Mancato rispetto delle preclusioni istruttorie non rilevato in primo grado: è possibile il rilievo officioso in appello?

Giusi Ianni
28 Ottobre 2021

La violazione del regime delle preclusioni istruttorie stabilite dal codice di rito per il giudizio di primo grado può e deve essere rilevata d'ufficio dal giudice. Ove, tuttavia, il giudice di primo grado non rilevi tale inosservanza e le parti non deducano tale omissione come motivo di gravame, la violazione non può essere oggetto di rilievo officioso da parte del giudice dell'appello.
Massima

La violazione del regime delle preclusioni di cui all'art. 183 c.p.c. può essere rilevata d'ufficio dal giudice per tutta la durata del grado in cui si verifica, ma non anche nel grado successivo, giacché la regola di cui all'art. 157, comma 3 c.p.c. - secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, né da quella che vi ha rinunciato anche tacitamente - non opera per il medesimo arco temporale, concernendo le sole nullità determinate dal comportamento della parte, ma che non siano rilevabili d'ufficio, ed inoltre giustificandosi la mancata operatività di detta disposizione fino a quando il potere officioso del giudice sussista e sia esercitabile come quello della parte.

Il caso

La Corte d'Appello di Roma, respingendo il gravame proposto dalla Alfa srl, confermava la sentenza che in primo grado aveva rigettato la domanda di risarcimento danni avanzata dalla medesima appellante contro il Consorzio Beta e la società Gamma, in relazione al furto con scasso avvenuto all'interno della propria gioielleria, sita all'interno del centro commerciale facente capo al Consorzio Beta e sottoposta a servizio di vigilanza affidato alla società Gamma.

Il Tribunale, in particolare, dopo aver istruito la causa a mezzo di prova testimoniale, aveva rigettato la domanda risarcitoria della società attrice, in dichiarata applicazione del principio della «ragione più liquida», per la mancata prova del pregiudizio sofferto, con decisione confermata dal giudice d'appello che, appunto, respingeva il gravame esperito dall'attrice soccombente ritenendo inutilizzabili, per quanto qui rileva, i documenti prodotti dopo la scadenza dei termini ex art 183 c.p.c. concessi dal giudice di prime cure.

La questione

Avverso la decisione della Corte d'appello interponeva ricorso per Cassazione la società Alfa, articolando nove motivi di impugnazione. Di questi, era ritenuto fondato quello afferente la dedotta violazione dell'art. 161 c.p.c. e dei principi sul giudicato interno, per avere la Corte d'appello dichiarato l'inutilizzabilità dei documenti prodotti nel giudizio di primo grado in assenza di qualsiasi motivo di appello. La sentenza impugnata era, quindi, annullata con rinvio al giudice del merito.

Le soluzioni giuridiche

Nella decisione in commento i giudici di legittimità, muovendo dalla constatazione che, effettivamente, il giudice d'appello aveva rilevato, in mancanza di qualsiasi motivo di gravame articolato sul punto e, quindi, ex officio, la tardività di una produzione documentale avvenuta in primo grado, ritenendo quei documenti inutilizzabili ai fini del decidere, osservano, richiamando un principio già affermato in seno alla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. III, sent., 30 agosto 2018, n. 21381; Cass. civ., sez. III, ord., 4 novembre 2020, n. 24483; Cass. civ., sez. un., sent., 31 gennaio 2019, n. 2481), che la violazione del regime delle preclusioni di cui all'art. 183 c.p.c., pur potendo essere dedotta dalla parte (o rilevata d'ufficio dal giudice di prime cure) per tutta la durata del grado in cui si verifica, solo in quell'arco temporale non soggiace alla regola dell'art. 157, comma 3, del medesimo codice (che preclude il rilievo della nullità ad opera sia della parte che vi ha dato causa, che di quella che vi ha rinunciato anche tacitamente), essendo quest'ultima norma che «confina il suo ambito alle sole nullità determinate dal comportamento di una parte che siano a rilievo non officioso». Poiché, però, l'esclusione della preclusione è «ancorata all'esistenza del potere officioso del giudice», risulta «logicamente sostenibile che essa si giustifichi temporalmente solo fino a quando il potere officioso del giudice sussista e sia esercitabile come quello della parte», giacché, viceversa, allorquando tale potere officioso cessi, non può che venire meno «quell'esigenza logica, per così dire di par condicio fra parte e giudice, che giustifica che i poteri di rilevazione si conservino per entrambi ancorché la nullità sia stata determinata originariamente dalla parte»; verificatasi, pertanto, tale evenienza «la regola dell'art. 157, comma 3, c.p.c., può e deve riespandersi». Posto, quindi, che la Corte d'appello non aveva il potere di rilevare d'ufficio l'inosservanza del termine decadenziale di cui all'art. 183 c.p.c. nel giudizio di primo grado, la Suprema Corte annullava la sentenza impugnata, con rinvio al giudice del merito, che avrebbe dovuto prendere in considerazione tutti i documenti in atti ai fini della decisione sul gravame, compresi quelli la cui produzione in primo grado la Corte territoriale aveva ritenuto tardiva.

Osservazioni

E' pacifico che le preclusioni istruttorie stabilite dal codice di rito per il giudizio di primo grado – come delineate dall'art. 183 cpc - siano poste a tutela non solo dell'interesse delle parti, ma anche dell'interesse pubblico a scongiurare l'allungamento dei tempi del processo, sicché la relativa inosservanza può e deve essere rilevata d'ufficio dal giudice, indipendentemente dall'atteggiamento processuale della controparte, che non si opponga, ad esempio, all'ammissione di prove tardivamente articolate o alla produzione tardiva di documenti. Trattandosi, infatti, di violazione rilevabile d'ufficio, essa non soggiace al regime di cui all'art. 157, comma 3, c.p.c. secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, né da quella che vi ha rinunciato anche tacitamente.

Ove, tuttavia, il giudice di primo grado non rilevi tale inosservanza ai fini della sua decisione e le parti non deducano tale omissione come motivo di gravame, la violazione non può essere oggetto di rilievo officioso da parte del giudice dell'appello, in quanto, sulla base dell'art. 161 c.p.c., tutti i motivi di nullità della sentenza (salvo l'omessa sottoscrizione della stessa da parte del giudice) si convertono in motivi di impugnazione, sicché, ove l'impugnazione manchi, sul punto è destinato a formarsi un giudicato interno preclusivo sia della rilevabilità d'ufficio da parte del giudice d'appello, sia della sua deducibilità in Cassazione ad opera della parte interessata.

La sentenza in commento, tuttavia, sembra andare oltre, giustificando anche la conclusione dell'insussistenza, in capo alle parti, del potere di impugnare la sentenza di primo grado per l'omesso esercizio, da parte del giudice, del potere di rilievo officioso della violazione delle preclusioni istruttorie stabilite dal codice di rito.

In essa, infatti, premessa l'inapplicabilità della disciplina di cui all'art. 157, comma 3, c.p.c. alle nullità rilevabili d'ufficio, si osserva che tale inapplicabilità si giustifica temporalmente solo fino a quando il potere di rilievo officioso del giudice sussista e sia esercitabile come quello della parte; allorquando, invece, tale potere officioso cessi, perché il giudice ometta di esercitarlo entro la fine del grado di giudizio, la preclusione di cui all'art. 157, comma 3, c.p.c. torna ad espandersi, venendo meno quell'esigenza logica di par condicio fra parte e giudice, che giustifica che i poteri di rilevazione si conservino per entrambi ancorché la nullità sia stata determinata originariamente da una delle parti.

Deve, quindi, ritenersi che non sia consentito alle parti dedurre la nullità della sentenza per mancato esercizio del potere di rilievo officioso da parte del giudice, a ciò ostando il disposto dell'art. 157, comma 3, c.p.c. sia rispetto alla parte che vi abbia dato causa con il suo comportamento, sia rispetto alla parte che, omettendo di rilevarla, abbia contribuito al permanere della violazione lamentata (in tal senso, cfr. Cass. civ., sez. III, 30 agosto 2018, n. 21381, richiamata anche nella sentenza in commento).

Trattasi di principio che trova, tuttavia, un temperamento nel caso in cui venga in rilievo una nullità per cui la legge prevede il rilievo officioso ad iniziativa del giudice anche nel grado di giudizio successivo (si può pensare, ad esempio alla rilevazione di un vizio del contraddittorio non emendato dal giudice di primo grado con il rimedio di cui all'art. 102 c.p.c.), nonché in tutte quelle ipotesi in cui venga in rilievo un'eccezione «in senso lato», consistente nell'allegazione o rilevazione di fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto dedotto in giudizio, sempre rilevabile d'ufficio anche dal giudice dell'impugnazione purché il fatto emerga dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo (cfr., tra le tante, Cass. civ., sez. III, ord., 6 maggio 2020, n. 8525).

Discorso diverso, inoltre, deve essere fatto per l'ipotesi in cui la parte, tempestivamente (e, quindi, con la prima difesa utile) abbia eccepito il mancato rispetto della preclusione istruttoria e l'eccezione sia stata disattesa o non sia stata presa in esame dal giudice di primo grado, ricorrendo, in tale ipotesi, un vizio suscettibile di convertirsi in motivo di impugnazione ai sensi dell'art. 161 c.p.c. (fermo sempre il formarsi del giudicato implicito ove il motivo di impugnazione non venga articolato).

Riferimenti

Sulla stessa tematica della sentenza in commento si veda Cass. civ., sez. III, sent., 30 agosto 2018, n. 21381.