Cade rientrando in ufficio dopo la pausa caffè: niente ristoro economico a carico dell'INAIL

Attilio Ievolella
11 Novembre 2021

Smentite in Cassazione le valutazioni che in appello avevano portato i Giudici ad accogliere la richiesta di una dipendente di una Procura. La lavoratrice si è esposta volontariamente a un rischio non connesso al lavoro e per un bisogno non impellente.

Smentite in Cassazione le valutazioni che in appello avevano portato i Giudici ad accogliere la richiesta di una dipendente di una Procura. La lavoratrice si è esposta volontariamente a un rischio non connesso al lavoro e per un bisogno non impellente.

Niente indennità di malattia per la lavoratrice vittima di una caduta nel tragitto di ritorno in ufficio dopo la pausa caffè (Cass., sez. lav., ord., 8 novembre 2021, n. 32473).

Riflettori puntati sulla disavventura vissuta da una dipendente della Procura della Repubblica di Firenze. A essere passata al vaglio è la richiesta da lei presentata all'INAIL e mirata ad ottenere «l'indennità di malattia per inabilità assoluta temporanea, oltre a un indennizzo corrispondente ad un danno permanente del 10%, in relazione ad un infortunio occorsole, nell'estate di oltre dieci anni fa, lungo il tragitto che stava percorrendo a piedi» nel rientro in ufficio «dopo una breve pausa caffè».

Nonostante l'opposizione dell'INAIL, i Giudici di merito ritengono legittima la pretesa avanzata dalla lavoratrice, poiché «il rischio» da lei assunto era collegato all'attività lavorativa, posto che «la pausa era stata autorizzata dal datore di lavoro ed era assente il servizio bar all'interno dell'ufficio». In sostanza, per i Giudici di merito «l'evento» va considerato «accessorio all'attività di lavoro».

Col ricorso in Cassazione l'INAIL prova a smentire la prospettiva fornita dalla lavoratrice, e sottolinea che «ella osservava un orario di lavoro continuato 9-15 e aveva timbrato il cartellino in uscita per effettuare, insieme a due colleghe, la cosiddetta pausa caffè di metà mattina presso un vicino bar» e che «in tale frangente era caduta mentre percorreva un breve tragitto a piedi, procurandosi un trauma al polso destro».

A fronte di questi dati, l'INAIL sostiene che «il rischio» è stato «assunto volontariamente dalla lavoratrice», non potendo «ravvisarsi nell'esigenza di prendere un caffè i caratteri del necessario bisogno fisiologico che avrebbero consentito di mantenere la stretta connessione con l'attività lavorativa».

Le obiezioni proposte dall'INAIL convincono appieno i Giudici della Cassazione, i quali sanciscono che «è da escludere l'indennizzabilità dell'infortunio subito dalla lavoratrice durante una pausa al di fuori dell'ufficio giudiziario ove prestava la propria attività e lungo il percorso seguito per andare al bar a prendere un caffè». Per i Giudici «la lavoratrice, allontanandosi dall'ufficio per raggiungere un vicino pubblico esercizio, si è volontariamente esposta ad un rischio non necessariamente connesso all'attività lavorativa per il bisogno di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente, interrompendo così la necessaria connessione causale tra attività lavorativa ed incidente».

Irrilevante, invece, chiariscono i Giudici, «la circostanza della tolleranza espressa dal datore di lavoro in ordine alla consuetudine dei dipendenti» di recarsi fuori dall'ufficio per un caffè.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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