La sorte dei crediti sociali dopo l'estinzione della società e il credito da risarcimento del danno ex art. 2476 c.c.

16 Novembre 2021

L'avvenuta cancellazione della società rende ormai i soci uniche parti del giudizio, sia in proprio, sia quali successori a titolo universale della società, verificandosi la successione dei soci nei crediti sociali, ivi compreso il diritto al risarcimento del danno ex art. 2476 c.c....
Massima

L'avvenuta cancellazione della società rende ormai i soci uniche parti del giudizio, sia in proprio, sia quali successori a titolo universale della società, verificandosi la successione dei soci nei crediti sociali, ivi compreso il diritto al risarcimento del danno ex art. 2476 c.c., già riconosciuto giudizialmente a seguito di azione di responsabilità promossa dai soci nei confronti degli (ex) amministratori per fatti di mala gestio.

Il caso

Con ricorso depositato presso la Suprema Corte di Cassazione, un (ex) amministratore di s.r.l. impugnava la sentenza della Corte d'Appello di Cagliari che, in parziale riforma della decisione di I grado del Tribunale di Sassari, lo aveva condannato al risarcimento del danno, per fatti di mala gestio, cagionato alla s.r.l.; la società de qua era stata cancellata dal RRII e, dunque, si era estinta, successivamente alla conclusione del giudizio di appello medesimo e prima dell'avvio del giudizio di Cassazione.

La società, infatti, aveva partecipato, in persona del proprio curatore speciale, ai giudizi di primo e secondo grado ed era stata poi cancellata d'ufficio dal Registro delle Imprese ai sensi dell'art. 2490, u.c., c.c., per non aver depositato i bilanci sociali per oltre tre anni consecutivi.

Nel giudizio di legittimità, pertanto, la società de qua non era stata chiamata dall' (ex) amministratore ricorrente, soccombente in II grado, né sarebbe stato possibile comunque integrare il contradditorio nei confronti della stessa, vista la sua estinzione.

Quanto al contenuto dell'impugnazione, la Suprema Corte dichiara inammissibili tutti i motivi di ricorso, poiché surrettiziamente volti a riproporre, in sede di legittimità, un accertamento di fatto, volto a nuovamente valutare i fatti di causa nel merito, al fine di ritenere e dichiarare insussistenti le condotte di mala gestio accertate e riconosciute dal Giudice di seconde cure e addebitate all'amministratore ricorrente medesimo.

La particolarità della fattispecie in esame è data dalla circostanza dell'intervenuta cancellazione (d'ufficio) della società dal RRII successivamente al giudizio di appello, di talchè, al momento del deposito del ricorso in Cassazione da parte dell'amministratore soccombente in secondo grado, e durante tutto il giudizio di legittimità, la società era estinta; da tale circostanza nasce il quesito che concerne la sorte dei crediti (sociali) maturati - anche giudizialmente - prima della cancellazione della società, con particolare riferimento alla posizione dei soci (ex soci) che sono, e rimangono, parti processuali anche nel periodo successivo all'estinzione della società, che non è più parte del giudizio, in questo caso, di ultimo grado.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

La Corte di Cassazione, in questa pronuncia, si concentra quindi sull'analisi del fenomeno successorio che si verifica nel momento in cui, estinta la società, i crediti che facevano capo a questa si trasferiscono – in analogia a quanto accade in materia ereditaria – ai soci (ex soci) in regime di contitolarità/comunione indivisa; sono quindi richiamati i noti principi espressi dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 6070 e 6071 del 12 marzo 2013, a mente dei quali i soci sono appunto ritenuti successori universali, a tutti gli effetti, della società estinta, tanto sul piano sostanziale quanto su quello processuale (art.110 c.p.c.)

Tali principi li ritroviamo anche, successivamente, chiaramente ribaditi in Cass., Sez. VI civ., Ord. 31 dicembre 2020, n. 30075 e Cass., Sez. I civ., sent. 22 maggio 2020, n. 9464, pronunce entrambe richiamate dalla stessa sentenza qui in commento, che si sofferma ad analizzare anche la differenza tra “mere pretese” e “diritti di credito” facenti capo alla società poi cancellata dal RRII.

Infatti, solo nel caso di “mere pretese”, eventualmente azionabili in giudizio al fine del loro accertamento, la circostanza della cancellazione (volontaria) della società dal RRII può essere intrepretata come “tacita manifestazione di volontà di rinunciare alla relativa pretesa», intendendosi con “mere pretese” delle posizioni “ancorché azionate o azionabili in giudizio, cui ancora non corrisponda la possibilità d'individuare con sicurezza nel patrimonio sociale un diritto o un bene definito, onde un tal diritto o un tal bene non avrebbero neppure perciò potuto ragionevolmente essere iscritti nell'attivo del bilancio finale di liquidazione” (Cass., sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070). Qualora, invece, si tratti di diritti già certi/accertati, l'estinzione della società non può essere interpretata come volontà di rinunciare a tale diritto, così come chiarisce sempreCass., sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070: “Ma quando, invece, si tratta di un bene o di un diritto che, se fossero stati conosciuti o comunque non trascurati al tempo della liquidazione, in quel bilancio avrebbero dovuto senz'altro figurare, e che sarebbero perciò stati suscettibili di ripartizione tra i soci (al netto dei debiti), un'interpretazione abdicativa della cancellazione appare meno giustificata, e dunque non ci si può esimere dall'interrogarsi sul regime di quei residui o di quelle sopravvenienze attive” le quali “…b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa i diritti e i beni non compresi nel bilancio finale di liquidazione della società estinta ma non anche le mere pretese ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato".

Sulla base di tali premesse, condivise anche dalle successive pronunce della Suprema Corte sopra indicate, la pronuncia qui in commento afferma che il fenomeno successorio appena descritto si applica anche al credito che, inizialmente controverso e, dunque, qualificabile come “mera pretesa” diviene successivamente un vero e proprio “diritto di credito” a seguito del suo accertamento giudiziale, nel caso di specie richiesto dal socio che ha agito contro gli amministratori ex art.2476 c.c., con riconoscimento in grado di Appello del diritto della società a essere risarcita da parte dell'amministratore per mala gestio.

La Suprema Corte effettua poi un'ulteriore precisazione con particolare riferimento al caso di specie, nel quale la cancellazione della società in favore della quale è stato giudizialmente riconosciuto il diritto al risarcimento del danno subìto ex art. 2476 c.c. è avvenuta d'ufficio, ai sensi dell'art. 2490, comma 6 c.c., e non volontariamente. Ci si potrebbe quindi chiedere se il fenomeno successorio sino a qui descritto si applichi anche in caso di estinzione d'ufficio, e non volontaria, della società “creditrice”: la Suprema Corte risponde affermativamente.

In conclusione, quindi, la Cassazione ritiene che non possa interpretarsi come rinuncia della società al diritto di credito il fatto della sua cancellazione (volontaria o d'ufficio) dal RRII, e quindi la sua estinzione, vigendo la “regola” del fenomeno successorio sopra delineato e rimanendo un'eccezione la parallela “regola” della non sopravvivenza delle “mere pretese”, a quest'ultime rigorosamente circoscritta: nel caso di specie, il diritto al risarcimento in favore della società, ex art. 2476 c.c., era stato riconosciuto dalla Corte d'Appello prima della sua cancellazione, motivo per cui non può intendersi in alcun modo rinunciato tale diritto nè impedito il fenomeno successorio nei crediti sociali in favore dei soci (ex soci) a causa di tale fatto estintivo della persona giuridica.

Osservazioni

Per quanto concerne il tema della ribadita intrasferibilità agli ex soci, iure successionis, delle “mere pretese” non azionate in giudizio e dei “diritti di credito ancora illiquidi e/o incerti” al momento della cancellazione della società e, dunque, della sua estinzione, si osserva che interpretare come volontà abdicativa di tali pretese/diritti il fatto in sé dell'intervenuta cancellazione della società, risulta senz'altro pregiudizievole per i creditori sociali, a tutela dei quali, invece, si potrebbe riconoscere la possibilità di agire in via surrogatoria a tutela dei propri diritti, in luogo della società estinta. Tale principio, d'altra parte, è stato affermato dal trittico di sentenze delle Sezioni Unite della Suprema Corte (nn. 6070, 6071, 6072/2013) ed è stato successivamente confermato dalla giurisprudenza, pertanto pare, allo stato, difficilmente superabile.

In merito alla cancellazione d'ufficio, ai sensi dell'art. 2490, u.c., c.c., della società dal RRII per mancato deposito dei bilanci per tre anni consecutivi, si potrebbe osservare che le note sentenze delle SSUU del 2013 e la giurisprudenza che, in materia, successivamente le ha seguite riprendendone i principi di diritto, presuppongono, letteralmente, la cancellazione “volontaria” della società dal RRII, al verificarsi delle ipotesi previste nell'art. 2495 c.c.

La volontà abdicativa sopra evidenziata viene dunque ritenuta a seguito dell'estinzione “volontaria” della società. Nel caso, come in quello di specie, di cancellazione “d'ufficio” della società, ci si potrebbe chiedere se sia corretto desumere parimenti tale volontà abdicativa, dal momento che la cancellazione non è dipesa da un fatto “volontario” della società, ma è stata appunto disposta “d'ufficio” dal Giudice del Registro.

Forse, così ragionando, si dovrebbero diversificare le due situazioni anche se, continuando nella riflessione, il fatto che comporta la cancellazione “d'ufficio” della società dal RRII è sempre e comunque volontario, ovvero il “mancato deposito dei bilanci sociali per tre anni consecutivi”: pertanto, le conseguenze in termini di interpretazione abdicativa alle “mere pretese non azionate” e ai “crediti incerti e illiquidi” dovrebbero essere ragionevolmente le stesse in entrambi i casi, così come la Suprema Corte, nella pronuncia qui in commento, afferma, in maniera senz'altro condivisibile.

Conclusioni

In conclusione, la pronuncia in commento ha ripreso e ribadito i principi in materia già affermati dalle note sentenze del 2013, sviluppandoli in maniera ragionata e motivata per quanto concerne, in particolare, il tema della cancellazione d'ufficio della società dal RRII in relazione alla volontà abdicativa di “mere pretese” e di “crediti incerti e illiquidi” e il tema della legittimazione processuale degli ex soci a seguito della cancellazione della società. Al riguardo, viene ribadita l'impossibilità di integrare il contraddittorio nei confronti della società estinta, rimanendo gli ex soci unici titolari della legittimazione attiva/passiva al processo.

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