Sterilizzazione della postergazione del finanziamento soci per attraversare indenni la pandemia: tutela della società o dei soci finanziatori?

Daniele D'Antonio
27 Ottobre 2021

Nel tentativo di attenuare l'impatto della pandemia sulle realtà imprenditoriali del paese, il legislatore è intervenuto – tra l'altro – sospendendo temporaneamente l'obbligo di postergare il rimborso del finanziamento “anomalo” erogato dai soci in favore della società. La misura, introdotta per favorire la tenuta delle imprese societarie in crisi di liquidità, rischia tuttavia di realizzare una eterogenesi dei fini, con potenziali conseguenze deleterie per diversi soggetti coinvolti.
La sospensione degli obblighi di postergazione connessi al finanziamento soci introdotta durante il periodo pandemico

Per sostenere il tessuto economico italiano gravemente inciso dalla pandemia da Coronavirus, il legislatore italiano ha introdotto una serie di misure temporanee per le aziende incidenti sulla disciplina di diritto commerciale, societario e fallimentare.

Tra i numerosi interventi realizzati nel corso del 2020, il d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (cd. “Decreto Liquidità”), agli articoli 5 e seguenti, ha positivizzato misure urgenti in materia societaria e concorsuale a beneficio delle imprese.

In particolare, ai sensi dell'articolo 8 del decreto, rubricato “Disposizioni temporanee in materia di finanziamenti alle società, è stato disposto che: “Ai finanziamenti effettuati a favore delle società dalla data di entrata in vigore del presente decreto e sino alla data del 31 dicembre 2020 non si applicano gli articoli 2467 e 2497 quinquies del codice civile”.

La scarna disposizione, composta da un unico comma, interviene sulla disciplina codicistica dettata, rispettivamente, in tema di società a responsabilità limitata e di società eterodiretta, disponendo la temporanea sospensione della regola di postergazione.

Quest'ultima, come noto, impone di rimborsare il finanziamento concesso dai soci a favore della società soltanto dopo l'integrale soddisfazione degli altri creditori sociali, in presenza delle condizioni cd. anomale al momento di concessione del finanziamento (i.e. eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto, situazione finanziaria della società in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento).

Portata e finalità della misura: la sterilizzazione dà ossigeno all'impresa societaria

Per far fronte alla carenza di liquidità inevitabilmente collegata al lockdown, dunque, viene consentito ai soci di ottenere il rimborso dei finanziamenti, erogati alla società nella finestra temporale ricompresa tra l'entrata in vigore del Decreto Liquidità (9 aprile 2020) e la fine dell'esercizio sociale in corso (31 dicembre 2020), senza dover essere posposti rispetto agli altri creditori.

Ciò costituisce palesemente un trattamento di favore, che l'ordinamento prescrive a vantaggio dei soci per invogliare questi ultimi a fornire risorse finanziarie all'impresa societaria in un periodo nel quale è ragionevole presumere che sarebbero altrimenti scoraggiati a farlo.

In altre parole, si tratta di spingere i soci ad immettere liquidità nelle s.r.l. e nelle società soggette ad altrui direzione e coordinamento, assicurando loro un beneficio che normalmente non gli spetterebbe.

Nondimeno, va osservato che procurare liquidità alle società in difficoltà costituisce, evidentemente, un obiettivo “ontologicamente strumentale”.

Il legislatore non agevola, cioè, la messa a disposizione di capitali in sé, giacché l'immissione di somme non immediatamente utilizzate risulterebbe sostanzialmente inutile per attenuare gli effetti di una “emorragia finanziaria” in corso.

L'immissione di capitale di debito da parte dei soci è incentivata in quanto essa risulta finalizzata a consentire alla società beneficiaria di far fronte alle esigenze più impellenti nella gestione sociale. Tali esigenze si identificano, in ultima istanza, nel pagamento quantomeno di una parte dei debiti nei confronti di partner commerciali aventi importanza strategica per la vita della società, nonché nell'investimento delle somme residue al fine di garantire la continuità operativa dell'impresa societaria.

Contestualizzazione della misura nel sistema societario: rilievi critici

La temporanea sterilizzazione del vincolo di postergazione in esame, tuttavia, va necessariamente letta alla luce del complessivo pacchetto di misure societarie e concorsuali del Decreto Liquidità in cui risulta inserita (artt. da 5 a 10), nonché della ratio che permea la regola di postergazione resa momentaneamente inefficace.

Infatti, le agevolazioni introdotte dagli articoli in questione - tra cui figurano la sterilizzazione degli obblighi di ricapitalizzazione e dell'obbligo di verificare la continuità aziendale nella redazione del bilancio in corso, nonché l'improcedibilità temporanea delle domande di fallimento - nella prospettiva di attenuare gli effetti critici della pandemia sulle imprese italiane, intercettano tutte le imprese senza distinzioni, in assenza cioè di qualunque verifica o controllo sullo stato economico-patrimoniale del soggetto beneficiario.

Al contempo, esse dettano un regime differenziale di maggior favore soltanto in via provvisoria, senza prevedere un sostegno stabile alle imprese impattate dalla pandemia. Tali misure, dunque, costituiscono esclusivamente un palliativo momentaneo e rischiano di prolungare artificialmente la vita economica di società in crisi a cui non viene fornito alcun aiuto definitivo.

In questa prospettiva, ad avviso di chi scrive, la temporanea disapplicazione di una norma volta ad intervenire su situazioni anomale di società “in prossimità di crisi”, nell'attuale contesto di grave crisi economica generata dalla pandemia, potrebbe rivelarsi una soluzione controproducente rispetto alle finalità sopra enucleate per più ordini di ragioni.

Innanzitutto, se in sintesi l'incentivo a finanziare la società fornito ai soci è volto ad onorare le scadenze debitorie “improrogabili” e, prolungandone l'attiva permanenza sul mercato, a favorire il ripristino di una situazione economico-finanziaria totalmente fisiologica, non si vede come ciò possa realizzarsi attraverso una misura che amplifica ulteriormente l'alterazione dell'ordinario rapporto tra potere e rischio sotteso alla disciplina del diritto societario dinanzi alla prospettiva di una crisi d'impresa.

Come noto, infatti, la ratio sottesa al principio di postergazione di cui agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. affonda le sue radici nel più generale principio, posto a tutela dei terzi creditori, di corretto finanziamento della società, finalizzato a prevenire la traslazione del rischio d'impresa sui creditori medesimi determinata dalla cd. sottocapitalizzazione nominale dell'impresa societaria.

Tale sottocapitalizzazione si verifica quando l'impresa che necessita di mezzi propri viene invece finanziata dai soci attraverso l'erogazione di strumenti di debito, con conseguente artificiosa precostituzione di posizioni omogenee a quella dei creditori in situazione di squilibrio patrimoniale della società, e quindi, indebito trasferimento su di essi del rischio d'impresa.

In situazioni di prossimità alla crisi, cioè, è ragionevole che il socio conferisca e non finanzi: perché gli apporti “di rischio” sono soggetti alla funzione vincolistica del capitale sociale, mentre gli apporti di debito - come il finanziamento soci - sono esigibili alla naturale scadenza da parte del creditore.

La regola di postergazione ex artt. 2467 e 2497-quinquies c.c., allora, è posta perché quando la crisi è prossima è vietato dall'ordinamento aggravare la concreta esposizione al rischio di impresa di creditori terzi. Ciò in quanto costoro sono in possesso di limitate informazioni rispetto al debitore-società, dunque risultano meno consapevoli del quadro economico-finanziario del debitore.

La sterilizzazione di questa regola, in effetti, avvantaggia creditori interni (i.e. i soci finanziatori), che sono presumibilmente a conoscenza della situazione economico-finanziaria del debitore-società, oltre che potenzialmente in grado di ottenere guadagni - sottoforma di utili - ulteriori rispetto al mero rimborso nominale della somma finanziata.

Ad avviso di chi scrive, dunque, la norma in commento introdotta dal decreto liquidità, nel disapplicare una regola che realizza un bilanciamento di interessi contrapposti, consente ai soci di realizzare un vantaggio sproporzionato rispetto ai creditori terzi nel concorso che si realizza tra di loro per soddisfarsi sul patrimonio della società debitrice, dettando dunque un trattamento irragionevole di interessi contrapposti che sono tutti meritevoli di tutela.

La sproporzione appare evidente poiché la regola di postergazione ex art. 2467 c.c. presume, in presenza di condizioni qualificate dal legislatore, che il debitore sia prossimo alla crisi, ma questa circostanza può essere probabilmente apprezzata dal solo creditore interno, in possesso di maggiori informazioni rispetto al creditore esterno.

L'art. 8 del Decreto Liquidità finisce inoltre per realizzare un trattamento irragionevole e finanche illogico, atteso che quando la crisi è presunta nella sua prossimità, la postergazione è applicata dal legislatore codicistico per evitare l'abuso dello schermo societario da parte dei soci finalizzato alla realizzazione del proprio profitto personale. La medesima regola di postergazione, invece, per effetto dell'articolo in commento, non deve essere osservata quando la crisi - quantomeno di liquidità - è presuntivamente attuale per effetto dell'impatto pandemico sulla situazione economico-finanziaria dell'impresa.

Conclusioni e valutazioni de jure condendo

Alla luce dell'analisi svolta, la sterilizzazione del vincolo di postergazione in relazione ad una società che si presume attraversi uno stato di crisi attuale, e la cui permanenza sul mercato appare destinata a prolungarsi artificialmente in assenza di aiuti sostanziali e concreti, appare una misura in realtà inappropriata.

Detta sterilizzazione, infatti, cela dietro l'illusoria risoluzione di un problema temporaneo il rischio di aggravamento, nel lungo periodo, di rapporti patrimoniali ben più articolati. Invero, una misura nata per agevolare la società contribuisce ad amplificarne, alla lunga, il rischio di fallimento, e avvantaggiando esclusivamente i soci in maniera sproporzionata reca con sé l'ulteriore rischio di grave pregiudizio dei creditori.

Sarebbe stata auspicabile una maggiore meditazione da parte del legislatore in sede di introduzione della norma, anche se va tenuto in conto che gli interventi in condizioni emergenziali sono sempre compiuti in quella temperie intossicata dall'impellenza che rende quasi sempre difficili anche le cose facili (Cass. pen. 10 giugno 2014, n. 24528).

In una prospettiva de jure condendo, si potrebbe immaginare una mitigazione della norma in questione, mutuando ad esempio la soluzione di cui all'art. 182-quater, comma 3, l. fall., che limita l'applicazione della regola di postergazione al 20% dell'importo nominale del credito, al fine di realizzare un equo contemperamento tra le esigenze di immissione di liquidità all'interno dell'impresa societaria e la tutela delle ragioni di terzi creditori già soggetti ad asimmetrie informative.

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