I (tormentati) rapporti tra pegno irregolare e fallimento

22 Ottobre 2021

Nel caso in cui un pegno irregolare costituito a favore di una banca su obbligazioni della medesima sia opponibile al fallimento della società garante, deve escludersi l'operatività dell'art. 53 l. fall. Trova applicazione, invece, l'art. 4 del d.lgs. 21 maggio 2004, n. 170, in forza del quale la creditrice pignoratizia può escutere la garanzia finanziaria osservando le formalità previste nel contratto, senza onere di preventiva insinuazione del credito al passivo della procedura fallimentare.
Massima

Nel caso in cui un pegno irregolare costituito a favore di una banca su obbligazioni della medesima sia opponibile al fallimento della società garante, deve escludersi l'operatività dell'art. 53 l. fall. Trova applicazione, invece, l'art. 4 d.lgs. 21 maggio 2004, n. 170, in forza del quale la creditrice pignoratizia può escutere la garanzia finanziaria osservando le formalità previste nel contratto, senza onere di preventiva insinuazione del credito al passivo della procedura fallimentare.

Il caso

Il caso concreto prende le mosse dalla dichiarazione di fallimento di una società, che oltre due anni prima del default aveva costituito in favore di un istituto di credito un pegno rotativo su obbligazioni dello stesso istituto, a garanzia di un mutuo concesso da quest'ultimo a una società terza. In particolare - in base a quanto riportato nella sentenza in commento - il contratto di pegno recava la previsione per cui “in caso di inadempimento delle obbligazioni garantite, la banca […] può far vendere, previo preavviso dato in forma scritta di 7 giorni - di 15 giorni ove il costituente sia un soggetto diverso dal debitore - in tutto o in parte ed anche in più riprese, con o senza incanto, i titoli costituiti in pegno”.

Successivamente, il giorno seguente al fallimento della società garante, la banca ha provveduto all'escussione del pegno, mediante la vendita delle obbligazioni e l'incasso del relativo controvalore. Tale operazione - com'è evidente, vista anche l'immediatezza della stessa rispetto alla dichiarazione di fallimento - è stata eseguita senza preventiva ammissione al passivo con prelazione del credito bancario.

Il Fallimento della garante, quindi, ha instaurato un giudizio ordinario contro la banca, finalizzato a recuperare il controvalore dei titoli incassato dalla creditrice. Nello specifico, l'attore ha domandato l'accertamento della nullità, inopponibilità o inesistenza dell'atto costitutivo del pegno, nonché della nullità o inefficacia della vendita dei titoli, anche ex art. 44 l. fall.; in subordine, ha chiesto la revoca ex art. 64 l. fall. degli stessi atti.

La questione

La controversia sottoposta al Tribunale di Sondrio implica una disamina della relazione tra il pegno e il fallimento del garante, con l'obiettivo di determinare se l'escussione della garanzia in un momento successivo alla sentenza di fallimento si concili con i principi cardine di tale procedura. Soprassedendo in questa sede sulla questione relativa alla data certa del pegno - su cui il giudice si è ampiamente soffermato -, ciò che rileva maggiormente è il profilo procedurale inerente all'accertamento del credito e alla liquidazione dei beni assoggettati a pegno in pendenza del procedimento fallimentare. Mentre - come si dirà nel prosieguo - la vendita o l'appropriazione delle attività finanziarie oggetto di pegno è specificamente regolata dal d.lgs. 21 maggio 2004, n. 170, tale disciplina nulla dispone in ordine all'onere o meno della banca creditrice di domandare l'accertamento fallimentare del credito pignoratizio.

Le soluzioni giuridiche

L'esame della suddetta questione e la valutazione delle soluzioni giuridiche proposte dalla giurisprudenza devono muovere anzitutto dal dato normativo. Come ricordato dal giudice sondriese, sul tema le norme di riferimento sono l'art. 53 l. fall. e l'art. 4 d.lgs. 170/2004 (per effetto del rinvio indiretto operato dall'art. 6 dello stesso decreto, di cui si dirà infra). L'art. 53 l. fall. dispone che i crediti garantiti da pegno (o assistiti da privilegio) possono essere “realizzati anche durante il fallimento, dopo che sono stati ammessi al passivo con prelazione”, stabilendo le coordinate per la liquidazione dei beni interessati. A latere di tale disposizione generale, il citato art. 4 del d.lgs. 170/2004 regola specificamente l'escussione del pegno nell'ipotesi in cui tale garanzia abbia ad oggetto attività finanziarie, come nel caso concreto del pegno su obbligazioni a garanzia del mutuo. Tale articolo dispone che “Al verificarsi di un evento determinante l'escussione della garanzia, il creditore pignoratizio ha facoltà, anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione, di procedere osservando le formalità previste nel contratto” e, in tal caso, “informa immediatamente per iscritto […] gli organi della procedura di risanamento o di liquidazione in merito alle modalità di escussione adottate e all'importo ricavato e restituisce contestualmente l'eccedenza”.

Diversamente dall'art. 53 l. fall., però, quest'ultima disposizione speciale non specifica se la predetta escussione del pegno secondo le formalità previste nel contratto possa essere effettuata solo dopo che il credito pignoratizio sia stato ammesso al passivo.

Nel silenzio della norma, il Tribunale di Sondrio ha statuito che “Il creditore garantito da pegno su titoli può escutere la garanzia in costanza di fallimento anche in assenza di preventiva insinuazione del credito al passivo della procedura”. Aderendo alla tesi della banca convenuta, secondo cui nel caso concreto il pegno sarebbe stato “irregolare”, il giudice ha stabilito che la creditrice non ha l'onere di insinuarsi al passivo fallimentare “sul presupposto che l'art. 53 si riferisce solo al pegno regolare, secondo l'interpretazione giurisprudenziale (Cass. civ., Sez. I, sentenza 6 febbraio 2018, n. 2818)”. La richiamata pronuncia della Corte di Cassazione, infatti, - dopo aver ribadito che l'art. 53 l. fall. richiede l'accertamento del credito mediante insinuazione al passivo - ha delineato il principio in base al quale “il creditore assistito da pegno irregolare, a differenza di quello assistito da pegno regolare, non può (per carenza di interesse) e non è tenuto ad insinuarsi nel passivo fallimentare, ai sensi della L. Fall., art. 53, per il soddisfacimento del proprio credito”.

Tale principio è stato espresso dalle Sezioni Unite della stessa Corte nella sentenza del 14 maggio 2001, n. 202, muovendo dalla “innegabile specificità” del pegno irregolare disciplinato dall'art. 1851 c.c.: con il pegno irregolare, la costituzione della garanzia comporta il trasferimento della proprietà del bene in favore del creditore pignoratizio e, a fronte di ciò, quest'ultimo diviene obbligato alla restituzione al garante dell'eventuale eccedenza del valore del predetto bene rispetto al valore della prestazione garantita rimasta insoddisfatta. Nello specifico, qualora la prestazione garantita venga interamente soddisfatta, il creditore pignoratizio dovrà restituire al garante l'intero valore del bene ottenuto in pegno; di contro, nell'ipotesi in cui la prestazione garantita non venga soddisfatta, il creditore dovrà restituire la sola differenza tra il valore della (parte di) prestazione inadempiuta e il valore del predetto bene. In caso di inadempimento del debitore, quindi, opera un meccanismo compensativo tra il debito garantito e il debito di restituzione del valore del bene sorto in capo al creditore pignoratizio. Con specifico riguardo all'ipotesi di fallimento del debitore principale, la Corte ha precisato che - dovendosi considerare scaduti i debiti pecuniari del fallito alla data di dichiarazione del fallimento, a norma dell'art. 55 l. fall. - proprio alla data di dichiarazione di fallimento il debito garantito risulta inadempiuto e pertanto il pegno irregolare produce il proprio effetto “compensativo”, senza necessità di invocare la speciale compensazione prevista dall'art. 56 l. fall. Ciò in quanto il meccanismo compensativo di tale pegno si realizza sul valore di un bene che è già di proprietà del creditore pignoratizio e, pertanto, non diviene parte dell'attivo fallimentare; nell'attivo rientrerà il solo credito del fallito verso la banca per la restituzione dell'eventuale eccedenza rispetto al dovuto. Ne consegue “la non ravvisabilità di un interesse del creditore a domandare l'ammissione al passivo (del suo credito già così soddisfatto [tramite un bene già in sua proprietà]) essendo viceversa legittimato il curatore ad agire nei di lui confronti per il recupero di quanto risulti trasferitogli in eccedenza rispetto all'importo del credito garantito”.

Osservazioni

Il Tribunale di Sondrio, dopo aver ricordato nella parte in fatto della sentenza che il contratto di pegno prevedeva la facoltà della banca di “far vendere, previo preavviso dato in forma scritta […], i titoli costituiti in pegno” “in caso di inadempimento delle obbligazioni garantite”, ha dato per assunto che tale garanzia fosse da qualificare come pegno irregolare. Il pegno irregolare, come già osservato, è la garanzia con cui il garante trasferisce la proprietà di un bene al creditore pignoratizio, il quale potrà liquidarlo con il solo obbligo di restituire al garante medesimo la differenza tra il valore del bene e il valore della prestazione garantita non eseguita.

Ciò vale anche per il pegno irregolare previsto nell'ambito dei contratti di garanzia finanziaria dall'art. 6 d.lgs. 170/2004, che ha ad oggetto strumenti finanziari. Nondimeno, la predetta clausola contrattuale così come richiamata dal Tribunale non consente di escludere - non essendo noto il testo del contratto di pegno nella sua interezza - la possibilità di ricondurre tale garanzia alla figura affine del c.d. pegno con diritto di utilizzazione regolato dall'art. 5 d.lgs. 170/2004. Tramite il pegno con diritto di utilizzazione, il garante attribuisce al creditore - non la proprietà del bene come nel pegno irregolare, bensì - il diritto di “utilizzare” l'attività finanziaria oggetto di garanzia, ivi compresa la possibilità di “far vendere” tale bene (di proprietà del garante); per effetto della vendita dello strumento finanziario in pegno, sorgerà in capo al creditore pignoratizio l'obbligo di ricostituire la garanzia per equivalente entro la scadenza dell'obbligazione garantita, con possibilità di liquidare i relativi beni in ipotesi di inadempimento del debitore.

In presenza di un quadro così articolato, nel caso di fallimento del debitore garante gli scenari sotto il profilo giuridico variano necessariamente in funzione dei diversi tipi di garanzia.

(i) In caso di pegno regolare, alla data della dichiarazione di fallimento il bene assoggettato a pegno è in proprietà del garante fallito. Pertanto, il bene rientrerà nell'attivo fallimentare e il creditore pignoratizio seguiterà a vantare un credito verso il medesimo debitore, per cui dovrà domandare che il proprio credito sia ammesso al passivo con prelazione, ferma la facoltà, con specifico riguardo alle garanzie finanziarie, di procedere “osservando le formalità previste nel contratto” alla vendita o all'appropriazione delle attività finanziarie oggetto di pegno a norma del citato art. 4 d.lgs. 170/2004.

(ii) In caso di pegno irregolare, alla data della dichiarazione di fallimento il bene assoggettato a pegno è in proprietà del creditore pignoratizio. Sicché la garanzia del creditore si realizza “non “sul patrimonio del fallito”, bensì sugli stessi beni già entrati - al momento della consegna e per effetto della garanzia - nel patrimonio del creditore”, come puntualmente osservato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella succitata sentenza n. 202/2001. Anzi, per effetto del meccanismo compensativo sopradescritto, nello stesso momento dell'apertura del fallimento si verifica l'estinzione delle rispettive partite di dare e avere relative alla prestazione garantita rimasta inadempiuta e all'obbligazione di restituzione dell'equivalente del bene in pegno da parte della banca. Può residuare solo l'obbligo del creditore pignoratizio di restituire il valore del bene eccedente il debito impagato, nel caso in cui il pegno abbia valore superiore alla prestazione garantita o può residuare, nel caso opposto di garanzia insufficiente, una parte di credito della banca per cui dovrà essere proposta domanda di ammissione al passivo (senza garanzia pignoratizia, già escussa).

(iii) A metà tra le suddette ipotesi può essere collocato il pegno con diritto di utilizzazione, in quanto tale garanzia speciale può essere assimilata - come anticipato - al pegno regolare ovvero al pegno irregolare, nel caso in cui il contratto di pegno contenga una “clausola di «close-out netting»” a norma dell'art. 5, comma 4, d.lgs. 170/2004.

(a) In caso di contratto di pegno con diritto di utilizzazione privo di clausola di close-out netting, il creditore pignoratizio non diviene proprietario dell'attività finanziaria in garanzia, ma può “utilizzarla” anche cedendola a terzi. Qualora il creditore si avvalga di tale facoltà, questi sarà tenuto a ricostituire la garanzia entro la scadenza dell'obbligazione garantita, con obbligo di ritrasferire in favore del garante strumenti finanziari della stessa specie e valore complessivo di quelli oggetto della garanzia originaria entro la predetta data. Sicché in ipotesi di “scadenza dell'obbligazione garantita” determinata dal fallimento, la garanzia dovrà essere ricostituita mediante il riaccredito in favore del fallito di attività finanziarie equivalenti, che seguiranno la sorte dei beni oggetto di pegno regolare nei termini sopra riassunti.

(b) Diverso è, invece, il caso del contratto di pegno con diritto di utilizzazione con clausola di close-out netting, ossia la “clausola di interruzione dei rapporti e pagamento del saldo netto” secondo la definizione fornita dall'art. 1, lett. f), d.lgs. 170/2004. Tale clausola consiste nella previsione contrattuale in forza della quale, in caso di evento determinante l'escussione del pegno, l'obbligazione del debitore garantita e l'obbligazione del creditore pignoratizio di ricostituire la garanzia nei termini predetti diventano immediatamente esigibili e il relativo valore viene compensato, quantificando così la somma netta dovuta dalla parte il cui debito è più elevato. La clausola, cioè, permette di considerare esistente solo l'esposizione netta, come avviene nell'ambito del pegno irregolare. Con la conseguenza che se il debito dell'istituto di credito per la ricostituzione della garanzia supera quello del debitore principale non sarà necessario domandare l'ammissione al passivo, in quanto al momento del fallimento il creditore pignoratizio non risulterà più titolare di un credito verso il fallito.

La qualificazione del pegno, quindi, assume un rilievo concreto ai fini del soddisfacimento del creditore pignoratizio nell'ambito del fallimento del debitore garante; rilievo che non pare essere stato pienamente valorizzato dal giudice sondriese.

Guida all'approfondimento

GUIDA ALL'APPROFONDIMENTO – In giurisprudenza, oltre alle citate Cass., Sez. Un., 14 maggio 2001, n. 202, e Cass. 6 febbraio 2018, n. 2818, si vedano Cass. 11 giugno 2019, n. 15621; Cass. 7 marzo 2018, n. 5481; Cass. 8 agosto 2016, n. 16618; Cass. 21 novembre 2014, n. 24865; Cass. 12 settembre 2011, n. 18597; Cass. 6 dicembre 2006, n. 26154; Cass. 16 giugno 2005, n. 12964; Cass. 24 maggio 2004, n. 10000; Cass. 3 aprile 2003, n. 5111; Trib. Brescia 27 gennaio 2015, in questo portale, 2015.

In dottrina, Falcone, Accertamento dei crediti bancari, in Fall., 2021, 1, 105 ss.; Rossi, Appunti in tema di escussione delle garanzie finanziarie e accertamento concorsuale del passivo, in Corr. Giur., 2016, 4, 522 ss.; nonché in tema di pegno con diritto di utilizzazione Tarolli, Le garanzie finanziarie: il diritto di utilizzazione dell'oggetto della garanzia, in Giur. comm., 2005, 6, I, 872 ss., e Minneci, La stabilità degli effetti indotti dalle clausole di close-out netting, in Contratti, 2009, 5, 501 ss.

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