Sulla natura di imprenditore commerciale di una società immobiliare ai fini della dichiarazione di fallimento

09 Agosto 2021

Una società immobiliare che si limita a riscuotere i canoni di locazione può considerarsi imprenditore commerciale ed essere dunque assoggettata al fallimento?

Una società immobiliare che si limita a riscuotere i canoni di locazione può considerarsi imprenditore commerciale ed essere dunque assoggettata al fallimento?

Caso pratico - La Corte di appello di Venezia si è occupata, molto recentemente (3 giugno 2021), della fallibilità di una società immobiliare. Il caso può essere così illustrato. Una società a responsabilità limitata presenta una proposta di concordato preventivo. La proposta tuttavia viene dichiarata inammissibile e il Tribunale di Padova dichiara il fallimento della società. La società presenta reclamo contro la dichiarazione di fallimento, ai sensi dell'art. 18 L.F. Anche la Corte di appello di Venezia, tuttavia, considera la società imprenditore commerciale e come tale assoggettata al fallimento, confermando la decisione di primo grado.

Spiegazioni e conclusioni - Il soggetto che può essere dichiarato fallito è l'imprenditore, che possa essere qualificato come commerciale. Il codice civile si premura di definire l'imprenditore come colui che “esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o della scambio di beni o di servizi” (art. 2082 c.c.). Nella stragrande maggioranza dei casi, non è difficile accertare la natura di imprenditore. In alcune fattispecie, tuttavia, la linea di confine fra “imprenditore” e “non imprenditore” è più sottile.

Bisogna subito evidenziare come l'imprenditore possa essere individuale oppure collettivo. Questa differenza, peraltro, non rileva ai fini della dichiarazione di fallimento, in quanto anche l'imprenditore individuale può essere dichiarato fallito. Generalmente l'imprenditore individuale ha un'organizzazione meno strutturata dell'imprenditore collettivo, ma ciò non basta a escluderlo a priori dal possibile fallimento.

Nel caso affrontato dalla Corte di appello di Venezia, si trattava di un imprenditore collettivo (società), per di più in forma di società di capitali (società a responsabilità limitata). La società aveva come oggetto sociale “consulenza, progettazione, studi di fattibilità, acquisto, valorizzazione, permuta, costruzione, ristrutturazione, gestione e vendita diretta e indiretta per conto proprio e di terzi, in Italia e all'estero, di immobili civili, turistici, industriali e agricoli”. Si trattava di una società proprietaria di un compendio immobiliare suddiviso in tre porzioni, due delle quali concesse in locazione e la terza occupata sine titulo da un'altra società con corresponsione di un'indennità di occupazione.

La Corte di appello ricorda come le società aventi a oggetto un'attività commerciale sono assoggettabili a fallimento indipendentemente dall'effettivo esercizio di una siffatta attività, in quanto acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, non dall'inizio del concreto esercizio dell'attività d'impresa. Sulla base dunque della previsione statutaria, la Corte di appello di Venezia ritiene che la s.r.l. sia un imprenditore commerciale, in quanto tale assoggettabile al fallimento.

Come è noto, l'art. 1 comma 1 L.F. prevede che “sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale”. La prima verifica che il tribunale deve svolgere, dunque, al fine di dichiarare il fallimento, è se il debitore possa essere qualificato come imprenditore commerciale. Nel caso affrontato dalla Corte di appello di Venezia, la società percepiva dei canoni di locazione. Tanto basta (unitamente alle previsioni statutarie), secondo il giudice veneziano, per qualificare la società come imprenditrice e ritenere che sia assoggettata al fallimento.

Il principio enunciato dalla Corte di appello di Venezia nella sentenza del 3 giugno 2021 può considerarsi consolidato. In altri casi, la giurisprudenza ha reputato sufficiente lo scopo mutualistico per la qualificazione come imprenditore commerciale e la conseguente dichiarazione di fallimento. In particolare, secondo Cassazione 10 ottobre 2019, n. 25478, lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) non è elemento essenziale per il riconoscimento della qualità di imprenditore commerciale, essendo individuabile l'attività di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicità dell'attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi (c.d. lucro oggettivo), requisito quest'ultimo che, non essendo inconciliabile con il fine mutualistico, ben può essere presente anche in una società cooperativa, pur quando essa operi solo nei confronti dei propri soci. Ne consegue che anche tale società, ove svolga attività commerciale può, in caso di insolvenza, essere assoggettata a fallimento in applicazione dell'art. 2545-terdecies c.c.

La Corte di cassazione (20 dicembre 2002, n. 18135) ha altresì stabilito che, ai fini della configurabilità dell'esercizio di un'impresa da parte del promotore finanziario, è irrilevante che quest'ultimo agisca sulla base di un mandato con rappresentanza o senza rappresentanza. Lo stesso, infatti, è definito come colui che esercita professionalmente, “in qualità di dipendente, agente o mandatario”, l'attività di offerta fuori sede di servizi finanziari; pertanto, affinché assuma la qualità di imprenditore, è sufficiente che svolga la sua attività sulla base di una propria autonoma organizzazione di mezzi e a proprio rischio, considerato che gli altri elementi che caratterizzano l'attività di impresa già sono presenti, per definizione, nell'attività del promotore finanziario, la quale rientra tra le attività ausiliarie previste dall'art. 2195 n. 5 c.c. e costituisce, dunque, impresa commerciale (con conseguente assoggettabilità a fallimento). Come si può notare, vi è una tendenza della giurisprudenza ad ampliare la nozione di imprenditore ai fini della dichiarazione di fallimento.

In ambito immobiliare, è stato ritenuto fallibile anche il mediatore. Secondo la Corte di cassazione (18 gennaio 2019, n. 1466), in tema di fallibilità dell'impresa individuale di mediatore immobiliare, gli elementi identificativi dell'impresa commerciale di cui all'art. 2082 c.c. sono costituiti dalla professionalità e dall'organizzazione, intesa come svolgimento abituale e continuo dell'attività nonché sistematica aggregazione di mezzi materiali e immateriali, al di là della scarsezza dei beni predisposti, tanto più quando l'attività non necessiti di mezzi materiali e personali rilevanti.

Normativa e giurisprudenza

  • Art. 1 L.F.
  • Art. 18 L.F.
  • Art. 2082 c.c.
  • Art. 2195 c.c.
  • Corte di cassazione, 26 giugno 2001, n. 8694: “Le società costituite nelle forme previste dal codice civile ed aventi ad oggetto un'attività commerciale sono assoggettabili al fallimento indipendentemente dall'effettivo esercizio di una siffatta attività, in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, non dall'inizio del concreto esercizio dell'attività d'impresa, al contrario di quanto avviene per l'imprenditore commerciale individuale. Sicché, mentre quest'ultimo è identificato dall'esercizio effettivo dell'attività, relativamente alle società commerciali è lo statuto a compiere tale identificazione, realizzandosi l'assunzione della qualità in un momento anteriore a quello in cui è possibile per l'impresa non collettiva stabilire che la persona fisica abbia scelto, tra i molteplici fini potenzialmente raggiungibili, quello connesso alla dimensione imprenditoriale”.

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