Obbligo vaccinale violato dal lavoratore e poteri datoriali

15 Novembre 2021

È illegittimo il provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita del lavoratore che non abbia aderito alla campagna vaccinale anti-Covid, pur essendone tenuto, se il datore di lavoro non abbia assolto all'obbligo di repechage e non abbia rispettato la procedura di cui all'art. 4 D.L. n. 44/2021...
Massima

È illegittimo il provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita del lavoratore che non abbia aderito alla campagna vaccinale anti-Covid, pur essendone tenuto, se il datore di lavoro non abbia assolto all'obbligo di repêchage e non abbia rispettato la procedura di cui all'art. 4 D.L. n. 44/2021.

Il caso

Una lavoratrice, dipendente ASA di una RSA, svolgente attività di assistenza ai soggetti ricoverati presso la struttura della propria datrice di lavoro, si rifiutava espressamente di prestare adesione alla campagna vaccinale anti-Covid 19 della Regione Lombardia, implementata tra gennaio e febbraio 2021. Veniva pertanto collocata in aspettativa non retribuita dalla datrice di lavoro, fino al termine del 30 aprile 2021, successivamente prolungato sino al 31 dicembre 2021, termine previsto dal D.L. 44/2021, entrato in vigore nel frattempo (ad aprile 2021), che ha introdotto l'obbligo di vaccinazione, per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2, per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori sanitari operanti in strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali.

La datrice di lavoro adottava la misura della sospensione della lavoratrice dall'attività lavorativa, nonché dallo stipendio, sulla scorta del disposto normativo di cui all'art. 2087 c.c., quale misura diretta a tutelare l'integrità e le migliori condizioni di salute dei collaboratori, degli ospiti e di tutti gli utenti della RSA, rappresentando l'omessa vaccinazione un rischio potenzialmente grave per la salute di detti soggetti.

Il provvedimento datoriale veniva contestato ed impugnato dalla lavoratrice, che, agendo innanzi al Giudice del Lavoro, ne chiedeva l'annullamento per – tra l'altro – violazione delle norme relative all'obbligo di ricollocamento di soggetto inidoneo alla mansione; per violazione della L. 145/2001; per l'inapplicabilità degli artt. 2087 c.c. e 278 D.Lgs. 81/2008; per insussistenza nel merito della possibile violazione del principio di precauzione per assenza dei requisiti di necessità e proporzionalità.

Il Tribunale adito, in parziale accoglimento del ricorso, accertava e dichiarava l'illegittimità del provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita, per violazione dell'obbligo di repêchage e della procedura di verifica dell'adempimento dell'obbligo vaccinale ex D.L. 44/2021, condannando la datrice di lavoro alle retribuzioni maturate dalla data di sospensione alla data di effettiva riammisione in servizio o di legittima sospensione della prestazione lavorativa.

Le questioni giuridiche

La questione giuridica affrontata dal Tribunale di Milano è di particolare importanza nell'ambito delle misure legislative adottate per la prevenzione ed il contenimento dei rischi connessi alla pandemia da Covid 19.

Nello specifico, il tema è quello dell'efficacia coercitiva dei provvedimenti assunti a tutela della salute pubblica e dell'integrità fisica individuale in particolari ambienti di lavoro, cioè quelli di carattere sanitario, dove vi è l'esigenza di proteggere dal rischio del contagio non solo gli operatori sanitari ed i lavoratori, ma anche i soggetti destinatari delle cure e dei servizi sanitari, stante la loro condizione di fragilità e vulnerabilità al virus.

Un'esigenza divenuta maggiormente stringente a causa della letale diffusione del virus registratasi nelle strutture sanitarie, soprattutto nelle residenze per anziani (rsa), durante la cosiddetta prima ondata dei contagi.

Sul piano giuridico, le tutele che si fronteggiano, alla ricerca di un equilibrio che possa contemperare gli interessi coinvolti, sono quelle poste a difesa della salute, quale diritto individuale ed interesse della collettività, nel rispetto del diritto individuale ad autodeterminarsi, secondo il solco tracciato dall'art. 32 della Costituzione.

Su un differente piano, sempre di carattere giuridico, la questione attiene anche agli obblighi che investono il datore di lavoro, tenuto ad assumere misure che garantiscano la tutela dell'integrità psico-fisica dei lavoratori nell'ambiente di lavoro e al rispetto delle misure di sicurezza del lavoro.

Conseguentemente, la questione giuridica ha un'ulteriore prospettiva di analisi, ossia quella degli obblighi, dei doveri e dei poteri del datore di lavoro, nonché quella dei diritti del lavoratore, diritti lavoristici e diritti all'autodeterminazione per i trattamenti sanitari.

Le soluzioni giuridiche

La vicenda sorge all'indomani della campagna vaccinale anti-Covid avviata da Regione Lombardia a febbraio 2021, riguardante il personale operante in ambito sanitario, su cui si è inserita la disciplina emergenziale di cui al D.L. n. 44 del 1° aprile 2021.

L'art. 4, comma 1, della citata disposizione normativa, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, ha introdotto l'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2, nei riguardi degli esercenti le professioni sanitarie e degli operatori di interesse sanitario di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, che svolgano la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali, stabilendo espressamente che la vaccinazione costituisca requisito essenziale per l'esercizio dell'attività lavorativa dei soggetti sopra indicati, salvo quanto previsto dal comma successivo.

Infatti, il comma 2 prevede un'esenzione dall'obbligo di vaccinazione, che può essere omessa o differita, nel caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale.

I successivi commi dell'art. 4 (da 3 a 7) disciplinano l'iter procedurale di verifica dell'assolvimento dell'obbligo vaccinale, invero piuttosto articolato, prevedendosi che, da un lato, ciascun Ordine professionale territoriale debba trasmettere l'elenco dei propri iscritti, alla regione o alla provincia autonoma di riferimento, mentre, d'altro lato, i datori di lavoro degli operatori sanitari interessati all'obbligo debbano trasmettere l'elenco dei propri dipendenti in questione, alla regione o alla provincia autonoma nel cui territorio operano gli stessi.

Regioni e province autonome, per il tramite dei servizi informativi vaccinali, devono successivamente verificare lo stato vaccinale di ciascuno dei soggetti rientranti negli elenchi e, in caso di riscontrata inosservanza dell'obbligo di vaccinazione, esse devono, nel rispetto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali, segnalare all'azienda sanitaria locale di residenza i nominativi dei soggetti che non risultano vaccinati.

Ricevuta tale segnalazione, l'azienda sanitaria locale di residenza invita l'interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell'invito, la documentazione comprovante l'effettuazione della vaccinazione o l'omissione o il differimento della stessa ai sensi del comma 2, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione o l'insussistenza dei presupposti per l'obbligo vaccinale di cui al comma 1. In caso di mancata presentazione di detta documentazione, l'azienda sanitaria locale, successivamente alla scadenza del predetto termine di cinque giorni, senza ritardo, invita formalmente l'interessato a sottoporsi alla somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2, indicando le modalità e i termini entro i quali adempiere all'obbligo prescritto. In caso di presentazione di documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, l'azienda sanitaria locale invita l'interessato a trasmettere immediatamente e comunque non oltre tre giorni dalla somministrazione, la certificazione attestante l'adempimento all'obbligo vaccinale.

Decorsi i termini per l'attestazione dell'adempimento del suddetto obbligo vaccinale, l'azienda sanitaria locale competente accerta l'inosservanza dell'obbligo vaccinale e ne dà immediata comunicazione scritta all'interessato, al datore di lavoro e all'Ordine professionale di appartenenza. L'adozione dell'atto di accertamento da parte dell'azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.

Tale sospensione è comunicata immediatamente all'interessato dall'Ordine professionale di appartenenza, mentre, sul versante dei datori di lavoro, questi adibiscono il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, che comunque non implichino contatti interpersonali o non comportino il rischio di diffusione del contagio del virus, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate.

Infine, la disposizione normativa prevede che, quando l'assegnazione a mansioni diverse non sia possibile, non sia dovuta la retribuzione né altro compenso o emolumento, per il periodo di sospensione.

Dunque, il provvedimento datoriale muove da questo contesto normativo, sebbene adottato prima del D.L. 44/2021 ma, comunque, rinnovato successivamente alla sua entrata in vigore. La misura rappresenta una decisione unilaterale del datore di lavoro, fondata, nella sua determinazione iniziale, sugli obblighi discendenti dall'art. 2087 c.c., norma di chiusura del nostro Ordinamento, posta a protezione dell'integrità del lavoratore, incentrata su un dovere generale e finalizzata alla prevenzione.

La disciplina codicistica citata impone all'imprenditore l'adozione, nell'esercizio dell'impresa, delle misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. E certamente il Covid 19 è virus che rappresenta una minaccia alla salute tale da imporre, all'imprenditore, sul luogo di lavoro, misure atte a prevenirne la diffusione ed il contagio. Tutto questo è del resto conforme a quanto espressamente previsto dalla Direttiva UE 2020/739 del 3 giugno 2020, che ha incluso il Sars-Cov-19 tra gli agenti biologici da cui è obbligatoria la protezione negli ambienti di lavoro. Ne consegue che il datore di lavoro è tenuto formalmente ai doveri di protezione e sicurezza sui luoghi di lavoro, previsti dalla disciplina di cui al D. Lgs. 81/2008, anche in relazione ai rischi esterni di contagio derivanti dalla diffusione pandemica del virus in questione.

A tale assetto si è affiancato, con funzione rafforzativa delle finalità di tutela e prevenzione, l'obbligo vaccinale, per le categorie di lavoratori sopra specificati, operanti in luoghi di cura e strutture sanitarie, introdotto dal D.L. n. 44/2021, che ha conferito, all'inoculamento del vaccino anticovid, requisito essenziale per poter prestare l'attività lavorativa richiesta e a cui si è obbligati.

Il D.L. n. 122/2021 ha ampliato lo spettro di applicazione dell'obbligo vaccinale, rispetto a quanto previsto dal D.L. n. 44/2021, estendendolo a tutti i lavoratori impiegati nelle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio assistenziali.

La mancata vaccinazione determina l'inutilizzabilità della prestazione lavorativa, non più utile, perché non più proficuamente inseribile nell'organizzazione aziendale e dunque fruibile, così da legittimare la sospensione dall'attività lavorativa del lavoratore, una volta tentato inutilmente il suo ricollocamento interno, in posizioni che non ne prevedano il contatto con altri soggetti o in cui non sussista il rischio del contagio. Alla sospensione dall'attività lavorativa si associa quella della retribuzione, secondo lo schema proprio della sopravvenuta impossibilità della prestazione.

Il Giudice meneghino ha applicato un principio cardine del nostro ordinamento giuslavoristico, ossia che, quando vi siano in ballo vicende aziendali di carattere organizzativo e produttivo, che abbiano un'incidenza sulla tenuta del rapporto lavorativo, occorre ricercare la soluzione che sappia preservare il posto di lavoro in discussione, prima di adottare provvedimenti che lo pregiudichino, che sono l'extrema ratio. È appunto l'obbligo di repêchage, che nella fattispecie in esame ha poi trovato espressa previsione normativa nel D.L.44/2021.

Il Giudice, peraltro, ha valorizzato anche il meccanismo procedurale previsto dalla citata normativa, ai fini della verifica dell'assolvimento dell'obbligo vaccinale, ritenendolo vincolante ai fini della legittimità dei provvedimenti sospensivi datoriali.

Rilevato il mancato assolvimento dell'obbligo di repêchage, pacifica la circostanza della mancata vaccinazione da parte della lavoratrice, preclusiva per l'esercizio della sua attività lavorativa, né è conseguita la dichiarazione di illegittimità del provvedimento datoriale di collocamento in aspettativa non retribuita della lavoratrice, anche se però non è stato formalmente annullato dal Giudice nel dispositivo, con condanna della resistente al pagamento delle somme retributive maturate dalla data di sospensione alla data di riammissione in servizio o di legittima sospensione della prestazione lavorativa.

A parere di chi scrive, sarebbe stato più coerente, anche in considerazione delle motivazioni della sentenza, dichiarare illegittimo il provvedimento ed annullarlo solo nella parte avente ad oggetto la sospensione della retribuzione. Con la statuizione offerta, infatti, il collocamento in aspettativa della lavoratrice sembrerebbe non avere più titolo, né però se ne dispone la riammissione in servizio, anzi la si esclude espressamente, in considerazione – giustamente – della mancata sussistenza del quisito essenziale dell'avvenuta vaccinazione per l'esercizio dell'attività lavorativa.

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