposta determinando una palese discriminazione a favore dei posteri degli immobili di vecchia costruzione a danni dei possessori dei beni accatastati in epoca più recente. Più si avvicina la data di accatastamento ai nostri giorni maggiore diventa la discriminazione. Paradossalmente, a seguito della caduta del valore degli immobili, per quelli di recente costruzione, potrebbe addirittura verificarsi che il valore venale sia inferiore a quello fiscale.

La delega

L'art. 7 dello schema di decreto enuncia il fine di “modernizzare gli strumenti di individuazione e di controllo delle consistenze dei terreni e dei fabbricati”. In verità gli strumenti attuali già consentono l'auspicato rilevamento, basterebbe ricorre a Map Google e comunque ai rilevamenti arei che vengono già effettuati periodicamente.

Scorrendo i criteri direttivi, in verità, emergono due obiettivi precisi: censire tutti gli immobili (terreni e fabbricati) ed individuare la relativa consistenza e destinazione.

D'altra parte, è pacifico che una equa tassazione dei beni non possa prescindere da due fattori; conoscenza dell'immobile e relativa consistenza in termini di superficie e l'impiego fatto dai prioritari. Ovviamente tale monitoraggio, di per sé, non importa automaticamente un aggravio d'imposta a meno che non si lasci (ma sarebbe poco credibile) l'attuale sistema di tassazione in termini di criteri di determinazione della base imponibile e relativa imposta.

La tassazione del patrimonio immobiliare, infatti, deve essere ripensata totalmente, fermo restando che resta soltanto una scelta politica esonerare o meno dalla tassazione diretta e dalla fiscalità locale la c.d. “prima casa”.

Giustamente la bozza di decreto si prefigge di porre a disposizione della competente autorità gli elementi necessari per la gestione del patrimonio immobiliare. A tal fine viene chiarito che la modifica della disciplina dovrà essere attuata secondo il paradigma dell'interoperabilità dei rispettivi sistemi informativi, per facilitare e accelerare l'individuazione, anche attraverso metodologie innovative:

  • degli immobili non censiti o che non rispettano la effettiva, reale consistenza o la relativa destinazione d'uso o la categoria catastale attribuita;
  • dei terreni edificabili accatastati come agricoli;
  • degli immobili abusivi, prevedendo l'individuazione di specifici incentivi e forme di trasparenza e valorizzazione dell'attività di accertamento svolta dai comuni in quest'ambito.

Relativamente soprattutto ai terreni accatastati come agricoli va ricordato, però, che se è vero che la loro edificabilità passa necessariamente per il procedimento istruttorio gestito dai comuni e finalizzato al rilascio del titolo abilitativo, è altrettanto innegabile che gli enti locali, soprattutto per quelli di modesto dimensione (e sono tantissimi) già ora ben possono rilevare d'ufficio la differente categoria attribuita, anche a non voler considerare la loro partecipazione all'accertamento infine IRPEF ex art. 44 del d.P.R. n. 600/1973.

In sostanza, la differente destinazione dei terreni passa necessariamente per lo strumento urbanistico approvato dal Consiglio comunale. Certo, una volta “rettificata” la categoria catastale l'ente territoriale sarà “costretto”, soprattutto in termini di fiscalità locale, a calibrare il prelievo sulla rendita effettiva dell'immobile.

Non mancano, ed è auspicabile che vengano superate, anche incongruenze di segno contrario per le quali nella delega non si rinvengono riferimenti. La considerazione rileva sotto un duplice aspetto.

Da un lato, invero, alcuni terreni accatastati come edificabili e tassati come tali, in realtà non potranno mai essere edificati in quanto inferiori al lotto minimo previsto dallo strumento urbanistico.

Dall'altro, con l'ingiusto avallo anche della giurisprudenza della Corte di cassazione, attualmente il prelievo avviene non appena il Consiglio Comunale adottato lo strumento urbanistico senza attendere la conclusione del procedimento di approvazione definitiva sicché ben potrebbe verificarsi che un terreno venga tassato come edificabile, per effetto della mancata approvazione definitiva, ma perda “lungo la strada” il carattere di terreno edificabile per tornare ad essere agricolo.

Quelli appena richiamati sono soltanto alcuni esempi che evidenziano la necessità che la riforma porti effettivamente al conseguimento degli obiettivi innanzi richiamati.

I criteri direttivi

Un cenno, merita il riferimento agli specifici incentivi che dovrebbero accompagnare l'attività di accertamento. Francamente, se è stato correttamente inteso il riferimento, questi dovrebbero riguardare l'attività dei comuni. Il punto centrale della tassazione degli enti locali è proprio questo: assenza di un'adeguata struttura di accertamento, delega a soggetti terzi, mancata aderenza tra situazione reale e accertamento.

È davvero difficile, poi, comprendere la necessità di rendere trasparente l'attività di accertamento dei comuni. L'attività della pubblica amministrazione, per definizione di rango costituzionale, deve essere improntata a principi di efficienza, efficacia, economicità e, quindi trasparenza. Sembra quasi che possano esserci forma di accertamento che non si snodino, attraverso la sacrosanta attuazione del principio del contraddittorio, nel rispetto dei previsti passaggi endoprocedimentali.

Diverso, invece, ed è certamente condivisibile, il richiamo alla valorizzazione delle attività di accertamento dei comuni. Una serie lotta all'evasione deve passare necessariamente attraverso una efficiente ed efficace attività di accertamento e di leale collaborazione con gli Organi dell'Amministrazione Finanziaria. La conoscenza del territorio è un patrimonio degli enti locali che sfugge certamente all'Agenzia delle Entrate.

Per quanto concerne, poi, lo scambio di informazioni tra Comuni ed Agenzia delle Entrate gli strumenti ed i moduli organizzativi che il legislatore delegato dovrebbe prevedere più che “facilitare” la condivisione dei dati e dei documenti in via telematica, dovrebbero renderla obbligatoria.

Non sono più accettabili le gelosie delle banche dati, che sono diverse migliaia, ma talvolta mute. I comuni e gli Uffici dell'Amministrazione comunale, ivi compresa la Guardia di finanza, devono essere posti nelle condizioni di acquisire tutte le informazioni necessarie per poter compiutamente ricostruire la effettiva capacità contributiva, fermo restando, ovviamente, la previsione di adeguate misure di monitoraggio e controllo in ordine all'accesso ai dati e conseguente uso, nella doverosa salvaguardia della privacy.

Per quanto concerne l'integrazione delle informazioni presenti nel catasto dei fabbricati, in tutto il territorio nazionale, da rendere disponibile a decorrere dal 1° gennaio 2026, può essere sufficiente evidenziare che resta tutta da chiarire e declinare il primo criterio direttivo secondo il quale va attribuito a ciascuna unità immobiliare anche il relativo valore patrimoniale nonché una rendita attualizzata in base, ove possibile, valori normali espressi dal mercato. Trattasi di un criterio direttivo che merita di essere ulteriormente chiarito anche per comprendere i principi da seguire per la determinazione del valore di mercato e del valore patrimoniale che, nei termini in cui è stata ipotizzata, non è affatto comprensibile.

D'altra parte, correttamente la revisione delle unità immobiliare dovrà essere effettuata anche mediante successivi aggiornamenti in funzione all'andamento del mercato senza mai superare l'effettivo valore. Non è chiaro, però, quale metodologia dovrà essere utilizzata per conseguire tale obiettivo, la relativa scadenza e la connessa decorrenza.

Certamente condivisibile, ancorché ancora una volta molto generica, la previsione di riconoscere adeguate riduzioni del valore patrimoniale medio ordinario per le unità immobiliari riconosciute di particolare interesse storico e artistico, in considerazione dei particolari e più gravosi oneri di manutenzione e conservazione nonché dei complessi vincoli legislativi alla destinazione, all'utilizzo, alla circolazione giuridica e al restauro.

Infine, dovrà essere chiarito che le informazioni acquisite non possono essere utilizzate per la determinazione della base imponibile dei tributi la cui applicazione si fonda sulle risultanze catastali.