Dubbi di legittimità costituzionale sull'attribuzione alla giurisdizione tributaria delle controversie di diniego del contributo COVID-19

08 Novembre 2021

Il legislatore emergenziale, al fine di sostenere i soggetti colpiti dall'emergenza epidemiologica "Covid-19”, con l'art. 25 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. Decreto Rilancio) ha riconosciuto “un contributo a fondo perduto a favore dei soggetti esercenti attività d'impresa e di lavoro autonomo e di reddito agrario, titolari di partita IVA, di cui al testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917”. Tale contributo non concorre alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi, non rileva altresì ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del TUIR né concorre alla formazione del valore della produzione netta di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Irap). La procedura per l'ottenimento del suddetto contributo prevede la presentazione di una istanza, esclusivamente in via telematica, all'Agenzia delle Entrate con l'indicazione della sussistenza dei requisiti richiesti. Qualora il contributo sia in tutto o in parte non spettante, anche a seguito del mancato superamento della verifica antimafia, l'Agenzia delle Entrate recupera il contributo non spettante (comma 12), irrogando le sanzioni in misura corrispondente a quelle previste dall'articolo 13, comma 5, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 e gli interessi dovuti ai sensi dell'articolo 20 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in base alle disposizioni di cui all'articolo 1, commi da 421 a 423, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. L'ultimo alinea del comma 12 prevede che “per le controversie relative all'atto di recupero si applicano le disposizioni del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546.”.
Premessa

Il legislatore emergenziale, al fine di sostenere i soggetti colpiti dall'emergenza epidemiologica "Covid-19”, con l'art. 25 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. Decreto Rilancio) ha riconosciuto “un contributo a fondo perduto a favore dei soggetti esercenti attività d'impresa e di lavoro autonomo e di reddito agrario, titolari di partita IVA, di cui al testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”.

Tale contributo non concorre alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi, non rileva altresì ai fini del rapporto di cui agli artt. 61 e 109, comma 5, del TUIR né concorre alla formazione del valore della produzione netta di cui al d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (Irap). La procedura per l'ottenimento del suddetto contributo prevede la presentazione di una istanza, esclusivamente in via telematica, all'Agenzia delle entrate con l'indicazione della sussistenza dei requisiti richiesti. Qualora il contributo sia in tutto o in parte non spettante, anche a seguito del mancato superamento della verifica antimafia, l'Agenzia delle Entrate recupera il contributo non spettante (comma 12), irrogando le sanzioni in misura corrispondente a quelle previste dall'art. 13, comma 5, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 e gli interessi dovuti ai sensi dell'art. 20 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in base alle disposizioni di cui all'articolo 1, commi da 421 a 423, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.L'ultimo alinea del comma 12 prevede che “per le controversie relative all'atto di recupero si applicano le disposizioni del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546”.

Perplessità sull'attribuzione della giurisdizione tributaria

Fra gli addetti ai lavori si dibatte circa la tenuta costituzionale del sopracitato comma 12 nella misura in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria la competenza a dirimere le controversie relative agli atti di recupero del detto contributo. Secondo la previsione dell'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, “appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio”.

Le perplessità sono legate al limite invalicabile che segna la giurisdizione tributaria costituito dall'art. 102, 2° comma, della Carta Costituzionale il quale vieta l'istituzione di nuovi giudici speciali che si realizza nella misura in cui una legge attribuisca al Giudice una materia che non gli compete. Appare evidente che il contributo Covid-19, a fondo perduto, non abbia natura tributaria in linea con i principi più volti affermati dalla Corte Costituzionale (inter alias, ordinanza n. 34 del 23 gennaio 2006) secondo cui, con specifico riguardo alla giurisdizione tributaria, quest'ultima «deve ritenersi imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto» e non può essere ancorata «al solo dato formale e soggettivo, relativo all'ufficio competente ad irrogare la sanzione». Non si tratta, infatti, di un contributo dovuto dal cittadino allo Stato bensì, al contrario, di un contributo dovuto dallo Stato al cittadino al ricorrere di determinati presupposti. In senso conforme ai principi costituzionali testé citati sarebbe irrilevante che a provvedere all'elargizione del contributo ovvero al suo recupero sia l'Agenzia delle Entrate la quale si limita a erogarlo, a negarlo ovvero a recuperare quello indebitamente percepito ma non ad accertare materia imponibile, come si può ricavare agevolmente anche dalla norma istitutiva del contributo in questione che viene espressamente qualificato come escluso dalla base imponibile dei redditi soggetti ad imposizione diretta. L'Agenzia delle Entrate assume, quindi, funzioni di mero Ufficiale pagatore del contributo, controllore dell'esatta e corretta istanza del cittadino avente diritto nonché addetto al recupero dell'indebito. Il mero affidamento all'Agenzia delle Entrate delle citate funzioni non potrebbe, pertanto, snaturare le caratteristiche del contributo che ha natura di diritto soggettivo del cittadino, oggetto della giurisdizione ordinaria e non di quella tributaria.

Alcuni precedenti interventi della Consulta

Si ricorda che il Tribunale ordinario di Roma, con ordinanza depositata il 2 novembre 2006, aveva sollevato, in riferimento agli artt. 102, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità del citato art. 2 del d.lgs. 546/1992 nella parte in cui stabiliva che “appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubblici (COSAP). Il Tribunale affermava che la norma denunciata violava sia l'art. 102, secondo comma, della Costituzione, in quanto “snaturerebbe” la giurisdizione di cui sono investite le commissioni tributarie, creando così un “nuovo” giudice speciale vietato dalla Costituzione, sia l'art. 25, primo comma, Cost., perché, attribuendo ai giudici tributari la cognizione delle controversie relative alla debenza del COSAP, distoglierebbe dette controversie, relative a prestazioni che non hanno natura tributaria, dal proprio “giudice naturale”, e cioè da quello civile. Con sentenza n. 64 del 10 marzo 2008 la Consulta riteneva fondata la questione di illegittimità costituzionale attraverso due passaggi argomentativi: in primis, la modificazione dell'oggetto della giurisdizione degli organi speciali di giurisdizione preesistenti alla Costituzione è consentita solo se non “snaturi” la materia originariamente attribuita alla cognizione del giudice speciale; in secundis, una volta che sia esclusa la natura tributaria del COSAP, l'attribuzione alla giurisdizione tributaria, ad opera della norma censurata, delle controversie relative a tale canone “snatura” la materia originariamente attribuita alla cognizione del giudice tributario e, conseguentemente, víola l'art. 102, secondo comma, Cost. Il mancato rispetto del limite di «non snaturare» le materie originariamente attribuite alle indicate giurisdizioni si traduce nell'istituzione di un “nuovo” giudice speciale, espressamente vietata dall'art. 102 Cost.

Si rammenta, altresì, che in tema di sanzioni non tributarie l'art. 2, comma 1, del d.lgs. 546/1992 attribuiva alla giurisdizione tributaria, nel testo vigente prima della dichiarazione di illegittimità, le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove esse conseguissero alla violazione di disposizioni non aventi natura tributaria (ad esempio quella conseguente all'impiego di un lavoratore non risultante dalle scritture obbligatorie per legge). In sostanza, secondo quello che era l'orientamento di legittimità, sufficiente a radicare la giurisdizione tributaria era ritenuta la natura finanziaria dell'organo competente ad irrogare la sanzione. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 130 del 05 maggio 2008 ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. 546/1992 nella parte in cui attribuiva alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove esse conseguissero alla violazione di disposizioni non aventi natura tributaria.

Con particolare riferimento alla giurisdizione tributaria, la Consulta ha altresì affermato che «la giurisdizione tributaria deve essere considerata un organo speciale di giurisdizione preesistente alla Costituzione» e che l'identità della “natura” delle materie oggetto di tali giurisdizioni costituisce, cioè, una condizione essenziale perché le modifiche legislative di tale oggetto possano qualificarsi come una consentita “revisione” dei giudici speciali e non come una vietata introduzione di un “nuovo giudice speciale” (sentenza n. 64 del 10 marzo 2008). La Corte ha anche riconosciuto che l'oggetto di tale giurisdizione, così come la disciplina degli organi speciali, ben possano essere modificati dal legislatore ordinario, il quale, tuttavia, incontra precisi limiti costituzionali consistenti nel «non snaturare (come elemento essenziale e caratterizzante la giurisprudenza speciale) le materie attribuite» a dette giurisdizioni speciali e nell'«assicurare la conformità a Costituzione» delle medesime giurisdizioni (ordinanza n. 144 del 20 aprile 1998).

In conclusione

L'imprescindibilità della natura tributaria del rapporto, secondo l'insegnamento della Corte Costituzionale, cui si ricollega l'attribuzione della giurisdizione, potrebbe condurre ad una declaratoria di illegittimità costituzionale della norma emergenziale nella parte in cui individua la giurisdizione tributaria per le controversie relative al contributo de quo.

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