Risarcibilità del danno parentale ed applicazione “transitoria” della Tabella di Milano alla luce di Cass. 10579/2021
22 Ottobre 2021
Il caso
Il Tribunale di Ravenna veniva adìto dagli eredi e da altri congiunti di un centauro - deceduto dopo essere entrato in collisione con un'autovettura in fase di attraversamento di un incrocio - per ottenere il ristoro dei pregiudizi subìti a causa del decesso di quest'ultimo. Dopo aver delibato in merito all'an debeatur con riguardo alle modalità di accadimento del sinistro (concludendo per la corresponsabilità, in quote diverse, di entrambi i conducenti coinvolti), il Tribunale di Ravenna ha speso un'ampia disamina in relazione alla quantificazionedel danno parentale ed ai criteri liquidatori utilizzabili alla luce del portato innovativo di cui a Cass. 10579/2021, sentenza che ha parzialmente rinnegato la portata para-normativa della Tabella Milanese (validata invece dalla stessa S.C., circa 10 anni orsono, con l'imprimatur fornito dalla nota “sentenza Amatucci”, Cass. n. 12408/2011) in riferimento al danno da morte del congiunto in quanto non basata sulla modularità del sistema a punto variabile. L'antefatto: Cass. 10579/2021
Il 21 aprile 2021 gli operatori del panorama risarcitorio hanno assistito alla parziale “scomunica” delle Tabelle milanesi ad opera della S.C. per ciò che concerne la criteriologia sottesa alla quantificazione del danno da morte del congiunto.
Cass. 21 aprile 2021, n. 10579 ha infatti rilevato che, nell'esplicazione del potere equitativo del giudice, l'unico criterio di quantificazione in grado di assicurare la prevedibilità nell'esercizio della discrezionalità rimessa al magistrato di merito è quello basato sul sistema del punto variabile, il quale consente di pervenire ad una “conversione della clausola generale in una pluralità di ipotesi tipizzate risultanti dalla standardizzazione della concretizzazione giudiziale della clausola di valutazione equitativa del danno”, con ciò definendo “un complesso di caselle entro le quali sussumere il caso, analogamente a quanto avviene con la tecnica della fattispecie, in funzione dell'uniforme risoluzione delle controversie".
Con la sentenza n. 10579/2021 la S.C. ha affermato il principio di diritto secondo cui “al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei corrispettivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella”.
I due principali limiti riferiti al sistema tabellare milanese, dunque, risultano essere:
Tali statuizioni, come già osservato da altri autori (v. Giuseppe Chiaritti, La liquidazione del danno parentale secondo Cass. 10579/2021: più che un endorsement per Roma, un invito a Milano), più che legittimare la Tabella romana (la quale prevede già un'elaborazione modulare secondo il sistema a punto variabile ma, come è noto, non estratto dai precedenti giurisprudenziali), sembrerebbe un monito rivolto all'Osservatorio di Milano ad operare l'estrazione, dalla forbice di valori già individuata tramite la media delle liquidazioni giudiziali su cui si basa la rispettiva Tabella, di un “valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti…nonché l'indicazione dei relativi punteggi”. Una “deflagranza” già preannunciata
La S.C., in realtà, aveva già esplicitato, in alcuni suoi precedenti, che nella liquidazione equitativa del danno parentale le Tabelle predisposte dal Tribunale di Milano non potessero più ritenersi espressione di concretizzazione paritaria dell'equità su tutto il territorio nazionale, con la conseguente necessità di adottare, per il danno parentale, un sistema modulare coerente con quello previsto per il danno da lesione dell'integrità psicofisica, basato sul sistema a punto variabile in luogo di quello “a forbice”.
Si segnala in particolare, a titolo esemplificativo: 1. Cass. 14/11/2019, n. 29495 (poi richiamata da Cass. 9/6/2020, n. 10924, Cass. 9/6/2020, n. 10925, Cass. 26/6/2020, n.12913, Cass. 1/7/2020, n.13269, Cass. 25/8/2020, n.17709, Cass. 7/12/2020, n.27953), secondo cui bisogna parzialmente prendere le distanze dall'imprimatur della sentenza Amatucci (Cass. n. 12408/2011) in quanto:
2. Cass. 1/7/2020, n.13269, già menzionata sopra, secondo cui:
3. Cass. 18/3/2021, n. 7770, secondo cui “nella liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale diversamente da quanto statuito per il pregiudizio arrecato all'integrità psico-fisica - le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano non costituiscono concretizzazione paritaria dell'equità su tutto il territorio nazionale; tuttavia, qualora il giudice scelga di applicare i predetti parametri tabellari, la personalizzazione del risarcimento non può discostarsi dalla misura minima ivi prevista senza dar conto nella motivazione di una specifica situazione, diversa da quelle già considerate come fattori determinanti la divergenza tra il minimo e il massimo, che giustifichi la decurtazione (Cass. 14 novembre 2019, n. 29495)”.
A seguito della prima pronuncia su citata (Cass. 29495/2019 la quale, salvo errori, dovrebbe essere la prima in tal senso), il C.E.D. della Suprema Corte di Cassazione divulgava il seguente approdo nomofilattico: “Nella liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale - diversamente da quanto statuito per il pregiudizio arrecato all'integrità psico-fisica - le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano non costituiscono concretizzazione paritaria dell'equità su tutto il territorio nazionale; tuttavia, qualora il giudice scelga di applicare i predetti parametri tabellari, la personalizzazione del risarcimento non può discostarsi dalla misura minima ivi prevista senza dar conto nella motivazione di una specifica situazione, diversa da quelle già considerate come fattori determinanti la divergenza tra il minimo e il massimo, che giustifichi la decurtazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito che, pur avendo identificato nelle tabelle milanesi il parametro equitativo, aveva inspiegabilmente quantificato il risarcimento, spettante al figlio per la perdita della madre, in una misura corrispondente a circa un terzo dell'importo minimo delle tabelle stesse).” (cfr. Cass. 29495/2019). La problematica operativa
La Cassazione ha dunque apertamente reclamato un metodo liquidatorio basato sulla più “schematica” valorizzazione delle circostanze di fatto che incidono sulla gravità del danno parentale, al fine di fornire una maggior prevedibilità ed uniformità delle decisioni in ambito nazionale. Secondo la metodica modulare del sistema a punto variabile si dovrebbe poter associare, a ciascuna circostanza incidente sulla gravità del pregiudizio, un coefficiente preordinato ad essa e non, invece, l'individuazione di ampi intervalli di valore all'interno dei quali il giudice può di volta in volta spaziare.
La S.C., tuttavia, pur consapevole delle implicazioni che tale parziale dietrofront avrebbe avuto nell'immediato, non ha fornito alcuna indicazione di sorta sul regime transitorio da adottare nelle more dell'affinamento richiesto all'Osservatorio di Milano. Il dilemma conseguente a tali recenti orientamenti, dunque, riguarda i criteri da adottare nelle liquidazioni del danno parentale, in attesa del pur richiesto affinamento della Tabella milanese.
Come già osservato da altri autori (v. Lilia Papoff, La tabella di liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale e il valore dell'uniformità del giudizio nella sentenza Cass. n. 10579/2021), a livello operativo, non parrebbe utilizzabile la Tabella romana in quanto, oltre a non essere espressamente indicata dalla S.C. quale modello alternativo alla pur criticata Tabella milanese, essa comunque non soddisfa tutti i requisiti richiesti dalla S.C. nella sentenza 10579/2021, poiché nella Tabella capitolina:
Sembrerebbe necessario, nell'immediato e all'indomani del parziale revirement della Cassazione - e pur originando dal presupposto che il lavoro di elaborazione di una Tabella (pretoria o legislativa che sia) è sempre convenzionalmente preordinato a scopi di uniformità e prevedibilità delle decisioni a garanzia del principio di eguaglianza - un maggior sforzo motivazionale da parte del giudice di merito, il quale dovrà associare un valore (rientrante nel range previsto dalla Tabella milanese) alla precipua individuazione di tutti i criteri utilizzati per la liquidazione (valorizzando gli elementi e le “circostanze di fatto rilevanti” richiesti dalla S.C.), salva la sussistenza di circostanze peculiari di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto sulla base dell'id quod plerumque accidit (ipotesi che, come confermato dalla stessa S.C., consente certamente al giudice di elevare la liquidazione al di sopra del tetto massimo tabellare). La risposta del Tribunale di Milano
Una prima risposta operativa in tal senso è stata fornita proprio dal "padre" delle Tabelle di Milano, il Dott. Damiano Spera, con la recente sentenza Trib. Milano n. 5947/2021 ove si sottolinea l'importanza della motivazione in assenza di attuali soluzioni tabellari “a punto variabile” che abbiano una vocazione nazionale.
Con tale decisione il Dott. Spera, il quale presiede da anni l'Osservatorio di Milano, pur prendendo atto che la Tabella milanese vada integrata con una metodologia modulare, ha affermato che in questa delicata fase transitoria si possa applicare la tabella milanese, sia pure con qualche correttivo, in quanto le argomentazioni della Cassazione possono essere superate attraverso un regime applicativo basato sui parametri già contenuti all'interno della Tabella milanese, che, all'interno della sua forbice, tiene già conto di un determinato valore complessivo presupponente una serie di considerazioni e plurimi elementi di fatto (purchè allegati e provati, non già assegnati “in automatico”) che si risolvono in una sintesi finale, ossia una media di tutti tali i fattori, i quali pertanto contribuiscono a costruire il valore liquidatorio (tale approccio è stato definito, dal già citato M. Bona, in termini di “metodo della media della gravità dei fattori”).
Tali elementi, secondo il Dott. Spera, sarebbero i medesimi richiesti dalla Cassazione e fondanti il sistema “a punto variabile”, della cui applicazione è imprescindibile dar conto nella motivazione del giudice di merito (così da consentire un sindacato sulla discrezionalità rimessa allo stesso in fase di liquidazione del danno).
La risposta del Tribunale di Ravenna
A difesa della Tabella milanese anche il Tribunale di Ravenna rileva che la forbice edittale ivi considerata per il danno da perdita del congiunto consente di tenere conto di tutte le peculiarità del caso concreto, con particolare riguardo ad elementi (quasi tutti considerati anche dalla Tabella di Roma), sulla base dei quali è possibile identificare dei valori edittali massimi e minimi, differenziati a seconda delle peculiarità del legame sussistente tra danneggiato e congiunto deceduto, quali:
La decisione di Ravenna mutua infatti le proprie motivazioni dalla già richiamata sentenza di Milano (che la precede di alcune settimane) ed entrambe affermano sia che l'utilizzo delle Tabelle si fonda sul potere del giudice di valutare equitativamente il danno ex art. 1226 c.c. e sia che, come ribadito da Cass. 10579/2021, le Tabelle “si sostanziano in regole integratrici del concetto di equità, atte a circoscrivere la discrezionalità dell'organo giudicante, sicchè costituiscono un criterio guida e non una normativa di diritto (Cass. n. 1553/2019)”.
Il Tribunale di Ravenna ribadisce in particolare, al pari del precedente milanese, che:
La decisione del Tribunale di Ravenna si pone dunque a difesa della Tabella milanese sul medesimo presupposto rappresentato dalla necessità di individuare ed applicare un regime transitorio in attesa della predisposizione della nuova Tabella che risponda ai parametri di modularità reclamati da Cass. n. 10579 del 2021 e che disciplini i criteri di quantificazione del danno parentale. Il Tribunale di Ravenna, allo stesso modo del Tribunale di Milano, sostiene che la liquidazione di tale danno potrà essere effettuata all'interno della cornice edittale di cui alle Tabelle milanesi poiché essa:
Nella liquidazione espressa secondo equità integrativa, infatti, ciò che conta è che la motivazione del giudice risulti congrua e dia conto delle ragioni che sostengono la quantificazione operata, la quale, quando avviene tramite l'utilizzo del parametro tabellare di derivazione pretoria e non legislativa, deve necessariamente essere “coerente e proporzionata rispetto a quella cui l'adozione dei parametri tratti dalle Tabelle di Milano consenta di pervenire (Cass. n. 17018/2018; Cass. n. n. 24479/2014; Cass. n. 14402/2011)” (sempre Cass. 10579/2021). Le Tabelle di Milano, come esposto, svolgono un ruolo meramente tendenziale per il giudice di merito poiché i relativi parametri e punteggi altro non sono che un'opera di astrazione dalle decisioni della giurisprudenza di merito; la Tabella, cioè, non ha cogenza legislativa e consente pertanto al giudice di oltrepassare i relativi valori se le peculiarità del caso concreto non permettono di essere sussunti nella fattispecie presa in considerazione dalla tabella. Al giudice è dunque consentito adoperare le pur contestate Tabelle di Milano (e, talvolta, superarne i limitiquando la situazione concreta si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto in quanto elaborato in astratto, sulla scorta dell'oscillazione “ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l'id quod plerumque accidit”) ciò in quanto “la schematizzazione in punti variabili è di derivazione non legislativa, ma pretoria, nei limiti in cui lo è la tabella, e cioè estrazione dalla prassi giurisprudenziale di tipologie astratte” (ancora Cass. 10579/2021).
Pertanto, essendo le Tabelle di Milano pur comunque concepite per scopi di “uniformità e prevedibilità delle decisioni a garanzia del principio di eguaglianza”, l'adozione della regola equitativa deve essere sempre sorretta da un'adeguata motivazione e non può limitarsi all'asettico riferimento al parametro tabellare, ma deve garantire un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto. In altri termini, il caso concreto impone al giudice di motivare l'approccio quantitativo al riferimento tabellare, esprimendolo nella motivazione, la quale “non è solo forma dell'atto giurisdizionale imposta dalla Costituzione e dal codice processuale”, ma è soprattutto sostanza della decisione, perché “la valutazione equitativa del danno, nella sua componente valutativa, si identifica con gli argomenti che il giudice espone” (ancora Cass. 10579/2021). Ciò di cui necessita, dunque, l'operatore, non è tanto il punteggio/valore economico empirico, bensì il parametro/criterio di valutazione entro il cui perimetro quel punteggio/valore economico può essere applicato (e che rappresenta, dunque, un posterius rispetto all'enucleazione del parametro/criterio di valutazione, il quale deve essere tracciato prima di giungere al valore economico).
In attesa di una nuova criteriologia modulare (che è già al vaglio dell'Osservatorio meneghino), potrà quindi procedersi all'individuazione del quantum risarcitorio in conformità ai parametri richiesti dalla S.C. facendo riferimento al range rappresentato dall'intervallo edittale dei valori della Tabella di Milano, della cui applicazione il giudice di merito dovrà dar conto nella motivazione, così da consentire il sindacato sull'esercizio della discrezionalità rimessa allo stesso in sede di liquidazione. L'ontologia del danno parentale
La decisione del Tribunale di Ravenna in esame formula, così come il precedente meneghino da cui mutua l'intera parte motiva (cfr. Trib. Milano n. 5947/2021), la necessaria premessa che per danno da perdita del rapporto parentale debba intendersi quel pregiudizio di natura non economica, sofferto dal prossimo congiunto del soggetto deceduto, che incida tanto sul piano della sofferenza interiore quanto su quello dinamico-relazionale (come confermato da Cass. 28989/2019, rientrante nel “pacchetto San Martino 2019”).
La S.C. ha sempre richiesto, quale necessario presupposto per la risarcibilità del danno, un rapporto “qualificato” del congiunto superstite con il defunto (Cass. 5 novembre 2020, n. 24689), sebbene in talune pronunce abbia affermato che tale pregiudizio sia intrinsecamente e/o prevalentemente sofferenziale (come Cass. 20 aprile 2018, n. 10321, Cass. 24 marzo 2021, n. 8218 o Cass. 29 settembre 2021, n. 26301, che individua la sofferenza morale dei genitori, nella peculiare vicenda della morte del feto, come assolutamente prevalente rispetto alla perdita della relazione parentale) mentre in talaltre che tale pregiudizio vada individuato nello sconvolgimento di vita (o, meglio, nell'alterazione delle proprie abitudini di vita, così Cass. 5 novembre 2020, n. 24689).
La predetta bi-componenza ontologica del danno parentale non è da considerare un inutile assioma descrittivo in quanto, proprio in virtù dell'auspicata elaborazione di un sistema tabellare più “rigido” per i danni da morte - come reclamato da Cass. 10579/2021 - la “parcellizzazione” di tale danno nella componente vuoi interiore vuoi dinamico-relazionale diventa epicentrica e determinante in relazione agli aspetti peculiari che ne dovranno poi attribuire l'intensità (e, dunque, gli importi), in base alle fasce di gravità che tali aspetti peculiari consentono di raggiungere ai fini liquidatori, tramite l'analisi delle (pur allegate e quantomeno presuntivamente provate) irripetibilità del caso concreto, per far rientrare tali peculiarità in un determinata “fascia” di intensità del danno tale da determinarne la modularità e la correlativa liquidazione per equivalente.
Appare necessario, dunque, che l'analisi circa la natura del danno parentale persegua sempre l'impostazione “tipica” delineata dalla giurisprudenza in relazione a tutti i pregiudizi riconducibili al genus non patrimoniale, tramite la ripartizione in due species:
Tale premessa ontologica formulata dalle sentenze di merito esaminate pare dunque tutt'altro che irrilevante in quanto è sulla base dell'incidenza di tali due aspetti del pregiudizio non patrimoniale (interiore ed esteriore) che potranno motivatamente adoperarsi i range tabellari più o meno elevati in base all'esame delle circostanze più o meno incidenti sulla gravità del danno parentale. |