La rilevanza penale della liquidazione dei compensi in favore dell'amministratore della società fallita
23 Novembre 2021
Massima
Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell'amministratore di una società a responsabilità limitata che disponga in favore suo o di altri amministratori il pagamento di somme loro spettanti a titolo di compenso ove tali compensi non siano stati deliberati dall'assemblea dei soci poichè, in tal caso, il credito è da considerarsi non effettivo. Pur in presenza dell'impugnazione del solo imputato, la riqualificazione giuridica in un reato più grave dei medesimi fatti contestati può essere effettuata anche dal giudice di appello, alle condizioni che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell'accusa inizialmente formulata, che sia offerta alle parti la possibilità di contraddire sul punto e che rimanga ferma la pena irrogata (Fattispecie in cui la Corte di appello aveva riqualificato il fatto costituito dal pagamento di emolumenti all'amministratore nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e non già, come ritenuto dal giudice di primo grado e secondo l'originaria contestazione, nel meno grave reato di bancarotta preferenziale).
Il caso
La vicenda giudiziaria sottoposta all'attenzione della Suprema Corte origina dal ricorso presentato dagli imputati avverso una sentenza della Corte di Appello di Lecce-Sezione distaccata di Taranto che aveva affermato la loro penale responsabilità anche per il reato, tra gli altri, di bancarotta fraudolenta patrimoniale per avere, in qualità di amministratori in tempi diversi di una società a responsabilità limitata, in parte corrisposto a sé stessi ed in parte ad altri, in assenza di valida deliberazione dell'assemblea, emolumenti a titolo di compensi per l'attività di amministrazione svolta. Tra le censure mosse alla sentenza di appello merita ricordare come le difese in primo luogo contestassero, escludendola, la rilevanza penale dell'addebito relativo al citato pagamento degli emolumenti agli amministratori giacché si sarebbe trattato del pagamento di crediti privilegiati e comunque congrui rispetto all'opera prestata, in subordine contestandone anche la qualificazione giuridica operata dalla Corte territoriale, la quale avrebbe violato il principio del divieto di reformatio in peius (art. 597, comma 3 c.p.p.). Il giudice di primo grado, infatti, aveva affermato la penale responsabilità degli imputati per il pagamento dei menzionati emolumenti qualificando tali le condotte, secondo l'originaria contestazione, in termini di bancarotta preferenziale ex art. 216, comma 3 l. fall. mentre la Corte territoriale aveva ritenuto di riqualificarle nel più grave reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale ai sensi dell'art. 216, comma 1 n. 1) l. fall. Le argomentazioni difensive così in sintesi riassunte erano ritenute infondate dalla Corte di Cassazione, la quale sul punto rigettava i ricorsi, salvo che per questioni concernenti il trattamento sanzionatorio applicato in riferimento ad uno degli imputati.
La questione
Il tema in causa concerne dunque, in ragione dei motivi dedotti dai ricorrenti, (anche) la nota questione relativa alla rilevanza penale dei casi, non infrequenti, in cui l'amministratore della società fallita si ripaghi di quanto dovutogli a titolo di compenso per l'attività svolta o comunque disponga il pagamento di emolumenti a tale titolo.
Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione nella sentenza qui annotata ha colto l'occasione per richiamare i propri ultimi arresti sul tema in causa, tra cui anche quanto statuito dalle Sezioni Unite civili che, nell'analizzare il rapporto che lega la società (nel caso di specie di capitali) all'amministratore, ha chiarito come questi siano legati da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell'immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell'assenza del requisito della coordinazione, non è compreso in quelli della parasubordinazione previsti dall'art. 409, n. 3) c.p.c. (cfr. Cass., Sez. U. 20 gennaio 2017, n. 1545, in CED Rv. 642004-03). Muovendo da quest'ultimo principio la Corte, anche tramite il richiamo ad altre e condivise massime, precisa quanto segue. 1. Il pagamento degli emolumenti all'amministratore per l'attività svolta deve conseguire a quanto stabilito e quantificato nello statuto ovvero essere deciso e determinato dai soci e, nel caso di società di capitali, dall'assemblea sociale; 2. Ove ciò non accada il credito non può dirsi effettivo nell'an né determinato nel quantum, quest'ultima ipotesi verificandosi anche in caso di previsione statutaria cui residui l'illiquidità del credito perché in concreto indeterminato nell'ammontare; 3. La liquidazione del compenso all'amministratore in riferimento ad un credito incerto nell'an oppure indeterminato nel quantum integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (come per l'appunto ritenuto nel caso di specie ove la Corte ha valutato corretta l'argomentazione secondo cui alla mancanza di valida deliberazione assembleare di liquidazione degli emolumenti seguisse il difetto di prova sull'an del credito); 4. Se il rapporto tra società e amministratore è di immedesimazione organica, non è tuttavia 5. Al fine di valutare la legittimità di (altre) dazioni di denaro all'amministratore, l'esistenza di un ulteriore rapporto con le caratteristiche di quello indicato sub 4) deve essere verificata in concreto, essendo indispensabile accertare l'oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico, delle quali nel caso di specie non è emersa traccia. Quanto infine alla questione processuale della lamentata violazione del principio del divieto di reformatio in peius, osserva la Corte come, anche in presenza della sola impugnazione dell'imputato, la riqualificazione giuridica dei medesimi fatti contestati possa essere effettuata in un reato anche di maggiore gravità nel corso della intera progressione processuale e dunque anche dal giudice di appello, alle condizioni che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell'accusa inizialmente formulata, che sia offerta alle parti la possibilità di contraddire sul punto e che rimanga ferma la pena irrogata. Nel caso di specie dunque non si è ravvisata alcuna violazione di detto divieto di reformatio in peius né di quello di correlazione tra accusa e sentenza giacché i fatti materiali contestati erano i medesimi e sugli stessi si era ampiamente dispiegato il contraddittorio, per cui era dovuta la loro esatta, ancorché difforme, qualificazione giuridica. A conclusioni diverse è giunta la Corte in ordine al trattamento sanzionatorio concretamente applicato giacché, per uno dei ricorrenti, la pena irrogata era stata calcolata sulla base dei limiti edittali dell'art. 216, comma 1 n. 1) l. fall. e non già, come avrebbe dovuto, di quelli propri del meno grave reato (così come originariamente contestato) di bancarotta preferenziale di cui all'art. 216, comma 3l. fall., di tal che sul punto la sentenza impugnata era annullata con rinvio.
Osservazioni
Il tema della rilevanza penale dei pagamenti a titolo di emolumenti all'amministratore della società fallita (cfr. artt. 2364, 2364 bis e 2389 c.c.) desta sempre interesse e costituisce questione dibattuta nella giurisprudenza di legittimità, con risultati non sempre collimanti; essa merita dunque alcune precisazioni. 1. Ove il credito asseritamente dovuto all'amministratore a titolo di emolumenti non sia certo, liquido ed esigibile, si comprende come il suo pagamento dia luogo a bancarotta fraudolenta patrimoniale trattandosi, nella sostanza, di un atto di disposizione patrimoniale privo di causa e sul punto appaiono pienamente condivisibili le conclusioni della Corte di Cassazione nella sentenza qui in commento. 2. Ove invece il credito sia effettivo, il suo pagamento contribuisce pur sempre a diminuire il passivo fallimentare e non determina una generica offesa alle ragioni creditorie bensì (soltanto) una lesione della par condicio creditorum, sicché appare preferibile ritenere (pur non mancando conclusioni difformi della Cassazione in ragione della ritenuta inscindibilità delle qualità di creditore ed amministratore e della prevalenza, comunque, degli obblighi di fedeltà e tutela dei terzi) che tale pagamento integri il reato di bancarotta preferenziale di cui all'art. 216, comma 3 l. fall. Sul punto, peraltro, appare priva di pregio l'osservazione prospettata dai ricorrenti secondo cui si tratterebbe di credito privilegiato (sì da porre in dubbio la tipicità del fatto di bancarotta preferenziale in difetto dell'evento costituito dalla violazione delle regole della citata par condicio creditorum in danno di qualche creditore), giacché la giurisprudenza civile di legittimità esclude che il credito costituito dal compenso in favore dell'amministratore di società, anche se di nomina giudiziaria, sia assistito dal privilegio generale di cui all'art. 2751 bis, n. 2, c.c., atteso che questi non fornisce una prestazione d'opera intellettuale, né il contratto tipico che lo lega alla società è assimilabile al contratto d'opera non presentando gli elementi del perseguimento di un risultato, con la conseguente sopportazione del rischio, mentre l'“opus” (e cioè l'attività di amministrazione che si impegna a fornire) non è, a differenza di quello del prestatore d'opera, determinato dai contraenti preventivamente, né è determinabile aprioristicamente, identificandosi con la stessa attività d'impresa (cfr., in ultimo Cass., 13 giugno 2018, n. 15409, in CED Rv. 649128-01). Al fine di valutare l'effettività del credito, quanto osservato sub 1) e 2) non è del tutto esaustivo, avendo rilievo anche la congruità dell'ammontare del credito in rapporto all'attività prestata, le modalità ed il momento cui ne è disposta la liquidazione. Da un lato, soprattutto in caso di società di persone, non può escludersi che le somme corrisposte costituiscano percezione di somme destinate a soddisfare i soli bisogni della persona e che costituiscano quindi sostentamento del creditore e della sua famiglia, per cui appare necessario accertare la non eccessività di quanto percepito e la congruità con l'attività concretamente svolta. Ove ciò accada, appare corretto ritenere il fatto irrilevante penalmente. La congruità del pagamento, infine, deve analizzarsi anche in rapporto al quomodo ed al quando di esso giacché, ove l'amministratore prelevi non ciclicamente bensì in un'unica soluzione quanto dovutogli e soprattutto ove si sia già manifestato il dissesto dell'impresa o addirittura successivamente alla dichiarazione di fallimento (momento dal quale ogni atto di amministrazione è precluso al fallito), appare evidente il rischio che abbia agito al fine di sfruttare a proprio vantaggio, nella situazione di difficoltà, la posizione di privilegio rivestita a danno degli altri creditori.
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