Il regime fiscale della differenza da recesso da società di persone

Simone Marzo
10 Novembre 2021

Con l'ordinanza n. 24671 del 14 settembre 2021 la Cassazione si è pronunciata sugli effetti fiscali conseguenti al recesso di un socio da una società di persone. L'argomento non è del tutto nuovo, atteso che alcuni chiarimenti al riguardo erano già stati forniti dall'Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 64/E del 25 febbraio 2008, il cui contenuto è richiamato (e confermato) anche dai Giudici di legittimità; la pronuncia appare comunque interessante in quanto, oltre a confermare la posizione già espressa dall'Amministrazione Finanziaria, offre ulteriori chiarimenti su aspetti specifici della questione, con particolare riguardo al criterio di imputazione temporale applicabile nel caso di specie alle componenti reddituali connesse alla vicenda.
Premessa

Con l'ordinanza n. 24671 del 14 settembre 2021 la Cassazione si è pronunciata sugli effetti fiscali conseguenti al recesso di un socio da una società di persone. L'argomento non è del tutto nuovo, atteso che alcuni chiarimenti al riguardo erano già stati forniti dall'Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 64/E del 25 febbraio 2008, il cui contenuto è richiamato (e confermato) anche dai Giudici di legittimità; la pronuncia appare comunque interessante in quanto, oltre a confermare la posizione già espressa dall'Amministrazione Finanziaria, offre ulteriori chiarimenti su aspetti specifici della questione, con particolare riguardo al criterio di imputazione temporale applicabile nel caso di specie alle componenti reddituali connesse alla vicenda.

In premessa è necessario ricordare che, ai sensi dell'art. 2289 c.c. (dettato in materia di società semplice ma è applicabile alle società in nome collettivo ed alle società in accomandita semplice in virtù dei rinvii operati rispettivamente dagli artt. 2293 e 2315 c.c.), nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente ad un socio (come per effetto del recesso legittimamente esercitato), quest'ultimo ha diritto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della quota, da liquidare in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento tenendo. Il valore della quota deve essere determinato tenendo conto del valore effettivo del patrimonio sociale (ivi inclusi, per espressa previsione normativa, gli utili o le perdite inerenti alle operazioni in corso), nonché dell'eventuale avviamento; è inoltre pacifico che il relativo debito gravi sulla società e non sui soci superstiti.

Gli effetti fiscali per il socio uscente

Alla luce del rapido inquadramento fornito nel paragrafo introduttivo, v'è da chiedersi quale sia il regime fiscale riservato alla fattispecie in parola, tanto dal lato della società obbligata al pagamento della quota, quanto dal lato del socio uscente, titolare del relativo diritto.

La questione è tutt'altro che banale poiché, da un lato, manca una regolamentazione espressa della vicenda sul versante della società e, dall'altro, le possibili ipotesi ricostruttive devono inserirsi coerentemente nel peculiare sistema di tassazione “per trasparenza” applicabile ai redditi prodotti dalle società di persone ai sensi dell'art. 5 TUIR.

Nella prospettiva del socio uscente, il dato normativo positivo fornisce alcune chiare indicazioni.

L'art. 20-bis, TUIR, aggiunto dall'art. 1, comma 1, d.lgs. 18 novembre 2005, n.247 ma sostanzialmente riproduttivo di quanto già stabilito dall'art. 6, d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, stabilisce che “Ai fini della determinazione dei redditi di partecipazione compresi nelle somme attribuite o nei beni assegnati ai soci o agli eredi, di cui all'articolo 17, comma 1, lettera l), si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 47, comma 7, indipendentemente dall'applicabilità della tassazione separata”; il richiamato art. 47, comma 7, t.u.i.r., prevede che “Le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso, di esclusione, di riscatto e di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche concorsuale delle società ed enti costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate”.

L'art. 17, comma 1, lett. l), TUIR, inoltre prevede l'applicabilità del meccanismo di tassazione separata per i “redditi compresi nelle somme attribuite o nel valore normale dei beni assegnati ai soci delle società indicate nell'art. 5 nei casi di recesso, esclusione e riduzione del capitale o agli eredi in caso di morte del socio, e redditi imputati ai soci in dipendenza di liquidazione, anche concorsuale, delle società stesse, se il periodo di tempo intercorso tra la costituzione della società e la comunicazione del recesso o dell'esclusione, la deliberazione di riduzione del capitale, la morte del socio o l'inizio della liquidazione è superiore a 5 anni”.

Il combinato disposto degli artt. 20-bis e 47, comma 7, TUIR, dunque, consente di affermare che le somme o il valore normale dei beni ricevuti dal socio di società personali in caso di recesso costituiscono reddito di partecipazione per la parte che eccede il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione della quota annullata; laddove tra la costituzione della società e la data del recesso siano trascorsi più di cinque anni, il provento potrà essere assoggettato a tassazione separata ex art. 17, comma 1, lett. l), TUIR.

Invero, applicando rigorosamente le norme appena citate, si giungerebbe ad una doppia tassazione in capo al socio degli eventuali utili realizzati dalla società negli esercizi pregressi ma non ancora distribuiti al momento del recesso; ai sensi dell'art. 5, primo comma, TUIR, infatti, i redditi delle società personali residenti sono imputati a ciascun socio in proporzione alla rispettiva quota di partecipazione e tassati in capo ad esso, indipendentemente dall'effettiva percezione. Si comprende, dunque, che la presenza nel patrimonio sociale di utili pregressi non distribuiti (sui quali il socio ha già sostenuto la relativa tassazione nel periodo di produzione) comporterebbe una doppia tassazione laddove degli stessi fossero computati anche nella determinazione del valore imponibile della quota di liquidazione.

Al fine di ovviare alla doppia imposizione che altrimenti si verificherebbe, è opinione diffusa che il valore degli eventuali utili pregressi non distribuiti deve essere computato in aumento del costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione, come peraltro dispongono testualmente l'art. 68, comma 6, TUIR, ai fini del calcolo delle plusvalenze realizzate su partecipazioni di società personali e l'art. 115, comma 12, TUIR per le società di capitali a ristretta base partecipativa che abbiano optato per il regime della trasparenza fiscale. Tale orientamento è stato accolto anche nella risoluzione n. 64/E del 2008 nella quale l'Agenzia delle Entrate afferma, seppure senza alcuna particolare argomentazione, che il costo fiscale della partecipazione è “costituito ordinariamente dai conferimenti e dalle riserve di utili tassati per trasparenza”. In tal modo, in effetti, il socio uscente è posto al riparo dal pericolo di subire una nuova tassazione sugli utili che gli sono già stati imputati nell'esercizio di produzione.

Resta da chiarire come dall'art. 20-bis, TUIR si ricavi inequivocabilmente che il reddito realizzato dal socio è qualificabile in termini di reddito di partecipazione. Ciò vuol dire, in sostanza, che il reddito del socio uscente deve considerarsi della stessa natura di quello prodotto dalla società: trattandosi di società di persone commerciali, il reddito del socio uscente costituirà reddito d'impresa, soggetto al principio generale di competenza che regola l'imputazione temporale di tale tipologia di redditi (e nello stesso senso, ancora, si è pronunciata l'Amministrazione Finanziaria nella risoluzione n. 64/E del 2008).

Gli effetti fiscali per la società (e per i soci superstiti): la possibile doppia imposizione della differenza da recesso

Esaminati i riflessi fiscali del recesso dalla prospettiva del socio, resta più problematica la gestione fiscale del recesso da parte della società; ferma l'irrilevanza reddituale del rimborso dei conferimenti e degli eventuali utili pregressi già imputati ai soci, i dubbi concernono quella parte del valore della quota liquidata al socio uscente connessa all'utile di periodo, al valore di avviamento dell'azienda sociale ed alle eventuali plusvalenze latenti sui beni dell'impresa. È evidente, infatti, che tali valori (sinteticamente indicati come “differenza da recesso”) verrebbero tassati una prima volta in capo al socio uscente quali componenti imponibili della somma corrisposta ed una seconda volta in capo ai soci superstiti, quando fossero realizzati dalla società ed imputati per trasparenza a questi ultimi.

La dottrina ha da tempo avvertito che il problema in questione è privo di una tranquilla soluzione. Da un lato, infatti, non vi sono elementi per poter sostenere che la differenza da recesso non debba essere tassata in capo al socio, ciò discendendo dalla piana interpretazione delle disposizioni richiamate nel paragrafo precedente; dall'altro, pare oggettivamente dubitabile che l'obbligazione gravante sulla società verso il socio uscente possa essere qualificata alla stregua di un costo inerente all'attività d'impresa svolta dalla società e, quindi, che possa considerarsi deducibile dal reddito della società (ciò che ovvierebbe, in effetti, alla eventuale doppia imposizione in capo ai soci superstiti).

Nonostante i dubbi da ultimo rappresentati, già nella risoluzione n. 64/E del 2008 l'Agenzia delle Entrate ha avuto modo di affermare la deducibilità per la società della differenza da recesso rappresentata dagli utili in corso di formazione nell'esercizio del recesso, dal valore di avviamento e dalle plusvalenze latenti, realizzandosi in caso contrario una doppia imposizione dello stesso reddito in capo al socio uscente ed ai soci superstiti.

Nell'ordinanza in commento la Suprema Corte conferma tale soluzione, richiamando espressamente il procedente documento di prassi. La Corte, invero, come già in precedenza l'Amministrazione Finanziaria, non si esprime sul profilo dell'inerenza del costo, che peraltro non veniva in rilievo nella fattispecie concreta oggetto di disamina.

La questione esaminata dalla Cassazione

In effetti, la quaestio iuris sottoposta all'attenzione dei Giudici di legittimità riguardava un altro aspetto specifico, concernente l'imputazione temporale del componente negativo di cui si tratta: ferma la deducibilità dal reddito della società della differenza da recesso come sopra individuata, alla Corte veniva chiesto di chiarire se la stessa potesse o meno essere ricondotta tra le “spese relative a più esercizi”, che ai sensi dell'art. 108, primo comma, TUIR, sono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio. Nel caso di specie, infatti, la società aveva provveduto alla deduzione in più quote annuali (senza peraltro che fosse chiarito il criterio adottato per la ripartizione delle quote annuali), mentre l'Amministrazione Finanziaria riteneva che il componente negativo in parola fosse deducibile integralmente nel periodo di competenza, individuato nell'esercizio in cui era avvenuto il recesso ed era sorto il diritto al pagamento della somma di cui la differenza da recesso rappresenta una componente.

Nell'ordinanza in commento la Cassazione esclude che la differenza da recesso possa essere ricondotta tra le spese relative a più esercizi, ricordando che la pluriennalità cui si riferisce l'art. 108, primo comma, TUIR, dipende dall'attitudine della spesa a produrre utilità in più esercizi e rilevando che “siffatta attitudine è evidentemente assente nella spesa costituita dalla “differenza da recesso” liquidata dalle società di persone ai soci receduti atteso che tale spesa non produce utilità per l'impresa nel corso di più esercizi ma si esaurisce nell'esercizio nel quale sorge il diritto alla liquidazione della quota”.

Ciò posto, secondo la Cassazione la differenza da recesso deve essere dedotta interamente nell'esercizio nel quale sorge il diritto del socio alla liquidazione della quota, in applicazione del criterio generale di imputazione temporale per competenza sancito dall'art. 109, primo comma, TUIR.

Gli stessi Giudici di legittimità ricordano infine che il principio di competenza deve essere integrato e coordinato con i principi di certezza ed obiettiva determinabilità, sicché i componenti reddituali positivi e negativi devono essere imputati temporalmente soltanto all'esercizio nel quale si verificano tali condizioni, secondo quanto prescritto dall'art. 109, comma 2, secondo periodo, TUIR.

Tale ultima precisazione assume particolare importanza nella fattispecie in esame.

Come detto in precedenza, infatti, il valore della quota deve essere determinata tenendo conto anche degli utili e delle perdite inerenti alle operazioni in corso al momento del recesso; nonostante l'art. 2289, comma 4, c.c. disponga che il pagamento della quota debba avvenire entro sei mesi dal giorno in cui si è verificato il recesso, quindi, è verosimile che il valore della quota possa essere definitivamente determinato soltanto in un esercizio diverso da quello in cui il diritto è sorto, allorquando siano obiettivamente determinabili gli utili e le perdite inerenti agli affari in corso nell'esercizio in cui è divenuto efficace il recesso. Ove ciò accada, secondo la precisazione fornita dalla Cassazione, la differenza da recesso potrà essere dedotta interamente dalla società soltanto in tale diverso esercizio, che sarebbe quello nel quale il componente reddituale negativo è divenuto certo nell'esistenza ed obiettivamente determinabile nell'ammontare.

É evidente, peraltro, che il periodo nel quale il componente negativo diviene certo ed obiettivamente determinabile (e quindi deducibile) per la società dovrà necessariamente coincidere con quello nel quale il corrispondente provento diviene certo ed obiettivamente determinabile (e quindi tassabile) in capo al socio. Non dovrebbero pertanto esservi disallineamenti temporali tra la deduzione in capo alla società e l'imposizione in capo al socio del componente reddituale rappresentato dal pagamento del valore della quota al socio uscente da parte della società.

In conclusione

Per concludere, si può rilevare che la differenza da recesso non è certamente annoverabile tra le spese relative a più esercizi ex art. 108, primo comma, TUIR; sotto tale profilo, dunque, la decisione della Cassazione appare corretta.

Più in generale, però, potrebbero sollevarsi perplessità sulla deducibilità tout court della differenza da recesso sotto il profilo dell'inerenza. Fermo restando che la spesa di cui si tratta “non produce utilità per l'impresa nel corso di più esercizi”, come affermano i Giudici di legittimità nella pronuncia in commento, resta infatti il dubbio che tale spesa non produca affatto alcuna utilità per l'impresa e, dunque, che non possa ritenersi inerente (e quindi deducibile).

Alla luce di tale considerazione, la deduzione non troverebbe fondamento nell'applicazione delle regole generali in tema di determinazione del reddito d'impresa, ma rappresenterebbe un mero espediente tecnico atto ad evitare il fenomeno di doppia imposizione sopra descritto.

In tale prospettiva, l'ordinanza in commento (come già il precedente pronunciamento di prassi) sembra particolarmente apprezzabile nella misura in cui ha confermato la deducibilità della differenza da recesso quale espediente tecnico finalizzato ad evitare il fenomeno di doppia imposizione che altrimenti si verificherebbe, superando le rigidità che la stessa Cassazione spesso dimostra con riguardo ad altre fattispecie nelle quali, parimenti, si verificano fenomeni simili di doppia imposizione.

Riferimenti bibliografici

Sui criteri di determinazione del valore della quota in caso di recesso del socio

F. Ferrara, jr., F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2011, 241

F. Galgano, Le società in genere. Le società di persone, Milano, 2007, 343.

Per la rilevanza dell'avviamento, in giurisprudenza

Cass., sez. I, sent. 14 marzo 2001, n. 3671

Sulla titolarità della relativa obbligazione

F. Galgano, Le società in genere. Le società di persone, cit., 343; Cass., sez. I, sent. 13 febbraio 1999, n. 13954.

Sul regime fiscale della differenza da recesso da società di persone

G. Porcaro, Società di persone e perdita della pluralità di soci: riflessi sul socio uscente e sul regime dei beni d'impresa, in AA.VV., La fiscalità delle operazioni straordinarie d'impresa, a cura di R. Lupi, D. Stevanato, Milano, 2002, 272-273

M. Nussi, L'imputazione del reddito nel diritto tributario, Padova, 1996, 419 e ss..

Per un commento alla risoluzione n. 64/E del 2008

G. Rebecca, F. Sartori, Risoluzione n. 64/E del 25 febbraio 2008. Aspetti fiscali del recesso da società di persone, Il fisco, 2008, 3789.

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