Sentenza emessa prima del decorso del termine per il deposito di comparsa conclusionale e replica
24 Novembre 2021
Anche se la pronuncia della sentenza solitamente va ben oltre i termini di cui all'art. 190 c.p.c., talvolta succede che questa venga emessa e depositata prima.
Sorge, allora, l'interrogativo su quali conseguenze questo possa avere sull'attività del giudicante e, quindi, dell'intero procedimento.
Il problema che viene sollevato è quello inerente al rispetto del principio del contraddittorio che deve permeare di sé ogni fase ed aspetto del processo.
Il problema interpretativo riguarda, però, il modo in cui si voglia intendere l'effettività del contraddittorio: se riferirsi ad una nozione meramente formale o sostanziale.
Aderendo all'una o all'altra tesi diverso sarà l'impatto del mancato rispetto dello scadere dei termini ex art. 190 c.p.c. prima di emettere il provvedimento definitivo.
Sul punto, infatti, si è espressa più volte la giurisprudenza di legittimità tenendo posizioni alterne, tanto che con ordinanza interlocutoria (Cass. Civ., sez. II, 09/03/2021, n. 6451) si è ritenuto opportuno rimettere la questione alle Sezioni Unite.
Sulla fattispecie specifica si segnalano, sostanzialmente, due differenti orientamenti, come risulta dalle massime che di seguito si riportano:
«La sentenza pronunciata dal giudice di primo grado prima della scadenza dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle conclusionali o delle memorie di replica è affetta da nullità, senza che la parte debba indicare, al momento dell'impugnazione, se e quali argomenti non svolti nei precedenti atti difensivi avrebbe potuto sviluppare ove detto deposito fosse stato consentito; tuttavia, il giudice di appello, una volta constatata tale nullità, non può rimettere la causa al primo giudice, ai sensi dell'art. 354 c.p.c., ma è tenuto a decidere la causa nel merito, nei limiti delle doglianze prospettate». (Cass. civ., sez. VI, 18 febbraio 2020, n.4125).
Nello stesso senso anche Corte d'appello di Genova, Sez. spec. Impresa, 12 marzo 2021, n. 307, secondo la quale «È nulla la sentenza emessa dal giudice prima della scadenza dei termini ex art. 190 c.p.c., risultando per ciò solo impedito ai difensori l'esercizio, nella sua completezza, del diritto di difesa, senza che sia necessario verificare la sussistenza, in concreto, del pregiudizio che da tale inosservanza deriva alla parte, giacché, trattandosi di termini perentori fissati dalla legge, la loro violazione è già stata valutata dal legislatore, in via astratta e definitiva, come autonomamente lesiva, in sé, del diritto di difesa».
A questo orientamento, che presta preminente attenzione al dato formale, se ne contrappone uno, per così dire più morbido, che si spinge a considerare il dato sostanziale nella realizzazione del contraddittorio: «La sentenza la cui deliberazione risulti anteriore alla scadenza dei termini ex art. 190 c.p.c. non è automaticamente affetta da nullità, occorrendo dimostrare la lesione concretamente subita in conseguenza della denunciata violazione processuale, indicando le argomentazioni difensive – contenute nello scritto non esaminato dal giudice – la cui omessa considerazione avrebbe avuto, ragionevolmente, probabilità di determinare una decisione diversa da quella effettivamente assunta». (Cass. civ., sez. II, 10 ottobre 2018, n. 24969).
A parere di chi scrive si ritiene che la posizione più rigida sia da preferire in quanto pare quanto meno singolare che si possa emettere una valutazione sulla incidenza di attività difensive ex post dopo che non sia stato possibile svolgerla per il mancato rispetto dei termini da parte del giudicante.
Si consideri, infatti che, ad esempio, nel caso in cui la sentenza venga pronunciata prima del deposito della comparsa conclusionale, questa e le successive repliche, non verranno certamente prodotte dalle parti in causa risultando del tutto fuori luogo per l'economia del giudizio già definitosi. In questo caso difficilmente potrebbe effettuarsi quella valutazione sulla lesione concretamente subita dalle parti in causa. |