Debiti tributari: dagli incentivi previsti dal CCI e dal recente D.L. n. 118/2021 all'esdebitazione

22 Novembre 2021

La collaborazione dell'imprenditore all'emersione anticipata della crisi viene incentivata con una serie di misure, da un lato, volte ad escludere alcune conseguenze negative (cfr. art. 12, 3° comma, CCI) e, dall'altro, volte a premiare il debitore per la gestione virtuosa della propria crisi. In quest'ultimo solco, si collocano gli artt. 24 e 25 CCI (destinati ad entrare in vigore il 31 dicembre 2023: cfr. art. 1 D.L. n. 118/2021, conv. con modifiche dalla l. n. 147/2021) che prevedono un serie di misure premiali volte ad incoraggiare l'imprenditore che utilizza tempestivamente le misure di allerta, come da attestazione a tale scopo rilasciata dal presidente dell'Organismo di composizione della crisi d'impresa (OCRI) ai sensi dell'art. 24, 2° comma, CCI.
Le misure premiali di natura fiscale previste dal Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza

La collaborazione dell'imprenditore all'emersione anticipata della crisi viene incentivata con una serie di misure, da un lato, volte ad escludere alcune conseguenze negative (cfr. art. 12, 3° comma, CCI) e, dall'altro, volte a premiare il debitore per la gestione virtuosa della propria crisi.

In quest'ultimo solco, si collocano gli artt. 24 e 25 CCI (destinati ad entrare in vigore il 31 dicembre 2023: cfr. art. 1 D.L. n. 118/2021, conv. con modifiche dalla l. n. 147/2021) che prevedono un serie di misure premiali volte ad incoraggiare l'imprenditore che utilizza tempestivamente le misure di allerta, come da attestazione a tale scopo rilasciata dal presidente dell'Organismo di composizione della crisi d'impresa (OCRI) ai sensi dell'art. 24, 2° comma, CCI.

In particolare, sul piano fiscale, il 1° comma dell'art. 25 del CCII stabilisce che all'imprenditore che abbia presentato all'OCRI istanza tempestiva a norma dell'art. 24 e che ne abbia seguito in buona fede le indicazioni, ovvero abbia proposto tempestivamente ai sensi del medesimo articolo domanda di accesso ad una delle procedure regolatrici della crisi o dell'insolvenza di cui al nuovo codice che non sia stata in seguito dichiarata inammissibile, siano riconosciuti i seguenti benefici:

  • riduzione alla misura legale degli interessi che maturano sui debiti tributari dell'impresa, per la durata della procedura di composizione assistita della crisi;
  • riduzione della misura minima delle sanzioni tributarie per le quali è prevista l'applicazione in misura ridotta in caso di pagamento entro un determinato termine dalla comunicazione dell'ufficio che le irroga, se il termine per il pagamento scade dopo la presentazione dell'istanza di cui all'art. 19, 1° comma, CCI o della domanda di accesso ad una procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza;
  • riduzione alla metà delle sanzioni e degli interessi sui debiti tributari oggetto della procedura di composizione assistita della crisi nella eventuale procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza successivamente aperta (trattasi di benefici cumulabili tra loro (cfr. Ambrosini, in Pacchi-Ambrosini, Diritto della crisi e dell'insolvenza, Bologna, 2020, 68).

Mancano, invece, disposizioni di favore per gli obblighi di natura previdenziale.

Altre disposizioni, oltre alla possibilità di fruire di termini doppi per la presentazione di proposta di concordato e accordi di ristrutturazione dei debiti e di misure dirette a ridurre il rischio di proposte concorrenti di concordato preventivo in continuità, si sostanziano in misure protettive di natura penale (in particolare, se il danno è di speciale tenuità nei limiti indicati dall'art. 25, 2° comma, CCI il debitore non è punibile con riferimento ai reati di bancarotta e affini di cui agli artt. 322, 323, 325, 328, 329, 330, 331, 333 CCI limitatamente alle condotte poste in essere per fatti antecedenti alla tempestiva assunzione dell'istanza all'OCRI della domanda di accesso ad una delle procedure di regolarizzazione della crisi dell'insolvenza. La pena è, invece, ridotta fino alla metà nei casi in cui il valore dell'attivo inventariato o offerto ai creditori assicuri il soddisfacimento di almeno il 20% dei debiti chirografari e il danno cagionato non superi l'importo di Euro 2.000.000,00.). Per quanto riguarda, invece, l'esdebitazione, è ridotto a due anni, invece che a tre, il termine dal quale il debitore può proporre il ricorso per ottenere il beneficio.

In coerenza con la finalità di emersione anticipata dalla crisi (cfr. art. 4, 2° comma, lett. b), CCI ai sensi del quale il debitore ha il dovere di “assumere tempestivamente le iniziative idonee alla rapida definizione della procedura, anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori”. La formula pare rievocare la teorica dell'honest business judgment rule), condizione per l'applicazione di detti benefici è la tempestività formale dell'iniziativa del debitore. In questa ottica, andrà valutato “nel merito” il momento in cui l'imprenditore è venuto a conoscenza della sua condizione di crisi e “giudicata” la tempestività o meno dell'iniziativa.

Il legislatore ha cercato di positivizzare in modo dettagliato la formulazione del giudizio valutativo e di assoggettarlo ad una specifica procedura di certificazione. L'art. 24 CCI stabilisce, infatti, che l'iniziativa può ritenersi tempestiva qualora il debitore abbia proposto:

  1. non oltre il termine di sei mesi una domanda di accesso ad una delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza;
  2. non oltre il termine di tre mesi domanda di avvio della procedura di composizione della crisi.

Siffatto termine decorre da una delle situazioni espressamente indicate dall'art. 24, 1° comma, essendo a detto fine sufficiente che ricorra anche soltanto una delle seguenti condizioni:

  1. l'esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno sessanta giorni per un ammontare pari ad oltre la metà dell'ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;
  2. l'esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno centoventi giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
  3. il superamento, nell'ultimo bilancio approvato, o comunque per oltre tre mesi, degli indici di crisi elaborati ai sensi dell'art. 13, 2° e 3° comma. La tempestività non tiene, dunque, conto dei debiti per imposte e tributi, il cui mancato pagamento costituisce la prima, seppure impropria, forma di finanziamento dell'imprenditore in crisi.

Nel caso in cui il debitore abbia proposto domanda di composizione della crisi, il debitore può chiedere al presidente del collegio dell'OCRI (o dell'OCC) che l'ha trattata di rilasciare un'attestazione di tempestività della domanda, riferita alla sussistenza di dette situazioni (art. 24, 2° comma).

È dubbio, tenuto conto della lettera della disposizione, se tale attestazione costituisca condizione necessaria per l'applicabilità dei benefici. È preferibile la soluzione positiva, con l'avvertenza che nella procedura di regolazione della crisi e dell'insolvenza l'esistenza dei requisiti può essere contestata, almeno nei profili che implicano una valutazione.

Il riferimento al “presidente del collegio di cui all'articolo 17”, contenuto nell'art. 24, 2° comma, non implica che i benefici esigano che la procedura di composizione debba essere stata preceduta da quella di allerta, poiché indica soltanto il collegio che ha trattato una delle procedure, anche soltanto la seconda che non deve seguire la prima in rapporto di gradualità progressiva necessitata.

La tempestività dell'iniziativa è condizione necessaria, ma non sufficiente, per l'applicabilità dei benefici.

A questo fine, nel caso di proposizione della domanda di avvio della procedura di composizione della crisi, occorre altresì che il debitore (art. 25, 1° comma) abbia seguito “in buona fede le indicazioni” dell'OCRI* ed abbia proposto nel corso della procedura di composizione, nel caso di mancato accordo, domanda di accesso ad una procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza e che questa non sia stata dichiarata inammissibile.

*In evidenza
Non è certo questa la sede per svolgere delle riflessioni sul massiccio impiego delle clausole generali nel CCI. Va, però, sottolineato che l'obbligo di comportarsi secondo buona fede costituisce espressione di una norma direttamente applicabile alla fattispecie, la cui violazione determina conseguenze apprezzabili sul piano giuridico (cfr. De Matteis, Il ruolo del giudice nel diritto concorsuale tra crisi della fattispecie e principi generali, in Liber amicorum per P. Pollice, Torino, 2020, 167).

Le misure premiali di natura fiscale previste dal D.L. n. 118/2021

Il D.L. n. 118/2021 (conv. con modifiche dalla L. n. 147/2021), recante misure urgenti in materia di crisi d'impresa e di risanamento aziendale, nonché altre misure urgenti in materia di giustizia, nel differire l'entrata in vigore del CCI al 16.5.2022 (l'entrata in vigore della disciplina dell'allerta e della composizione assistita della crisi è prevista, invece, per il più lontano 31.12.2023 (v. art. 1 D.L. n. 118/2021).), ha introdotto il nuovo istituto della composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa, destinato a regolare le situazioni di probabile crisi o insolvenza dell'imprenditore commerciale e agricolo sia sopra soglia (art. 2), che sotto soglia (art. 17, che prevede alcune semplificazioni procedurali).

Coerentemente alle finalità e caratteristiche della nuova procedura*, l'istanza di nomina dell'esperto - si legge nella Relazione illustrativa - “non apre il concorso dei creditori e non determina alcuno spossessamento del patrimonio dell'imprenditore, il quale, pur essendo obbligato a garantire una gestione non pregiudizievole per i creditori ed in linea con gli obblighi previsti dall'art. 2086 del codice civile, prosegue nella gestione ordinaria e straordinaria dell'impresa e può eseguire pagamenti spontanei”. Simmetricamente, l'art. 9 dispone che, nel corso delle trattative, l'imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell'impresa e, dunque, la legittimazione attiva e passiva in tutte le liti, anche tributarie**. La nomina dell'esperto non mira, pertanto, in alcun modo a sostituire l'imprenditore, bensì ad affiancarlo nelle trattative con i creditori, agevolandone per quanto possibile (anche grazie alla propria professionalità e indipendenza) il buon esito.

*In evidenza
Che non sembra annoverabile tra quelle propriamente concorsuali (cfr. S. Ambrosini, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, in www.ilcaso.it, p. 12), bensì tra quelle negoziali (D. Galletti, Breve storia di una (contro)riforma “annunciata”, in www.ilfallimentarista.it). Al riguardo si ricorda, infatti, che gli artt. 4 e 5 della Direttiva UE n. 1023/2019, diffondendo la cultura della prevenzione e del salvataggio dell'impresa in crisi (nonché quella di concedere una seconda opportunità al debitore in stato di difficoltà economico-finanziaria), impegnano gli Stati membri, qualora sussista una probabilità di insolvenza, a fornire alle imprese in difficoltà l'accesso a uno o più quadri di ristrutturazione preventiva - consistenti non solo in procedure concorsuali, ma anche in semplici misure negoziali - “al fine di impedire l'insolvenza e di assicurare la loro sostenibilità economica, fatte salve altre soluzioni volte a evitare l'insolvenza, così da tutelare i posti di lavoro e preservare l'attività imprenditoriale”.

**In evidenza
Il 2° comma dell'art. 9 si limita a prevedere che l'imprenditore informi preventivamente l'esperto, per iscritto, del compimento degli atti di straordinaria amministrazione (come si avrà modo di rilevare nel par. 3, la nomina del difensore tributario non rientra tra gli atti di straordinaria amministrazione). In sede di conversione, la L. n. 147/2021 ha introdotto un distinguo a seconda che l'imprenditore verta in stato di crisi o di insolvenza: nel primo caso, l'imprenditore deve gestire l'impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico- finanziaria dell'attività; nel secondo deve gestirla nel prevalente interesse dei creditori. Non sembra che l'art. 9 D.L. n. 118/2021, così come modificato in sede di conversione, possa incidere sulle conclusioni esposte nel testo.

Al fine di incentivare il ricorso all'istituto, che ha carattere esclusivamente volontario e spontaneo [va, però, precisato che, pur non essendo previsto lo stimolo di alcun alert proveniente dall'esterno, in base all'art. 15, l'organo di controllo societario segnala agli amministratori, in forma scritta e in modo motivato, la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell'istanza di cui al predetto art. 2 (senza peraltro che ciò faccia scattare alcun obbligo in capo all'organo gestorio)], come previsto dal CCI per l'imprenditore che ha presentato all'OCRI istanza tempestiva e ne ha eseguito in buona fede le indicazioni oppure abbia presentato tempestivamente domanda di accesso ad una delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza, così nella procedura negoziata, dal momento dell'accettazione dell'incarico da parte dell'esperto e sino alla conclusione della procedura, gli interessi che maturano sui debiti tributari sono ridotti alla misura legale (art. 14, 1° comma), le sanzioni tributarie sono ridotte alla misura minima se il termine per il pagamento scade dopo la presentazione della istanza di accesso alla procedura negoziata, ma soltanto se è prevista l'applicazione in misura ridotta in caso di pagamento entro un determinato termine dalla comunicazione inviata dall'ufficio (2° comma).

Prevedendosi l'applicazione (agevolata) degli interessi nella misura legale “dall'accettazione dell'incarico da parte dell'esperto” (e non dal deposito dell'istanza) “sino alla conclusione delle composizioni negoziate”, pare ragionevole intendervi compresa anche la fase propriamente “esecutiva”. A contrario si evince, inoltre, che - sino all'accettazione dell'incarico - si applicano gli interessi nella misura prevista dalla legge fiscale.

Le sanzioni e gli interessi sui debiti tributari sorti prima del deposito dell'istanza di accesso alla procedura negoziata se costituiscono oggetto della trattativa sono ridotti della metà nelle ipotesi previste dall'art. 11, 2° e 3° comma, d.l. n. 118/2021 (art. 14, 3° comma). Si tratta delle ipotesi in cui la procedura dovesse concludersi con una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli articoli 182-bis L. fall., con un piano attestato ex art. 67 L.Fall. o con una domanda di concordato semplificato. La disposizione, quindi, non riguarda le ipotesi del 1° comma dell'art. 14 (conclusione di un contratto con uno o più creditori, convenzione di moratoria, conclusione di un accordo tra imprenditore e creditori sottoscritto dall'imprenditore, dai creditori e dall'esperto).

Il 1° e 3° comma dell'art. 14, che disciplinano rispettivamente gli interessi che maturano dal momento dell'accettazione dell'incarico e gli interessi che sono sorti prima del deposito della domanda, hanno, quindi, un ambito applicativo parzialmente differente (il 1° comma fa riferimento alle composizioni previste dall'art. 11, 1° e 2° comma, mentre il 3° comma fa riferimento alle ipotesi di cui all'art. 11, 2° e 3° comma).

Per le sanzioni, invece, l'art. 14, 2° comma (lì dove prevede la riduzione alla misura minima), al contrario di quanto previsto per gli interessi, non fa riferimento alle specifiche ipotesi previste dall'art. 11, per cui la norma è destinata a trovare applicazione in tutti i casi di composizione negoziata. Per quanto riguarda, invece, le sanzioni sui debiti tributari sorti prima del deposito dell'istanza, e oggetto della composizione negoziata, il 3° comma prevede che le stesse sono ridotte “della metà nelle [sole] ipotesi previste dall'articolo 11, commi 2 e 3”.

Qualora all'esito delle trattative, con pubblicazione, sia stato concluso un contratto con uno o più creditori (art. 11, 1° comma, lett. a), oppure un accordo tra l'imprenditore, i creditori e l'esperto (art. 11, 1° comma, lett. c), l'Agenzia delle entrate concede all'imprenditore che lo richiede, con istanza sottoscritta anche dall'esperto, un piano di rateazione fino ad un massimo di settantadue rate mensili delle somme dovute e non versate a titolo di imposte sul reddito, ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto d'imposta e imposta sul valore aggiunto non ancora iscritte a ruolo, e relativi accessori. L'imprenditore decade automaticamente dal beneficio della rateazione in caso di successivo deposito di ricorso ai sensi dell'art. 161 L. Fall., o in caso di dichiarazione di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza o in caso di mancato pagamento anche di una sola rata alla sua scadenza (art. 14, 4° comma).

Nel caso facesse seguito la dichiarazione di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza, gli interessi e le sanzioni saranno dovuti senza alcuna riduzione (art. 14, 6° comma).

Vengono, inoltre, previsti anche per la composizione negoziata, alcuni benefici fiscali, disponendosi l'applicazione dell'art. 88, 4° comma ter, TUIR, in base al quale le riduzioni dei debiti d'impresa ottenute in sede di concordato fallimentare o preventivo liquidatorio non si considerano sopravvenienze attive, e dell'art. 101, 5° comma, TUIR, che prevede la deducibilità delle perdite su crediti (art. 14, 5° comma).

Da notare la mancanza di coordinamento dell'art. 14 con gli artt. 13 e 13-bis d.lgs. n. 74/2000, non essendo previsto che la definizione del debito tributario con l'Agenzia dell'entrate attraverso il nuovo istituto della “Composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa” costituisca una “speciale procedura conciliativa”, rilevante come causa estintiva o di non punibilità di cui ai citati artt. 13 e 13 bis cit.

Le misure sopra indicate, espressamente definite premiali, appaiono comunque idonee ad innescare la miccia propulsiva per attivare la procedura negoziale. I premi concessi – pur a fronte del fatto che nella composizione negoziata non è prevista l'applicabilità della transazione fiscale – non sono, infatti, di modesta entità anche per quanto riguarda la riduzione degli interessi.

La premialità più interessante è, però, certamente quella relativa alla rateazione dei debiti tributari maturati in capo all'impresa prima dell'inizio dell'attività di riscossione. La norma generale che non prevede la possibilità di rateizzare il debito erariale prima dell'iscrizione a ruolo degli importi dovuti dall'imprenditore all'Erario rappresenta l'ostacolo principale alla redazione del singolo piano e, quindi, questa disposizione riveste sicuramente un carattere importante nelle dinamiche complessive della negoziazione.

Sembra, dunque, che le misure premiali offerte al debitore che intenda affidarsi al percorso di composizione della crisi, insieme ai binari della piattaforma informatica di accesso, potrebbero davvero costituire un incentivo per diffondere una responsabilizzazione dell'imprenditore in crisi, complice l'ombrello protettivo dalle revocatorie e dalle fattispecie di bancarotta, che scattano dopo l'accettazione dell'incarico da parte dell'esperto e la passerella nel concordato semplificato.

L'esdebitazione dei debiti tributari

Con l'istituto della esdebitazione, la riforma del 2006 ha dettato - per la prima volta* - una disciplina applicabile, successivamente alla chiusura del fallimento, alle eventuali parti di debito che, all'esito della procedura concorsuale, a causa dell'incompleto adempimento delle obbligazioni del fallito, continuino a gravare su di lui (art. 142-144 L. Fall.). L'art. 14-terdecies L. n. 3/2012 l'ha prevista poi quale appendice della liquidazione del patrimonio del debitore sovraindebitato.

*In evidenza
Così si legge nella sentenza della Corte Cost. 30 maggio 2008, n. 181. In questo senso, cfr. anche Relazione Ministeriale illustrativa del d.lgs. n. 5/2006, che la descrive come “una assoluta novità del sistema [che] consiste nella incentivante liberazione del debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti integralmente, seppur in presenza di alcune condizioni”. Secondo Cass. SS.UU. 18 novembre 2011, n. 24214, in Riv. dir. proc., 2012, p. 1677, e in Corr. mer., 2012, p. 376, invece, l'istituto introdotto con il d.lgs. n. 5/2006per vero, non rappresenta una novità in assoluto, atteso che il legislatore aveva già previsto l'esdebitazione come conseguenza ex lege nei concordati…”. Al riguardo deve escludersi la possibilità di ravvisare l'antecedente della esdebitazione nell'effetto esdebitatorio conseguibile nei concordati; in quest'ultimo caso, infatti, si è tecnicamente al di fuori della esdebitazione intesa in senso stretto (v. testo e note 29 e 30), anche se una certa confusione è riscontrabile sia nella legge delega n. 155/2017 ( l'art. 9, lett. f), “preclude l'accesso alle procedure ai soggetti già esdebitati nei cinque anni precedenti la domanda o che abbiano beneficiato dell'esdebitazione per due volte, ovvero nei casi di frode accertata”, senza differenziare in base alla fonte della liberazione del debitore (l'accesso al beneficio è precluso indipendentemente dalla natura liquidatoria o concordataria della procedura esitata con debiti residui); l'art. 9, lett. i), non distingue tra falcidia fallimentare e concordataria allorquando subordina l'esdebitazione delle persone giuridiche “alla assenza di ipotesi di frode ai creditori o di volontario inadempimento del piano o dell'accordo”), sia nella Dir. UE 2019/1023 che in più passaggi normativi non contempla distinzione alcuna tra le multiformi “versioni” dell'esdebitazione (v., ad esempio, art. 2, 1° comma, n. 10, ) che disciplina la c.d. “esdebitazione integrale” “nel quadro di una procedura che può prevedere la realizzazione dell'attivo o un piano di rimborso o entrambe le opzioni”.

Il legislatore italiano ha così inteso assicurare al debitore-persona fisica la possibilità di liberarsi dai debiti rimasti insoddisfatti con la liquidazione del patrimonio, al dichiarato scopo di garantire a questi - beneficiari del cd. fresh start - un celere reinserimento nel circuito economico. In questo è ravvisabile l'ispirazione marcatamente mercantile propria dell'istituto del discharge di diritto anglosassone che mira non già a tutelare il consumatore in quanto persona, ma a recuperarlo al ciclo mercantile, ove ve ne sia convenienza in ragione della sua prospettiva di reddito.

In questo contesto si è inserito il CCI, il cui Capo X (artt. 278-282) del Titolo V è interamente dedicato all'esdebitazione, quale vicenda modificativa del rapporto obbligatorio.

L'esdebitazione consiste nella “liberazione dai debiti” e comporta la “inesigibilità dal debitore dei crediti rimasti insoddisfatti nell'ambito di una procedura di liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata” (art. 278, 1° comma, CCI) [cfr. S. De Matteis, L'esdebitazione del sovraindebitato nel Codice della crisi e dell'insolvenza, in Corr. giur., 2020, 1379].

Al di là di qualche differenza terminologica contenuta nelle leggi che si sono succedute nel tempo, l'effetto della esdebitazione è quello di escludere la possibilità per i creditori concorsuali rimasti solo parzialmente soddisfatti di pretendere, dopo la liquidazione del patrimonio, il pagamento del loro residuo credito da parte del debitore già sottoposto ad una procedura concorsuale. Sebbene la questione appaia rilevante più sotto il profilo sistematico, ma non esclusivamente dogmatico (si pensi al fatto che la tesi dell'estinzione dell'obbligazione innesca la ‘degradazione' da civile a naturale dell'obbligazione colpita dall'esdebitazione. Viceversa, per i fautori della tesi secondo cui l'obbligazione non si estingue, materializzandosi piuttosto una modificazione nella tutela di un rapporto entrato in quiescenza, il pagamento del residuo vale pur sempre da adempimento ai sensi dell'art. 1191 c.c. in luogo dell'art. 2034, 1° comma, c.c.), che ai fini presente della trattazione, appare importante osservare che è la stessa disciplina dell'esdebitazione contenuta nel CCI a dare importanti segnali nel senso che essa dia luogo, più che ad una vicenda estintiva, ad una vicenda preclusiva venendo meno per i creditori il potere di azione nei confronti del soggetto esdebitato [Pagliantini, L'esdebitazione tra normativa vigente e codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Nuove leggi civ. comm., 2019, 696 ss. Ad essere colpita è, cioè, l'azione contro il debitore, non il diritto. Com'è stato, infatti, notato, sul piano dommatico è possibile disgiungere diritto e azione, disponendo di questa senza toccare il primo (cfr. M. Orlandi, Sulla rinuncia alla solidarietà, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2019, 1114)].

In questo senso depone il chiaro riferimento alla inesigibilità (art. 278, 1° comma). Ma soprattutto depone la salvezza dei diritti vantati dai creditori nei confronti dei coobbligati, dei fideiussori e degli obbligati in via di regresso (art. 278, 6° comma)[nella liquidazione controllata, come in quella giudiziale, è ribadita, pertanto, l'integrale responsabilità dei garanti, ai quali non si estendono gli effetti dell'esdebitazione]: il principio di accessorietà non subisce una stravagante eccezione solo pensando che l'esdebitazione non produce una qualche vicenda di estinzione parziale dell'obbligazione (La ricostruzione offerta nel testo comporta, viceversa, più limitatamente solo la singolare coesistenza di una inesigibilità nei riguardi dell'esdebitato e di una esigibilità esclusivamente nei confronti dei terzi, con la conseguenza che al principio di accessorietà “non può essere attribuita una valenza assoluta” (cfr. d'Alessandro, La transazione del condebitore solidale, Milano, 2012, 144. Cfr. anche Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell'insolvenza, Torino, 2019, 198, il quale, peraltro, spiega la peculiarità dell'art. 278, 6° comma, CCI come “proiezione natura del carattere autonomo della coobbligazione o della prestazione di garanzia”. Senza potersi approfondire il tema in questa sede si resta convinti del carattere accessorio della garanzia.).

Ultimo, ma non per ultimo, rileva che il debito è destinato a rivivere: (i) ove sopravvengano utilità nei quattro anni successivi ex art. 283 CCI; (ii) ove accolto il reclamo proposto contro il provvedimento dichiarativo dell'esdebitazione di diritto di cui all'art. 282 CCII; (iii) ove revocata l'omologazione del piano o del concordato minore.

All'esdebitazione di diritto possono accedere tutti “debitori di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c” (art. 278, 3° comma) e, dunque, anche le società o gli altri enti ricorrendo congiuntamente i parametri quantitativi di cui all'art. 2, 1° comma, lett. d) [Una volta esteso il beneficio dell'esdebitazione agli imprenditori, l'esclusione delle società da tale opportunità avrebbe potuto esporsi a seri dubbi di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 3 Cost. Deve, comunque, escludersi che possa essere ammesso a tale beneficio l'imprenditore persona fisica (già sopra soglia, ma) non più fallibile per il decorso dell'anno ai sensi dell'art. 33 CCI. Resta che l'estensione dell'ambito soggettivo incide sull'istituto dell'esdebitazione che, da strumento volto ad incentivare comportamenti virtuosi, diviene più semplicemente espressione del favor debitoris.].

In quest'ultimo caso, le condizioni di cui all'art. 280 devono sussistere nei confronti dei soci illimitatamente responsabili e dei legali rappresentanti (art. 278, 4° comma)***, ma l'esdebitazione ha efficacia anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili [art. 278, 5° comma) (L'ambito soggettivo dell'esdebitazione, per quanto circoscritto dall'art. 142 L. Fall., al fallito persona fisica, è stato riferito (quasi in chiave anticipatrice della riforma) anche al socio illimitatamente responsabile di una società, fallito in estensione (cfr. Cass. 30 luglio 2020, n. 16263)].

*** In evidenza
Il correttivo, come si legge nella Relazione, sopprimendo la parola “anche”, è intervenuto “al fine di chiarire che le condizioni di meritevolezza previste dall'art. 280, ostative all'esdebitazione nel caso in cui il debitore sia un ente collettivo, non possono che riferirsi a persone fisiche e dunque ai soci illimitatamente responsabili o ai legali rappresentanti della società o dell'ente”, ciò evidentemente perché, mentre i primi beneficiano dell'effetto liberatorio, i secondi – in quanto muniti dei poteri di firma - sono coloro attraverso i quali la società agisce. Il correttivo, con una modifica apportata sempre al medesimo 4° comma, ha eliminato, secondo la relazione, “l'equivoco riferimento temporale in origine contenuto nella disposizione”. Essa, infatti, esigeva che le condizioni stabilite nell'art. 280 sussistessero (anche) nei confronti dei soci illimitatamente responsabili e dei legali rappresentanti, con riguardo agli ultimi tre anni anteriori alla domanda cui sia seguita l'apertura di una procedura liquidatoria. Ebbene, precisa la Relazione, “è apparso irragionevole limitare a soli tre anni la rilevanza di condanne per gravi reati quali sono quelli elencati all'art. 280, oltre che contraddittorio rispetto alle previsioni contenute alle lettere d) ed e) del medesimo art. 280, comma 1”.

Il senso e la portata dell'esdebitazione di cui può beneficiare la società vanno, dunque, colti sia nel caso in cui la società (nonostante la liquidazione del patrimonio) non sia cancellata dal registro delle imprese (v. art. 233 CCI, richiamato dall'art. 276, 1° comma, così come modificato dal correttivo) [L'esdebitazione è destinata ad operare nel caso di chiusura della liquidazione per mancanza di domande di ammissione allo stato passivo (art. 233, 1° comma, lett. a), limitatamente a quella parte che non sarebbe stata soddisfatta con il riparto (v. art. 278, 2° comma). Resta, invece, fuori dal campo di applicazione dell'esdebitazione il caso della chiusura della liquidazione della società per integrale soddisfacimento dei creditori concorsuali (art. 233, 1° comma, lett. b), che implica di per sé l'estinzione delle relative obbligazioni], che in quello in cui lo sia, nel senso che i soci illimitatamente responsabili potranno beneficiare dell'effetto esdebitatorio relativamente alle obbligazioni sociali di cui rispondono come soci. Ne consegue che questi ultimi continueranno a rispondere in pieno dei debiti propri, diversi cioè da quelli connessi alla qualità di socio illimitatamente responsabile.

L'esdebitazione delle società di persone non ha, però, efficacia nei confronti dei coobbligati e dei fideiussori del debitore, nonché degli obbligati in via di regresso. Sono, dunque, salvi i diritti vantati dai creditori nei confronti di costoro (art. 278, 6° comma) [Si veda anche l'analoga disposizione contenuta nell'art. 79, 5° comma, CCI Ma si deve ritenere che, nonostante la mancata riproduzione nel CCI dell'art. 12-ter, 3° comma, L. n. 3/2012, anche l'omologazione del piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore faccia salvi i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati e dei fideiussori del debitore, nonché degli obbligati in via di regresso].

L'art. 278, 2° comma, conforma, invece, l'efficacia della esdebitazione nei confronti dei creditori per fatto o causa anteriori che non hanno partecipato al concorso (sono questi i creditori concorsuali, ma non concorrenti), disponendo che essa opera per la sola parte eccedente la percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado (art. 278, 2° comma). Tale previsione, già presente nella legge fallimentare (art. 144 L. Fall.), costituisce l'applicazione del principio secondo il quale l'esdebitazione rende inesigibile la parte di credito che non è stata soddisfatta in seguito al procedimento di liquidazione giudiziale o che non si sarebbe potuta soddisfare anche se il creditore vi avesse partecipato e ciò per evitare che tali creditori possano ottenere vantaggi dalla sottrazione volontaria al concorso sostanziale. Per essi, dunque, l'esdebitazione opera sulla base di una fictio della loro ammissione, ossia limitatamente alla parte di credito eccedente la percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado.

Si pone, dunque, la questione dell'incidenza dell'esdebitazione sul rapporto tributario.

Al riguardo deve ricordarsi che, ai sensi dell'art. 142, 3° comma, L. Fall., restano esclusi dall'esdebitazione, tra gli altri, i debiti relativi agli obblighi di mantenimento e alimentari e, comunque, le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all'esercizio dell'impresa (la lett. a) è stata così modificata dal D.Lgs. n. 169/2007, art. 10, 1° comma, a decorrere dall'1 gennaio 2008. In precedenza, si discorreva di crediti “non compresi nel fallimento ai sensi dell'art. 46”, ma si può ritenere che la modifica abbia una portata meramente interpretativa.).

Delineato l'ambito oggettivo di esclusione, deve notarsi che l'art. 142 L. Fall. non menziona i debiti tributari che, pertanto, possono restare esclusi dall'esdebitazione solo allorquando derivino da rapporti estranei all'esercizio dell'impresa. Viceversa, quelli strettamente collegati all'esercizio dell'impresa, perché della stessa costituiscono necessaria conseguenza, rientrano nel perimetro dell'esdebitazione (Cfr. Cass. 30 ottobre 2014, n. 23129, per i debiti tributari, e Cass. 11 marzo 2016, n. 4844, per i debiti previdenziali).

Per la distinzione, occorre tener conto del significato letterale dell'espressione adoperata dal legislatore.

In questa ottica è necessario dare un contenuto al concetto di “rapporti estranei all'esercizio dell'impresa”. Trattasi di locuzione che si comprende a contrario, stabilendo, cioè, cosa s'intenda per rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa. Per tradizione, con tale locuzione il legislatore si riferisce alle obbligazioni che un soggetto assume nella qualità di imprenditore. Esse, di regola, sorgono a seguito della stipulazione dei cd. contratti di impresa (già conosciuti dal codice di commercio del 1882 come “atti di commercio”) [Cfr. Angelici, La contrattazione d'impresa, in AA.VV., L'impresa, Milano, 1985, spec. 183 ss.; Dalmartello, Contratti d'impresa, in Enc. giur., IX, Roma, 1988; Buonocore, Luminoso, Contratti d'impresa, Milano, 1993], vale a dire quei contratti che l'imprenditore conclude per finalità di impresa, ossia allo scopo di procurarsi i fattori della produzione (contratti con i fornitori, contratti di lavoro subordinato ed in genere di collaborazione), ovvero per assicurarsi il guadagno dell'attività (contratto di vendita, appalto, ed altri). Se si tiene conto di ciò, non potrà che concludersi nel senso che i debiti estranei all'esercizio dell'impresa sono costituiti da quelle obbligazioni che non rispondono alla finalità imprenditoriale, vale a dire che non sono assunte con finalità di produzione dei beni e servizi e di successiva collocazione degli stessi sul mercato.

Così intesi i rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa, nel regime della legge fallimentare, le relative obbligazioni tributarie non sono escluse dall'esdebitazione, per cui il fallito che abbia beneficiato della liberazione dai debiti residui non è più tenuto al pagamento delle somme dovute nei confronti dell'erario. E ciò riguarda pure le sanzioni (l'obbligazione nascente dalla sanzione tributaria, sebbene ascrivibile al genus delle obbligazioni di diritto pubblico essendo l'Amministrazione finanziaria controparte contrattuale, sottostà, infatti, all'applicazione delle norme di diritto civile (cfr., da ultima, Cass. 27 settembre 2018, n. 23322, in Fall., 2019, p. 635, richiamata da Cass. 16 novembre 2020, n. 25897, punto 6.1 della motiv.). Per questa ragione non si condivide l'assunto, da ultimo espresso da Mauro, Fraintendimenti giurisprudenziali sull'azionabilità dei crediti per tributi e sanzioni nelle procedure concorsuali, in Riv. tel. dir. trib., 2/2019, 307, secondo cui sarebbero escluse dall'esdebitazione le sanzioni amministrative tributarie.).

Stessa conclusione vale per l'esdebitazione disciplinata dall'art. 14 terdecies L. n. 3/2012, concedibile al debitore persona fisica a seguito della procedura di liquidazione del patrimonio, come si evince dalla lettura a contrario del 3° comma, lett. c), che, nell'escludere dal perimetro oggettivo del beneficio (solo) i debiti fiscali per causa anteriore accertati successivamente in ragione della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, implicitamente vi fa rientrare tutti gli altri.

Nessuna limitazione è, invece, prevista dal CCI che non ripropone più l'esclusione dall'esdebitazione delle “obbligazioni derivanti da rapporti estranei all'esercizio dell'impresa” e dei debiti fiscali per causa anteriore accertati successivamente in ragione della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Il passaggio dal vecchio al nuovo evidenzia, senza meno, che la liberazione del fallito opera con riguardo a tutti i debiti tributari (e previdenziali), irrilevante essendo che siano maturati (o meno) nell'esercizio dell'impresa.

L'esdebitazione tecnicamente va riguardata come un'appendice della procedura di fallimento (artt. 142-144 L. Fall.) e della liquidazione del patrimonio del debitore sovraindebitato (art. 14-terdecies L. n. 3/2012) ed ora della liquidazione giudiziale (art. 278 CCI) e della liquidazione controllata (art. 282 CCI).

A queste ipotesi va aggiunta la nuova “Esdebitazione del sovraindebitato incapiente” (cfr. art. 283 CCI e art. 14-quaterdecies L. n. 3/2012, così come introdotto dal D.L. n. 137/2020, conv. in L. n. 176/2020). Si tratta, nella sostanza di una esdebitazione che non è effetto di una procedura di liquidazione - che non dovrebbe neanche essere aperta ad istanza dei creditori (per mancanza di beni da liquidare: v. art. 268, 3° comma, CCI) -, ma che diventa un beneficio direttamente ricollegato alla circostanza che il debitore persona fisica è nullatenente e che non ci sono nemmeno ragionevoli previsioni di un mutamento in futuro della sua situazione patrimoniale, tale da poter consentire un soddisfacimento (in qualche forma, e sia pure parzialmente) dei creditori. Condizioni, queste, che renderebbero superflua e inutile l'apertura di una procedura. Lo strumento è allora autonomo sia dalle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (piano di ristrutturazione, concordato minore e liquidazione controllata), sia dalle altre procedure di natura concorsuale rinvenibili nell'ordinamento italiano: di queste ultime, infatti, manca la cd. causa concreta, ossia la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti, nonché la natura di strumento finalizzato alla regolazione del concorso dei creditori sul patrimonio del debitore. L'istituto si riduce, piuttosto, ad un'istanza direttamente rivolta a ottenere un provvedimento di esdebitazione, previa verifica da parte del giudice competente della sussistenza dei requisiti a tal fine richiesti. L'esdebitazione, quindi, non essendosi al cospetto di una procedura concorsuale, né essendo conseguenza di una procedura concorsuale (i.e., la liquidazione controllata), si limita ad essere giudiziale.

Anche le procedure che non prevedono la liquidazione (o la prevedano eventualmente quale tassello di un più ampio quadro di ristrutturazione o di falcidia concordata) generano, per la porzione di credito non pagato, il medesimo risultato liberatorio.

Oltre al concordato preventivo (v. art. 88 CCI - V. pure l'art. 63 CCI) si fa riferimento al piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore e al concordato minore, la cui proposta può prevedere un soddisfacimento “anche parziale” dei crediti (cfr. rispettivamente artt. 67, 1° comma, e 74, 3° comma, CCI). Dalla mancata riproduzione dell'art. 7, 1° comma, L. n. 3/2012 (il cui terzo periodo è stato, peraltro, prima dichiarato incostituzionale con sent. 29.11.2019, n. 245 (in Giur. it., 2020, p. 606), limitatamente alle parole “all'imposta sul valore aggiunto”, e poi soppresso dall'art. 4 ter, 1° comma, lett. b), n. 1, D.L. n. 137/2020, conv. in L. n. 176/2020) consegue infatti che anche per il credito fiscale è possibile prevedere nel piano di ristrutturazione dei debiti, come nella proposta di concordato minore, non solo una dilazione del pagamento, ma anche una eventuale falcidia (Il principio è pacifico [v. al riguardo L. Boggio, Falcidia del credito IVA: fine della disparità di trattamento per il sovraindebitato, in Giur. it., 2020, 607)].

Il creditore fiscale, quindi, è assistito dalla disciplina della prelazione prevista dalla legge ed ha come tutti gli altri creditori la facoltà di contestare il piano ai sensi dell'art. 70, 9° comma, CCI, oltre che il diritto all'attestazione (nel piano di ristrutturazione dei debiti) dei limiti di capienza di cui all'art. 67, 4° comma, CCI.

Se l'esdebitazione è una componente essenziale, quale effetto legale, di ogni piano omologato che riceva regolare esecuzione attraverso un pagamento anche parziale (cfr. Corte Cost. 30 maggio 2008, n. 181), l'esdebitazione del sovraindebitato che abbia compiuto “ogni atto necessario a dare esecuzione al piano” (art. 71, 1° comma) non è perciò meno di diritto di quella che si produce attraverso l'art. 282 (Così S. Pagliantini, L'esdebitazione tra normativa vigente e codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Nuove leggi civ. comm., 2019, 692), operando quale effetto automatico (implicito o tipologico) di pagamenti effettuati nella percentuale offerta ed omologata.

Ma l'effetto esdebitativo è consustanziale anche concordato minore e a quello preventivo. Per i creditori concordatari si tratta di un sacrificio assunto in via negoziale o, comunque, conseguenza del principio maggioritario; per quelli coinvolti nella ristrutturazione dei debiti del consumatore è, invece, un sacrificio imposto ex lege (siccome tanto il piano di ristrutturazione omologato come pure il concordato minore (artt. 79, 5° comma, CCI e 278, 6° comma, CCI), non pregiudicano i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, dei fideiussori e degli obbligati in via di regresso, va da sé che, se il patrimonio di costoro dovesse rivelarsi capiente, in realtà i creditori concorsuali non subiranno l'effetto esdebitativo del debito residuo).

L'unica (rilevante) differenza sta perciò nel fatto che, mentre l'esdebitazione consumeristica è coattiva, la falcidia del concordato minore mantiene il simulacro della deliberazione a maggioranza (È, dunque, la coppia coattività/negozialità del sacrificio a denotare diversamente, sub specie creditoris, l'effetto liberatorio finale).

Essendo, dunque, l'effetto esdebitativo un esito (per così dire) naturale delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (piano del consumatore e concordato minore), rispetto ad esse non occorre(va) una regolamentazione legislativa, che invece era (è) necessaria con riferimento alla procedura di “liquidazione”, alla quale di per sé non conseguirebbe l'effetto esdebitativo se esso non fosse - appunto - previsto e regolato dalla legge (G. D'Amico, Il sovraindebitamento nel codice della crisi e dell'insolvenza, in Contr., 2019, 328.)

Pur ritenendosi (De Matteis, in Bocchini - De Matteis, Profili civilistici del sovraindebitamento alla luce della legge delega di riforma delle discipline della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Corr. giur., 2018, 656, nota 50), in accordo con la dottrina giusfallimentarista (Così Vattermoli, L'esdebitazione tra presente e futuro, in Riv. dir. comm., 2018, II, 478. V. anche nota 5), che l'esdebitazione in senso stretto vada riguardata come un'appendice della procedura di fallimento e della liquidazione del patrimonio del debitore sovraindebitato ed ora della liquidazione giudiziale e della liquidazione controllata, in senso convenzionale e descrittivo può, perciò, dirsi che per il sovraindebitato sono complessivamente previste ben quattro forme di esdebitazione (Modica, Effetti esdebitativi (nella nuova disciplina del sovraindebitamento) e favor creditoris, in Pellecchia e Modica (a cura di), La riforma del sovraindebitamento nel codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Pisa, 2020, 386).

Deve ricordarsi, infine, che l'esdebitazione del fallito, nel liberare il debitore dai debiti tributari, non cancella né le conseguenze penali dell'illecito tributario non aventi natura patrimoniale ma personale, né il fatto in sé stesso della violazione tributaria commessa, come accadimento del quale occorra tener conto ai fini della determinazione della sanzione applicabile in occasione di eventuali successive violazioni, stante quanto disposto dall' art. 7, 2° comma, D.Lgs. n. 472/1997.

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