Aspetti penalistici della riforma del Codice della crisi: il d.l. n. 118/2021

02 Novembre 2021

L'Autore, dopo essersi soffermato in un precedente articolo sulla figura dell'esperto in un'ottica di carattere penalistico, approfondisce ora le norme di carattere specificamente specialistico contenute nel D.L. 118/2021, in particolare: a) la modifica del comma 3 dell'art. 236 l. fall.; b) la previsione di cui all'art. 12, comma 5, che riproduce il contenuto precettivo dell'art. 217-bis l. fall., stabilendo che le disposizioni degli artt. 216, comma 3, e 217 l. fall. «non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti nel periodo successivo alla accettazione dell'incarico da parte dell'esperto in coerenza con l'andamento delle trattative e nella prospettiva di risanamento dell'impresa valutata dall'esperto» nonché «ai pagamenti e alle operazioni autorizzati dal tribunale».
Premessa

Come è noto, con il d.l. n. 118/2021 è stato introdotto un nuovo strumento negoziale stragiudiziale a favore delle imprese commerciali e agricole per il superamento dello squilibrio patrimoniale e finanziario: la composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa.

In un precedente contributo si è riflettuto sulla figura dell'esperto in un'ottica di carattere penalistico (v. C. Santoriello, Responsabilità penali dell'esperto della “composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa”?, in questo portale, 18 ottobre 2021) ovvero verificando di quali illeciti tale soggetto può essere chiamato a rispondere; tuttavia, a prescindere da tale profilo inerente alle possibili responsabilità criminali di soggetti coinvolti nella nuova procedura di risoluzione delle difficoltà aziendali, va ricordato che il d.l. n. 118 citato contiene alcune norme di carattere specificatamente specialistico; in particolare, va segnalata a) la modifica del terzo comma dell'art. 236 l. fall., che estende la disciplina della vigente disposizione agli «accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e di convenzione di moratoria» nonché al «caso di omologa di accordi di ristrutturazione ai sensi dell'art. 182-bis quarto comma, terzo e quarto periodo» e b) la previsione dell'art. 12, comma 5, d. l. 118/2021, che riproduce il contenuto precettivo dell'art. 217-bis l. fall., stabilendo che le disposizioni degli artt. 216, comma 3, e 217 l. fall. «non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti nel periodo successivo alla accettazione dell'incarico da parte dell'esperto in coerenza con l'andamento delle trattative e nella prospettiva di risanamento dell'impresa valutata dall'esperto» nonché «ai pagamenti e alle operazioni autorizzati dal tribunale».

La modifica dell'art. 236 l. fall.

Quanto alla modifica dell'art. 236, il terzo comma di tale disposizione dopo la riforma introdotta con il d.l. n. 118 in esame prevede che le disposizioni in tema di bancarotta fraudolenta e semplice di cui agli artt. 216 ss. l. fall. si applicano anche agli «accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e di convenzione di moratoria» nonché al «caso di omologa di accordi di ristrutturazione ai sensi dell'art. 182-bis quarto comma, terzo e quarto periodo».

Trattasi di una norma di natura evidentemente incriminatrice, giacché, per l'appunto, consente di rinvenire fatti di bancarotta anche quando l'azienda – anziché essere sottoposta alle procedure concorsuali del fallimento, concordato ecc. – è sottoposta alle forme di risoluzione della crisi di nuovo conio. Sotto questo profilo, la riforma è analoga a quella introdotta con il D.L. n. 83/2015, convertito in legge il 5 agosto 2015, che estese l'operatività delle disposizioni penali di cui agli artt. 223, 224, 227, 232 e 233 agli accordi di ristrutturazione. La modifica attuale presenta i medesimi profili di criticità.

Nonostante in apparenza il raccordo fra l'innovazione rappresentata dal riconoscimento da parte del legislatore della valenza liquidatoria degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e di convenzione di moratoria nonché di omologa di accordi di ristrutturazione ai sensi dell'art. 182-bis, quarto comma, terzo e quarto periodo e la normativa penalistica contenuta nella legge fallimentare paia non particolarmente problematico, una più attenta lettura della riforma fa trapelare non pochi problemi.

A prescindere dalla circostanza che le procedure in parola paiono essere (specie il piano di risanamento) istituti di natura schiettamente privatistica, il profilo problematico del previsto raccordo fra tali due procedure ed i reati di bancarotta è rappresentato dal fatto che il contenuto della previsione di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 236 l. fall., quando riferito al piano di risanamento ed agli accordi di ristrutturazione o convenzioni di moratoria, pecca in maniera ingiustificabile di determinatezza e tassatività.

Nei reati di bancarotta la dichiarazione giudiziale di insolvenza si pone come condizione di punibilità dell'illecito, il quale a sua volta si considera consumato al momento della pronuncia della sentenza; ciò posto, non si vede come calare queste affermazioni in caso, ad esempio, di conclusione di un accordo di ristrutturazione, essendo dubbio quando tale convenzione possa dirsi definita – rileva la conclusione del primo accordo con alcuni creditori o il termine può spostarsi in avanti quando altri soggetti scelgano di aderire alla convenzione? E laddove alcuni soggetti si oppongano all'accordo che alcuni creditori abbiano accettato, la condizione di punibilità andrà rinvenuta nel momento in cui in sede giurisdizionale l'opposizione è respinta?

Tale situazione di incertezza, che riverbera i propri effetti non solo su profili (certo non irrilevanti) quali quello di individuazione del luogo di commissione del reato o del tempo di consumazione dello stesso, ma anche sulla determinazione del momento in cui va valutata la portata offensiva delle diverse condotte tenute dall'imprenditore, rende a nostro parere destinata ad essere inoperante in parte qua la previsione di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 236 .

Limiti all' incriminazione per bancarotta preferenziale e bancarotta semplice

Il secondo intervento di riforma introdotto con il d.l. n. 118/2021 ha esteso «ai pagamenti e alle operazioni compiuti nel periodo successivo alla accettazione dell'incarico da parte dell'esperto in coerenza con l'andamento delle trattative e nella prospettiva di risanamento dell'impresa valutata dall'esperto» nonché «ai pagamenti e alle operazioni autorizzati dal tribunale» la previsione di cui all'art. 217-bis l. fall., ed il “trattamento di favore” in esso previsto a vantaggio dell'imprenditore in crisi.

Con questa disposizione vengono “esentati” (termine sconosciuto al diritto penale e piuttosto riferito ad una esimente speciale) dal reato di bancarotta preferenziale o semplice (non ad altre fattispecie fallimentari) quanti provvedano ai pagamenti e alle operazioni compiute in esecuzione di un concordato preventivo di cui all'art. 160 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'art. 182-bis ovvero di un piano di cui all'art. 67, comma 3, lett. d) o alle operazioni di finanziamento effettuate ai sensi dell'art. 22-quater, comma 1, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, nonché ai pagamenti ed alle operazioni compiuti, per le finalità di cui alla medesima disposizione, con impiego delle somme provenienti da tali finanziamenti".

In questo modo il legislatore ha inteso fornire una qualche forma di soluzione in ordine al trattamento da riservare in sede penale a pagamenti che l'impresa in crisi pone senza l'intenzione di alterare la par condicio creditorum o comunque non allo scopo di favorire alcuno dei debitori, ma all'interno di un più complessivo piano di superamento della crisi dell'impresa, fornendo una sorta di lasciapassare “rispetto a potenziali rischi criminali, a tutti gli operatori economici a vario titolo coinvolti nelle diverse fasi di gestione della crisi (oltre all'imprenditore in stato di difficoltà, anche la massa dei creditori, nonché – e soprattutto – gli enti creditizi chiamati a partecipare alle operazioni di ristrutturazione economico-finanziaria)” (Scoletta, La specialità della causa di esenzione dai reati di bancarotta: funzionalità e limiti scriminanti dell'art. 217 bis l.fall.”, in Crisi dell'impresa, procedure concorsuali e diritto penale dell'insolvenza. Aspetti problematici, a cura di Borsari, Padova, 2015, 394. Si veda anche Chiaraviglio, Il favoreggiamento del creditore nel diritto penale concorsuale, Milano 2020, 391).

Benché in dottrina i riflessi sull'apparato penalistico della nuova disciplina civilistica delle procedure fallimentari e degli istituti di gestione della crisi d'impresa fossero stati fin da subito comunque argomentati attraverso un'interpretazione restrittiva della sfera di tipicità penale delle condotte di bancarotta, rimanevano comunque forti perplessità e incertezze sulla effettiva liceità delle condotte solitamente collocate nel territorio di confine con le ipotesi dei pagamenti preferenziali, penalmente rilevanti ai sensi dell'art. 216 l. fall., piuttosto che con quelle di grave imprudenza, come tipicamente può essere il ricorso al credito rovinoso, e quindi eventualmente rilevanti come fatti di bancarotta semplice ex art. 217 l. fall.. La disposizione in parola, dunque, dovrebbe assicurare, nell'intenzione del legislatore, che le condotte attuative degli istituti di gestione della crisi d'impresa dalla stessa specificamente richiamati “siano sottratte alle maglie punitive della bancarotta preferenziale e/o della bancarotta semplice, cioè alla portata applicativa delle fattispecie incriminatrici che più frequentemente la giurisprudenza penale utilizza per sanzionare non solo l'imprenditore dichiarato fallito ma – talora con un'estensione «a pioggia» della responsabilità a titolo di concorso di persone – anche i soggetti che risultino a diverso titolo coinvolti nelle procedure di risanamento aziendale e di ristrutturazione del debito” (Scoletta, La specialità della causa di esenzione dai reati di bancarotta, cit., 397).

Sotto il profilo degli effetti concreti, l'art. 217-bis è funzionale a salvaguardare l'affidamento dell'imprenditore e dei terzi nell'efficacia delle soluzioni alternative alla crisi di impresa, nella prospettiva di promuovere l'accesso a tali istituti strumentali al superamento delle difficoltà aziendali.

Con riferimento ai presupposti per l'operatività della disposizione in relazione agli istituti richiamati dal d.l. n. 118/2021, a prescindere dagli adempimenti autorizzati dal tribunale, della cui liceità evidentemente non è dato nemmeno discutere, si segnala la circostanza che – mentre la precedente versione dell'art. 217-bis ancorava tali fondamenti applicativi al requisito «modale» della condotta («in esecuzione» di un programma di risanamento dell'impresa posto a fondamento della procedura alternativa di risoluzione della crisi) per cui il decisivo presupposto (strutturale e cronologico) di operatività della speciale esenzione era nella formale asseverazione, – sub specie di omologazione giudiziaria o di attestazione professionale, dei «piani di risanamento», quale elemento fondamentale e comune a tutti gli istituti fallimentari richiamati dall'art. 217-bis l. fall. (sulla centralità, anche in ambito penale, del piano di risanamento, Cavallini, La bancarotta patrimoniale fra legge fallimentare e codice dell'insolvenza, Padova 2012, 189) –; il decreto-legge n. 118/2021 individua un preciso momento temporale a partire da quale può trovare operatività la “benevola” valutazione dei pagamenti e delle operazioni poste in essere dall'imprenditore: essi non sono punibili se compiuti “nel periodo successivo alla accettazione dell'incarico da parte dell'esperto”.

Al contempo, tuttavia, la disposizione in commento introduce un'ulteriore condizione per riconoscere l'irrilevanza penale di tali condotte, le quali devono essere “in coerenza con l'andamento delle trattative e nella prospettiva di risanamento dell'impresa valutata dall'esperto”. Trattasi di un presupposto che presenta innegabili profili di genericità - sotto il profilo della sua definizione – ed incertezza – quanto alla valutazione circa la sua sussistenza nel caso concreto – e ciò può limitare l'accesso ai riti di nuovo conio da parte di quanti temano i rischi penali che possano derivarne e che potrebbero non essere non esclusi per la mancata coerenza rispetto al' ”andamento delle trattative e nella prospettiva di risanamento dell'impresa valutata dall'esperto”. In ogni caso, per valutare la ricorrenza o meno di tale presupposto sarà presumibilmente fondamentale il giudizio che fornirà in proposito l'esperto ed anzi è presumibile che in via di prassi si procederà nel senso di ritenere pienamente giustificati (solo e tutti) i pagamenti e le operazioni espressamente assentite da tali soggetti.

Quanto agli atti negoziali potenzialmente oggetto di esenzione penale, non sono previsti limiti tipologici: la norma, infatti, fa riferimento non solo ai «pagamenti» – cioè alle condotte espressamente rilevanti ai sensi della fattispecie di bancarotta preferenziale – ma anche, genericamente, a tutte le «operazioni», con ciò dimostrando indifferenza rispetto alla forma o alla natura giuridica dell'atto (Alessandri, Novità penalistiche nel codice della crisi d'impresa, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2019, 1815). Non possono rientrare invece nell'esenzione anche quelle operazioni normalmente prodromiche rispetto all'efficace realizzazione della procedura, stante il limite temporale della nomina dell'esperto di cui si è detto.

Quanto alla sorte da riservare alle condotte sottratte alla revocatoria fallimentare ma non richiamate dall'art. 217-bis l. fall., parte preponderante della dottrina propone una interpretazione della fattispecie scriminante da estendere anche alle ipotesi ivi non contemplate per evitare censure di irragionevolezza rispetto al diverso trattamento punitivo riservato ad ipotesi analoghe (Mucciarelli, L'esenzione dai reati di bancarotta, in Dir. Pen. Proc., 2010, 1476; D'Alessandro, Il nuovo art. 217 bis l. fall., in Soc., 2011, 208 ss.; Zincani, Il nuovo art. 217 bis l. fall.: la ridefinizione dei reati di bancarotta, in Fall., 2011, 518; CHIARAVIGLIO, Il favoreggiamento del creditore, cit., 400), ma a prescindere dall'adesione a tale opinione (negata da Bricchetti-Pistorelli, La bancarotta e gli altri reati fallimentari. Dottrina e giurisprudenza a confronto, Milano 2011, 163 e Scoletta, La specialità della causa di esenzione, cit., 413). Si può giungere ad analoga conclusione sulla base di quanto già osservato ancora prima dell'introduzione della clausola di esenzione, facendo cioè leva sulla carenza dell'elemento soggettivo del reato, incompatibile con la consapevolezza di agire nell'ottica del risanamento aziendale, sempre che, come detto, ne ricorrano i presupposti di fatto.

Altra delimitazione dell'ambito applicativo dell'esenzione dalla bancarotta è rappresentata dal novero dei reati richiamati dall'art. 217-bis, i quali sono esclusivamente la bancarotta preferenziale e la bancarotta semplice, peraltro in entrambi i casi limitatamente ad alcune delle ipotesi di cui agli artt. 216, comma 3, e 217, l. fall.

L'esimente, dunque, non rileva in caso di “simulazione di titoli di prelazione”, condotta che sconta un'intrinseca nota di fraudolenza, di decettività nei confronti dei terzi creditori, che risulta all'evidenza incompatibile con la necessaria trasparenza e chiarezza del contenuto di accordi omologati e piani attestati.

Diverso è il caso della costituzione effettiva di garanzie (privilegi, pegni e ipoteche) a favore di taluni creditori, la cui eventuale previsione nell'ambito attuativo di uno dei suddetti istituti di gestione dalla crisi può certamente giocare un ruolo scriminante ai sensi della causa di esenzione dai reati di bancarotta.

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