Trattamento impositivo in caso di scissione parziale asimmetrica

03 Novembre 2021

La scissione parziale asimmetrica è in linea di principio fiscalmente neutrale e il passaggio del patrimonio della società scissa ad una o più società beneficiarie - che non usufruiscano di un sistema di tassazione agevolato - non determina la fuoriuscita degli elementi trasferiti dal regime ordinario d'impresa.
Introduzione

Con la Risposta ad interpello n. 555 del 25 agosto 2021, l'Agenzia delle Entrate ha chiarito il trattamento impositivo in caso di scissione parziale asimmetrica, affermando che la scissione parziale asimmetrica è in linea di principio fiscalmente neutrale e il passaggio del patrimonio della società scissa ad una o più società beneficiarie - che non usufruiscano di un sistema di tassazione agevolato - non determina la fuoriuscita degli elementi trasferiti dal regime ordinario d'impresa.

La vicenda oggetto di interpello

Nel caso di specie, l'istante era socio di una società unipersonale, esercente attività agricola ed immobiliare attraverso il proprio patrimonio, composto da terreni, da un'area edificabile, da altri beni immobili, nonché da una partecipazione di controllo in altra società agricola.

Fino al momento del decesso, avvenuto nel 2016, la società di cui l'istante era socio era interamente detenuta dalla madre.

Per effetto della successione, la quota totalitaria di partecipazione nella stessa società era stata trasferita, come unica quota indivisa - unitamente ad alcuni ulteriori beni immobili in precedenza detenuti direttamente dalla de cuius - ai tre eredi figli, soci A, B e C.

I tre fratelli avevano deciso di a progettare un'operazione di divisione globale del patrimonio ereditario comune, seguita dalla scissione parziale asimmetrica non proporzionale della società in favore di un'altra società a responsabilità limitata unipersonale di nuova costituzione.

In esito alla scissione i soci B ed A avrebbero avuto ognuno una partecipazione totalitaria rispettivamente, nella società scissa unipersonale e nella nuova società beneficiaria unipersonale.

Relativamente alla prima delle operazioni prospettate (scissione), i tre fratelli avevano raggiunto un accordo di massima di divisione, che prevedeva lo scioglimento della comunione ereditaria (comprensiva delle quote rappresentative dell'intero capitale sociale della società ricevuta in successione) mediante la formazione di tre lotti di beni da assegnare ai tre eredi soci A, B e C, e, atteso il diverso valore dei beni oggetto di assegnazione, il pagamento di un conguaglio in denaro da parte del socio B in favore del socio C.

Per effetto di tale accordo la comunione ereditaria tra i figli soci A, B e C sarebbe stata suddivisa assegnando le quote della società ai soci A e B nella misura, rispettivamente, del 51,50% e 48,50%.

Tanto premesso, l'istante evidenziava che il socio C, residente all'estero sin dal 1988, non intendeva essere coinvolto nella società, mentre il socio B era da tempo attivo quale imprenditore nel settore agricolo e particolarmente interessato alla porzione di patrimonio ereditario afferente tale attività.

La divisione era stata pertanto configurata in modo tale da assegnare a ciascuno i beni che allo stesso maggiormente interessavano.

Segnatamente:

- il socio C, residente all'estero, sarebbe stato destinatario di due beni immobili, uno abitativo ed uno a destinazione commerciale ed uso ufficio locato a soggetti terzi (beni non riconducibili all'azienda agricola);

- il socio B sarebbe stato destinatario del 48,50% di quote della società, di due beni immobili (non riconducibili all'azienda agricola), e di una partecipazione rappresentativa dell'intero capitale sociale di altra società esercente attività di locazione immobiliare di beni propri;

- il socio A, infine, sarebbe stato destinatario del 51,50% di quote della società agricola e di un credito vantato dalla de cuius verso la stessa società, caduto in successione.

L'istante evidenziava che la diversa percentuale delle quote assegnate tra i soci A (51,50%) e B (48,50%) non era frutto di una scelta discrezionale, ma delle circostanze dovute:

- al maggior valore che il socio B avrebbe ricevuto dall'attribuzione degli ulteriori beni (incluso un terreno agricolo) facenti capo alla comunione ereditaria rispetto alle quote della società;

- dall'impegno del socio B a corrispondere al socio C un conguaglio in denaro, rispetto al maggior numero di beni immobili siti in Italia.

L'assegnazione delle partecipazioni nella descritta misura ed il pagamento del conguaglio avrebbero avuto quale effetto quello di attribuire un valore analogo alle quote destinate a ciascun erede.

Infine, riguardo alla scissione parziale asimmetrica, l'operazione sarebbe avvenuta in regime di neutralità e senza beneficiare di rivalutazioni di beni.

Per effetto di essa il socio B sarebbe restato unico socio della società scissa, mentre il socio A sarebbe stato l'unico socio della beneficiaria neo costituita.

Non erano previsti conguagli in denaro. Il rapporto di concambio sarebbe stato determinato in considerazione del valore economico dei patrimoni netti rettificati dei rami aziendali oggetto dell'operazione, avvalorato dalla relazione di un esperto ai sensi dell'art. 2501-sexies c.c.

L'istante precisava che, in ogni caso, ferme restando la ripartizione rappresentata tra scissa e beneficiaria dei beni immobili e la partecipazione nell'altra società agricola (che sarebbe rimasta nella scissa), le attività e passività diverse da tali asset sarebbero state attribuite alla scissa o alla beneficiaria, in modo tale garantire che il rapporto tra i valori economici delle quote ricevute dai due soci A e B riflettesse il relativo rapporto tra i valori nominali delle quote, e pertanto, la congruità del rapporto di cambio.

Realizzata la scissione, le società scissa e beneficiaria avrebbero continuato ad applicare il regime IRES ordinario delle società di capitali in relazione alle attività da ciascuna di esse svolta per la parte riferita agli asset conseguiti per mezzo della scissione stessa.

Nel dettaglio, la società scissa avrebbe esercitato attività di gestione immobiliare e l'attività agricola, anche attraverso l'altra società partecipata, mentre la beneficiaria avrebbe esercitato l'attività di gestione immobiliare e valorizzazione dell'area edificabile, con abbandono dell'attività agricola a cui il socio non era interessato.

Si faceva poi presente che i soci A e B non avrebbero ceduto le proprie partecipazioni nella scissa e nella beneficiaria.

Tutto ciò premesso, l'istante chiedeva quindi all'Agenzia delle Entrate un parere in ordine alla eventuale abusività, ex art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, del progetto di riorganizzazione societaria prospettato.

Gli effetti della scissione asimmetrica e i profili di abuso del diritto

L'istante riteneva che la sopra descritta operazione di divisione della quota di partecipazione indivisa nella società agricola, seguita dalla scissione parziale asimmetrica non proporzionale di detta società a favore di altra beneficiaria, non integrasse una fattispecie di abuso del diritto.

Quanto alla scissione, essa, secondo il contribuente, non era di per sé elusiva, anche se non proporzionale, ed anche se aveva ad oggetto un ramo immobiliare, non essendo l'operazione diretta a sottrarre beni al regime proprio di impresa, né alla costituzione di società "contenitore" strumentali all'alienazione indiretta - attraverso la cessione delle partecipazioni della società beneficiaria - di un ramo aziendale, al fine di fruire del più tenue regime fiscale previsto per le cessioni di partecipazioni.

La non proporzionalità della scissione, secondo l'istante, costituiva del resto, al tempo stesso, scelta obbligata, che prescindeva da valutazioni di carattere fiscale.

L'operazione non era infatti priva di sostanza economica e si configurava come una pura riorganizzazione dell'assetto societario, posto che la situazione che si sarebbe venuta a formare per effetto della divisione ereditaria e della successiva scissione era radicalmente diversa da quella iniziale.

Come visto, infatti, venendo meno la comunione ereditaria, sarebbe stata costituita una nuova società e la società originaria avrebbe scorporato alcuni immobili, fra i quali una grande area fabbricabile, riducendo il proprio patrimonio e concentrandosi sull'esercizio dell'attività agricola e sulla gestione di alcuni immobili strumentali.

La società beneficiaria avrebbe viceversa svolto attività di gestione immobiliare senza proseguire l'attività agricola e la titolarità esclusiva delle partecipazioni detenute nella scissa e nella beneficiaria in capo - rispettivamente - ai soci B ed A avrebbe comunque consentito ad ognuno di essi la definizione di autonome scelte imprenditoriali.

L'operazione non era del pari diretta a conseguire vantaggi fiscali indebiti, attesa l'irrilevanza reddituale della divisione (la quale avrebbe scontato l'imposta di registro, che sarebbe stata applicata altresì sul conguaglio) e la neutralità fiscale della scissione, che sarebbe avvenuta in continuità di valori fiscali e senza optare per rivalutazioni assoggettate ad imposta sostitutiva.

Non vi era dunque alcuna elusione del regime proprio delle assegnazioni dei beni ai soci o del regime del capital gain, essendo l'intera operazione finalizzata al raggiungimento degli obiettivi di natura economico-aziendale descritti ed essendo comunque funzionale all'ultimazione del passaggio generazionale della defunta ai suoi eredi, nonché al perseguimento dei diversi interessi manifestati da questi ultimi: dall'erede disinteressato all'attività imprenditoriale poiché residente all'estero, a quello interessato ad attività diverse da quella agricola, quali la gestione e valorizzazione del fabbricato ad uso commerciale locato a terzi e dell'area edificabile.

La riposta dell'Agenzia delle Entrate

In riferimento alla prospettata operazione di riorganizzazione aziendale, consistente nella ripartizione di quote societarie attuata per il tramite della divisione ereditaria e (successivamente) della scissione parziale asimmetrica della società, l'Agenzia delle Entrate osserva che, nell'ipotesi di una distribuzione sperequata - nella fase attuativa della scissione - dei valori economici relativi alle partecipazioni da attribuire a ciascun socio post scissione, rispetto ai valori economici delle partecipazioni originariamente detenute da ciascuno di essi, suscettibile di determinare un'attribuzione patrimoniale in favore di un socio rispetto all'altro, rimane comunque fermo ogni potere di controllo dell'Amministrazione finanziaria.

Potere di controllo che rimane fermo anche in ordine ad eventuali attribuzioni patrimoniali in favore di alcuni soci, rivenienti da una disparità in concreto di valori oggetto di divisione ereditaria.

L'Amministrazione finanziaria rileva dunque che, nella specie, l'obiettivo economico perseguito dall'istante era, in sostanza, la fuoriuscita dalla compagine societaria di un “comunista” non più interessato alla prosecuzione dell'attività imprenditoriale e la suddivisione dell'attività di gestione immobiliare dall'attività agricola, con attribuzione della prima ad una società interamente partecipata dal socio A, e della seconda ad una società interamente partecipata dal socio B (che ne avrebbe continuato la prosecuzione anche per il tramite di altra partecipata).

L'attribuzione delle partecipazioni secondo le descritte percentuali, unitamente al pagamento del conguaglio, avrebbero garantito un analogo valore delle quote ricevute dai tre fratelli.

Nell'istanza veniva poi precisato che i soci non avrebbero ceduto le proprie partecipazioni nella scissa e nella beneficiaria.

Tanto premesso, l'Agenzia delle Entrate rileva che, con riferimento alla divisione ereditaria, in linea generale, tale istituto si configura quale strumento giuridico con il quale due o più soggetti, contitolari di un diritto reale su un dato bene, sciolgono la comunione tra essi esistente ed attribuiscono a ciascuno di essi la titolarità esclusiva su di una parte determinata del bene, o dei beni già oggetto di contitolarità.

Trattasi, in genere, di un negozio di natura dichiarativa con funzione essenzialmente distributiva, in quanto finalizzato alla determinazione (con effetto retroattivo) dei beni costituenti la quota di ogni condividente.

Tale negozio non produce effetti traslativi in capo ai condividenti, nei limiti in cui il valore dei beni assegnati a ciascuno di essi (quota di fatto) corrisponda alla quota agli stessi spettante sulla massa comune (quota di diritto).

Applicando tali principi al caso di specie, ne conseguiva quindi che, considerato che, a fronte del maggior valore di beni che il socio B avrebbe ricevuto dalla divisione ereditaria, era prevista l'attribuzione di un conguaglio a carico di quest'ultimo in favore del socio C, si determinava un'attribuzione ad uno dei condividenti effettuata in eccedenza rispetto a quanto spettante sulla massa.

L'importo corrisposto corrispondeva al corrispettivo percepito a fronte della cessione di parte dei beni corrispondenti alla quota spettante al socio C sulla massa comune, da assoggettare dunque a tassazione, secondo le regole ordinarie di cui all'articolo 67 del Tuir.

Quanto poi alla scissione parziale asimmetrica, essa, secondo l'Amministrazione, era in linea di principio fiscalmente neutrale, ai sensi dell'art. 173 Tuir, laddove il passaggio del patrimonio della società scissa ad una o più società beneficiarie - che non usufruivano di un sistema di tassazione agevolato - non determinava la fuoriuscita degli elementi trasferiti dal regime ordinario d'impresa.

In particolare, i plusvalori relativi ai componenti patrimoniali attribuiti alla/e società beneficiaria/e, mantenuti provvisoriamente latenti dall'operazione in esame, erano quindi destinati a concorrere alla formazione del reddito secondo le ordinarie regole impositive vigenti al momento in cui i beni medesimi fossero fuoriusciti dal regime dei beni relativi all'impresa, ossia, fossero ceduti a titolo oneroso, fossero divenuti oggetto di risarcimento (anche in forma assicurativa) per la loro perdita o danneggiamento, fossero assegnati ai soci, ovvero venissero destinati a finalità estranee all'esercizio dell'impresa.

Ciò posto, l'Agenzia delle Entrate riteneva pertanto che le operazioni prospettate non comportassero il conseguimento di alcun vantaggio fiscale indebito, non ravvisandosi alcun contrasto con la ratio di disposizioni fiscali, o con i principi dell'ordinamento tributario.

Le operazioni di ripartizione delle quote societarie, realizzata per mezzo della divisione del compendio ereditario e di scissione societaria, apparivano, infatti, operazioni fisiologiche, finalizzate a consentire lo scioglimento del socio C dal vincolo della comunione indivisa in società cui non aveva interesse a partecipare, ed ai soci A e B la prosecuzione autonoma delle attività d'impresa a loro più congeniali.

Conclude l'Agenzia evidenziando che le operazioni in questione non dovevano comunque rientrare in un più complesso disegno unitario finalizzato alla successiva rivendita o donazione delle quote societarie della beneficiaria, o della scissa da parte dei soci persone fisiche A e B, con l'esclusivo fine di trasformare le eventuali plusvalenze realizzabili sui beni di primo grado (immobili) in capital gains sui beni di secondo grado (quote di partecipazione), in aggiramento delle norme che regolano la tassazione ordinaria delle plusvalenze conseguite nell'ambito del reddito d'impresa.

In altri termini, per non essere considerata abusiva, la complessiva operazione di riorganizzazione aziendale non doveva essere volta alla mera assegnazione dei beni della scissa o della beneficiaria ai rispettivi soci A (per la beneficiaria) e B (per la scissa) mediante la creazione di società "contenitore" non connotate da alcuna operatività, ma doveva caratterizzarsi, come assicurato dall'istante, come operazione finalizzata all'esercizio separato delle attività rappresentate, senza sottrazione degli asset al regime dei beni di impresa.

Laddove anche una sola delle società risultanti dalla divisione e scissione fosse poi stata privata di operatività, l'operazione si tradurrebbe infatti nell'attribuzione al singolo socio di immobili ad uso diretto per il tramite dello schermo societario, con (indebito) risparmio fiscale rinvenibile nello spostamento sine die della tassazione delle plusvalenze sui beni, prevista sulla base del valore normale dei cespiti ai sensi dell'art. 86, commi 1, lett. c) e 3 del Tuir.

Considerazioni conclusive

A prescindere dallo specifico caso processuale, in termini generali, giova evidenziare che affinché un'operazione di scissione possa essere considerata abusiva si devono verificare tre presupposti: la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito, l'assenza di sostanza economica dell'operazione, l'essenzialità del conseguimento di un vantaggio fiscale.

Non possono comunque considerarsi abusive quelle operazioni che, pur presentando i tre elementi indicati, sono giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale.

La scissione è peraltro un'operazione di carattere straordinario, mediante la quale una società, definita scissa, estinguendosi, o rimanendo in vita, trasferisce ad una società preesistente o di nuova costituzione, definita beneficiaria, l'intero suo patrimonio, o una parte di esso, attribuendo ai soci della scissa azioni o quote della beneficiaria, in modo proporzionale, ovvero non proporzionale, rispetto alla percentuale di attribuzione sussistente presso la scissa (artt. 2506 2506-quater c.c.).

Vero è che le operazioni di scissione possono a volte mascherare un intento elusivo, con particolare riferimento al caso in cui la scissione sia strutturata in modo tale da minare la funzione di garanzia del patrimonio in favore dei creditori sociali, sviando cespiti patrimoniali di significativo valore dalla scissa a favore di una o più entità, con l'intento di sottrarre i beni da possibili azioni giudiziarie, promosse dai creditori non ancora soddisfatti.

Dai numerosi pareri del “Comitato Consultivo” resi in merito ad operazioni di scissione, la sussistenza delle “valide ragioni economiche” (e, quindi, l'assenza di “elusività”) è stata comunque prevalentemente riconosciuta a condizione che:

• si tratti di “scissione proporzionale”;

• alla scissione non emergano avanzi, né disavanzi di scissione e i beni mantengono nella società beneficiaria gli stessi valori fiscali che avevano in capo alla società scissa;

• non vi sia la volontà di ampliare, successivamente alla scissione, la compagine sociale con conseguente perdita del controllo della società da parte dei soci che hanno deliberato la scissione medesima.

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