Chirurgo plastico e sua responsabilità
12 Novembre 2021
Inquadramento
La responsabilità del Chirurgo Plastico è stata oggetto di significativi approfondimenti da parte della giurisprudenza di merito e di legittimità. Il professionista che svolga attività sanitaria avente ad oggetto prestazioni di chirurgia plastica ed estetica è tenuto ad essere costantemente aggiornato e bene informato su tutti gli sviluppi, scientifici e tecnici, della sua professione, in quanto deve attenersi con rigore alle linee guida e conformarsi agli standars internazionali di corretta esecuzione delle prestazioni chirurgiche; deve conoscere le novità dei prodotti e delle soluzioni terapeutiche che l'innovazione gli mette a disposizione; deve essere informato sulle possibili complicanze di determinate tecniche operatorie, per determinate tipologie di pazienti. In ogni fase del rapporto professionale, la componente psicologica della paziente che al Chirurgo Plastico si rivolge deve essere tenuta in sensibile considerazione. Si tratta di una fattispecie di responsabilità professionale sanitaria, in cui il rischio di temerarietà della richiesta giudiziaria è particolarmente elevato, per cui la competenza, esperienza e professionalità dei consulenti tecnici di parte, specialisti, si rivela un presidio essenziale contro il rischio tanto di inutile spreco di attività giudiziale, quanto di deludenti esiti dei giudizi risarcitori, suscettibili di concludersi con la condanna alle spese. Condotta esigibile
Nel rapporto medico-paziente, l'esatta esecuzionecoincide con l'erogazione di una prestazione sanitaria diligente e, con specifico riferimento alla prestazione professionale dello specialista in Chirurgia Plastica, la condotta esigibile (a norma dell'art. 1176, comma 2, c.c.) viene parametrata in relazione acriteri di giudizio tecnici condivisi ed alle buone pratiche accreditate. Laddove sia in contestazione la correttezza del suo adempimento, il professionista è tenuto ad allegare le linee guida o le best practices consolidate, sulle quali il suo agire - in relazione alla richiesta di prestazione del paziente doveva essere modellato - ed a cui deve poter emergere in corso di causa che è stato conforme.
L'inadempimento qualificato non sussiste quando il Chirurgo dimostri la compliance con i dettami della diligenza specialistica della sua professione e con i protocolli accreditati e le consolidate pratiche terapeutiche e chirurgiche nazionali ed internazionali. Pertanto, in sede di accertamento giudiziale scaturito dalla censura di un paziente, il Chirurgo potrà dare prova della correttezza della propria attività professionale sulla base della conformità alle regole della “migliore scienza accreditata in quel dato momento storico” ed avendo riguardo alla tipologia di opera e di attività professionale in contestazione. Consenso informato
La corretta e compiuta acquisizione del consenso informato è il discrimen per la valutazione in termini di legittimità dell'intervento, che si assume causativo di danno ed in relazione alla prestazione sanitaria resa dal Chirurgo Plastico: Il tema dell'informazione e della consapevole autorizzazione all'intervento chirurgico ed alle prestazioni terapeutiche assume una connotazione particolarmente rilevante, in quanto inerisce anche alla completezza delle indicazioni sui rischi e le complicazioni prevedibili in linea generale ed in relazione al paziente ed alle sue caratteristiche peculiari (conformazione corporea, pregressi interventi, tipologia di pelle e così via). Lo Specialista, infatti, è chiamato a rispondere sul piano risarcitorio, anche laddove l'intervento sia stato correttamente eseguito, ma si accerti che il Paziente non sia stato pienamente e accuratamente informato della possibilità che dall'intervento residuasse un eventuale inestetismo più grave di quello che l'operazione aveva il fine di rimuovere o ridurre nella intensità, in quanto il Paziente ha diritto ad essere reso edotto, prima di acconsentire alla esecuzione di una prestazione sanitaria di un possibile, prevedibile, esito peggiorativo della salute.
Va rilevato che, tuttavia, la lesione del diritto alla autodeterminazione è idonea a fondare un risarcimento solo se il paziente dimostri che non si sarebbe sottoposto all'intervento se correttamente informato, per cui ove manchi una puntuale e tempestiva allegazione relativa alle conseguenze che sarebbero scaturite in assenza dell'adeguata informazione, manca la prova sulla lesione del diritto all'autodeterminazione, di cui va dimostrata la limitazione o l'esclusione. Il paziente ha uno specifico onere di allegazione relativamente al pregiudizio di apprezzabile gravità (suscettibile di liquidazione in via equitativa) che assume di avere patito dalla lesione del diritto all'autodeterminazione, diverso ed ulteriore rispetto al danno estetico, ossia alla lesione alla salute. Importante è sottolineare che l'informativa adeguata, circostanziata e puntuale diviene elemento essenziale anche in relazione ad allegate incompletezze della cartella clinica, che - entro determinati confini - può essere integrata tanto con documenti informativi aventi data certa, acquisiti dal Chirurgo e debitamente sottoscritti dal paziente, quanto con la documentazione iconografica della situazione precedente all'intervento eseguito, destinata a divenire oggetto di confronto con le foto postoperatorie e con lo stato obiettivo rilevabile in sede di consulenza tecnica d'ufficio. Inoltre, ove l'intervento sia stato eseguito all'interno di una Casa di Cura (con le strutture e l'assistenza del personale ausiliario della stessa), la mancanza di adeguato consenso informato sui rischi dell'intervento costituisce una omissione che la giurisprudenza ritiene addebitabile alla struttura sanitaria, la quale non avrebbe dovuto consentire l'esecuzione di detto intervento in assenza della necessaria autorizzazione (consenso informato) del paziente, sempre ove che sia dimostrato che, se adeguatamente informato, non si sarebbe sottoposto all'intervento.
Onere della prova
Sul piano probatorio, il paziente è gravato dell'onere di allegare l'inadempimento del medico e di provare la causalità materiale e giuridica, in applicazione del criterio ermeneutico del “più probabile che non”, dimostrando che il danno patito - di cui deve allegare entità e ripercussioni sulla sua vita personale ed eventualmente professionale - è stato determinato da un inadempimento “qualificato”, cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno. Incombe, dunque, sul paziente-creditore l'onere di provare il fatto costitutivo della sua domanda risarcitoria che non si limita al danno, ma si estende anche alla sua eziologia, in quanto il danno evento lamentato dal paziente non coincide con il mancato compimento della condotta esigibile. Il Chirurgo, nella sua posizione di debitore della prestazione sanitaria, ha l'onere di dimostrare che non vi è stato inadempimento ovvero che l'inadempimento è stato cagionato da un evento imprevisto ed imprevedibile, non eziologicamente riconducibile alla propria condotta: infatti, nel delimitare il perimetro della condotta esigibile, in vista della qualificazione in termini di correttezza della prestazione, vengono in rilievo anche le caratteristiche peculiari della struttura corporea e della pelle del paziente, laddove idonee ad interrompere il rapporto di causalità, nonché la eventuale sopravvenienza di un fattore estraneo.
Va rilevato che, nel caso in cui sia ravvisabile un profilo di negligenza sotto il profilo delle leges artis, ma i trattamenti terapeutici praticati non abbiano cagionato alcun pregiudizio alla salute del paziente, ovvero siano stati eziologicamente irrilevanti, il professionista può andare esente da responsabilità solo ove sia in grado di dimostrare - secondo il principio di causalità adeguata - che le cure effettuate, per quanto non utili e non corrette, non hanno avuto alcun impatto sulla salute della persona rispetto alle sua pregressa condizione fisica.
Incompletezza della cartella clinica
Il professionista Chirurgo Plastico è tenuto a valutare e documentare gli elementi da cui possa emergere la corretta indicazione all'intervento e deve evitare di incorrere in carenze nella tenuta della cartella clinica, in cui:
L'eventuale incompiutezza della cartella clinica non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra condotta sanitaria e danno accertato ed è ammesso il ricorso al principio di vicinanza della prova, in applicazione del quale si fa ricorso a presunzioni, attraverso cui il rilievo della difettosa tenuta della cartella clinica può far ritenere provato il nesso di causalità materiale, a condizione che la condotta del sanitario risulti idonea alla causazione dell'evento, in quanto non è sufficiente la semplice insufficienza o indisponibilità di elementi ed informazioni sanitarie in cartella medesima, per cui non rileva la eventuale incompletezza limitata a parti non rilevanti (mancanza meramente formale) e in quanto tale non idonea ad incidere sulla possibilità di dimostrare la ricostruzione degli eventi allegata dal paziente.
Pertanto, ove sussista una condotta astrattamente atta a provocare la lesione e l'omissione presente nella cartella clinica rende impossibile l'accertamento del nesso eziologico (Cass., sez. III, n. 14261/2020), il giudice può fondare il suo convincimento sulla esistenza di un valido legame causale (Cass. n. 12218/2015) a partire dalla circostanza di fatto della omissiva compilazione del documento sanitario (Cass., sez. III, 4424/2021), che in nessun caso può ricadere sul paziente; né il professionista e la struttura sanitaria in cui fu resa la prestazione in contestazione possono avvantaggiarsi di eventuali trascuratezze o disattenzioni presenti in una cartella clinica, che ometta eventi che dovevano in essa essere riportati, in quanto l'imperfetta compilazione non può essere pregiudizievole per l'avente diritto alla prestazione sanitaria. L'eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza di un valido nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente soltanto quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l'accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno. (Corte appello Firenze sez. II, 8 gennaio 2020, n. 18). La struttura sanitaria risponde dell'eventuale danno lamentato dal paziente nei confronti del Chirurgo Plastico e, secondo la giurisprudenza dominante, sussiste un'obbligazione unitaria - con l'unitarietà del risultato finale - a carico di una pluralità di parti.
L'art. 7 della c.d. Legge Gelli-Bianco stabilisce in modo espresso la responsabilità della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, per cui anche se il Chirurgo Plastico sia stato scelto dal paziente, sussiste la responsabilità solidale della Casa di Cura privata - in relazione alle condotte professionali presso i propri locali eseguite - anche nei casi in cui il professionista non sia dipendente della struttura stessa. La struttura sanitaria è, inoltre, gravata dall'obbligo di fornire al paziente il livello di organizzazione e di sicurezza esigibile - e, quindi, ragionevolmente prevedibile - nel momento storico in cui la prestazione sanitaria in contestazione è stata eseguita, con la conseguenza che oltre ai profili connessi alla accoglienza di tipo “alberghiero”, la struttura deve rispettare precisi obblighi anche in termini di dotazioni strumentali ed attrezzature tecniche e tecnologiche, atte ad essere impiegate durante la procedura chirurgica e nei deprecati casi in cui si verifichino delle complicanze. L'irregolarità della tenuta della cartella clinica fa presumere la colpa della struttura sanitaria. Il subprocedimento della consulenza tecnica d'ufficio è fondamentale per valutare il rispetto della diligenza qualificata esigibile dal Chirurgo plastica e accertare l'esistenza del nesso di causalità diretta con l'evento di danno, che deve essere quantificato, se la condotta sia stata rilevata carente ed il collegamento con la lesione lamentata sia ritenuto provato. In seguito all'introduzione della c.d. legge Gelli Bianco (l. n. 24/2017), il collegio dei CCTTUU (i Consulenti nominati dal Giudice) è composto da uno Specialista in Medicina Legale ed uno Specialista in Chirurgia Plastica, i quali dopo l'accettazione dell'incarico e la prestazione del giuramento (“di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di fare conoscere ai giudici la verità” ex art. 193 c.p.c.), studiano la documentazione ritualmente acquisita agli atti di causa nel rispetto delle preclusioni di legge e, dopo aver visitato il paziente ed avere eseguito il suo esame obiettivo - nel contraddittorio dei CCTTPP (i consulenti nominati dalle parti nominati entro il termine stabilito e, comunque, entro la data di inizio delle operazioni peritali) - rispondono ai quesiti dal Giudice formulati, elaborando la prima stesura della relazione di CTU (c.d. “bozza”) in cui rispondono ai quesiti, la cui formulazione si rivela centrale e strategica, per la necessità di identificare le fasi dell'intervento, i suoi protagonisti e le eventuali mancanze e/o incompletezze della cartella clinica e della scheda anestesiologica. I Consulenti del giudice, ai sensi dell'art. 90 disp. att. c.p.c., non possono “ricevere altri scritti defensionali oltre quelli contenenti le osservazioni e le istanze di parte consentite dall'articolo 194 del Codice”, comunemente definite “note di lumi”, che in alcuni casi sono espressamente richieste ed autorizzate, ma che - in ogni caso - i Consulenti delle parti possono agli stessi far pervenire, al solo scopo di riepilogare la ricostruzione della posizione che difendono, sintetizzando quanto già espresso in atti e in sede di operazioni peritali. Nel redigere la versione finale della relazione di CTU i Consulenti del giudice devono rispondere in modo esaustivo e completo alle osservazioni critiche alla bozza, predisposte dai Consulenti delle parti, in modo da consentire al giudice di verificare le ragioni del loro discostarsi dalle diverse ricostruzioni della vicenda sanitaria che le parti propongono in giudizio, motivando il proprio dissenso dalle critiche che abbiano ricevuto sulle valutazioni espresse.
Al fine di contrastare la richiesta risarcitoria, in sede di CTU il Chirurgo deve mettersi in condizioni di poter fornire la prova della mancanza di collegamento causale tra il danno evento e la performance chirurgica effettuata, nonché dimostrare l'esattezza del proprio adempimento (condotta esigibile) e - data la peculiarità di tale branca specialistica- utile si rivela durante la CTU il metodo del confronto tra le fotografie preoperatorie, che sono un presidio essenziale (e costituiscono una modalità di esplicazione della correttezza di ogni prestazione di chirurgia plastica) e quelle postoperatorie: la documentazione iconografica deve essere accuratamente archiviata dal Professionista, previa apposita autorizzazione del paziente debitamente sottoscritta. Ove la CTU accerti la fondatezza della richiesta risarcitoria, può essere riconosciuta al paziente danneggiato (tra le altre voci di danno) una somma equitativamente determinata per far fronte ad un nuovo intervento di chirurgica plastica correttiva, volto ad eliminare ogni inestetismo peggiorativo residuato dall'intervento in contestazione (si tratta di una somma idonea a ricomprendere sia i costi di una sala chirurgica, sia quelli relativi al compenso spettante al chirurgo plastico), nonché il ristoro per il periodo di inabilità temporanea connesso alle fasi operatoria e post-operatoria cui dovrà sottoporsi il danneggiato.
Casistica
Riferimenti normativi e giurisprudenziali
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