Inapplicabilità dell'esenzione di cui art. 67, c. 3, lett. a) ai pagamenti dei ratei del mutuo e non revocabilità delle rimesse su un conto corrente attivo

19 Novembre 2021

La sentenza oggetto di commento merita particolare attenzione per la lettura che la Corte milanese fa dell'art. 67, comma 3, lett. a), l.fall., prevedendo che tale norma non sia applicabile al rimborso delle rate di mutuo. Si tratta di una questione abbastanza frequente, risolta in modo non univoco nella giurisprudenza di merito; pertanto la pronuncia in esame può essere considerata un importante precedente a sostegno di una interpretazione "restrittiva" dell'esenzione da revocatoria per i pagamenti dei beni e servizi effettuati nei termini d'uso.
Massime

L'esenzione prevista dall'art. 67, comma 3, lett. a), l.fall. – a mente del quale non sono soggetti all'azione revocatoria i pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso – non si applica ai pagamenti dei ratei del mutuo.

La disposizione in commento è destinata ai soli fornitori di quei “beni e servizi” direttamente strumentali al ciclo produttivo dell'impresa, per limitare l'espansione a catena ai loro danni dell'insolvenza della loro clientela. È preferibile una lettura restrittiva di tale norma, volta a separare dalla generale platea dei pagamenti revocabili alcuni dotati di determinate caratteristiche e quindi costituenti eccezioni rispetto alla regola.

La revocabilità delle rimesse ex art. 67 l.fall. postula la scopertura del conto; pertanto, non sono revocabili le rimesse effettuate su un conto corrente con saldo attivo.

Se il conto è attivo, la rimessa non riduce il debito del correntista verso la Banca, ma incrementa il denaro depositato in conto, per cui la revocatoria fallimentare non è nemmeno astrattamente concepibile.

La scientia decoctionis in capo alla banca che abbia ricevuto pagamenti nei sei mesi precedenti al fallimento, può ritenersi provata in presenza di un coerente compendio indiziario costituito da bilanci, relazione dei revisori al bilancio, notizie di stampa, inadempienze fiscali e andamento dei rapporti bancari.

Al contrario, il solo rilievo di un patrimonio netto positivo non è sufficiente ad escludere la conoscenza dell'insolvenza, tanto più in ragione della veste di operatore qualificato ricoperta dall'istituito di credito, perciò in grado di valutare ed interpretare criticamente i dati di bilancio.

Il caso
Il primo grado

Il Fallimento ha agito in giudizio contro la Banca per sentir dichiarare inefficaci, nonché revocare ex art. 67, comma 2, l.fall.:

a) gli atti estintivi dell'esposizione debitoria della fallita attuati con quattro (4) rimesse su conto corrente bancario nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento (per totali euro 142.765,62); nonché

b) gli atti estintivi dell'esposizione debitoria della fallita attuati con pagamenti delle rate di mutuo avvenuti nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento (per un importo totale di euro 359.763,16).

Il Tribunale di Milano ha respinto le domande del Fallimento ritenendole carenti sia dell'elemento oggettivo sia (ad abundantiam) di quello soggettivo.

Relativamente alla domanda sub "a" (revocatoria delle rimesse in c/c), il giudice di primo grado ha rigettato la domanda del Fallimento affermando che non può farsi luogo a revocatoria essendoattivo il saldo del conto corrente nel quale sono confluite le rimesse asseritamente revocabili.

Il Tribunale ha rigettato anche la domanda sub "b" (ripianamento del mutuo) accogliendo l'eccezione sollevata dalla Banca, secondo la quale il mutuo era stato ripianato nei termini d'uso. Quindi, ritenendo applicabile l'art. 67, comma 3, lett. a), l.fall.

Ad abundantiam, il primo giudice ha ritenuto carente anche l'elemento soggettivo dell'azione revocatoria intrapresa (scientia decoctionis), valorizzando il fatto che il bilancio della società fallita depositato presso la camera di commercio esponesse un patrimonio netto positivo per circa euro 5.700.000.00.

L'appello

Il Fallimento soccombente ha impugnato la sentenza di primo grado davanti alla Corte d'Appello di Milano. Quest'ultima - in parziale accoglimento del gravame, e riformando in parte la sentenza del Tribunale – ha dichiarato inefficaci e revocato i pagamenti delle rate di mutuo (domanda sub "b"), condannando la Banca a restituire al Fallimento l'importo di euro 359.763,16, oltre interessi legali dalla domanda al saldo. Confermando, invece, la sentenza del Tribunale di Milano nella parte in cui aveva rigettato la domanda di revocatoria delle rimesse in conto corrente.

Per quel che riguarda quest'ultima domanda, la Corte d'Appello ha ritenuto corretta la decisione del Tribunale e – richiamando una giurisprudenza di legittimità ampiamente consolidata – ha ribadito che non può farsi luogo a revocatoria quando le rimesse risultano accreditate su conto corrente con saldo attivo.

Il Collegio di secondo grado, invece, ha ribaltato la decisione del Tribunale nella parte in cui quest'ultimo aveva escluso la revoca dei pagamenti delle rate di mutuo poiché considerati effettuati nei termini d'uso.Quindi, ha accolto la domanda del Fallimento condannando la Banca alla restituzione delle somme corrispondenti.

Per il giudice di secondo grado, i pagamenti dei ratei dei mutui sono revocabili ex art. 67, comma 2, l.fall., non rientrando nella disciplina dell'art. 67, comma 3, lett. a), l.fall.

La Corte d'Appello ha reputato - altresì - sussistente anche la conoscenza dello stato d'insolvenza della società in capo alla Banca.

Diversamente dal Tribunale, il Collegio ha ritenuto che la sola circostanza di un bilancio al 31 dicembre 2011 con un patrimonio netto positivo per circa euro 5.700.000.00, non fosse in grado di escludere la scientia decoctionis in capo al creditore. Piuttosto, la Corte - valutando la portata indiziaria dei numerosi elementi di prova forniti dal Fallimento, ritenuti univoci e concordanti - ha ritenuto che la Banca fosse al corrente, al momento in cui ebbe a ricevere le rimesse impugnate, dello stato di decozione in cui versava la società, tanto più in ragione della sua veste di operatore qualificato, perciò in grado di valutare ed interpretare criticamente i dati di bilancio.

Le questioni giuridiche e le possibili soluzioni

La sentenza della Corte d'Appello affronta fondamentalmente tre argomenti, tutti ricorrenti nella pratica del diritto concorsuale.

A seguire li analizzeremo tutti e tre, dedicando però maggior spazio alla lettura restrittiva dell'art. 67, comma 3, lett. a), l.fall. offerta dalla Corte milanese, in quanto riguardante un argomento ancora dibattuto in dottrina e nella giurisprudenza.

La revocabilità delle rimesse bancarie ex art. 67 l.fall. postula la scopertura del conto

Nel caso di specie, la Curatela aveva chiesto -in primo luogo- la revoca (ai sensi dell'art. 67, comma 2, l.fall.) di n. 4 rimesse sul c/c della Fallita avvenute nei sei mesi prima della dichiarazione di fallimento per un totale di euro 142.765,62.

Costituendosi in giudizio, la Banca convenuta aveva contestato le domande avversarie rappresentando, in particolare, che il conto corrente nel quale erano confluite le rimesse asseritamente revocabili era attivo.

Sia il Tribunale di Milano sia la Corte d'Appello ricordano, innanzitutto, che le rimesse in conto corrente possono essere distinte in:

(i) "rimesse ripristinatorie" della provvista, non revocabili, e

(ii) "rimesse solutorie", revocabili in quanto produttive di uno spostamento patrimoniale in favore della banca, mediante versamenti eseguiti su un conto non affidato con saldo passivo, oppure oltre il limite dell'affidamento su un conto affidato e, in ogni caso, “condizionatamente al positivo accertamento della consistenza e durevolezza della riduzione dell'esposizione debitoria”.

Ciò premesso, e proprio alla luce di tali principi, sia il Giudice di primo grado sia la Corte d'Appello ribadiscono che non è possibile farsi luogo a revocatoria poiché le rimesse risultavano accreditate su conto corrente con saldo attivo.

A sostegno della decisione sul punto, il Tribunale di Milano cita Cass. 14087/2002, ove si ribadiva che le rimesse sul conto corrente dell'imprenditore poi fallito sono legittimamente revocabili, ex art. 67 l. fall., tutte le volte in cui il conto stesso, all'atto della rimessa, risulti "scoperto": sia perché, non essendo assistito da apertura di credito, presenti un saldo a debito del cliente, sia perché il pur consentito indebitamento abbia ecceduto i limiti del fido convenzionalmente accordato al correntista.

La Corte d'Appello conferma la decisione del primo giudice.

Infatti, dopo aver rilevato – come sottolineato dalla Banca – che "se il conto è attivo, la rimessa non riduce il debito del correntista verso la Banca, ma incrementa il denaro depositato in conto, per cui la revocatoria fallimentare non è nemmeno astrattamente concepibile", fa presente che, a suo avviso, non v'è motivo per accogliere un indirizzo diverso da quello ribadito dalla citata Cass. 14087/2002 e per abbandonare una giurisprudenza di legittimità ampiamente consolidata in tal senso.

Una lettura restrittiva dell'art. 67, comma 3, lett. a), l.fall

L'

art. 67

, comma 3,

lett. a

)

,

l.fall

. prevede che non sono soggetti all'azione revocatoria i pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso.

Come anticipato più sopra, il Tribunale di Milano aveva accolto la tesi della Banca - secondo la quale il mutuo era stato ripianato nei termini d'uso - e quindi non aveva revocato i pagamenti delle rate di mutuo.

La Corte d'Appello, invece, ha offerto una diversa interpretazione della norma in esame e non ha ritenuto applicabile l'

art. 67,

comma

3

, lett. a

)

,

l.fall

. (i.e. l'esenzione da revocatoria prevista per i pagamenti effettuati nei termini d'uso) al rimborso delle rate di mutuo.

Il Collegio di secondo grado preferisce una lettura restrittiva dell'

art. 67

,

comma

3

,

lett.

a),

l.fall

., sostenendo che "la disposizione in commento pare destinata ai fornitori di quei “beni e servizi” direttamente strumentali al ciclo produttivo dell'impresa, per limitare l'espansione a catena ai loro danni dell'insolvenza della loro clientela.

A questa stregua non basta il rimando al dato lessicale dei “servizi”, siccome astrattamente associabile anche all'aggettivo “finanziari”, a sostenere la tesi che questi ultimi sono servizi come gli altri menzionati dalla norma derogatoria ed a giustificare un trattamento privilegiato, in assenza di ulteriori riscontri, senza i quali è agevole incorrere in un'ingiustificata disparità. Significativo è anzi che l'ampliamento dell'esenzione di cui all'

art. 67

,

comma

3

,

a favore dei pagamenti di canoni di locazione finanziaria sia stata espressamente disposta dall'

art. 72 quater LF

(il che sta ad indicare che il legislatore ubi voluit, dixit).

Quindi, per il giudice di secondo grado, i pagamenti dei ratei dei mutui sono revocabili

ex art. 67, comma 2,

l.fall

.,
non rientrando nella disciplina dell'

art. 67, comma 3, lett. a

)

,

l.fall

.

La scientia decoctionis rispetto agli "operatori qualificati"

Come era inevitabile, entrambi i giudici di merito si sono interrogati anche sulla sussistenza dell'elemento soggettivo della scientia decoctionis in capo all'istituto di credito convenuto. E, anche su tale questione, le conclusioni alle quali è giunta la Corte d'Appello sono diverse da quelle del tribunale di Milano.

Mentre il giudice di primo grado non ha ritenuto raggiunta la prova della conoscenza (in capo alla Banca) dello stato d'insolvenza del debitore, valorizzando il fatto che l'ultimo bilancio della società fallita depositato al Registro delle imprese presentava un patrimonio netto positivo di oltre cinque milioni di euro; viceversa, la Corte del gravame ha ritenuto sussistente la scientia decoctionis in capo al creditore.

Come si può evincere dalla lettura della sentenza in commento, il Collegio – oltre alle risultanze dell'ultimo bilancio depositato dalla debitrice – ha valutato numerosi altri elementi di prova forniti dalla curatela attrice, tra i quali: i bilanci di esercizi precedenti, la relazione dei revisori al bilancio della controllante, le analisi del commissario straordinario sui bilanci della società operativa e subholding, una diversa stima di alcune partecipazioni, una operazione di scissione parziale, le notizie di stampa, le inadempienze fiscali, l'andamento dei rapporti bancari.

Nel provvedimento in esame vi sono delle affermazioni e dei principi di portata generale che vanno tenuti ben presenti.

Innanzitutto, è pienamente condivisibile l'affermazione della Corte laddove – dando per presupposto che la prova in capo al terzo della scientia decoctionis è, in genere, ricavabile da una serie elementi indiziari – rammenta che la valutazione indiziaria soffre l'approccio atomistico, richiedendo una visione d'insieme.

Inoltre, il Collegio ribadisce che la prova indiziaria può variare in base al tipo di creditore che si ha di fronte.

Nel caso di specie, è stato valorizzato il fatto che la Banca - in ragione della sua veste di operatore istituzionale qualificato, e in virtù dell'accesso che essa può avere a determinate informazioni - era in grado di valutare ed interpretare criticamente i dati di bilancio e tutti gli altri elementi indicati. Quindi, la Corte ha ritenuto -diversamente da quanto opinato dal primo giudice- che la Banca fosse al corrente, al momento in cui ebbe a ricevere le rimesse impugnate, dello stato di decozione in cui versava la società.

Osservazioni sull'interpretazione restrittiva dell'art. 67, comma 3, lett. a), l. fall.

A nostro avviso, la sentenza commentata merita particolare attenzione per la lettura restrittiva dell'art. 67, comma 3, lett. a), l.fall. offerta dalla Corte milanese.

Si tratta di una questione abbastanza ricorrente, risolta in modo non univoco nella giurisprudenza di merito (basti pensare che il Tribunale di Milano l'aveva risolta in modo differente dalla Corte d'Appello), questione sulla quale la Cassazione - per quel che ci risulta - non si è ancora espressa esplicitamente.

Pertanto, la pronuncia in esame può essere considerata un importante precedente di merito a sostegno di una interpretazione "restrittiva" dell'esenzione da revocatoria per i pagamenti dei beni e servizi effettuati nei termini d'uso.

Alla base del ragionamento della Corte d'Appello sembrano esserci due affermazioni fondamentali, e cioè che:

  • l'esenzione da revocatoria in discorso (per i pagamenti nei termini d'uso) riguarda soltanto i fornitori di quei “beni e servizi” direttamente strumentali al ciclo produttivo dell'impresa;
  • i "servizi finanziari" non sono servizi come gli altri menzionati dalla norma derogatoria.

La seconda affermazione è rafforzata dalla considerazione - presente nella sentenza - che il legislatore, quando ha voluto estendere l'esenzione da revocatoria a fattispecie specifiche, lo ha fatto espressamente, come nel caso dei pagamenti di canoni di locazione finanziaria. Infatti, l'art. 72 quater, comma 2, l.fall. ha previsto che per i canoni di locazione finanziaria già riscossi si applica l'art. 67, comma 3, lett. a), l.fall.

Sebbene la Suprema Corte non abbia ancora affrontato ex professo la questione, e non abbia precisato quali siano quei "beni" o "servizi" che, se pagati nei termini d'uso, rendono operante l'esenzione da revocatoria, tuttavia - anche con pronunce recenti (da ultimo Cass. 19373/2021) - la Cassazione:

a) ha avuto modo di chiarire che nell'ambito della formulazione letterale dell'art. 67, comma 3, lett. a), l. fall., l'espressione "termini d'uso", adottata dal legislatore per individuare i pagamenti di beni e servizi non soggetti all'azione revocatoria, non si riferisce alle forniture che costituiscono oggetto del pagamento, ma ai pagamenti stessi, i quali risultano quindi opponibili alla massa dei creditori, anche se eseguiti ed accettati difformemente dalle previsioni contrattuali, purchè siano stati effettuati secondo tempi e modalità corrispondenti a quelli che hanno caratterizzato il rapporto tra le parti nel suo concreto svolgimento;

b) ha ribadito che l'introduzione dell'esenzione risponde alla finalità di assicurare la soddisfazione di crediti derivanti da forniture di beni e servizi che s'inseriscano nel ciclo produttivo dell'impresa, in modo tale da evitare che il timore della revocatoria possa comportare l'interruzione dell'attività e la conseguente disgregazione dell'azienda;

c) ha precisato che l'esenzione prevista dall'art. 67, comma 3, lett. a), l.fall. si configura come una eccezione alla regola secondo cui sono revocabili i pagamenti effettuati nel periodo sospetto.

Così ricostruite le coordinate della questione, possiamo dichiararci certamente d'accordo con la Corte d'Appello di Milano, laddove essa afferma di ritenere preferibile una lettura restrittiva dell''art. 67, comma 3, lett. a), l. fall., norma per sua natura e struttura volta a separare dalla generale platea dei pagamenti revocabili alcuni dotati di determinate caratteristiche e, quindi, costituenti eccezioni rispetto alla regola.

È fuori discussione che l'esenzione in parola debba essere in qualche modo circoscritta, per non incorrere in una indiscriminata applicazione dell'esenzione e per non generare un'ingiustificata disparità di trattamento tra i creditori della società poi fallita.

Siamo parimenti convinti che i "pagamenti nei termini d'uso", per non essere revocabili, debbano rappresentare il corrispettivo per la fornitura di “beni e servizi” direttamente strumentali al ciclo produttivo dell'impresa (con qualche dubbio sul fatto che i pagamenti debbano riguardare solo beni e servizi forniti in una prospettiva di continuità dell'attività d'impresa), e non essere dei pagamenti di debiti pregressi.

Altra cosa è chiarire bene quando un bene o un servizio possa dirsi strumentale al ciclo produttivo dell'impresa. Si tratta di un interrogativo che va risolto necessariamente sul campo, caso per caso; valutando contemporaneamente – ai fini dell'esenzione in discorso – se il pagamento di tali beni o servizi sia avvenuto nei termini d'uso tra le parti e/o se non si tratti, piuttosto, di un pagamento di debiti pregressi finalizzato a sbloccare le nuove forniture (in tale ultima ipotesi l'esenzione non dovrebbe operare).

Sulla scorta di quanto appena affermato, non riteniamo possibile affermare che tutti i "servizi finanziari" siano – sempre e automaticamente - fuori dal campo di applicazione dell'esenzione in discorso. A nostro modo di vedere, i pagamenti di alcuni "servizi finanziari", possono beneficiare – anch'essi, al ricorrere degli altri presupposti normativi – dell'esenzione da revocatoria, se effettuati nei termini d'uso (per esempio: commissioni o costi periodici per servizi di pagamento o incasso forniti dalla banca, interessi periodici per scoperto di conto, ecc.).

Tornando ai pagamenti delle rate di mutuo (non fondiario), non riteniamo -però- che tali pagamenti possano, in alcun modo, rientrare nell'esenzione in discorso. Ciò in quanto i pagamenti finalizzati al rientro del mutuo, effettuati da una impresa insolvente, sono ontologicamente incompatibili col prototipo dei "pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso". Anche in considerazione del fatto che - nella realtà - quando una impresa è insolvente non paga le rate del mutuo per continuare ad avere un servizio che s'inserisca nel ciclo produttivo dell'impresa, piuttosto lo fa per estinguere un debito pregresso (che altrimenti può crearle ostacoli).

Tra le pronunce di merito più recenti che hanno affermato la revocabilità dei pagamenti delle rate di mutuo (anche se effettuati nei termini d'uso), segnaliamo Trib. Bergamo, 14/07/2017 n.1964, Trib. Ferrara, 14/05/2012, n. 658.

Prima di concludere, un'ultima notazione.

A sostegno dell'inapplicabilità dell'esenzione in discorso ai pagamenti delle rate di mutuo (non fondiario), la Corte d'Appello ha argomentato anche evidenziando che il legislatore ubi voluit, dixit. E che, quando ha voluto ampliare il campo dell'esenzione di cui all'art. 67, comma 3, lett. a), l. fall., lo ha fatto espressamente, come dimostra la previsione del secondo comma (ultimo periodo) dell'art. 72 quater l.fall. per i pagamenti dei canoni di locazione finanziaria.

Nella stessa direzione, potremmo aggiungere che lo stesso legislatore ha previsto espressamente la non revocabilità dei (soli) pagamenti effettuati dal debitore a fronte di crediti/mutui fondiari (art. 39 d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 - art. 67, comma 4, l. fall.). Il che fa ulteriormente propendere per la tesi della inapplicabilità dell'esenzione prevista dall'art. 67, comma 3, lett. a), l.fall. ai pagamenti delle rate di mutuo "non fondiario".

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