L'ordine di integrazione della domanda è inefficace se emesso in difetto dei suoi presupposti
04 Novembre 2021
Massima
L'ordine strumentale di integrazione della domanda per ritenuta nullità della citazione, emesso in difetto dei presupposti per la sua emanazione, è inefficace, con la conseguenza che l'inottemperanza al medesimo, essendo irrilevante, non può determinare l'estinzione del giudizio ai sensi dell'art. 307, comma 3, c.p.c. Il caso
Tizio proponeva, dinanzi al tribunale di Agrigento, domanda di risoluzione contrattuale ed il convenuto eccepiva la difformità dell'originale dell'atto di citazione introduttivo del giudizio dalla copia allo stesso notificata, in quanto il capo di domanda «ritenere e dichiarare risoluto il contratto de quo» era stato scritto a mano nella parte relativa alla precisazione delle domande nell'originale, mentre non appariva riprodotto nella copia notificata al medesimo convenuto. Il tribunale adito assegnava all'attore termine perentorio per l'integrazione della domanda e, rilevata alla successiva udienza la mancata ottemperanza a tale ordine, previa precisazione delle conclusioni emetteva sentenza con cui dichiarava la nullità dell'atto di citazione per incertezza dell'oggetto della domanda e, di conseguenza, l'estinzione del giudizio ex art. 307, comma 3, c.p.c. Tizio impugnava la predetta statuizione, ma la Corte d'appello di Palermo rigettava il gravame rilevando che, a prescindere dalla denunciata erroneità della declaratoria di nullità della citazione introduttiva, l'attore aveva l'onere di chiedere la revoca dell'ordinanza di integrazione della domanda, sicchè, in ragione della mancata integrazione, ne era conseguita la declaratoria di estinzione ex art. 307, comma 3, c.p.c., che, non essendo stata a sua volta impugnata, rendeva indifferente la questione della nullità della citazione. Tizio proponeva, allora, ricorso per cassazione, lamentando: con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione dell'art. 159 c.p.c., in quanto la corte territoriale, pur avendo riconosciuto che la citazione giudiziale non fosse in realtà nulla, aveva concluso per la legittimità della dichiarazione di estinzione, sebbene fondata sul presupposto errato della nullità dell'atto introduttivo del giudizio; con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 329, 339 e 342 c.p.c., per avere la corte d'appello erroneamente ritenuto che il provvedimento di estinzione del giudizio dovesse essere specificamente impugnato con apposito motivo di gravame, senza, però, tener conto del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l'acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata non opera allorquando, come nel caso di specie, quella espressamente impugnata sia sviluppo logico di quella non espressamente impugnata; con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 164 e 307 c.p.c. nella parte in cui la corte distrettuale aveva ritenuto rilevante il mancato adempimento dell'ordine di integrazione dell'atto di citazione. La questione
L'interessante questione esaminata dalla Suprema Corte, nella pronuncia in commento, attiene alle sorti della declaratoria di estinzione del giudizio qualora l'ordine di integrazione della domanda ex art. 164 c.p.c., pur rimasto inadempiuto, sia stato erroneamente emesso in mancanza dei relativi presupposti. Le soluzioni giuridiche
La Cassazione, esaminati congiuntamente i tre motivi di ricorso perché strettamente connessi, ha ritenuto fondati gli stessi. Invero, è alquanto consolidato il principio interpretativo secondo cui l'ordine strumentale di integrazione processuale, del contradditorio o della domanda, emesso in difetto dei presupposti per la sua emanazione è improduttivo di effetti, sicchè la mancata ottemperanza al medesimo, essendo irrilevante, non può determinare preclusioni insuperabili come l'inammissibilità dell'impugnazione o, come nel caso in esame, l'estinzione del giudizio (Cass. civ., 28 febbraio 2017, n. 5161; Cass. civ., 17 luglio 2013, n. 17458; Cass. civ., 8 settembre 1995, n. 9471; Cass. civ., 28 aprile 1987, n. 4097, secondo cui l'estinzione del processo, per mancata integrazione del contraddittorio nel termine perentorio fissato dal giudice ai sensi dell'art. 102, comma 2, c.p.c., postula la legittimità del relativo ordine, e, pertanto, va esclusa, ove quest'ultimo venga revocato con la sentenza, per difetto dei presupposti di legge). Nel caso in esame, la corte d'appello aveva riscontrato la validità, anziché la nullità (ritenuta dal primo giudice), della citazione introduttiva, sicchè la stessa avrebbe dovuto, coerentemente, ritenere infondato l'ordine di integrazione della domanda attorea e caducare il provvedimento di estinzione del giudizio, essendo stato quest'ultimo adottato sull'erroneo presupposto della mancata ottemperanza all'ordine (in realtà, inefficace) di integrazione della domanda. La corte di merito ha poi errato nel ritenere necessaria una specifica istanza di revoca ed un'ulteriore apposita impugnazione della declaratoria di estinzione, in quanto la nullità di un atto processuale si estende a quello successivo nel caso in cui quest'ultimo sia dipendente dall'atto nullo, nel senso che il primo atto, cronologicamente anteriore, sia indispensabile per la realizzazione di quello che segue, con la conseguenza che la censura che colpisce il primo ha automatico effetto espansivo sul secondo (Cass. civ., 12 luglio 2001, n. 9419). La Suprema Corte ha, quindi, cassato la sentenza impugnata e rinviato alla corte d'appello in diversa composizione. Osservazioni
L'art. 164, comma 4, 5 e 6, c.p.c. disciplina i vizi della citazione riguardanti la editio actionis, che ricorrono allorquando nella citazione manca o è assolutamente incerto l'oggetto della domanda, ovvero quando manca l'esposizione dei fatti a fondamento della domanda. In questi casi possono verificarsi due ipotesi: a) se il convenuto si costituisce, il giudice, rilevata la nullità, fissa un termine perentorio entro il quale l'attore deve integrare la domanda, mediante il deposito di una memoria. In questo caso la sanatoria dei vizi ha efficacia ex nunc (ossia dal momento dell'integrazione della domanda), restando ferme le decadenze maturate e salvi i diritti quesiti anteriormente all'integrazione (Cass., sez. lav., 5 novembre 1998, n. 11149). Nel caso in cui disponga l'integrazione della domanda, il giudice fissa una nuova udienza di trattazione ex art. 183, comma 2, c.p.c. ed il convenuto può costituirsi 20 giorni prima di tale udienza, svolgendo le attività di cui all'art. 167 c.p.c.; b) se il convenuto non si costituisce, il giudice, rilevata la nullità, fissa un termine perentorio entro il quale l'attore deve rinnovare la citazione, integrata dell'elemento carente. Se la rinnovazione viene eseguita, si verifica la sanatoria dei vizi, anche in questo caso con efficacia ex nunc. In giurisprudenza si è precisato che, se il giudice omette di ordinare l'integrazione o la rinnovazione d'una citazione nulla per mancata indicazione del fatto costitutivo della pretesa, nonostante l'eccezione in tal senso sollevata dal convenuto, diventa onere dell'attore stesso invocare dal giudice la fissazione del termine per sanare la nullità. Ove ciò non faccia, e la nullità venga dedotta come motivo d'appello, il giudice del gravame non dovrà fissare alcun termine per la rinnovazione dell'atto nullo, ma dovrà definire il processo con una pronuncia in rito che accerti il vizio della citazione introduttiva (Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9798; Cass., sez. lav., 17 gennaio 2014, n. 896). Tuttavia, il comma 5 dell'art. 164 c.p.c. (applicabile anche al rito del lavoro), a differenza del comma 2 della medesima norma, non disciplina l'ipotesi di mancata rinnovazione o integrazione, da parte dell'attore che abbia ottenuto dal giudice l'assegnazione del relativo termine, della citazione nulla per vizi dell'editio actionis. In dottrina si è ritenuto che il giudice dovrebbe, in siffatta ipotesi, ordinare la cancellazione della causa dal ruolo, con conseguente estinzione del giudizio, in analogia con quanto disposto dal comma 2 (BONSIGNORI), oppure dichiarare la nullità della domanda con sentenza (ATTARDI). Altra parte della dottrina (MANDRIOLI) ritiene che si abbia estinzione ex art. 307 c.p.c. nel caso della mancata rinnovazione e dichiarazione di nullità nel caso della mancata integrazione, atteso che nella seconda ipotesi si è verificata la costituzione del convenuto, che gli dà diritto alla decisione e alla rifusione delle spese. La giurisprudenza di merito ha ritenuto che il giudice debba ordinare, in caso di mancata integrazione, la cancellazione della causa dal ruolo in applicazione analogica del comma 2 della medesima norma (Trib. Roma 8 novembre 2002) o l'estinzione del giudizio (Trib. Lecce 17 febbraio 2000). In ogni caso, qualora il giudice d'appello rilevi che quello di primo grado ha erroneamente dichiarato la nullità della citazione per vizio dell'editio actionis, deve trattenere la causa e non può rimetterla al primo giudice, considerata altresì la mancanza di una garanzia costituzionale del principio del doppio grado di giurisdizione ed atteso il carattere eccezionale, non suscettibile di interpretazione analogica, del potere del giudice di appello di rimettere la causa al primo giudice di cui all'art. 354 c.p.c. (Cass. civ., 8 gennaio 2007, n. 91). In sostanza, i vizi riguardanti la editio actionis non sono sanati dalla costituzione in giudizio del convenuto, essendo questa inidonea a colmare le lacune della citazione stessa, che compromettono lo scopo di consentire non solo al convenuto di difendersi, ma anche al giudice di emettere una pronuncia di merito, sulla quale dovrà formarsi il giudicato sostanziale; ne consegue che non può farsi applicazione degli artt. 156, comma 3 e 157 c.p.c., essendo la nullità in questione prevista in funzione di interessi che trascendono quelli del convenuto (Cass. civ., 19 marzo 2018, n. 6673). Nel caso oggetto della pronuncia in commento, il giudice di merito aveva dichiarato la nullità dell'atto di citazione e l'estinzione del giudizio in conseguenza della mancata ottemperanza dell'attore all'ordine di integrazione della domanda introduttiva. Tale ordine, tuttavia, era illegittimo, come appurato dal giudice d'appello, perché emesso in mancanza dei relativi presupposti (non è dato desumere, dal contenuto della pronuncia in esame, le ragioni di tale illegittimità). Come rammentato dalla Suprema Corte, l'estinzione del processo per mancata integrazione del contraddittorio – ovvero, essendo medesima la ratio, per mancata integrazione della domanda - postula la legittimità del relativo ordine, la quale va esclusa qualora l'ordine venga revocato nel prosieguo del giudizio per difetto dei suoi presupposti (Cass. civ., 24 gennaio 2013, n. 1739) o quando tale difetto sia rilevato dal giudice dell'impugnazione (Cass., sez. lav., 8 settembre 2003, n. 13097). In sostanza, l'ordine di integrazione del contraddittorio emesso in difetto dei presupposti per la sua emanazione è privo di effetti (Cass. civ., 5 febbraio 2008, n. 2672; Cass. civ., 7 febbraio 2006, n. 2593). La corte d'appello avrebbe dovuto, quindi, accertata l'erronea emissione dell'ordine di integrazione della domanda, riformare la statuizione di estinzione del giudizio di primo grado, essendo venuto meno il fondamento di tale declaratoria. E ciò senza che fosse necessaria anche un'espressa impugnazione del provvedimento di estinzione, posto che la nullità di un atto processuale si estende automaticamente a quelli successivi dipendenti dal primo (Cass. civ., 15 febbraio 2005, n. 2977; Cass. civ., 18 marzo 2003, n. 3989). Invero, l'art. 159, comma 1, c.p.c. disciplina gli effetti della invalidità di un atto processuale con riferimento ad altri atti processuali, precisando, in particolare, che la nullità dell'atto non determina quella degli atti processuali precedenti né di quelli successivi che sono indipendenti dallo stesso. Ciò comporta a contrario che la nullità dell'atto si propaga agli atti successivi che ne sono dipendenti, e non anche a quelli c.d. autonomi, individuati, almeno in dottrina, sia negli atti che hanno con il processo un legame soltanto occasionale, prescindendo dalle vicende che interessano lo stesso (ad esempio, la rinuncia agli atti del giudizio), sia in quelli c.d. eventuali poiché si compongono di sub-procedimenti autonomi rispetto alla serie procedimentale che conduce sino alla pronuncia della decisione (ad esempio, gli atti di acquisizione probatoria). |