Giudizio di opposizione e revocazione per errore di fatto nella verifica dei crediti

29 Ottobre 2021

Deve dichiararsi inammissibile la domanda di revocazione per errore essenziale di fatto proposta avverso il decreto emesso all'esito del giudizio di opposizione ex art. 98 l.f., quando l'errore denunciato attenga ad un punto controverso sul quale il Tribunale si sia pronunciato e riguardi un documento non ritualmente prodotto nel giudizio di opposizione.
Massima

Deve dichiararsi inammissibile la domanda di revocazione per errore essenziale di fatto proposta avverso il decreto emesso all'esito del giudizio di opposizione ex art. 98 l.f., quando l'errore denunciato attenga ad un punto controverso sul quale il Tribunale si sia pronunciato e riguardi un documento non ritualmente prodotto nel giudizio di opposizione.

Il caso

Un creditore, ammesso al passivo fallimentare in misura parziale rispetto a quanto richiesto, proponeva opposizione allo stato passivo, a fronte della quale la Curatela – nel costituirsi - eccepiva in via preliminare la tardività del deposito della documentazione posta a corredo del ricorso, da produrre a pena di decadenza ex art. 99, comma 4, l.f., entro il termine per promuovere l'opposizione.

Il Tribunale – in accoglimento di tale eccezione - rigettava l'opposizione, rilevando il tardivo deposito della documentazione indicata nel ricorso e di cui l'opponente intendeva avvalersi, in quanto intervenuto il giorno successivo alla scadenza del termine di legge.

Contro tale provvedimento il creditore insorgeva e ne chiedeva la revocazione per errore di fatto del Tribunale ex art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c., assumendo che tale documentazione era stata in realtà tempestivamente inoltrata per il deposito telematico nell'ultimo giorno utile (avendo il sistema PEC del Ministero generato la ricevuta di avvenuta consegna del plico con gli allegati in tale giorno, ed avendo invece la cancelleria provveduto alla accettazione del deposito solo il giorno seguente), e producendo al riguardo – per la prima volta in sede di revocazione - la scansione per immagine PEC comprovante la tempestività di tale deposito.

La questione giuridica e la relativa soluzione

Sulla base di tali premesse il Tribunale di Lecce è stato quindi chiamato a valutare se, decidendo nei termini sopra illustrati, il giudice fallimentare fosse o meno incorso in un errore di fatto rilevante ai sensi dell'art. 395, comma 1, n. 4 c.p.c., per aver acclarato una circostanza – il tardivo deposito della documentazione allegata al ricorso ex art. 98 l.f. – “incontrastabilmente esclusa dagli atti o documenti della causa”, secondo quanto desumibile dalla documentazione prodotta in sede di revocazione dall'attore.

A tale questione il Tribunale fornisce (condivisibilmente) risposta negativa, sulla base di una duplice ratio decidendi:

a) in primo luogo, perché la questione decisiva sollevata in sede di revocazione (riguardante il tardivo/tempestivo deposito della documentazione posta a sostegno del ricorso in opposizione ex art. 98 l.f.) aveva già formato oggetto di formale eccezione della curatela e di conseguente discussione nel giudizio di opposizione, con ciò dovendosi quindi escludere la sussistenza di un errore di fatto del Tribunale, e potendo al più parlarsi di un error in iudicando, rimediabile solo con gli ordinari mezzi di impugnazione;

b) in secondo luogo, perché la documentazione che risultava necessaria per dimostrare la tempestività del deposito della documentazione indicata nel ricorso ex art. 98 l.f. era stata inammissibilmente prodotta per la prima volta nell'ambito del giudizio revocatorio, e non nel primo giudizio dinanzi al Tribunale fallimentare.

Osservazioni

Lo speciale procedimento fallimentare – così come il processo ordinario – consente che un provvedimento decisorio divenuto cosa giudicata possa, in determinati casi di eccezionale gravità e tassativamente indicati dalla legge, essere sottoposto a riforma, per il fine supremo del raggiungimento della giustizia sostanziale o – per meglio dire – dell'adeguamento a questa della giustizia formale.

A questa finalità risponde lo strumento della revocazione previsto dall'art. 98, comma 4, l.fall. (riprodotto senza variazioni dall'art. 206, comma 5, Codice della Crisi), che si configura pertanto quale rimedio “estremo”, diretto, “da un lato, ad espungere dal concorso fallimentare una ragione di credito ammessa ingiustamente con un provvedimento ormai definitivo e, dall'altro, a rendere effettivo il principio della parità di trattamento tra i creditori, che sarebbe gravemente vulnerato se dovesse rimanere intangibile un credito la cui ammissione è stata frutto di slealtà di un creditore verso gli altri, di un errore del giudice o di una apparente situazione successivamente contraddetta dal rinvenimento di un documento decisivo” (così Trib. Novara, 8 luglio 2010, Futuro s.p.a. c. Filatura di Grignasco s.p.a. in a.s., inedita, e Trib. Novara, 29 luglio 2010, Fall. Finimmobiliare s.r.l. c. Banca Pop. Intra s.p.a., inedita).

Proprio perché idoneo ad annullare un provvedimento di contenuto decisorio non più impugnabile con i mezzi di impugnazione ordinari, per il decorso dei relativi termini che regolano la proposizione del gravame, la revocazione in esame è quindi un rimedio straordinario (per tutte Cass. 27 dicembre 2013, n. 28666, in Fall., 2014, 148; Cass., 17 aprile 2013, n. 9318, ibidem, 111), che rappresenta il risultato dell'adattamento alla disciplina del processo fallimentare della revocazione prevista dall'art. 396 c.p.c. (che richiama – quanto alle condizioni di procedibilità dell'azione – i nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 c.p.c.) e dell'opposizione revocatoria di terzo di cui all'art. 404, comma 2, c.p.c., configurandosi – come si è detto con felice sintesi – “un rimedio straordinario che fonde in sé motivi della revocazione e della opposizione di terzo” (Cecchella, Il diritto fallimentare riformato, Milano, 2007, 129).

La revocazione ordinaria e quella fallimentare presentano in effetti molti aspetti comuni, e ciò soprattutto a seguito dell'intervento del legislatore della riforma del 2006, che ha eliminato alcuni elementi di differenziazione che essi presentavano in passato, omologando per certi versi i relativi limiti di operatività. Così, ad esempio:

- l'impugnazione fallimentare può essere diretta non solo contro provvedimenti decisori che abbiano ammesso un credito o una garanzia, ma anche contro quelli che li abbiano respinti, così come l'impugnazione di diritto ordinario è diretta contro tutte le sentenze indistintamente;

- l'art. 98 l. fall. , ispirandosi agli artt. 325 e 326 c.p.c., subordina espressamente la proposizione della revocazione fallimentare al rispetto del termine di trenta giorni dalla scoperta del fatto o del documento;

- secondo la legge fallimentare del 1942 in sede fallimentare era sufficiente – quale presupposto di fatto per l'esperibilità del rimedio – il rinvenimento di documenti decisivi “prima ignorati” (art. 102 l. fall.), mentre l'attuale quarto comma dell'art. 98 l. fall. richiede, più restrittivamente, la “mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile”, con formula che riecheggia quella dell'art. 395 c.p.c., laddove tale disposizione si riferisce al rinvenimento di documenti decisivi “che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario”.

Fra i motivi di revocazione l'art. 98, comma 4, l.f. contempla l'errore essenziale di fatto, fattispecie per molti versi assimilabile a quella della corrispondente impugnazione straordinaria di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c. Non a caso la (per il vero scarsa) giurisprudenza che ha delineato i contorni di tale fattispecie ha ribadito i consolidati principi enunciati con riferimento alla corrispondente norma di diritto comune, affermando che, (anche) ai fini della revocazionedi credito ammesso, l'errore essenziale di fatto deve essere ricostruito in termini di “brutale svista che attiene alla sfera della percezione” (Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova, 2012, 442), e deve pertanto consistere in una falsa percezione della realtà fattuale da parte del giudice (e non della curatela: Trib. Monza, 15 febbraio 2012, in Banca Dati Pluris), che sia obiettivamente ed immediatamente rilevabile senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche, e sia stata determinante rispetto all'ammissione del credito contestato, restando escluso che detto errore possa concretarsi in un inesatto apprezzamento del materiale probatorio od in un'errata valutazione giuridica di un fatto o del contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti (Cass. 4 luglio 2014, n. 15349, in Fall., 2015, 743; Cass. 3 aprile 2009, n. 8180; Trib. Monza, 9 gennaio 2013, in ilcaso.it; Trib. Milano, 28 novembre 2012, BKN Fiduciaria s.p.a. in l.c.a. c. Ferrari e altri, inedita; Trib. Biella, 9 novembre 2009, in Fall., 2010, 377).

Per la sussistenza dell'errore di fatto, in generale, si ritengono quindi necessari i seguenti presupposti (cfr. Trib. Novara, 29 luglio 2010, cit., e Trib. Novara, 26 ottobre 2012, che riprendono testualmente Tedeschi, L'accertamento del passivo, in Le riforme della legge fallimentare, a cura di A. Didone, I, Torino, 2009, 1035; Cass., 5 ottobre 2007, n. 20917, in Guida al dir., 2007, fasc. 45, 105; Cass., 28 febbraio 2007, n. 4640, in Corr. giur., 2008, 359):

- mancanza di qualsiasi componente valutativo-ricostruttiva, ma mera assunzione di fatti;

- contrasto totale tra l'assunzione dei fatti erroneamente percepiti e gli atti e documenti di causa;

- decisività del fatto cui attiene l'errore, e quindi sussistenza di un rapporto di causalità tra l'erronea percezione del giudice e la pronuncia da lui emessa, tale che, una volta eliminato l'errore, cada il presupposto su cui la pronuncia è basata;

- insussistenza di un contrasto tra le parti sul punto erroneamente prospettato;

- assoluta evidenza ed obiettività dell'errore, nel senso della sua “rilevabilità sulla scorta del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio, senza che si debba, perciò, ricorrere all'utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi” (Cass. 7 febbraio 2007, n. 2713).

Resta invece controverso se l'errore revocatorio, che ai sensi dell'art. 395 n. 4 c.p.c. deve risultare “dagli atti o documenti della causa”, possa essere desunto solo dalle evidenze documentali già a disposizione del primo giudice, o anche da quelle acquisite ex novo nel giudizio di revocazione.

Una prima lettura propende infatti per la soluzione più restrittiva, osservando che, secondo la lettera della norma citata, l'errore di fatto si risolve in un errore di percezione del giudice risultante dagli atti o documenti della causa, e quindi non sarebbe configurabile rispetto ad atti o documenti che non siano stati ritualmente prodotti nel primo giudizio, con conseguente inammissibilità della produzione, nell'ambito del giudizio di revocazione, di nuovi documenti al fine di dimostrarne la sussistenza (così Cass., 20 giugno 2002, n. 8974; in senso conf., oltre Cass. 5 febbraio 2020, n. 2619, richiamata nel provvedimento in rassegna, Cass., 21 ottobre 1982, n. 5482; in dottrina v. fra gli altri Fazzalari, Revocazione. Dir. proc. civ., in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 297; Petrillo, Sub art. 395 c.p.c., in Commentario del c.p.c., dir. da Comoglio, Consolo, Sassani, Vaccarella, V, Torino, 2013, 64; l'orientamento è diffusamente condiviso anche dai giudici amministrativi: cfr. da ultimo Cons. Stato Sez. IV, 12 maggio 2020, n. 2977; Cons. Stato Sez. IV, 3 maggio 2019, n. 2889).

Altro orientamento, che ha trovato seguito in alcune recenti decisioni di legittimità, sostiene invece che l'errore di fatto possa essere legittimamente desunto anche da documenti non disponibili da parte del primo giudice, e prodotti per la prima volta nell'ambito del giudizio revocatorio (Cass. 3 novembre 2020, n. 24327, in Giur. it., 2021, 1638; Cass. 14 novembre 2019, n. 29634, ivi, 2020, 837). Conclusione, questa, che è stata ritenuta ancor più valida per la revocazione fallimentare, in relazione alla quale la legge non richiede espressamente che l'errore risulti “dagli atti o documenti della causa”, ed il requisito de quo è quindi stato valutato più estensivamente, nel senso che l'errore non deve necessariamente risultare ex actis, ma può essere provato con ogni mezzo ammesso dalla legge, ed anche nel corso dello stesso procedimento di revocazione (così Cass., 19 ottobre 2017, n. 24704, in Fall., 2018, 252; Cass., 3 aprile 1971, n. 949; T Trib. Milano, 28 ottobre 2010, Fall. Interservice Emilia Romagna s.r.l. in liquid. c. Fouda, inedita).

Conclusioni

Nel decidere, con il provvedimento in rassegna, la fattispecie descritta in premessa, il Tribunale di Lecce ha dato corretta applicazione a principi consolidati laddove ha escluso l'errore revocatorio per non essere attinente ad un punto incontroverso tra le parti, e sul quale la decisione del primo giudice non abbia espressamente motivato: nel caso di specie la questione della tardiva produzione dei documenti indicati nel ricorso era stata infatti espressamente sollevata dalla curatela, e in merito ad essa le parti avevano successivamente interloquito nel corso del giudizio di opposizione, sicchè il collegio aveva svolto, in merito a tale punto, un'attività valutativa in ordine alla fondatezza delle contrapposte posizioni, che pacificamente esula dall'ambito dell'errore di fatto.

Sebbene tale aspetto fosse già di per sé dirimente per negare la richiesta revocazione, il collegio salentino è andato oltre, valorizzando – quale ulteriore motivo a giustificazione della declaratoria di inammissibilità della domanda attorea – la circostanza che la documentazione volta a provare la tempestiva produzione della documentazione (e, conseguentemente, l'asserito errore del Tribunale fallimentare) era stata prodotta non nel giudizio di opposizione, ma solo in sede di revocazione, con conseguente insussistenza del denunciato errore di fatto.

Sotto tale profilo i giudici leccesi hanno quindi – condivisibilmente - mostrato di voler prestare adesione al più tradizionale e restrittivo orientamento della giurisprudenza sul punto, in precedenza illustrato, che si rivela maggiormente rispettoso del tenore testuale dell'art. 395 c.p.c. e delle caratteristiche proprie dell'errore di fatto revocatorio, e come tale preferibile rispetto alla recenti “tendenze antiletterali” (Russo, Dimostrabilità dell'errore revocatorio attraverso documenti non disponibili al primo giudice, in Giur. it., 2021, 1643) manifestate in argomento dalla Suprema Corte. Se si conviene infatti che l'errore di fatto revocatorio è un errore di percezione del giudice risultante dagli atti e documenti di causa, si deve allora necessariamente ritenere che tale errore possa essere ravvisato solo quando il giudice supponga inesistente un documento ritualmente prodotto ed effettivamente esistente, ma non anche laddove il documento non sia stato mai versato in atti o, pur acquisito in giudizio, non esista materialmente tra gli atti di causa al momento della decisione (per smarrimento, sottrazione, distruzione o ritiro volontario).

In altri termini, e come correttamente osservato in dottrina, se il giudice dispone di un corredo documentale incompleto, e decide senza poter esaminare un determinato documento non versato in atti, non può discorrersi di una sua “svista materiale”, vale a dire di una sua mancata percezione della difformità tra verità materiale e verità processuale. A ritenere diversamente, ed ammettere quindi che l'errore revocatorio possa essere fondato su materiale “sopravvenuto” e non disponibile dal giudice a quo, si perviene in sostanza ad una indebita interpretazione abrogatrice dell'art. 395, n. 4, c.p.c. (nella parte in cui esige che l'errore sia dipeso da una svista del giudice), in virtù della quale lo strumento della revocazione sarebbe sviato dalla sua funzione tipica (quella di porre rimedio agli abbagli del giudice a quo), e destinato piuttosto a consentire una nuova valutazione di un corredo istruttorio diverso e più ampio di quello presente nel primo giudizio (in questi termini Russo, Dimostrabilità dell'errore revocatorio, cit., 1643 ss.).

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