La cooperazione istruttoria nella richiesta di protezione internazionale: la non credibilità del richiedente e il "notorio"
02 Novembre 2021
Massima
Il giudice del merito, nel pervenire alla definizione del proprio convincimento, deve attingere a fonti informative aggiornate ed autorevoli, al fine di consentire lo scrutinio dell'attendibilità e fondatezza delle allegazioni del richiedente, mediante l'esatta individuazione della fonte di conoscenza e il controllo sul contenuto delle informazioni acquisite e sulla riferibilità delle stesse ad una situazione aggiornata. Il caso
Un cittadino proveniente dall'Edo State, in Nigeria, ha proposto ricorso per Cassazione avverso il rigetto del riconoscimento della protezione internazionale da parte del Tribunale di Venezia. Quest'ultimo ha deciso sul gravame avverso la decisione della commissione territoriale, che, a sua volta, aveva respinto l'istanza. Il ricorrente ha impugnato per Cassazione con tre motivi. Con il primo motivo, ha denunciato motivazione apparente o inesistente del provvedimento in relazione alla scarsa credibilità del narrato del ricorrente in relazione al sacrilegio da lui commesso e al conseguente pericolo di morte cui era stato esposto per aver rifiutato di succedere agli avi nel ruolo di custode dell'idolo sacro. Con il secondo motivo, il ricorrente ha censurato la violazione o falsa applicazione dell'art. 3, comma 5, d.lgs. 251/2007, dell'art. 8, comma 3 e 35-bis, n. 9, d.lgs. 25/2008 e dell'art. 1, comma 4, d.l. 416/1989 lamentandosi del mancato svolgimento di alcuna adeguata istruttoria aggiornata in ordine alla situazione dell'Edo State e dei culti animisti Esan. Con il terzo motivo, l'attore ha denunciato l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti con riferimento al diniego di riconoscimento della protezione umanitaria, censurando la mancata verifica della situazione sociopolitica dell'area di provenienza del ricorrente, afflitta da conflitti di lunga durata. La Cassazione ha ritenuto fondati i primi due motivi, che sono stati scrutinati congiuntamente in quanto connessi, e ha dichiarato assorbito il terzo; così ha cassato con rinvio al Tribunale di Venezia, in diversa composizione. La questione
L'ordinanza in commento si occupa dell'onere del giudice del merito di effettuare un aggiornamento informativo sulla situazione di esposizione a pericolo per l'incolumità fisica indicata dal ricorrente e della correlata questione se la non credibilità delle dichiarazioni del richiedente possa minare l'esercizio di tale potere di indagine. Ancor più interessante, ma lo si dirà meglio nel par. «Osservazioni», è il fatto che, secondo l'ordinanza de qua, l'aggiornamento informativo sul paese di provenienza va esperito anche in relazione alla protezione sussidiaria di cui alla lett. b) dell'art. 14 («la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine») ed, al contrario, secondo la giurisprudenza maggioritaria, le cd. «COI» (Country of origin information) vanno acquisite solo in relazione alla lett. c) dello stesso articolo («la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale»).
Le soluzioni giuridiche
La soluzione adottata dalla Corte muove dalla considerazione secondo la quale sussiste in capo al giudice il potere-dovere di indagine d'ufficio circa la necessità di disporre una nuova audizione del richiedente per precisare o chiarire la richiesta (ex art. 4 della Direttiva 2011/95/UE del 13 dicembre 2011) e circa la situazione generale esistente nel paese del richiedente - da esercitarsi dando conto delle fonti normative attinte (Cass. civ., sez. un., sent., 21 ottobre 2008, n. 27310). Nei giudizi per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria vi è un'attenuazione dell'onere della prova ai sensi dell'art. 3, d.lgs. 251/2007 a cui si accompagna il dovere di cooperazione istruttoria incombente sul giudice in ordine all'accertamento delle condizioni aggiornate del Paese d'origine del richiedente asilo di cui agli artt. 8 e 35-bis, comma 9, d.lgs. 25/2008 (Cass. civ., sez. VI, ord. 4 aprile 2013, n. 8282), a condizione che il richiedente abbia adempiuto all'onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto (Cass. civ., sez. VI, ord., 28 settembre 2015, n. 19197). Infatti, il dovere di cooperazione istruttoria officiosa impone al giudice di verificare, principalmente attraverso le COI se nel paese di provenienza sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata, tale da ostacolare il rientro del richiedente (Cass. civ., sez. I, sent.,11 dicembre 2019, n. 32399). Nel caso di specie, il giudice di merito ha omesso di far riferimento a fonti internazionali aggiornate e riferite ai culti praticati in Nigeria, violando così l'onere di specificare la fonte in concreto utilizzata, il contenuto dell'informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione di cui all'art. 8, comma 3, d.lgs. 25/2008 (Cass. civ., sez. I, ord., 17 maggio 2019, n. 13452; Cass. civ., sez. VI, ord., 26 aprile 2019, n. 11312; Cass. civ., sez. I, ord., 27 novembre 2019, n. 30969). Pertanto, l'ordinanza in esame ha ribadito che, ai fini del riconoscimento delle ipotesi di pericolo della protezione sussidiaria ex art. 14 sia lett. b) che lett. c) d.lgs. 251/2007, il giudice è tenuto ad aggiornarsi in relazione alla situazione attuale per verificare se la situazione di esposizione a pericolo per l'incolumità fisica indicata dal ricorrente ed astrattamente sussumibile in entrambe le tipologie tipizzate di rischio (lett. b) «la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine» e lett. c) «la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale»), sia sussistente al momento della decisione. Si aggiunga che, per parte della giurisprudenza, le dichiarazioni del richiedente inattendibili non richiedevano un approfondimento istruttorio officioso per le ipotesi di protezione sussidiaria di cui alle lett. a) e b) dell'art. 14 d.lgs. 251/2008, essendo necessaria una prova legata indispensabilmente alle ricadute soggettive delle condizioni del Paese di provenienza; per altro orientamento, tale ipotesi ricomprendeva anche l'ipotesi di cui alla lett. c). La giurisprudenza più recente, risolvendo tale contrasto, ha ritenuto che l'accertamento di una situazione di rischio effettivo di essere coinvolto in un conflitto armato da violenza indiscriminata (lett. c) preceda qualsiasi valutazione di credibilità del ricorrente. Orbene, anche nel caso in esame, la Corte è giunta a ritenere che, anteriormente all'obbligo di cooperazione istruttoria, il giudice non può conoscere correttamente la situazione dello stato di provenienza ed, inoltre, la non credibilità delle dichiarazioni del richiedente non osta all'esercizio di tale potere di indagine (cfr. Cass civ., sez. III, 12 maggio 2020, n. 8819; Cass. civ., sez. I, ord., 6 luglio 2020, n. 13940; Cass. civ., sez. I, ord., 29 maggio 2020, n.10286; Cass. civ., sez. I, ord., 24 maggio 2019, n. 14283; Cass. civ., sez. VI, ord., 25 luglio 2018t, n. 19716; Cass. civ., sez. VI, ord., 28 giugno 2018, n. 17069; Cass. civ., sez. VI, ord., 16 luglio 2015, n. 14998). A tale regola, tuttavia, non mancano eccezioni. Così, l'obbligo di cooperazione istruttoria del giudice viene meno ove: 1) la valutazione di non credibilità del richiedente riguardi il paese di origine e le relative affermazioni siano false o 2) la ricorrenza dei presupposti della tutela invocata può essere negata in virtù del notorio (Cass. civ., sez. III, ord., 12 maggio 2020, n. 8819). Osservazioni
Un'osservazione interessante – lo si è anticipato – posta dall'ordinanza in questione può riassumersi nei seguenti termini: se il richiedente non è credibile - come nel caso di specie, le COI servono anche nel caso di cui alla lett. b) oltre che – come pacificamente ritenuto – per la lett. c) dell'art. 14 d.lgs. 251/2008. La giurisprudenza consolidata, invece, ritiene che le dichiarazioni del richiedente inattendibili non richiedano un approfondimento istruttorio officioso per le ipotesi di protezione sussidiaria di cui alle lett. a) e b) del medesimo articolo. Tenendo a mente che le situazioni di cui alla lett. b) («la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine») sono suscettibili di esser valutate soggettivamente mentre quelle di cui alla lett. c) («la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale») solo (o per la grandissima parte dei casi) oggettivamente, risulta evidente il paradosso di eguagliare i casi di rischio. Infatti, per il riconoscimento dello status di rifugiato, o della protezione sussidiaria di cui alle lett. a) e b) deve essere dimostrato che il richiedente asilo abbia subito, o rischi di subire, atti persecutori come definiti dall'art. 7 (atti sufficientemente gravi per natura o frequenza, tali da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, ovvero costituire la somma di diverse misure il cui impatto si deve risolvere in una grave violazione dei medesimi diritti), così che la decisione di accoglimento consegue ad una valutazione prognostica dell'esistenza di un rischio ed il relativo requisito essenziale consiste nel fondato timore di persecuzione, personale e diretta, nel paese di origine del richiedente, alla luce di una violazione individualizzata (cioè riferibile direttamente e personalmente al richiedente asilo, da compiersi in base al racconto ed alla valutazione di credibilità operata dal giudice di merito: così Cass. civ., sez. III, 7 luglio 2021, n. 19335). Pertanto, nell'ipotesi di racconto intrinsecamente inattendibile alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva, essendo il racconto affetto da estrema genericità o da importanti contraddizioni interne, la ricerca delle COI è inutile, perché manca alla base una storia individuale rispetto alla quale valutare la coerenza esterna, la plausibilità ed il livello di rischio (Cass. civ., sez. I, 10 marzo 2021, n. 6738). Al contrario, in tema di protezione sussidiaria ex art. 14 lett. c) d.lgs. 251/2008, una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice è tenuto, a prescindere dalla valutazione di credibilità delle sue dichiarazioni, a cooperare all'accertamento della situazione reale del paese di provenienza mediante l'esercizio di poteri officiosi di indagine e di acquisizione documentale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate, le cui fonti dovranno essere specificatamente indicate nel provvedimento, al fine di comprovare il pieno adempimento dell'onere di cooperazione istruttoria (Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 2021, n. 262). Un'altra questione interessante dell'ordinanza in esame è la rilevanza da dare al "notorio" in relazione alla lett. c). Il giudice del merito rigetta l'istanza, in quanto è “notorio” che nell'Edo state non sussista una situazione di violenza indiscriminata. L'ordinanza della Cassazione ribadisce, invece, che solo ove le affermazioni circa il Paese di origine risultino immediatamente false «oppure la ricorrenza dei presupposti della tutela invocata possa essere negata in virtù del notorio, l'obbligo di cooperazione istruttoria verrà meno». Tuttavia, la terminologia «fonti informative privilegiate» dell'art. 8, comma 3, del d.lgs. 25/2008, va interpretata nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell'informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione (Cass. civ., sez. I, ord., 30 giugno 2020, n. 13255), non includendo, dunque, i c.d. fatti notori. Questi sono i fatti che costituiscono dati acquisiti alle conoscenze della collettività con un grado di certezza tale da apparire incontestabili (Cass. civ., sez. II, ord., 16 novembre 2019, n. 33154) e pubblicizzati dalla stampa in un dato momento storico. Dunque, né il giudice né l'avvocato possono limitarsi ad affermare che una data caratteristica del paese di origine è fatto noto, omettendo di indicare le fonti. Allo stesso modo, non si possono ritenere fatti di comune e corrente conoscenza quelli dei Paesi estranei alla Comunità europea (Cass. civ., ord., 19 aprile 2019, n. 11096). In una prospettiva schiettamente processuale, la mancata indicazione delle fonti specificamente utilizzate dal giudice per fondare la decisione assunta implica vizio di motivazione o comunque di motivazione apparente in quanto esprime una valutazione meramente soggettiva e non rende trasparente la valutazione critica di attendibilità e affidabilità della fonte (Cass. civ., sez. I, ord., 19 aprile 2019, n. 11096). Riferimenti
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