Il negozio di accertamento elimina la res dubia o quella litigiosa?

Ilaria Pietroletti
19 Novembre 2021

Il negozio di accertamento ha la funzione di precisare definitivamente il contenuto e l'essenza di un preesistente rapporto, eliminandone gli elementi di incertezza.

La sentenza n. 31319, resa dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, in data 3.11.2021, offre lo spunto per analizzare il tema del negozio di accertamento, allorquando viene inserito nell'ambito di un rapporto di locazione.

I fatti risalgono all'anno 2003: due società immobiliari stipulavano un contratto in forza del quale veniva locata una unità immobiliare costituita da un edificio multipiano a destinazione autosilo, per la durata di anni 12 e con facoltà, per il conduttore, di recedere dopo la fine del quarto e con un preavviso di 12 mesi.

Il contratto veniva ripetutamente modificato a seguito del sottoutilizzo della struttura, dettato anche dalla mancata realizzazione del secondo accesso carraio ad opera della proprietà. Da ultimo, con scrittura del 31.3.2009, le medesime parti stipulavano un nuovo contratto al cui art 6 prevedevano che, nell'ipotesi di risoluzione in data anteriore al 31.10.2009, il conduttore avrebbe dovuto pagare una penale di euro 300.000, nulla, invece, essendo dovuto qualora la risoluzione fosse avvenuta in epoca successiva. Stabilivano altresì che, a garanzia dell'osservanza di tutte le obbligazioni assunte, il conduttore avrebbe dovuto fornire una fideiussione bancaria di euro 300.000, aggiungendo che tale previsione sostituiva «ad ogni effetto la penale già prevista nei precedenti rapporti contrattuali di cui in premessa che deve, pertanto, intendersi con la sottoscrizione del presente atto, a tutti gli effetti definita e rinunciata».

Il successivo 29.12.2009, tuttavia, la conduttrice comunicava il recesso a far data dal 31.1.2010 e, di lì a breve, le due società si fondevano dando vita ad un nuovo ente a responsabilità limitata al quale la già locatrice, con scrittura del 1.3.2010, concedeva in locazione il menzionato parcheggio. In tale contratto le parti espressamente rinunciavano, ora per allora, alle rispettive pretese creditorie a condizione che il rapporto fosse arrivato a naturale scadenza.

In caso contrario i reciproci importi sarebbero stati pagati in 48 rate.

Tale costituendo l'antecedente del giudizio, di lì a breve la locatrice chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Treviso un d.i. di euro 447.976 contro la conduttrice, allegando quale presupposto dell'azione, un riconoscimento di debito. Proposta opposizione, il Tribunale la accoglieva rilevando che, con successive scritture private, le parti avevano rinunciato alle pretese derivanti da quelle precedenti e, in particolare, con quella del 1.3.2010 la debenza della penale originariamente pattuita era venuta meno.

In fase di appello, la sentenza veniva riformata con condanna al pagamento degli importi richiesti.

La pronuncia è stata oggetto di ricorso in Cassazione, affidato a cinque motivi di diritto: la Suprema Corte ha accolto i primi tre, ritenuti connessi tra loro in quanto tutti incentrati sul tema degli effetti della rinuncia pattuita dalle parti.

In primis, il Collegio ha chiarito che la clausola di rinuncia al credito, inserita alla lettera J) della scrittura del 1 marzo, non può essere ricondotta alla fattispecie di cui all'art 1234 c.c., non essendo una novazione di un credito già rinunciato; come rettamente sostenuto dai giudice di appello, essa era inidonea ad intaccare in alcun modo i diritti già maturati, valendo solo per il futuro, nel senso che, i crediti già nascenti dalla locazione originaria, «salvi ed impregiudicati» secondo le indicazioni delle parti, hanno mantenuto nella scrittura del 1.3.2010 la loro fonte di regolazione.

Tale scrittura, ha aggiunto la Corte, non è un atto novativo ma si pone alla stregua di un negozio di accertamento, avendo funzione di accertare e di fissare il contenuto di un rapporto precedente, con effetto preclusivo di ogni ulteriore contestazione al riguardo.

Tale negozio può eliminare incertezze sulla situazione giuridica ma non sostituirne il titolo costitutivo, ovvero, elimina la res dubia e non la res litigiosa.

Prendendo le mosse da tali considerazioni, la Corte ha chiarito che la funzione svolta dall'accordo intervenuto il 1.3.2020 era proprio quella di eliminare gli elementi di incertezza del preesistente rapporto, subordinando tale effetto preclusivo ad una clausola condizionale: il credito, così come cristallizzato con il negozio di accertamento, era subordinato all'evento, futuro ed incerto, della circostanza che il nuovo rapporto locatizio non fosse giunto a buon fine.

Tale clausola, tuttavia, è stata, ex officio, ritenuta nulla dal Collegio, a norma dell'art 1355 c.c., trattandosi di condizione meramente potestativa, rimessa al totale arbitrio di una sola delle due parti e così finendo per integrare una classica ipotesi di tirannia del socio dominante.

In conclusione, dunque, la Corte ha accolto il ricorso nei limiti di cui in premessa e rinviato alla Corte di appello di Venezia, sancendo il seguente principio di diritto: «in caso di negozio di accertamento intercorso tra persone giuridiche già parti di un contratto di locazione, per eliminare la res dubia in relazione a crediti da esso nascenti, la clausola ad esso apposta, che subordini la loro esigibilità alla condizione sospensiva, negativa, che un nuovo contratto di locazione – in cui il già locatore conceda la res locata ad un diverso conduttore del quale, però, la locatrice sia socia di maggioranza – non giunge a buon fine, integrando un abuso di personalità giuridica va ritenuta alla stregua di una clausola meramente potestativa, come tale nulla ai sensi dell'art. 1355 c.c.».

Fonte: dirittoegiustizia.it

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