Impugnazione incidentale tardiva di sentenza non definitiva: occorre la riserva di gravame differito?
11 Novembre 2021
Massima
La riserva d'impugnazione contro le sentenze non definitive deve reputarsi necessaria soltanto per le impugnazioni principali, non anche per quelle incidentali, che possono essere tardivamente proposte dalle parti contro le quali è stata proposta l'impugnazione principale e da quelle chiamate ad integrare il contraddittorio, a norma dell'art. 331 c.p.c., anche quando per esse sia decorso il termine o abbiano prestato acquiescenza alla sentenza. Il caso
Il giudice di primo grado si era pronunciato in causa con una sentenza non definitiva e con un'altra, definitiva. La sentenza definitiva è stata impugnata da una delle parti risultata parzialmente soccombente. Le controparti hanno allora proposto impugnazioni incidentali avverso la sentenza non definitiva, senza aver, tuttavia, presentato a suo tempo la riserva di gravame differito oggetto delle disposizioni di cui all'art. 340 c.p.c. La questione
Si chiede con il ricorso di dichiarare erronea la pronuncia di merito che aveva ritenuto ritualmente proposte le impugnazioni incidentali contro la sentenza non definitiva in difetto della riserva di gravame differito ma avvalendosi, quale presupposto asseritamente legittimante, dell'appello principale formulato dalla controparte avverso la sentenza definitiva. Quelle impugnazioni incidentali, da considerarsi tardive, non avrebbero potuto, si afferma, essere rivolte avverso un provvedimento la cui contestazione, a termini di decadenza ormai scaduti, avrebbe richiesto necessariamente la preventiva riserva di appello. Il quesito da risolvere, in sostanza, può essere così sintetizzato: in presenza di impugnazione principale avverso la sentenza definitiva, l'impugnazione incidentale tardiva di controparte avverso la sentenza non definitiva richiede, quale condizione necessaria per la sua ammissibilità, che la parte interessata abbia tempestivamente effettuato la dichiarazione di riserva di gravame? Le soluzioni giuridiche
Nella sua pronuncia la Corte regolatrice ha ricordato come nella materia sottoposta al suo esame sia generalmente seguito il principio giurisprudenziale secondo cui la legittimazione all'impugnazione incidentale tardiva ex art. 334 c.p.c. può riguardare la sentenza non definitiva ad una duplice e congiunta condizione: che il soccombente sia autore della riserva di gravame differito; e che, essendo risultato parzialmente vittorioso per effetto della sentenza definitiva, veda le statuizioni di questa, a lui favorevoli, impugnate in via principale dalla controparte. La regola così posta, che richiede la preventiva riserva di impugnazione, è, tuttavia, a parere del Collegio, frutto della tralaticia applicazione di risalenti pronunce «dalle quali, in realtà, non era dato evincere alcun decisivo argomento a supporto dell'enunciazione effettuata mentre emergevano, se mai, convincenti indicazioni di segno contrario». La decisione ha formulato un principio opposto e al riguardo le argomentazioni svolte nella motivazione sono le seguenti, che vale la pena di trascrivere. L'assunto interpretativo correntemente osservato mal si concilia con l'evidenza normativa che vuole l'osservanza del termine stabilito dall'art. 325 c.p.c. soltanto per l'impugnazione principale e non già per l'impugnazione incidentale tardiva: che, appunto, a termini dell'art. 334 c.p.c., è proponibile anche quando sia decorso il termine e perfino quando sia intervenuta acquiescenza. E sebbene nella vigente formulazione degli artt. 339 e 340 c.p.c. non si faccia cenno alla possibilità di esperire un'impugnazione differita della sentenza non definitiva che avvenga nelle forme e nei termini stabiliti per l'impugnazione incidentale tardiva, tale possibilità deve logicamente ammettersi proprio in relazione alla ratio che ispira l'art. 334 c.p.c.: e ciò indipendentemente da una preventiva riserva d'impugnazione, la cui necessità può giustificarsi, come emerge chiaramente dalle previsioni dell'art. 340 c.p.c., solo nell'ottica di un'impugnazione successiva proposta, anch'essa, in via principale. Ed allora, come opportunamente rimarcato da altra parte della giurisprudenza, deve ammettersi che sull'unità «formale» della sentenza deve far premio l'unicità del processo, nel corso del quale più decisioni possono susseguirsi in progressiva definizione del disputatum, sì che soltanto in riferimento all'esito conclusivo del singolo grado del giudizio è possibile, per ciascuno dei litiganti, valutare quale grado di soddisfacimento abbia in concreto ricevuto il suo interesse e quali siano i vantaggi ed i possibili rischi di un'eventuale impugnazione. Il che vale quanto dire (aggiunge la Corte) che, anche rispetto alle ipotesi previste dall'art. 340 c.p.c. (e, naturalmente, dall'art. 361 c.p.c., che disciplina il ricorso per cassazione), ricorre quella medesima ragione giustificativa dell'impugnazione incidentale tardiva che ne fonda l'ammissibilità: ossia lo scopo di favorire l'accettazione della definizione del giudizio nella sua interezza, anche quando molteplici e formalmente ascrivibili a più sentenze siano i precetti che hanno composto il conflitto tra le parti, così da avvertire colui, che con l'impugnazione principale intende rimettere in discussione a proprio vantaggio quell'equilibrio, profittando della scadenza dei termini processuali o dell'acquiescenza dell'avversario, che analoga facoltà permane pur sempre in capo alla controparte, la quale - ferma l'unitarietà del processo nella fase impugnatoria - ben potrà a sua volta dolersi delle statuizioni ad essa sfavorevoli contenute nel complessivo assetto di interessi in cui s'è concretato il decisum. Conclusivamente: la riserva d'impugnazione contro le sentenze non definitive deve reputarsi necessaria soltanto per le impugnazioni principali, non anche per quelle incidentali, che possono essere tardivamente proposte dalle parti contro le quali è stata proposta l'impugnazione principale e da quelle chiamate ad integrare il contraddittorio, a norma dell'art. 331 c.p.c., anche quando per esse sia decorso il termine o abbiano prestato acquiescenza alla sentenza; fermo restando, naturalmente, che il diritto all'impugnazione incidentale può sorgere concretamente solo con l'avvenuta proposizione dell'impugnazione principale, di talché se questa ultima viene dichiarata inammissibile, anche l'impugnazione incidentale nei confronti della sentenza non definitiva perderà la sua efficacia. Osservazioni
Con la decisione in argomento la Corte di cassazione ha riletto la sua giurisprudenza andando a ritroso di sessant'anni e, quale risultato dell'esame, si è dichiarata concorde soltanto con le pronunce più risalenti. Un ritorno ad un non prossimo passato, dunque, che ha avuto l'effetto di smentire l'esattezza delle applicazioni effettuate medio termine, per quanto ripetute e conformi. Esse sono state considerate quali frutto del fraintendimento di una sentenza capostipite: espressamente si è affermato al riguardo che il principio per tutto il periodo successivo osservato era fondato su elementi interpretativi male intesi dai collegi che ad esso si erano limitati ad adeguarsi. Una puntuale ricostruzione dei contenuti normativi conduceva infatti a un risultato diverso, più aderente alla lettera della legge e più rispettoso della ratio normativa. L'approdo finale raggiunto con questa ricostruzione ha condotto ad una conclusione del tutto diversa. Non occorre, dice il Supremo Collegio, premunirsi con una riserva rituale di gravame differito avverso la sentenza non definitiva, per il caso che controparte impugni la sentenza definitiva. Quella non definitiva è sempre impugnabile in via incidentale, non avendo rilievo alcuno l'intervenuta scadenza dei termini, l'eventuale acquiescenza e il difetto della riserva di proporre appello o ricorso. In questo senso si erano pronunciate Cass. civ., n. 2954/1959 e Cass. civ., n. 672/1966: decisioni risalenti ma, evidentemente, non dimenticate e ora recuperate come assertive dell'unica regola corretta. Come si è ricordato e come ha premesso la Corte, di contenuto opposto alle conclusioni raggiunte dall'intervento che si annota erano risultate le sentenze, in primis, di Cass. civ., n. 1452/1991 e poi tutte le successive che ad essa si erano accodate. Ma, ha osservato il provvedimento in esame, quella decisione non asseriva espressamente la necessità della riserva di gravame bensì (ed ecco il fraintendimento) recava un'affermazione diversa: essa diceva soltanto che la parte munita della riserva era ammessa a proporre l'impugnazione incidentale tardiva avverso la sentenza non definitiva anche se controparte aveva proposto l'appello principale contro la sentenza definitiva. E allora, sgombrato il campo dall'equivoco, doveva riconoscersi che sull'erronea regola della stretta necessità della preventiva riserva di gravame (che si era creduto di ricavare dalla citata Cass. civ., n. 1452/1991) dovevano prevalere alcuni elementi contrari desumibili aliunde e di significato palese: la lettura dell'art. 340 c.p.c. rivela che la riserva di appello riguarda soltanto l'impugnazione principale e che nessuna menzione in proposito è fatta dell'impugnazione incidentale; per l'impugnazione incidentale tardiva l'art. 334 c.p.c non prevede termini di decadenza o condizioni ed anzi essa è ammissibile anche quando ormai è decorso il termine (ex art. 325) o è stata fatta acquiescenza. Esiste una ragione per quest'assenza di formalismi e di limiti, ed essa è da ravvisarsi nelle esigenze che il legislatore ha inteso tutelare attraverso un tale assetto normativo: ragione da individuare nello scopo di favorire l'accettazionedella definizione del giudizio nella sua interezza, anche quando molteplici e formalmente ascrivibili a più sentenze siano i precetti che hanno composto il conflitto tra le parti. La pronuncia della Corte risulta, in definitiva, liberatoria per l'appellante e il ricorrente. Avverso la sentenza non definitiva e senza onere di riserva di gravame, infatti, essi possono proporne impugnazione: se e quando la controparte presenti un'impugnazione principale, anche contro la sola sentenza definitiva. |