Potenziale insorgenza di più liti tra le parti in ordine al medesimo rapporto: i criteri per capire se la transazione stipulata sia generale o speciale
22 Novembre 2021
Massima
La transazione generale riguarda indistintamente una pluralità di controversie, senza che occorra la previa individuazione delle medesime, giacché le parti la concludono, per l'appunto in generale, su tutti i loro affari, non potendosi riferire le reciproche concessioni a singole liti, bensì a tutte le – anche potenziali – liti considerate nel loro complesso.
La transazione speciale, al contrario, riguarda un determinato affare, che va necessariamente individuato come tale, proprio al fine di potervi associare l'effetto estintivo o preclusivo. Il caso
Una società a responsabilità limitata ha convenuto dinnanzi al Tribunale Saf s.p.a., il Fallimento di altra s.r.l., nonché il curatore di detto fallimento in proprio, chiedendo l'accertamento dell'esistenza di un suo credito di oltre un milione di euro – cedutole dal Fallimento nel gennaio 2003 e, quindi, la complessiva spettanza nei confronti di Saf di oltre quattro milioni di euro, a titolo di corrispettivo per opere appaltate, liquidati con lodo arbitrale nel lontano 1999. In subordine, parte attrice ha domandato la risoluzione del contratto di cessione e condanna del Fallimento e del curatore al risarcimento dei danni.
Il Tribunale ha accolto la domanda principale, aderendo alla tesi Saf secondo cui il credito vantato in base all'atto di cessione fosse da ritenersi inesistente, e ciò in ragione della transazione intervenuta con il Fallimento a definizione di un giudizio civile relativo a spettanze relative a contratto di appalto.
A seguito di impugnazione, la Corte di Appello ha dichiarato che ogni obbligazione a carico di Saf – come nascente dal contratto di appalto – era stata estinta per transazione tra la medesima ed il Fallimento intervenuta nel 2002, cioè prima della cessione, accogliendo la domanda subordinata di risoluzione del contratto di cessione per inadempimento del Fallimento e quella di condanna del curatore al risarcimento dei danno e quella del curatore contro Saf per ottenere il rimborso di quanto da lui eventualmente versato a parte attrice.
La Corte territoriale ha fondato la sua decisione ritenendo che nella transazione stipulata – qualificata come generale - rientrasse anche il credito di cui al lodo arbitrale, pur nella sua ignoranza da parte del Fallimento, non potendo aver influenza alcuna la scoperta di documenti dopo la transazione stessa, non essendo in causa stato dedotto l'“occultamento”, giusta il disposto dell'art. 1975 c.c.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso in Cassazione Saf, mentre l'attore, il Fallimento ed il Curatore hanno resistito con controricorso e presentato ricorso incidentale. La questione
La controversia appare, a prima vista, complessa, ma, a ben vedere, una volta fatta chiarezza sugli elementi di fatto di rilievo, il ragionamento seguito dalla Cassazione si fa apprezzare per la sua linearità.
Occorre scandire gli avvenimenti dal punto di vista temporale: nel 1999 un lodo arbitrale aveva riconosciuto l'esistenza di un credito di una società, poi divenuta l'attuale società fallita, derivante da contratto di appalto del 1984, che era stato eseguito in associazione temporanea di impresa con mandataria proprio la società attrice, per l'importo di oltre un milione di euro; nel 2002 Saf e il Fallimento avevano siglato una transazione, rinunciando a diritti e azioni riferite alla controversia di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dallo stesso Fallimento quale residuo credito di lavori eseguiti in un impianto di riciclaggio rifiuto, precisando che tale atto doveva ritenersi “a completa soddisfazione di ogni pretesa”; nel 2003, il Fallimento aveva ceduto il proprio credito di oltre un milione di euro alla società attrice.
La questione primaria da delibare, quindi, è se la transazione del 2002 tra Fallimento e Saf sia da intendersi speciale (cioè relativa alle sole pretese di cui alla controversia di opposizione a decreto ingiuntivo) o generale (cioè ricomprendente tutte le possibili controversie che tra le stesse possano insorgere); in questa seconda ipotesi, poi, occorre comprendere quale rilevanza attribuire al fatto che Fallimento sia venuto a conoscenza solo dopo la transazione dell'esistenza del lodo del 1999, che aveva coinvolto precedente società e nei cui rapporti esso era subentrato successivamente. Le soluzioni giuridiche
La Corte di cassazione, nel solco del suo consolidato orientamento, ha ribadito l'elemento distintivo rilevante in tema di transazione, focalizzandosi sui differenti impatti in ordine all'ipotesi di successiva scoperta di documenti: infatti, sulla base dell'art. 1975 c.c., i documenti ignorati al tempo della transazione e scoperti successivamente non hanno alcuna influenza – eccezion fatta per il caso di occultamento - se la stessa transazione è di tipo generale, e cioè riguardi una pluralità indefinita di controversie (attuali e potenziali) tra le parti, vale a dire tutti i loro affari; la medesima scoperta, invece, determina l'annullabilità della transazione di tipo speciale, che attenga a un ben determinato ed individuato rapporto, purché il documento scoperto provi che una delle parti non aveva alcun diritto.
Affrontando il più pratico problema della qualificazione della singola transazione quale generale o speciale, la Cassazione ha rammentato come l'esegesi di un atto negoziale debba muoversi nell'ottica di esplorare la comune intenzione dei contraenti: la Corte di Appello, errando, ha ritenuto la transazione generale sulla scorta del testo di una sola delle clausole contrattuali, che, malgrado il tenore (“le parti dichiarano di aver così transatta la controversia, di rinunciare a qualunque diritto derivante dall'intercorso rapporto di appalto…”, essendo riferita alla causa di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal Fallimento), non poteva dirsi dirimente.
Gli Ermellini, poi, richiamando altri precedenti, hanno affermato come la ricerca della comune intenzione dei contraenti non possa prescindere dall'esame del contegno complessivo delle parti, anche posteriore alla stipula del contratto.
Disattendo tali principi, i giudici di seconde cure hanno del tutto omesso di considerare altri elementi – rilevanti secondo gli artt. 1366 e ss. c.c., non avendo esplicitato per quali ragioni avrebbero esteso la transazione riferita a una specifica causa anche ad ogni altra controversia tra le parti, e, tra l'altro, non avendo dato minimamente rilievo al comportamento, in epoca successiva alla transazione, di Saf, che, in plurime occasioni, aveva operato dei riconoscimenti di debito con riferimento al lodo arbitrale.
I suddetti riconoscimenti di debito emergevano da documenti versati in atti da parte attrice, il cui mancato esame è suscettibile di ricorso in Cassazione laddove – come nel caso concreto – determini un'omissione motivazionale su un punto decisivo della controversia, quale è, appunto, la qualificazione della transazione quale generale o speciale.
La Cassazione, poi, ha censurato l'erronea applicazione al caso di specie, da parte dei giudici d'appello, dell'art. 1975 c.c.: tale norma, infatti, si pone come residuale rispetto al precedente art. 1974 c.c., ad avviso del quale una transazione, sia essa generale sia speciale, è sempre annullabile se fatta su una lite già decisa con sentenza passata in giudicato, della quale le parti – o anche una sola di esse – non avevano notizia.
Posto che l'attrice aveva fatto valere già in primo grado il disposto dell'art. 1974 c.c. ed essendo dato pacifico che il Fallimento non fosse a conoscenza del lodo arbitrale del 1999 (passato in giudicato) all'atto della stipula della transazione (2002), appaiono del tutto incomprensibili le ragioni per cui la Corte di Appello abbia risolto la controversia sulla base dell'art. 1975 c.c. Osservazioni
I principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione in ordine all'ermeneutica contrattuale, in realtà, non sono affatto innovativi, posto che è consolidato in giurisprudenza che nell'interpretazione di una clausola contenuta in una conciliazione occorra, in primis, individuare la comune intenzione dei contraenti, che si ricava facendo leva non solo sul tenore letterale delle parole utilizzate – da vagliare alla luce dell'integrale contesto negoziale ex art. 1363 c.c., escludendo le interpretazioni cavillose che siano sostanzialmente in contrasto con la volontà effettiva, ma facendo altresì ricorso ai criteri di interpretazione soggettiva di cui agli artt. 1369 e 1366 c.c.
Infatti, ponendosi su un piano pratico, è necessario accertare il significato dell'accordo in coerenza con gli interessi che entrambe le parti abbiano inteso tutelare ed escludere – in forza di un principio di lealtà e salvaguardia dell'altrui posizione giuridica - quelle interpretazioni che, sebbene formalmente sostenibili, appaiano con essi in contrasto.
Nel caso di specie, la lettura della transazione per cui è causa fornita dalla Corte di Appello appare miope, in quanto focalizzata esclusivamente sul tenore letterale di una sola delle clausole contrattuali: ponendo, al contrario, l'attenzione, sull'intero testo predisposto e voluto dalla parti, sarebbe stato agevole evincere che l'intento di Sap e del Fallimento era quello di definire tombalmente solo le pretese economiche correlate alla controversia di opposizione al decreto ingiuntivo da quest'ultimo ottenuto e non già ogni possibile ulteriore e diversa ragione di contesa.
Pertanto, correttamente la transazione avrebbe dovuto essere qualificata come speciale.
Ad ogni buon conto, anche volendo ritenere la portata generale della transazione di cui si discute, secondo quanto esplicitato dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza in commento, i giudici di appello avrebbero comunque erroneamente sussunto i fatti nell'alveo dell'art. 1975 c.c., anziché dell'art. 1974 stesso codice.
Dalla lettura di tali norme si evince come il caso di specie, al più, avrebbe dovuto essere deciso sulla base del disposto dell'art. 1974 c.c., in quanto norma dalla portata più ampia (evincibile, altresì, dalla sua collocazione sistematica), valevole tanto per le transazioni generali quanto per quelle speciali e perfettamente calzante alla fattispecie concreta, in quanto sancisce che “è pure annullabile la transazione fatta su lite già decisa con sentenza passata in giudicato, della quale le parti o una di esse non avevano notizia”.
Facendo applicazione di tali assunti alla controversia, pare corretto affermare quanto segue: siccome al momento della stipula della transazione con Saf (2002) il Fallimento non aveva notizia del lodo arbitrale, in virtù di quanto stabilito dall'art. 1974 c.c. tale transazione avrebbe dovuto essere annullata – essendo stata in giudizio avanzata anche tale domanda; con il venir meno della transazione, non si sarebbe posto alcun problema in merito alla paventata estinzione del diritto di credito, ceduto nel 2003 dal Fallimento all'attore.
Sinteticamente, quindi, il ragionamento che la Corte di Cassazione ha svolto è il seguente:
- innanzitutto occorre comprendere, indagando la comune volontà delle parti, se la transazione del 2002 tra Fallimento e Sap fosse oppure speciale generale;
- el caso in cui si fosse giunti a ritenerla speciale, il diritto di credito ceduto dal Fallimento all'attore nel 2003 non vi sarebbe stato ricompreso e ben avrebbe potuto essere oggetto del richiesto accertamento;
- nel caso in cui si fosse giunti a ritenerla generale (risultato alquanto opinabile), in ogni caso, facendo applicazione dell'art. 1974 c.c., la stessa avrebbe dovuto essere annullata e, quindi, il diritto di creduto ceduto ben avrebbe potuto essere, anche in tal caso, oggetto del richiesto accertamento. |