Ammissibilità del frazionamento del credito unitario
26 Ottobre 2021
Massima
In difetto di allegazione di uno specifico motivo che possa legittimare il ricorso parcellizzato alla giurisdizione, il frazionamento del credito va ritenuto contrario ai principi del giusto processo, da un lato, e della correttezza e buona fede processuale, dall'altro lato. Il caso
Con atto di citazione l'odierna resistente proponeva opposizione contro il decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di Pace di Napoli in favore di B.Q. per il pagamento della somma di 317,89 Euro a titolo di compenso per l'attività svolta nella definizione di un sinistro automobilistico. Il Giudice di Pace di Napoli rigettava l'opposizione condannando l'assicurazione alle spese del grado di giudizio. La società proponeva appello e con la sentenza impugnata in Cassazione il Tribunale di Napoli accoglieva l'impugnazione revocando il decreto ingiuntivo originariamente emesso e condannando B.Q. alle spese del doppio grado. Contro questa pronuncia propone ricorso per cassazione B.Q. La questione
Le questioni alla base della pronuncia in commento sono diverse ma tutte sostanzialmente riconducibili all'ammissibilità o meno del frazionamento del credito scaturente da incarichi professionali svolti nel corso di un decennio. Si deduce, infatti, dalla lettura dei fatti di causa e delle motivazioni della Corte, che il ricorrente ha, nel corso del tempo, proposto diverse azioni per ottenere il compenso derivante da diversi incarichi professionali (peritali) intrattenuti con la società assicuratrice. Nell'ambito di queste differenti azioni e, con specifico riguardo alla modica cifra azionata con decreto ingiuntivo, la società assicuratrice in appello ottiene la revoca del decreto stesso sulla base dell'inammissibilità del frazionamento del credito in difetto della deduzione di un interesse meritevole di tutela alla parcellizzazione. Sulla base di queste premesse si individuano due questioni fondamentali: l'infondatezza della dedotta inammissibiltà dell'appello interposto dalla società assicuratrice perché la domanda aveva un valore inferiore a 1100 Euro e della prospettata violazione del giudicato esterno derivante dalla pronuncia del Giudice di Pace che, rigettando l'opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla società assicuratrice, negava l'esistenza di un frazionamento della pretesa creditoria da parte del ricorrente in ingiunzione. Il tutto si lega, come ovvio, alla questione dell'ammissibilità o meno del frazionamento del credito in mancanza della deduzione di un interesse specifico e meritevole di tutela alla deduzione frazionata. Le soluzioni giuridiche
La Corte di cassazione in primo luogo esclude l'inammissibilità dell'appello proposto dalla società assicuratrice per il motivo che la domanda per abusivo frazionamento del credito è improponibile perché non esiste un interesse meritevole di tutela posto alla base di questa modalità di esercizio del diritto di azione in difetto della deduzione di qualsiasi elemento di fatto idoneo a giustificare la promozione di un separato giudizio per ognuno degli incarichi peritali svolti nell'arco di un decennio. Il frazionamento del credito è quindi una violazione dei principi generali del giusto processo, della correttezza e della buona fede processuale. Né può ritenersi che il Tribunale di Napoli abbia violato il giudicato esterno derivante dalla originaria pronuncia del Giudice di Pace di Napoli con cui si era rigettata l'opposizione e che affermava che B.Q. non avrebbe operato alcun frazionamento della sua pretesa creditoria. Ciò in primo luogo perché la pronuncia in questione è antecedente alla ben nota Cass. civ., sez. un., n. 4090/2017 che ha, notoriamente, ritenuto che le domande relative a distinti e diversi diritti di credito, anche se relativi allo stesso rapporto di durata tra le stesse parti, possono essere proposte in separati processi ma, laddove queste pretese creditorie, oltre a far capo allo stesso rapporto tra le parti, siano anche inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, le relative domande possono essere formulate in giudizi autonomi solo ove risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. Dopo tale pronuncia la Corte si è sempre espressa nel senso che, in mancanza dell'allegazione di uno specifico motivo che possa legittimare il ricorso al frazionamento del credito, esso va ritenuto contrario al giusto processo da un lato e alla correttezza e buona fede processuale dall'altro (Cass. civ., n. 26621/2018; Cass. civ., n. 26794/2018). Da ultimo le Sezioni Unite con pronuncia n. 4315/2020 hanno specificato che le tre decisioni richiamate dal ricorrente della sesta sezione civile si erano limitate ad escludere che i crediti azionati in quei diversi giudizi fossero assimilabili agli altri oggetto delle distinte azioni promosse da B.Q. nei confronti della società convenuta, senza nulla affermare in ordine ai cratteri di questi diversi rapporti obbligatori. Infine va esclusa l'ultrattività del giudicato su altri rapporti, sia pure intercorrenti tra le stesse parti, che siano fondati su titoli differenti. Se, come è accaduto, il ricorrente contesta la natura unitaria del rapporto sostenendo che ogni incarico azionato è autonomo rispetto agli altri, gli è preclusa la possibilità di invocare l'esistenza del giudicato esterno con riguardo a contesti che, lui per primo, dichiara e configura come autonomi l'uno dall'altro. Ma, inoltre, l'eventuale giudicato formatosi su una frazione del credito complessivo non è idoneo a spiegare effetti sul successivo giudizio che abbia ad oggetto una diversa frazione del credito, non potendosi configurare né giudicato interno trattandosi di un processo diverso, né giudicato esterno o implicito, trattandosi non già di un rapporto presupposto ma di una autonoma frazione dello stesso rapporto obbligatorio intercorrente tra le stesse parti (Cass. civ., 8 agosto 1997, n. 7400; Cass. civ., 3 luglio 2008, n. 18205). La Corte, considerando la manifesta infondatezza e l'inammissibilità di tutti i motivi di ricorso ritiene che nella condotta processuale del ricorrente siano configurabili gli estremi della colpa grave e dell'abuso del processo e, di conseguenza, commina la sanzione prevista dall'art. 96, ultimo comma, c.p.c. oltre alla condanna al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato (art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002). Osservazioni
Il problema della sistemazione teorica del concetto di abuso del processo si è collegato con difficoltà insite nell'individuarne le sanzioni, andandosi da chi lo collega alla responsabilità per fatto illecito, a chi si fonda sull'uso dell'art. 92 c.p.c., a chi fa riferimento all'ultimo comma dell'art. 96 c.p.c. in chiave sanzionatoria, ossia come possibilità per il giudice, da esercitare discrezionalmente, di condannare al pagamento di una pena pecuniaria così sanzionando l'abuso del processo, a chi, infine, adopera la norma dell'art. 96 c.p.c. come strumento per risarcire i danni, anche non esclusivamente patrimoniali, che una parte subisca per effetto della condotta dilatoria non giustificata dell'altra parte. Nell'ambito di un'interpretazione così ondivaga le Sezioni Unite della Cassazione con la pronuncia del 2007 hanno finito per consacrare, come funzionale alla nozione accolta di abuso del processo, proprio la fattispecie del frazionamento del credito, trasformandolo in una delle ipotesi di abuso del processo, sanzionata per il tramite di una pronuncia di rigetto in rito. Sicché la parte, laddove la situazione giuridica soggettiva di cui è titolare sia unitaria, e la condanna riguardi obbligazioni di genere, se può attingere il risultato utile della condanna per il tramite di un processo, non può pervenirvi attraverso due o più ulteriori processi. A parere delle Sezioni Unite del 2007 il criterio generale della buona fede oggettiva e della correttezza si pone in inestricabile connessione con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., «funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell'interesse del partner negoziale». In sostanza poiché si è giunti nella giurisprudenza del Supremo Collegio ad affermare che il criterio della buona fede deve essere utilizzato dal giudice per controllare, pure in senso modificativo o integrativo, l'assetto negoziale per garantire l'equilibrio fra i diversi interessi delle parti del rapporto obbligatorio, ancor di più questo equilibrio deve essere conservato in ogni fase successiva, anche se giudiziale dello stesso rapporto, né, conseguentemente, può essere alterato a tutto vantaggio del creditore. Proprio quest'alterazione dell'equilibrio verrebbe a crearsi in caso di parcellizzazione giudiziale del credito che ha necessariamente effetto pregiudizievole o anche solo peggiorativo della posizione del debitore. Ciò per due ragioni: la prima attinente al «prolungamento del vincolo coattivo» dovuto alla parcellizzazione della pretesa creditoria; la seconda afferente all'aggravio delle spese e dell'onere di molteplici difese giudiziali a fronte della moltiplicazione delle iniziative giudiziarie. Il disequilibrio in questione, secondo la Corte, ha rilievo comunque, indipendentemente dal fatto che il creditore non abbia agito frazionando la domanda per un fine puramente emulativo, ma anche nell'ipotesi in cui egli volesse utilizzare i vantaggi derivanti dalla instaurazione delle controversie dinanzi ad un giudice inferiore, vuoi per la maggiore celerità del procedimento, vuoi per le minori spese, confidando nello spontaneo adempimento del residuo da parte del debitore. Oltre alla rilevanza del criterio di correttezza e buona fede, l'arresto delle Sezioni Unite attribuisce rilievo al fatto che la parcellizzazione del rapporto obbligatorio da parte del creditore, poiché attuata durante il processo e per mezzo di esso, automaticamente si configura come un abuso del processo stesso. In tal senso oltre a non essere conforme al criterio costituzionale del processo giusto, la disarticolazione del rapporto sostanziale unitario potrebbe creare la formazione di giudicati contraddittori da un punto di vista pratico. Non solo ma la moltiplicazione dei giudizi relativi allo stesso credito avrebbe l'effetto ulteriore di incidere in senso negativo sull'altro principio costituzionalmente garantito della ragionevole durata del processo. A partire da tale pronuncia la giurisprudenza del Supremo Collegio si è sempre attestata nel senso che, in difetto di allegazione di uno specifico motivo che possa legittimare il ricorso frazionato alla giurisdizione, il frazionamento del credito va ritenuto contrario ai principi del giusto processo da un lato e della correttezza e buona fede processuale dall'altro (Cass. civ., n. 26621/2018; Cass. civ., n. 26794/2018; Cass. civ., n. 27918/2018. Si è pertanto superato l'orientamento espresso dalle tre sentenze della sesta sezione civile, richiamate dal ricorrente e rese, comunque, in fattispecie in cui il mancato svolgimento dell'attività difensiva da parte della controricorrente (società assicuratrice) non aveva consentito, diversamente da quanto accaduto in questo processo e nei successivi, di identificare la riconducibilità delle diverse controversie separatamente instaurate dal ricorrente, allo stesso ambito oggettivo e, in sostanza, la mancanza di un interesse apprezzabile al frazionamento e l'esistenza di una pratica di abuso processuale. La pronuncia in questione si inscrive pertanto perfettamente nel solco della giurisprudenza che si può considerare ormai dominante sul frazionamento del credito. Riferimenti
Sia consentito in argomento il rinvio a:
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