Attuazione dei provvedimenti cautelari
05 Novembre 2021
Inquadramento
L'attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare non avvia, sulla base di un titolo esecutivo, un separato procedimento di esecuzione ma costituisce una fase del procedimento cautelare in cui il giudice - da intendersi come ufficio - che ha emanato il provvedimento cautelare ne determina anche le modalità di attuazione, risolvendo con ordinanza le eventuali difficoltà e le contestazioni sorte, mentre sono riservate alla cognizione del giudice del merito le altre questioni (Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2014, n.15761). L'art. 669-duodecies c.p.c., nel dettare la disciplina relativa all'attuazione dei sequestri, richiama il disposto degli artt. 677 ss. c.p.c., introducendo una marcata distinzione tra le modalità esecutive di tali misure e quelle che caratterizzano gli altri provvedimenti cautelari. Infatti, come si è rilevato in dottrina (che pure si è preliminarmente interrogata sulla compatibilità tra l'art. 669-duodecies c.p.c., che costituisce il modello paradigmatico a cui fare riferimento ogniqualvolta non vi siano disposizioni specifiche relative all'attuazione della singola misura cautelare, attesa la sua portata assolutamente generale, e gli artt. 615, 617 e 619 c.p.c., e, dunque, sull'individuazione delle forme e dell'organo giudiziario al quale, deve rivolgersi la parte che intenda fare valere la sussistenza di eventuali vizi od irregolarità riscontrati nel procedimento di attuazione della misura cautelare, od il terzo che lamenti una lesione dei propri diritti), e come risulta dalla stessa utilizzazione del termine «attuazione» nella rubrica dell'art. 669-duodecies c.p.c. in luogo del termine «esecuzione», il legislatore ha inteso evidenziare la specificità delle misure cautelari - ed in specie dei provvedimenti ex art. 700 c.p.c., in sede esecutiva, laddove l'esecuzione trae origine da un provvedimento che non costituisce, ai sensi e per gli effetti dell'art. 474 c.p.c., titolo esecutivo (Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 2008, n. 5010). Fra tali provvedimenti, come ha ben evidenziato una rigorosa ricostruzione dottrinale, l'art. 669-duodecies c.p.c., distingue, prescindendo dai sequestri, fra: a) provvedimenti che hanno ad oggetto obblighi di consegna o rilascio, fare o non fare; b) provvedimenti che hanno ad oggetto somme di denaro. Riguardo a questi ultimi la suddetta disposizione stabilisce che l'attuazione avviene secondo le norme dei procedimenti di espropriazione forzata, in quanto compatibili, mentre per i primi due è previsto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento al quale spetta di determinarne le modalità e dare con ordinanza i provvedimenti opportuni se sorgono difficoltà o contestazioni. Sono invece riservate alla cognizione del giudice di merito le altre questioni. L'attuazione dei suddetti provvedimenti non avvia, sulla base di un titolo esecutivo, un separato procedimento di esecuzione ma, in attuazione di una finalità di deformalizzazione, costituisce una fase del procedimento cautelare nella quale il giudice (Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 2005, n. 443) che ha emesso il provvedimento cautelare ne determina anche le modalità di attuazione, risolvendo con ordinanza le difficoltà e contestazioni cui quest'ultima da luogo. Ne consegue che le eccezioni proposte dalla controparte tenuta all'osservanza del provvedimento non assumono natura di opposizione agli atti esecutivi, ma mantengono la loro natura di eccezioni da fare valere nel giudizio di merito. Ne consegue altresì che è inammissibile l'opposizione agli atti esecutivi per contestare la regolarità formale degli atti posti in essere in attuazione di un provvedimento cautelare, essendo il provvedimento d'urgenza inseparabile dal procedimento nell'ambito del quale è pronunciato. E la sua esecuzione, proprio per garantire il conseguimento delle finalità cautelari e conservative che l'hanno determinato, non può che appartenere al giudice che lo ha emesso (Cass. civ., sez. III, 9 gennaio 1996, n. 80). Pertanto, le questioni riguardanti la ritualità dell'attuazione di tali misure non possono costituire oggetto di opposizione davanti al giudice dell'esecuzione, ma devono essere risolte dal giudice che ha emesso il provvedimento o da quello del merito. Solo un indirizzo minoritario ha ritenuto che l'ordinanza sulle modalità di attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di fare o non fare sia impugnabile mediante l'opposizione agli atti esecutivi di cui all'art. 617 c.p.c., (Trib. Brescia, 11 giugno 1997, in Foro it., 1997, I, 3404). Conseguentemente, l'orientamento che nega l'ammissibilità delle opposizioni esecutive nella fase di attuazione dei sequestri ha, dunque, ritenuto che la norma a cui fare riferimento per individuare - in via generale - i rimedi a disposizione delle parti e dei terzi, nonché il giudice competente a risolvere le controversie in esame, sia l'art. 669-duodecies c.p.c., e da ciò, discende che le contestazioni mosse in ordine all'esecuzione del sequestro non assumono natura di opposizione all'esecuzione od agli atti esecutivi, ma conservano la loro natura di eccezioni del soggetto che ha subito la misura cautelare, idonee soltanto a sollecitare l'esercizio, da parte del giudice di merito, dei poteri di modifica, integrazione, precisazione o revoca dello stesso provvedimento cautelare. Inoltre deve escludersi che contro il provvedimento di attuazione di una misura cautelare emesso ai sensi dell'art. 669-duodecies c.p.c., sia ammissibile la proposizione dell'istanza per il regolamento di competenza (Cass. civ., sez. III, 1 aprile 2004, n. 6485). La Cassazione ha precisato che i provvedimenti interinali di reintegrazione hanno il carattere della esecutività, ma non danno luogo ad esecuzione forzata, atteso che con essi, non si realizza un'alternativa tra adempimento spontaneo ed esecuzione forzata, ma un fenomeno intrinsecamente coattivo di esecuzione che si svolge ex officio iudicis. Pertanto, la loro esecuzione deve avvenire omettendo l'osservanza delle formalità dell'ordinario processo di esecuzione, e, quindi, senza la preventiva notificazione del precetto, bastando, nei confronti dell'intimato, che il provvedimento sia notificato in forma esecutiva, con la conseguenza che le spese del precetto, ove intimato, non sono ripetibili (Cass. civ., sez. III, 12 marzo 2008, n. 6621; Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 2006, n. 407). In seguito all'entrata in vigore della riforma del 1990 l'attuazione di tutti i provvedimenti cautelari, diversi da quelli che hanno ad oggetto il pagamento di somme di denaro, avviene ai sensi dell'art. 669-duodecies c.p.c., il quale invero stabilisce che l'attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare avviene sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare il quale ne determina anche le modalità di attuazione e, ove sorgano difficoltà o contestazioni, dà con ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti. In tale ottica, le questioni riguardanti la ritualità dell'attuazione di tali misure non possono costituire oggetto di opposizione davanti al giudice dell'esecuzione, ma devono essere risolte dal giudice che ha emesso il provvedimento o da quello del merito, ragione per cui, si è affermato che le contestazioni mosse in ordine all'attuazione del sequestro conservativo, non assumono natura di opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi, ma sono qualificabili come eccezioni del soggetto che ha subito la misura cautelare, idonee soltanto a sollecitare l'esercizio da parte del giudice della causa di merito dei poteri di modifica, integrazione, precisazione o revoca del provvedimento (Trib. Massa, 2 aprile 2019, in www.iusexplorer.it). L'espressione giudice che ha emanato il provvedimento cautelare, non va intesa come riferibile al giudice persona fisica ma all'ufficio giudiziario, posto che la norma si preoccupa di fissare soltanto la competenza in relazione all'attuazione del provvedimento cautelare. Pertanto, i provvedimenti (ordinanza cautelare e ordinanza di determinazione delle modalità attuative della stessa) emanati da giudici appartenenti allo stesso Ufficio, concretizza una mera distribuzione degli affari all'interno dell'Ufficio giudiziario, e non un fatto di competenza (Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 2005, n. 443). La giurisprudenza di legittimità ha anche chiarito che il provvedimento d'urgenza come il provvedimento possessorio è inseparabile dal procedimento nell'ambito del quale esso è pronunciato, e la sua esecuzione appartiene al giudice che lo ha emesso, onde garantire il conseguimento delle finalità del provvedimento stesso in relazione alle esigenze cautelari e conservative che l'hanno determinato (Cass. civ., sez. III, 16 settembre 1983, n. 5608). La sua esecuzione si svolge quindi nell'ambito dello stesso giudizio, senza dare luogo alla serie procedimentale della esecuzione forzata, sicché l'attuazione e regolarità formale di essa può essere contestata solo nell'ambito di quel giudizio e non con opposizione agli atti esecutivi (in generale, anche se con riferimento ai provvedimenti emessi nell'ambito del giudizio possessorio, Cass. civ., sez. III, 15 marzo 1994, n. 2435; Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 1994, n. 8581). La giurisprudenza di legittimità ha precisato che è inammissibile il ricorso per regolamento di competenza avverso l'ordinanza emessa dal tribunale in sede di reclamo, ai sensi dell'art. 669-terdecies, c.p.c. (Cass. civ., sez, un., 25 ottobre 1996, n. 9337), e quindi, a maggiore ragione, tale principio vale per i provvedimenti che il giudice in applicazione dell'art. 669-duodocies c.p.c. adotta per l'attuazione delle misure cautelari (Cass. civ., sez. III, 1 aprile 2004, n. 6485). La più recente giurisprudenza, ha affermato che l'attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare, non avvia, sulla base di un titolo esecutivo, un separato procedimento di esecuzione, ma costituisce una fase del procedimento cautelare in cui il giudice - da intendersi come ufficio - che ha emanato il provvedimento cautelare, ne determina anche le modalità di attuazione, risolvendo con ordinanza le eventuali difficoltà e le contestazioni sorte, mentre sono riservate alla cognizione del giudice del merito le altre questioni (Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2014, n.15761), sulla cui scorta, si è successivamente affermato che il giudice del lavoro ha il controllo sull'esecuzione delle misure cautelari precedentemente emesse dal medesimo, aventi ad oggetto obblighi di fare, atteso che qualora non attuate, può disporre le relative modalità esecutive (Trib. Catania, 4 maggio 2020, in www.iusexplorer.it). Competenza e giudice del reclamo
L'attuazione dei provvedimenti cautelari si svolge sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento, sicché nel non infrequente caso in cui il provvedimento emesso in prima istanza sia stato oggetto di reclamo, si è posta la questione dell'individuazione del giudice a cui spetti la fase di eventuale attuazione.
La soluzione preferibile è proprio quest'ultima, non solo perché è più aderente al dettato legislativo - giudice che ha emanato il provvedimento - è l'organo che ha emesso la pronuncia che in concreto reca il contenuto precettivo che si vuole portare ad esecuzione e non quello che ha eventualmente confermato tale pronuncia, senza modificarlo in alcun modo, ma anche perché più coerente con la ratio della norma, la quale, in ragione delle esigenze di celerità e snellezza cui è ispirata la stessa procedura sommaria, vuole garantire tali esigenze anche ed a maggior ragione per la fase esecutiva della medesima procedura, il che viene assicurato affidando tale fase al giudice che già conosce bene il contenuto dell'ordinanza da attuare, le sue motivazioni e le problematiche sottese e che è quindi in grado di darvi esecuzione con maggior rapidità ed efficacia. Attuazione e reclamo
Sulla reclamabilità dei provvedimenti resi ai sensi dell'art. 669-duodecies c.p.c. non vi è concordia né in giurisprudenza né in dottrina. La riforma del processo civile operata con la l. 80/2005, e successive modificazioni, se da un lato ha adeguato il dettato normativo alla pronuncia della Corte costituzionale quanto alla possibilità di controllo anche del provvedimento di rigetto dell'istanza cautelare, dall'altro ha lasciato aperti i ben noti problemi circa la reclamabilità di quei provvedimenti, quali quelli di attuazione, che, pur non pronunciando direttamente sulla domanda cautelare, si ripercuotono sulla stessa. Al riguardo, l'art. 669-terdecies c.p.c., secondo la sua nuova formulazione, si limita ad ammettere il reclamo contro l'ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare. L'art. 669-terdecies c.p.c., il quale contempla la reclamabilità dei provvedimenti che concedono o negano il provvedimento cautelare, va in ogni caso interpretato alla luce del principio di unicità del procedimento cautelare. Tale principio trova fondamento nell'intrinseca vocazione operativa dei provvedimenti cautelari, mirando questi non all'accertamento e alla configurazione di situazioni giuridiche, ma a intervenire sulla situazione di fatto al fine di prevenire o neutralizzare il pericolo di pregiudizio irreparabile è dunque connaturata ai provvedimenti cautelari una diretta incidenza sulla realtà materiale. Il che esclude una diversità di essenza tra la cognizione propria del momento concessorio e quella propria del momento attuativo, ed esclude quindi una netta separazione tra i due momenti, rendendo invece normale la compenetrazione tra concessione e attuazione. Il piano di incidenza è il medesimo, sia nel momento concessorio come in quello attuativo, ci si muove su un piano eminentemente operativo e non di accertamento di situazioni giuridiche. In questo quadro si pone come evenienza ordinaria e del tutto fisiologica la possibile ripercussione del provvedimento attuativo sul contenuto, sulla portata e sulla valenza del provvedimento che ha concesso la misura cautelare. Ciò non significa che il giudice debba indicare le modalità di attuazione, ove possibile, contestualmente al provvedimento di accoglimento della domanda cautelare. Il legislatore, infatti, enucleando un momento attuativo, evidentemente ha mostrato di confidare nella spontanea esecuzione dell'ordinanza concessiva, preferendo rinviare ad un momento successivo un intervento giudiziale più invasivo. L'evidenziazione poi - in un'apposita previsione - di un segmento attuativo all'interno del procedimento cautelare dimostra l'intendimento del legislatore di disancorare la concedibilità della misura cautelare dalla coercibilità del comando giudiziale. La normale compenetrazione tra concessione e attuazione non esclude l'eventualità che nel segmento attuativo del procedimento cautelare vengano emessi provvedimenti di carattere meramente ordinatorio. In questo caso soltanto il reclamo deve ritenersi inammissibile, non essendo ravvisabile un'incidenza sulla portata e sul contenuto del provvedimento concessivo (Trib. Reggio Calabria, sez. lav., 11 aprile 2011, in Giur. merito, 2012, 599; Trib. Trani 23 gennaio 2007, in www.giurisprudenzabarese.it; Trib. Roma 23 luglio 2003, in Riv. Giur. lav., 2004, II, 54). Altra parte della giurisprudenza di merito ritiene invece che non sono reclamabili le decisioni emesse ai sensi dell'art. 669-duodecies c.p.c., trattandosi di pronunce prive di qualsivoglia contenuto decisorio, volte esclusivamente a precisare le modalità di esecuzione di un provvedimento cautelare già emesso (Trib. Modena, sez. II, 21 settembre 2011; Trib. Camerino, 12 marzo 2009; Trib. Torino, sez. IX, 2 dicembre 2005, in Giur. merito, 2006, 2636. Secondo Trib. Salerno, sez. II, 6 maggio 2005, eventuali doglianze riguardanti l'ordinanza di attuazione della misura, essendo ormai chiusa la fase cautelare, devono essere fatte valere nel successivo giudizio di merito). Secondo Trib. Napoli Nord, 16 novembre 2017, in www.ilcaso.it, è inammissibile il reclamo avverso i provvedimenti attuativi delle misure cautelari, sia perché aventi contenuto ordinatorio e non decisorio, sia perché il reclamo è diretto avverso i provvedimenti che concedono o negano la tutela cautelare e non anche a quelli che semplicemente la attuano, e che l'attuazione disciplinata dall'art. 669-duodecies c.p.c. non dà luogo all'instaurazione di un vero e proprio procedimento esecutivo. Nella giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. III, 20 novembre 2009, n. 24543) una decisione non affronta direttamente la questione, lasciandola impregiudicata. Nella più recente giurisprudenza, si è affermato che la reclamabilità dei provvedimenti di attuazione delle misure cautelari va ammessa, in quanto, in caso di modalità di attuazione dettate con l'ordinanza successiva avente ad oggetto un “facere”, l'ordinanza resa ai sensi dell'art. 669-duodecies c.p.c. risulta integrativa del provvedimento cautelare originario, e come tale, quindi, è partecipe della stessa natura ed è assoggettata alla medesima disciplina (Trib. Savona, 23 settembre 2020, in www.iusexplorer.it). Tale orientamento, ha trovato espressa conferma anche nella giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. civ., sez. II, 17 aprile 2019, n.10758), di recente pronunciatasi sul punto, nel senso di ritenere ammissibile il reclamo avverso i provvedimenti emessi ex art. 669-duodecies c.p.c., anche per quanto attiene all'impugnabilità della statuizione emessa dal giudice monocratico del Tribunale relativamente alla pronuncia sulle spese, essendosi affermato il principio che nei provvedimenti emessi dal giudice, in forma diversa dalla sentenza, per regolare l'attuazione delle misure cautelari - ai sensi dell'art. 669-duodecies c.p.c. - non è ravvisabile il carattere della decisorietà, poichè detti provvedimenti hanno natura strumentale e sono inidonei al giudicato, sia dal punto di vista formale che da quello sostanziale, essendo impugnabili con i rimedi contemplati dalla disciplina del procedimento cautelare uniforme, che trova applicazione anche alle azioni possessorie, nei limiti di compatibilità (In tale senso, v. anche Trib. Modena, 13 giugno 2019, in www.iusexplorer.it in cui si è affermato che per procedere all'esecuzione dei provvedimenti possessori di natura sommaria non deve essere seguita la disciplina normativa dell'esecuzione forzata relativa agli obblighi di fare, a tale fine, non essendo necessaria la notificazione del precetto, ma, esclusivamente, la notifica del titolo esecutivo, e, in caso di contestazione relativa alle modalità di attuazione del provvedimento, deve essere proposto ricorso, ai sensi dell'art. 669-duodecies c.p.c. allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento sommario). Nella diversa ipotesi in cui si intenda invece impugnare un provvedimento emesso dal g.e. in fase di attuazione di un procedimento cautelare concesso ex art. 671 c.p.c., nel caso in cui il giudice dell'esecuzione, in sede di attuazione di un sequestro conservativo presso terzi, dichiari attuato il sequestro nei limiti della ritenuta pignorabilità/sequestrabilità dei crediti dichiarati dal terzo, l'ordinanza da questi adottata, in via né sommaria né provvisoria, a definitiva chiusura della procedura di attuazione del provvedimento cautelare, è impuqnabile esclusivamente con l'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 c.p.c., anche in relazione alla corretta liquidazione delle spese dello stesso procedimento di attuazione; diversamente, se adottata in seguito a contestazioni del debitore prospettate mediante una formale opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., in relazione alla quale il giudice abbia dichiarato di volersi pronunziare, il provvedimento sommario di provvisorio arresto del corso del procedimento di attuazione, che resta perciò pendente, è impugnabile con il reclamo ai sensi dell'art. 624 c.p.c. In entrambi i casi, se (e solo se) è stata proposta dal debitore una opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., il giudice dell'esecuzione, con il provvedimento che sospende o chiude il procedimento di attuazione davanti a sé, deve contestualmente fissare, salvo che l'opponente stesso vi rinunzi, il termine per l'instaurazione della fase di merito del giudizio di opposizione, liquidando le spese della relativa fase sommaria e, in mancanza, sarà possibile per la parte interessata chiedere l'integrazione del provvedimento ai sensi dell'art. 289 c.p.c., ovvero procedere direttamente alla instaurazione del suddetto giudizio di merito, in tale sede proponendo anche tutte le contestazioni relative alla eventuale liquidazione delle spese relative alla fase sommaria del giudizio di opposizione. In nessun caso è, invece, proponibile appello avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione (Cass. civ., sez. VI, 6 ottobre 2021, n.27073).
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