Violazione delle distanze ma solo se la strada è pubblica

Donato Palombella
27 Ottobre 2021

Il caso in esame ha ad oggetto l'interpretazione dell'art. 905 c.c. La norma civilistica prevede che «non si possono aprire vedute dirette verso il fondo del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo». A finire sotto la lente è, in particolare, il terzo ed ultimo comma, il quale prescrive che «il divieto cessa allorquando tra i due fondi vicini vi è una via pubblica». A questo punto abbiamo un problema: cosa si intende per ‘via pubblica'?

Il caso in esame. Il caso di cui di discute non è certamente dei più semplici, nasce nel lontano 2001 ed è caratterizzato da continui cambi di rotta. Il proprietario di un fondo presenta una denuncia di nuova opera lamentando l'apertura di vedute dirette sulla propria proprietà da parte del vicino. Si lamenta perché sarebbero state violate sia le norme civilistiche (che prescrivono la distanza di un metro e mezzo) che quelle previste dal piano regolatore (che prevedono una distanza di ben 5,25 metri).

Il ricorso viene respinto e la controversia si sposta in Tribunale. A questo punto sorge una questione destinata a trascinarsi, con alterne vicende, per i prossimi venti anni. A quanto pare le due proprietà erano separate da una strada su cui i convenuti esercitavano una servitù di passaggio. Il Tribunale, accertata che la strada aveva una larghezza compresa tra i due e i cinque metri e mezzo, quindi superiore alla distanza minima prevista dall'art. 905 c.c. Di conseguenza, rigetta la domanda.

Il giudizio di appello. La Corte territoriale cambia prospettiva. Non si tratta più di misurare la distanza tra la veduta e il fondo o di discutere della larghezza della strada. Tutta la discussione è superata da un elemento che taglia la testa al toro. La Corte accerta che i due fondi sono separati da una strada di proprietà del comune per cui si tratterebbe di una strada pubblica. Si rende quindi applicabile il terzo comma dell'art. 905 c.c. Come da copione la decisione viene impugnata.

Arriviamo in Cassazione. La Cassazione, con ordinanza del 26/06/2013 n. 16200, cassa la sentenza della Corte d'Appello. La circostanza che i due fondi siano divisi da una strada di proprietà del comune non vuol dire, necessariamente, che sia esclusa l'applicazione dell'art. 905 c.c. Affinché la norma sia applicabile, è necessario che si tratti di una strada pubblica con ciò intendendosi una strada utilizzata dalla collettività che, per l'appunto, percorrendola liberamente, potrebbe esercitare l'inspectio nei fondi limitrofi. Nel caso in esame, sottolineano gli Ermellini, non vi è nulla di tutto questo. Le parti, pur in lite tra loro, convergevano su un punto: la strada che separava le due proprietà era utilizzata esclusivamente dal convenuto per accedere al proprio fondo. Non si trattava, quindi, di una vera e propria strada pubblica, bensì di una strada comunale posta al servizio di un cittadino. Di conseguenza, la decisione d'appello viene cassata e la causa viene rimessa nuovamente alla Corte territoriale.

Quando può parlarsi di ‘strada pubblica'. I Giudici sottolineano che, affinché si possa parlare di strada pubblica, è necessario che questa sia liberamente percorribile da parte di tutti i cittadini. La strada può essere considerata “pubblica” ove ciò risulti dal titolo che può essere costituito da un provvedimento dell'autorità (che, per esempio, può aver acquisito la proprietà del bene attraverso un procedimento ablativo) o da una convenzione (si pensi, per esempio, ad una convenzione di lottizzazione). Abbiamo anche l'ipotesi in cui la sede stradale possa essere usucapita. Nel caso in esame, però, non si può parlare di usucapione in quanto la stradella non veniva utilizzata dall'intera collettività bensì, solo ed esclusivamente, dai proprietari che la percorrevano per accedere ai propri terreni.

Il rinvio. In sede di rinvio la causa, ancora una volta, prende una svolta diversa. Il giudice del rinvio, prendendo in esame la documentazione in atti e, in particolare modo, la documentazione fotografica, si rende conto che la stradella dava accesso non solo alla proprietà dei convenuti, ma anche ad una cabina elettrica e ad un deposito del comune. Tale porzione di strada, quindi, era liberamente percorribile e poteva essere potenzialmente utilizzata da chiunque per l'accesso sia alla cabina elettrica che al deposito. Questo segmento di strada, quindi, doveva essere considerato pubblico a tutti gli effetti. Di conseguenza, chi percorreva la strada pubblica poteva liberamente volgere lo sguardo in ogni direzione ed esercitare l'inspectio sul fondo dell'attore. Questo, quindi, non poteva lagnarsi se il convenuto aveva aperto delle nuove vedute in quanto l'intera collettività esercitava già da tempo il diritto che si presumeva leso. Ormai la situazione è incancrenita, anche questa decisione (ovviamente) viene impugnata e la causa ritorna alla Cassazione.

La causa ritorna nuovamente alla Cassazione. Gli attori, pensando di aver avuto partita vinta con la precedente ordinanza della Cassazione (per ovvi motivi) non condividono la decisione del giudice di rinvio ed impugnano la decisione del giudice di rinvio. Si lamentano perché la Corte non si sarebbe attenuta al principio contenuto nell'ordinanza n. 16200/2013. La seconda sezione civile della Corte di Cassazione, con l'ordinanza del 12 ottobre 2021 n. 27724 pone finalmente fine all'annosa vicenda.

La Cassazione spiega che il giudice del rinvio non è sempre tenuto ad attenersi pedissequamente all'ordinanza di rinvio ben potendo procedere ad una diversa valutazione dei fatti purché, ovviamente, la legge venga correttamente interpretata. Nel caso in esame il giudice di rinvio (correttamente) non ha considerato la strada solo ed esclusivamente come via di accesso al fondo del convenuto, ma ha avuto una visione più ampia. E' stato quindi accertato che essa permetteva l'accesso ad altre proprietà ovvero, quantomeno, ad una cabina elettrica e ad un deposito. Ciò sta a significare che chiunque (e non solo i convenuti) avevano la potenziale possibilità di percorrere quella strada. In altre parole, il giudice di rinvio ha avuto una diversa visione, ben più ampia, dei dati di fatto a sua disposizione. Questa nuova valutazione non è stata effettuata raccogliendo nuovi mezzi probatori bensì solo e semplicemente dando una diversa valutazione alla documentazione già presente nel fascicolo. Di conseguenza, la Cassazione conferma il verdetto del giudice di rinvio.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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